di Enzo ZenoSOMMARIO: Gli atti del convegno sullo statuto e sull'esperienza del Parito radicale che si è svolto a Roma all'Hotel Parco dei Principi nei giorni 5, 6 e 7 aprile 1978.
("L'ANTAGONISTA RADICALE" - La teoria e la prassi del partito nuovo, socialista e libertario; e lo statuto e l'esperienza del PR nella società e nelle istituzioni - Convegno del consiglio federativo del Partito Radicale - Roma, aprile 1978)
Enzo Zeno
E' IL MOMENTO DI ``NON MOLLARE''
Vorrei cercare di dare una mia risposta all'interrogativo che è il tema di questa seconda parte del Convegno: ``E' possibile l'opposizione costituzionale e nonviolenta in questo regime? ''.
Angiolo Bandinelli, che con la sua relazione introduttiva ha confermato quanto sia stato e sia tutt'oggi prezioso e necessario il suo contributo alla costruzione e all'esposizione della teoria radicale, ha dato, citando i documenti del CF, una risposta negativa.
A mio avviso la domanda è mal posta. Secondo me l'alternativa che oggi si pone non è se sia ``possibile'' o ``non possibile'', bensì se sia ``necessaria'', ``doverosa'' una opposizione costituzionale e nonviolenta a questo regime oppure no. E questo non fosse altro perché la possibilità o l'impossibilità si possono giudicare solo a posteriori, dopo che ci si è provato, non prima non essendo l'azione politica una operazione matematica determinabile a priori.
Allora è ``necessaria'', è ``doverosa'' una opposizione costituzionale e nonviolenta, cioè una opposizione radicale, a questo regime? E io credo che la risposta ``radicale'', e altrimenti non è radicale, possa essere una sola: ``SI''.
E io credo che una opposizione radicale sia tanto più necessaria quanto più grave è la situazione, tanto più grave è la chiusura del regime. Si direbbe che in questo partito oggi serpeggi una convinzione intima non confessata: che essere radicale è un genere di lusso, superfluo, come il profumo o la lavapiatti, cui si rinuncia nei momenti di grande crisi. E non ci si renda conto che proprio nei momenti più tragici, di guerra o di dittatura bisogna, è necessario, è ``doveroso'' essere radicali e rifiutare quella logica che vorrebbe che in momenti del genere si fosse o fascisti o stalinisti o carne da cannone.
E allora dico che se oggi il potere in Italia si dovesse servire dei campi di concentramento, degli stermini di massa, delle camere a gas tanto più noi ``dovremmo'' cercare di creare una opposizione costituzionale (in termini ovviamente di costituzione futura) e nonviolenta.
Ma oggi non siamo a questo. Forse si dirà che il regime non ha bisogno di questo. Ma ciò non cambia i termini della questione. Oggi non abbiamo che la conferma delle nostre più che decennali analisi. E trovo una insanabile contraddizione nei concetti di chi per anni ha denunciato il progressivo fascistizzarsi del regime e oggi si meraviglia di quanto sta avvenendo. Certo noi non abbiamo puntato mai al ``tanto peggio, tanto meglio'', ma purtroppo oggi si sta verificando quello che avevamo previsto. Le cose che dicevamo, erano anche tentativi per scongiurare quest'evento: i fatti ci dicono che non ci siamo riusciti o al massimo, come dice Bandinelli, siamo riusciti a ritardare quest'evento di alcuni anni.
Ma, cari compagni, perché ci stupiamo che ogni giorno venga violata la Costituzione, sequestrati i diritti dei cittadini e del parlamento, stravolta la verità, rapinata l'informazione? Cos'altro può fare un regime totalizzante e totalitario per esserlo se non questo. Cosa ci aspettavamo? che dopo aver detto che il regime era chiuso, questo ci aprisse la Rai-Tv, liberasse il parlamento, rispettasse i diritti dei cittadini? Cosa ci aspettavamo che facesse questo regime a coloro che ne sono stati i più implacabili accusatori e oppositori se non che li emarginasse li boicottasse, li condannasse alla morte politica e civile.
