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Corleone Franco - 15 marzo 1978
Un progetto socialista, per cosa?
di Franco Corleone

SOMMARIO: Il "Progetto socialista" è un documento interessante. Polemica del PCI. Il partito socialista si propone come un partito laico, ma si contraddice con la prassi (es. i quattro referendum radicali). Il PSI deve porsi come partito di programma e non solo come risposta al PCI.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Febbraio-Marzo 1978, n. 6)

Di "area socialista", un concetto ambiguo e generico ma a suo modo affascinante per una indeterminatezza che poteva illudere e far sognare un'egemonia e un riequilibrio da conquistare nella sinistra, si parla sempre meno. "Area socialista" al di là di tutte le possibili interpretazioni voleva dire soprattutto che le speranze socialiste non erano rappresentate dal PSI nella versione immobilistica e opaca di De Martino o clientelare e di potere di Mancini ma da un insieme di energie diffuse a tanti livelli nel paese a cui anche i socialisti del PSI che volevano alternativa e cambiamento facevano riferimento.

Il ricambio politico e generazionale del Midas subito dopo la sconfitta elettorale del 20 giugno in cui il PSI si era presentato su una piattaforma confusamente articolata tra emergenza e alternativa ha prodotto come conseguenza interna l'assorbimento di tutte le energie di rinnovamento presenti all'interno del PSI nell'impegno di partito. Il nuovo corso di Craxi ha avuto momenti contraddittori, alcuni negativi, di cui il più clamoroso fu il voto sul caso Rumor-Lockheed, altri positivi come il rilancio della presenza nel sindacato con Benvenuto alla UIL e Marianetti alla CGIL e nelle cooperative con Dragone, il dibattito su stato, democrazia e cultura con gli interventi di Bobbio e altri intellettuali su Mondoperaio, il voto di astensione in parlamento sulla 382 e sul regolamento di disciplina militare e il voto contrario alla legge restrittiva dei permessi carcerari. Da queste prese di posizione che toccano la materia dei diritti civili secondo Federico Mancini "emerge un'immagine non confondibile con quell

a che di per sé offre il PCI, per cui parlare, come fanno alcuni commentatori, di una politica del diritto comune ai partiti storici della sinistra è dunque scorretto e fuorviante" ("Mondoperaio", n. 2, febbraio 1978, pag. 86).

Ma queste iniziative peraltro non sostenute con determinazione e fermezza si scontrano con le obiettive sconfitte che sul piano del quadro politico sono state subite. Nel luglio scorso la richiesta di chiarimento si risolse in una ulteriore tappa dell'accordo DC-PCI con la riduzione del ruolo del PSI a quello del più grosso dei partiti minori. La stessa conclusione sta toccando all'offensiva di persuasione lanciata a gennaio da Craxi e che non ha portato al governo d'emergenza ma solo al passaggio dal regime delle astensioni a quello dell'appoggio esplicito ad un programma che al momento non è ancora conosciuto nei suoi termini completi ma che per quel che si sa, dal sindacato di polizia alle leggi truffa per impedire i referendum sull'aborto e la legge Reale, non promette nulla di nuovo e di diverso dalla linea del compromesso. Può darsi addirittura che i socialisti avranno ancor più vita difficile dei mesi scorsi quando già si trovavano "stretti tra duri "partners" nelle maglie della non sfiducia e dell'in

tesa programmatica".

Il "Progetto socialista" su cui ci si confronta all'interno del PSI in vista del 41· Congresso che inizierà il 28 marzo a Torino è stato definito da Alberoni "il primo documento politico di lungo respiro uscito in Italia dal dopoguerra" ("Corriere della Sera", 6 marzo 1978). In effetti l'approccio verso tematiche e questioni raramente trattate e il modo non ritualistico in cui sono affrontate (sono da segnalare le parti sull'istruzione, l'autogestione, il terziario), rende certamente stimolante la lettura. I comunisti hanno polemicamente affermato che mentre il loro progetto a medio termine che peraltro ha fatto una fine alquanto ingloriosa si poneva in una dimensione temporale di 5-10 anni, il progetto socialista si sviluppa in un arco di tempo dall'oggi al 2500. La risposta contenuta nel progetto è esplicita: "La sinistra non può avviare oggi un processo di trasformazione della società italiana nascondendo le sue prospettive di lungo periodo dietro un progetto a medio termine, a meno che il fermarsi della

progettazione al medio termine non significhi la rinuncia ad ogni strategia di respiro storico e la adozione di un disegno di mero restauro di una società di cui si paventa la disgregazione assai più di quanto non si colgano le spinte ed i fermenti innovativi" e Alberoni di rincalzo nello stesso articolo citato afferma: "E' un documento politico originale proprio perché è a lungo termine, perché indica le direttive di azione.

Come tale supera perfino l'orizzonte nazionale e io mi auguro che mobiliti consensi e provochi finalmente uno svecchiamento del dibattito politico-economico e ideologico tradizionale". Proprio in tale contesto è da sottolineare l'affermazione secondo cui "la concezione del partito è agli antipodi di quella leninista.

Il rapporto [del partito leninista] con la società e con i movimenti che si manifestano spontaneamente in essa è un rapporto autoritario, di direzione a senso unico, per cui la stessa acquisizione del consenso, in alternativa alla forza, è vista come aggregazione successiva di strati sempre più larghi intorno al partito egemone e alla sua direzione politico - culturale, anziché come risultato di una dialettica tra partito e società. Al partito leninista il socialismo contrappone l'idea del partito laico, un partito, quindi, che non pretende di essere l'agente esclusivo o dominante della trasformazione socialista, ma soltanto una delle componenti del blocco di forze da coinvolgere in questa trasformazione".

