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Stanzani Sergio - 7 aprile 1978
L'ANTAGONISTA RADICALE: (23) Il partito servizio e le istituzioni
di Sergio Stanzani

SOMMARIO: Gli atti del convegno sullo statuto e sull'esperienza del Parito radicale che si è svolto a Roma all'Hotel Parco dei Principi nei giorni 5, 6 e 7 aprile 1978.

("L'ANTAGONISTA RADICALE" - La teoria e la prassi del partito nuovo, socialista e libertario; e lo statuto e l'esperienza del PR nella società e nelle istituzioni - Convegno del consiglio federativo del Partito Radicale - Roma, aprile 1978)

Sergio Stanzani

IL PARTITO SERVIZIO E LE ISTITUZIONI

A mio avviso ideologia è l'assunto di una verità costituita a priori, un modello al quale la realtà si "deve" adattare. Non so se questa è una definizione troppo semplicistica; ma è la mia. E' chiaro che in questo senso il Partito Radicale non può essere, direi per definizione, un partito ideologico; però è anche chiaro che, trattandosi non di materia scientifica, anche la definizione di una teoria può, nel campo politico, correre - al limite - i rischi di cadere nell'ideologico, e forse (lo dicevo parlandone con lui) il discorso di Taschera, che mi ha colpito - e direi anche personalmente - molto, può essere che corra il rischio di Porsi al margine dell'ideologico.

Se se ne avverte il rischio, ammesso che sia un rischio, ciò non toglie niente alla validità dell'intervento di Taschera. In effetti è indubbio che il rapporto ``personale-politico'' sia al limite di questa contrapposizione tra ideologia e teoria (se esiste una contrapposizione, e per me esiste); pone la possibilità di dare una misura di come sul piano pratico e sul piano operativo si debba tendere, e fino a che punto si debba tendere, alla coincidenza dei termini "personale" e "politico" e magari, sul piano pratico e pragmatico e sperimentale, accettare un momento di distinzione; perché non si corra il rischio, nell'illusione di raggiungere l'obiettivo massimo, l'obiettivo teorico o ideologico, di perdere quella che è l'efficacia, la validità dell'azione politica.

Volevo poi fare alcune considerazioni in merito allo statuto. In definitiva, almeno da parte di alcuni di noi, si dà un'interpretazione di alcuni dettati dello statuto che tenderebbero a svilire il momento associativo, diciamo pure - se si vuole - il momento ``sociale'' della vita del Partito Radicale. A questi compagni vorrei fare presente che un'impostazione di questo genere può far correre il rischio di un corporativismo radicale. Si è detto: lo statuto non può essere visto - come il Partito Radicale non può essere visto - come il partito dei soli iscritti. A parte il fatto che il nostro statuto non indica comunque un partito di soli iscritti, in particolare per gli iscritti esso impone due condizioni, che per me sono fondamentali: una è pagare le quote, ma l'altra è "associarsi". E' quindi implicito che chi si iscrive al Partito Radicale non può concepire la propria esistenza nel Partito "se non tendendo ad una dimensione collettiva", che gli impone una condizione - diciamo - intermedia, quella dell'asso

ciazione, che è ricerca di identificane con altri compagni: che lo differisce, lo distingue, insieme a questi compagni, del resto dal contesto del partito.

E quindi c'è l'individuazione di una dimensione collettiva. Che non è una dimensione collettiva totalizzante; è una dimensione collettiva che è distinta, è "diversa" (ed è da qui anche che viene fuori lo statuto del Partito Radicale come lo statuto dei diversi). Essa viene fuori proprio statutariamente, come condizione essenziale di adesione al Partito Radicale. Non so come fanno quei compagni ad avvertire che il nostro statuto, statuto degli iscritti, sminuisce le associazioni, quando l'associazione viene posta come condizione essenziale, "originale", dell'adesione al Partito Radicale. E' in definitiva un tentativo di creare anche all'interno del partito quell'articolazione che consenta all'individuo di essere associato, di porre un rapporto immediato, sociale, con gli altri, e nello stesso tempo di garantirlo, proprio direi come presupposto, dall'essere costretto a trovare questa sua identificazione con gli altri in una dimensione totalizzante.

Ho avvertito implicita, in certe critiche, l'accusa di Partito ``individualista''. Il che è anche vero, ma siccome mi sembra di avvertire che ogni volta che si parla di individualismo si tende a contrapporre questo dato all'essere ``sociali'' (il che è vero, ma è nella "dialettica" delle cose) credo invece che nel nostro statuto ci sia proprio una indicazione per il recupero, nell'esistenza politica, di una possibilità di azione individuale che però proprio si pone - nei suoi Presupposti - in una condizione di socialità; insieme ad altri che però continuano ad essere diversi "dai tutti".

In definitiva, e questo è stato già detto da Pergameno, il modello di statuto del Partito Radicale ha un difetto, quello di essere il modello di un grande partito, il modello di un partito che, nella nostra pazzia, in fondo noi proponevamo alla intera sinistra. I radicali non hanno mai avuto la presunzione di essere "la" sinistra; si sono sempre sentiti "parte" della sinistra e sono sempre stati consapevoli anche di esserne una parte piccola; però sono sempre stati coscienti di essere una parte significante della sinistra. E quindi sin dall'inizio hanno avuto la presunzione e la convinzione di proporre alla sinistra temi non marginali, ma fondamentali. Uno è stato una proposta di convivenza che consentisse alla sinistra di superare in parte quelle che sono state le condizioni che l'hanno posta, nella storia anche del Paese, di fronte ad una somma di sconfitte. E' cioè, in definitiva, il modello di una possibilità per la sinistra di convivere e di convivere mantenendo come presupposto le sue differenze: è que

sta la grande contrapposizione della sinistra radicale rispetto ad altre ipotesi della sinistra e delle sinistre tradizionali. In fondo, la sinistra tradizionale tende ad assorbire in interpretazioni totalizzanti tutta la sinistra, ad essere la sinistra per antonomasia e per definizione. Nei radicali c'è sempre stata la convinzione che la sinistra per essere viva, vitale, per potere una volta finalmente arrivare al potere ci deve arrivare in certe condizioni e deve avere la capacità di poter risolvere il proprio interno i suoi problemi: i problemi di una coesistenza che non può non essere una coesistenza di diversità.