Allora diciamocelo in faccia: qui c'è il fascismo. Dopo di che però, non veniamo a dire frasi sul tipo ``io non ci gioco più'' o ``non voglio fornire alibi''. Questo regime non è mica una persona, con un cuore e con dei femori come credono le BR. Questo regime non ha bisogno di nessun alibi. L'unica (o quasi) cosa di cui ha disperato bisogno è che non siamo radicali. Se ne fottono Andreotti e Berlinguer, Bisaglia e Carli, lo Stato Maggiore e il procuratore capo Pascalino di avere un alibi. Quello che gli interessa è che non ci siano radicali, o che stiano zitti cioè che siano ammazzati o si suicidino o, siamo lì, si sciolgano. E certo in questi mesi hanno ottenuto dei buoni risultati.
Ma, si dice, com'è possibile per un partito d'opposizione lottare in queste condizioni di boicottaggio, di violenza, di emarginazione? Mi pare che in questo ragionamento ci sia un errore che abbiamo rimproverato ai nostri interlocutori politici. Cioè la confusione tra paese legale e paese reale, tra istituzioni e società. Ci meravigliamo, gettiamo la spugna se queste cose vengono da Cossiga, da Natta, dai partiti della maggioranza e dai loro fiancheggiatori. Ma noi dovremmo davvero gettare la spugna se la violenza, l'emarginazione, il boicottaggio venissero da quei cittadini cui ci siamo rivolti, che hanno sempre sostenuto le nostre lotte perché erano anche le loro. Dovremmo gettare la spugna se Gf Spadaccia venisse qui dicendo di essere stato buttato già dall'autobus dal fattorino, o che il barista si è rifiutato di dargli il caffè. Invece mi pare che tutti possiamo constatare proprio nel la quotidianità della nostra esistenza, quanto consenso circondi ancora le in iziative radicali. E' la dimostrazione che
l'operazione di ``demonizzare'' i radicali tentata dal regime è fallita; potrà riuscire in futuro, ma oggi è fallita nonostante tutti gli sforzi dal 12 maggio dell'anno scorso in poi. Anzi mi pare che una volta, anni fa, fosse molto peggio di oggi. Quindi la forza del PR che è sempre stata nella ``gente'' resiste ancora, nonostante tutto. E' vero che non ci sono i mezzi di comunicazione di massa, ma una forza di opposizione, se vuole essere opposizione, deve riuscire a trovare i suoi canali di comunicazione, dovesse pure tornare ai samizdat.
E qui voglio affrontare un altro aspetto per così dire storico. Noi siamo stati quelli che hanno sempre detto: ``vogliamo il socialismo per oggi, non per chissà quando''; abbiamo sempre puntato sui piccoli (ma spesso anche grandi) e concreti passi in avanti sulla via di una società socialista e libertaria. Ma io rifiuto la logica di chi, perché vede che il socialismo per oggi è irrealizzabile si chiude in un nichilismo politico o domestico.
Noi abbiamo la responsabilità, lo ripeto, noi abbiamo una tremenda responsabilità verso coloro che ci seguiranno, che verranno dopo di noi. Se il socialismo per oggi non è possibile, dobbiamo fare tutto quello che possiamo perché lo sia per le generazioni future. Non credo nello spirito di sacrificio ma credo fermamente nel senso di responsabilità, verso se stessi e verso gli altri. I radicali non sono nati dal nulla: le battaglie di liberazione che conduciamo sono nate decenni, spesso secoli prima di noi, migliaia, milioni di uomini hanno lottato per essere ed è anche grazie a loro se siamo qui a lottare. Queste sono battaglie di liberazione che non finiranno con il Partito Radicale ma continueranno perché la via verso il socialismo è una strada che si allunga di un metro per ogni metro che percorriamo, perché cresce con la nostra crescita.
E allora, per tornare all'esempio di prima, anche se venissero i campi di concentramento, gli stermini di massa, le camere a gas, noi avremmo la responsabilità di cercare di fare in modo che gli obiettivi che noi ci siamo prefissi possano essere raggiunti al più presto da altri compagni.