Le perplessità di noi radicali che al congresso di Firenze chiedemmo ai socialisti di elaborare un proprio programma per poi confrontarsi col PCI per arrivare al programma comune, non consistono nell'imputare come umoristicamente è stato fatto un basso tasso di marxismo, ma nel rilevare le profonde contraddizioni tra quanto vi è scritto e la prassi che anche in scelte di fondo perpetua un'immagine di partito integrato e subalterno. Alcuni esempi sono più che sufficienti. Nel progetto si legge che "tra gli istituti di democrazia diretta un ruolo importante, ancorché non esclusivo, lo ha a tutti i livelli della organizzazione politico-amministrativa il referendum popolare. Mentre è giusto sottolineare soprattutto il suo ruolo di stimolo nei confronti delle assemblee legislative, errato e pericoloso sarebbe farne derivare norme limitative al suo esercizio che ne rendano per tutti l'utilizzazione eccessivamente tardiva e difficoltosa, e di fatto l'interdicano alle minoranze sprovviste di una robusta organizzazio

ne di massa". A queste affermazioni si contrappone assai eloquentemente quanto "non" è stato fatto per impedire lo scippo dei 4 referendum del Partito radicale. Così all'importanza assegnata all'informazione per poter estendere il raggio della democrazia a grandi masse di popolazione fa riscontro la pratica della disinformazione della RAI-TV e dei giornali in cui i socialisti non sono assenti né esenti da responsabilità. Allo stesso modo, perpetuando scissioni schizofreniche, "i socialisti propongono un piano del lavoro e della democrazia per portare il Paese fuori dalla crisi e costruire una nuova alleanza riformatrice, con l'obiettivo di rovesciare la tendenza alla disgregazione sottesa alla crisi, capace di trasformare la società italiana nel quadro di una democrazia rispondente al modello della democrazia conflittuale, fatto proprio dai socialisti... la scelta della democrazia conflittuale si basa poi sulla convinzione che le tensioni in atto siano largamente dovute non ad un eccesso, ma ad una insuffici

enza di articolazioni di effettivo potere e di responsabilità democratiche, che alimenta il rivendicazionismo e rende allo stesso tempo asfittiche le risposte che esso riceve. Di fronte alla democrazia conflittuale, la scelta di formule consociative imperniate non tanto sul primato, quanto addirittura sulla esclusività della mediazione partitica, può dar luogo in realtà a compressioni ulteriori delle diversità sociali e generare alla lunga effetti ancora più violentemente disgreganti di quelli attuali".

Una cosa è certa, per il PSI si pone un problema di uomini e di immagine, al centro e in periferia. Rovesciare il giudizio dell'opinione pubblica costruito da anni di lottizzazione e sottogoverno sarà obiettivo non facile almeno fino a che il PSI rimarrà prigioniero di una gabbia che lo riduce alla marginalità più assoluta. Portare al Congresso il Progetto, al di là di un uso strumentale a fini interni che ciò può comportare, può voler dire impedire che finisca in un cassetto dopo un fuoco d'artificio di un dibattito culturale più o meno elevato e porre l'avvio ad una opportuna e utile rivoluzione delle strutture del partito (dal funzionamento delle sezioni, all'organizzazione federalistica e alla formazione della classe dirigente) che alcuni mostrano di voler prendere in considerazione (cfr. intervista a Giorgio Gangi su "Critica Sociale", n. 5) su una linea già individuata dallo statuto del PR . Se è pur vero che, come scrive Alberoni, "non si tratta di un "programma politico" nel senso tradizionale ma di

una visione della società che stabilisce delle linee guida per affrontare, in una prospettiva a lungo termine, alcuni problemi strutturali e drammatici non solo italiani ma dell'intero Occidente", noi rimaniamo convinti che "occorrono sì progetti socialisti, ma come progetti di azione e di mobilitazione e non già come progetti che sono dei disegni di quello che dovrebbe essere l'alternativa" e che "questa è la stessa convinzione per cui la nostra visione autogestionaria non può che fondarsi sulla sperimentazione e non già sulla modellistica" (AR, 1, pag. 14 e 42).

Il PSI intende definirsi partito del programma e del movimento in seno alla sinistra italiana. Perché questa ambizione non sia solo una risposta al PCI, "partito di governo e di lotta", occorre un programma operativo che non sia quello di Andreotti e dei 5 e una capacità di azione e di iniziativa per riportare il discorso dalle direzioni e segreterie centrali ai luoghi in cui il conflitto sociale e politico si manifesta ed occorre pur dire che l'occasione di esserlo nei fatti, come su questa rivista sostenevamo nell'ottobre scorso (AR, 3/4, pag. 32 e 34), non è stata colta.

La questione socialista rimane centrale allo sviluppo di tutta la sinistra ed essenziale nella situazione del paese in cui l'espansione del bipolarismo farebbe allontanare la possibilità di alternativa. I socialisti del PR non possono, in questa occasione, che rilanciare una sfida alla coerenza e un augurio perché non si tratti di una facciata senza sostanza, di parole senza spirito, di enunciazione senza politica.

 
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