In definitiva è il problema del rapporto tra partito e istituzioni, che deve trovare delle forme di mediazioni ad interpretazione di questo rapporto, e deve quindi consentire agli individui di partecipare e di determinare la condizione istituzionale del rapporto politico al di fuori di quelle che sono le leggi, di quelle che sono le determinazioni delle istituzioni. E allora, o è lo Stato che vi provvede o deve essere data la possibilità perché questo sviluppo, questo rapporto tra individui e società, avvenga in misura estremamente più articolata. E quindi ecco che si pone il problema del servizio e ecco anche perché lo statuto del Partito Radicale vuole essere lo statuto del partito-servizio, ecco perché questo tende ad offrire una molteplicità di forme organizzative, di aggregazioni individuali che siano in grado di assumere significato politico e capacità di azione politica. Ecco perché al congresso compaiono i radicali come individui che hanno adempiuto durante l'anno e non nel momento congressuale al lo

ro obbligo e al loro compito di essere associati, e di avere svolto iniziative di azione politica collettiva. Ed ecco perché al congresso è necessaria una maggioranza dei 3/4; per poter trovare in questa diversità l'accordo, e quindi l'iniziativa politica complessiva per la durata di un anno, solo su quei temi e solo su quei punti che la grande maggioranza riconosce essenziali per portare avanti la politica unitaria in termini di partito, per un periodo di tempo limitato, libero poi il radicale, in altre forme associative, sia nelle associazioni sia nei movimenti, di continuare anche independentemente e autonomamente dal Partito la propria esistenza politica, non vincolato dal fatto di essere parte del Partito Radicale.

L'idea del partito-servizio tende anche a porre di per se stessa una visione di quello che è il rapporto della politica con lo Stato, con le istituzioni. Io sono convinto che in trent'anni sono state effettuate due sole riforme. Non ne sono state fatte di più. Una è lo statuto dei lavoratori; la seconda è il sistema autostradale. Sono gli unici due campi in cui in trent'anni la nostra società è stata radicalmente mutata. Il sistema autostradale italiano è una riforma indotta da esigenze di carattere economico e prettamente privatistico. Il sistema autostradale è mutato perché la FIAT aveva bisogno di condizioni e presupposti strutturali che ne consentissero lo sviluppo. La FIAT è diventata quello che è, è arrivata ad essere un fatto diciamo internazionale e multinazionale, perché ha sfruttato fino in fondo le possibilità che il Paese gli ha dato di essere FIAT.

Invece, a mio avviso, il mutamento della società è nelle scelte delle risorse che debbono essere destinate al fine di fornire ai cittadini quegli strumenti, quei servizi, che consentano loro di realizzare - in prospettiva - la sintonia tra personale e politico. Cioè fondamentalmente, a mio avviso, compito dello Stato moderno è quello di essere uno Stato che tende ad assicurare ai cittadini il massimo dei servizi, non però secondo interessi privatistici, ma secondo interessi collettivi e sociali; e quindi è chiaro che qui è insito un concetto di programmazione. Però la scelta dei servizi deve essere una scelta di libertà. E' questa una delle maggiori differenze, per esempio, con quanto è avvenuto e avviene negli Stati dell'Est. In Unione Sovietica non c'è dubbio che è lo Stato che assicura in massima parte i servizi ai cittadini, ma la scelta di questi servizi è subordinata non ai desideri, e alle necessità dei cittadini, ma ai presunti doveri che il cittadino sovietico deve assolvere nell'ambito dello Stato

Sovietico.

Ultima considerazione: a mio avviso, quando noi parliamo di condizioni e di modelli operativi diversi e quindi del tentativo fatto dal Partito Radicale di darsi e di essere una forza politica organizzata diversa, da parte nostra e della cultura (per quel che ne conosco io) del nostro Paese, si tende a sottovalutare e trascurare quello che è avvenuto in questi trent'anni nell'ambito del movimento sindacale italiano. A mio avviso il movimento sindacale italiano, dopo il '68 soprattutto, è stato capace di attuare modifiche alla propria organizzazione e al proprio modo di essere e di fare politica che lo hanno portato, agli inizi del '70, (questa è una mia interpretazione), ad essere potenzialmente il vero partito dell'alternativa nel Paese. Però il movimento sindacale è stato incapace (e si potrà dire se gli competeva, se l'ha potuto o non l'ha potuto farei di tradurre in atto questa potenzialità; da quanto è avvenuto nell'ambito del movimento sindacale dopo il '68 si poteva veramente attendere un fatto rivoluz

ionario di grossa portata. E sarebbe interessante e utile che anche nell'ambito del Partito Radicale si cercasse di capire e di approfondire perché questo non è avvenuto, perché ci troviamo di fronte a un movimento sindacale che rischia nuovamente di essere pienamente e totalmente riassorbito dalle forze politiche dei partiti. E' anche questo a mio avviso un rischio che fa parte della situazione generale, di grossa perdita di quel tanto o di quel poco di autonomia e di crescita politica che è avvenuta nel Paese in questi anni.

 
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