Io sono immensamente grato e affezionato ad Angiolo Bandinelli, anche se a lui sembro troppo irriverente, per le cose dette e fatte oggi e in passato, perché anche grazie a queste sono diventato radicale, ho imparato qualcosa e sono cresciuto. Sono grato e affezionato perché nel 1962, ed erano tempi davvero cupi,
con gli altri compagni di Sinistra radicale, anziché andarsene a casa dopo lo scioglimento del PR di Pannunzio e Carandini e darsi a studi tanto professorali quanto sterili, si impegnò fino in fondo perché quel seme di speranza si sviluppasse e diventasse il PR di oggi. Gli sono grato ed affezionato come credo lui lo fosse ad Ernesto Rossi che in altri anni, forse molto più cupi, aveva detto ``Non mollare'' e aveva trasmesso a compagni più giovani attraverso la bufera fascista molte di quelle idi e battaglie che hanno animato il PR.
Follia quella di E. Rossi di ``Non mollare''? certo no perché è grazie a lui e a quei pochi o molti come lui se oggi siamo qui a proseguire queste lotte.
``Non mollare'' quindi. E questo dovrebbe essere il motto di ogni radicale. ``Non mollare'' anche oggi, le responsabilità che oggi abbiamo. Innanzitutto quella dei referendum che abbiamo promosso. Mentre nelle istituzioni scoppiava il terrore per i referendum, noi non abbiamo saputo difenderli nel paese, che questi referendum ha firmato e richiesto. E non è questione di mezzi, perché nel 1974, in gennaio, senza nulla, il partito riuscì a lanciare il referendum sul divorzio e a impedire che passassero gli ultimi tentativi carettoniani. E allora c'era da sognarsi le decine di apparizioni televisive su Tribune politiche, ``della crisi'' o programmi dell'accesso.
Responsabilità verso quei cittadini che tra 5 settimane dovranno votare non foss'altro che per il referendum sul finanziamento pubblico e che hanno appreso della consultazione non da un manifesto, un volantino, un cartello, uno striscione radicale 4, 3, 2, 1 mese fa ma "oggi" dagli avvisi comunali firmato, a Roma, da Giulio Carlo Argan.
Responsabilità dell'immenso potenziale di liberazione che c'è ancora in questo referendum, per le contraddizioni che può produrre nelle basi dei partiti di sinistra, per il dibattito che può creare a patto che i radicali lo suscitino a tempo. Un referendum che non poteva essere più emblematico: da una parte il regime, dall'altra quel poco di opposizione che resta nel paese; da una parte una concezione corporativa delle istituzioni e della società, dall'altra l'ipotesi libertaria e autogestionaria. Ignorare o trascurare quanto questo confronto possa significare per la liberazione di tutti, non solo per il PR, è veramente un atto di irresponsabilità.
Responsabilità verso la democrazia: la non-opposizione radicale significherebbe di fatto delegare l'opposizione al regime alle BR, accreditarle come unica forma di opposizione se non doverosa almeno possibile. Vorrei qui citare una frase dell'``Elogio della galera'' di Ernesto Rossi, da una lettera del 29/3/1945: ``non è davvero il caso di rallegrarci della presente situazione perché ancora troppi fascisti ammorbano l'aria: a furia di raccomandazioni o dopo aver voltato la giubba nell'ultimo anno, moltissimi sono riusciti ad infiltrarsi anche nei partiti che si avrebbe il diritto di pretendere fossero composti di Persone perbene e conscie di adempiere al più sacro dei doveri: quello di non tradire le speranze che sono state riposte in noi. Per mia disgrazia, sono un'intransigente, e vorrei che ognuno dei nostri comprendesse di quali responsabilità ci siamo dovuti caricare le spalle. Ora, più che mai, il nostro motto dev'essere: ``non mollare''.
Per il resto non posso che essere d'accordo con la maggior parte delle conclusioni di Bandinelli: in una società sempre più violenta il PR deve accentuare la sua caratteristica e azione nonviolenta; in una società sempre più militarizzata, il PR deve accentuare la sua azione antimilitarista; in una società sempre più radioattiva deve rafforzare ancora di più la sua lotta anti-nucleare.
Ma se si vuole proseguire e rafforzare l'opposizione costituzionale e nonviolenta a questo regime non è domani che si comincia, ma oggi, dalle prossime ore: dalla lotta per questo referendum che è il legame tra un decennio di lotte radicali e quelle future.
Credo che questa indicazione di mobilitazione immediata debbe essere l'indicazione conclusiva di questo convegno che altrimenti si isterilirebbe nella tragica frattura fra teoria e prassi.