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Corleone Franco - 7 aprile 1978
L'ANTAGONISTA RADICALE: (27) Possibilità dell'opposizione come politica di governo
di Franco Corleone

SOMMARIO: Gli atti del convegno sullo statuto e sull'esperienza del Parito radicale che si è svolto a Roma all'Hotel Parco dei Principi nei giorni 5, 6 e 7 aprile 1978.

("L'ANTAGONISTA RADICALE" - La teoria e la prassi del partito nuovo, socialista e libertario; e lo statuto e l'esperienza del PR nella società e nelle istituzioni - Convegno del consiglio federativo del Partito Radicale - Roma, aprile 1978)

Franco Corleone

POSSIBILITA' DELL'OPPOSIZIONE COME POLITICA DI GOVERNO

Delineare la possibilità di una opposizione che si caratterizzi come politica di governo è solo apparentemente una contraddizione, solo se si ricordi che il PCI per anni, quando era confitto all'opposizione e discriminato, si è definito partito di lotta e di governo e si pensi anche ai sistemi politici dove vige l'alternanza, in cui il partito all'opposizione forma il cosiddetto governo ombra. Ma è soprattutto il tipo di opposizione che una forza politica pratica che rende o no possibile una azione di governo: antisistema, di schieramento, sulle cose. Non è il caso di approfondire le caratteristiche teoriche e pratiche dei tre tipi di opposizione indicati (possibili); in questa sede è essenziale verificare i modi di azione di quella minoranza influente e dinamica che si è rivelata in questi 15 anni il Partito Radicale. Esaminando, anche sommariamente, i frammenti di analisi e di teoria, dai documenti della sinistra radicale alle mozioni dei congressi, emerge con chiarezza ed evidenza, il carattere di opposiz

ione irriducibile e di tipo globale verso il centro-sinistra, la DC, il regime corporativo e classista.

Il dato originale risiede proprio nel fatto che un'opposizione agli antipodi sul piano dei valori dominanti, non si sia chiusa dogmaticamente, ma parallelamente abbia condotto sul piano della lotta politica una strategia riformatrice estremamente incisiva e che ha tenuto conto sia della realtà politica che di quella civile del paese.

Il Partito Radicale è stato perciò sempre tra due poli: l'alternativa e le riforme, tanto è vero che è accaduto che proprio quando si vincevano battaglie sul secondo piano, era sconfitto il progetto anti-regime. Molti commentatori, poco approfonditamente, hanno perciò rilevato una discrasia nel comportamento radicale prima e dopo il 20 giugno imputando, ad esempio sull'aborto, una rigidità inconsueta e antiriformista. Si può invece sostenere che i radicali fuori dalle istituzioni hanno da una parte assunto posizioni di schieramento o pregiudiziali rigide, dall'altra sulle cose hanno ottenuto successi parziali accettando di fatto compromessi o mediazioni sui contenuti; infatti né la legge sul divorzio, né quella sull'obiezione di coscienza, né tantomeno quella sulla droga, rispondevano al principio che si voleva affermare; alla fine del loro iter piuttosto tormentato furono comunque salutate dai radicali come vittorie da utilizzare per gli spazi e le contraddizioni che aprivano (obiezione di coscienza e droga

) o da difendere dagli attacchi degli avversari (divorzio).

E' allora vero che la vicenda radicale è quella di una minoranza che ha fatto cose da maggioranza come suggeriva uno slogan elettorale? E' vero come scrisse Pannella che i radicali sono stati la sola vera forza di governo nell'Italia repubblicana facendo passare importanti procedimenti, dal divorzio all'obiezione di coscienza, dal diritto di famiglia al voto ai diciottenni e alla legge sugli stupefacenti e mettendo all'ordine del giorno i grandi temi di liberazione, dall'aborto a quelli degli otto referendum su cui nel '77 si raccolsero le firme necessarie e su cui ora è occupato il parlamento?

Tutto ciò è stato così vero che l'opinione pubblica, quando si è riusciti a rompere la censura dei mass media, ha conosciuto i radicali in modo parziale, se non distorto, come suggeritori o stimolatori di temi e non come parte politica con un proprio progetto. Così i commentatori che dicono di non capire più i radicali che rappresentano la lancia spezzata dell'opposizione alla Grande Coalizione e non la sezione diritti civili della sinistra, e la loro conseguente intransigenza sui principi, in realtà non capiscono che è la situazione politica, sono i rapporti tra le forze politiche e gli spazi di manovra ridotti esistenti, a determinare in questo momento una priorità (tener ferma un'opposizione alla chiusura autoritaria) rispetto all'approvazione di una legge che non farebbe aprire alcuna contraddizione ma ne eliminerebbe anzi il possibile sorgere e rinsalderebbe il cosiddetto ``quadro''. Quello che i radicali sono riusciti a fare prima del 20 giugno è probabilmente irripetibile perché si è inserito sia in u

n processo di secolarizzazione della società sia su una diffusa convinzione che fosse giunta l'ora del cambiamento.

Il momento di riflusso rende ora più difficile l'opera dei radicali che non solo si vedono negato dagli altri partiti il ruolo di esperti di diritti civili, ma soprattutto sono visti come concorrenti e controparte sulla problematica complessiva.

Non si tratta solo del fatto che il blocco compatto dei partiti dell'arco costituzionale emargina i radicali in Parlamento e li rende quindi sempre più intransigenti, ma soprattutto del fatto che il progetto e l'ambizione di legiferare senza intermediari attraverso i referendum è in crisi.

Si tratta perciò di definire il tipo di opposizione di una minoranza che tende a rimanere tale e che non intende costruire un fronte sterile di resistenza, ma riuscire a fare politica anche in una situazione più difficile e se possibile a non crescere sulle macerie di una sinistra suicida.

Le analisi ripetutamente svolte sul processo di costruzione di una democrazia consociativa con la progressiva riduzione degli spazi istituzionali mi consentono di passare direttamente alle proposte, tenendo ben presente la considerazione/constatazione che l'accordo del 90% non rappresenta gli equilibri presenti nella società e non risolve le tensioni a cui pure si deve offrire uno sbocco che non sia violento.

Alzare la mira, per i radicali, vuol dire individuare contemporaneamente i nodi che possono essere scardinati e i momenti idonei alla costruzione di un ordine diverso, sfuggendo alla trappola di sostenere tutte le battaglie, anche quelle non omogenee al proprio progetto e magari corporative come in questi anni hanno invece fatto partiti e governo, non scegliendo mai mediando sempre. Rimanere alla opposizione da sinistra dello schieramento politico mantenendo i caratteri che hanno fatto fino ad oggi il successo della politica radicale e una immagine che non sia quella di un partito-ghetto privo di capacità di intervento e iniziativa politica è la sfida che abbiamo davanti.

Di fronte alla Grande Coalizione e alla tentazione diffusa di creare una democrazia autoritaria, la via di elaborare progetti di riforma istituzionale è quella che può permettere l'aggregazione di vasti settori sociali che rifiutano questa prospettiva e far riaprire contraddizioni all'interno dei partiti di sinistra.

Lanciare una politica delle istituzioni non rappresenta concettualmente una novità rispetto alle battaglie e ai progetti radicali (dai referendum alla Carta delle Libertà), ma operativamente richiede una maggiore organicità di intervento sui molti nodi e problemi.

Proprio il giudizio sulle istituzioni (dal parlamento al governo, dalle partecipazioni statali agli enti locali, dai corpi separati all'università, ecc.) crea discriminanti e i diversi modi di pensare di risolvere la crisi del paese. Proprio il giudizio su società civile e apparato statuale, come ha scritto Gianfranco Pasquino (Partecipazione, alternanza e socialismo, Mondoperaio, novembre 1977), è quello che determina l'opzione fra alternativa e compromesso storico.

Se si è convinti che la disgregazione, la corporativizzazione e la atomizzazione hanno fatto raggiungere alla società uno stadio di grave decomposizione, necessariamente si deve pensare che solo uno sforzo unitario della classe politica può far uscire dalla crisi. Se invece il giudizio sulla società civile, come ad esempio noi radicali abbiamo sempre avuto, è positivo, o quanto meno si ritiene responsabile dello stato delle cose il modo di operare del potere, la conclusione è che solo rompendo incrostazioni più che trentennali può prodursi un'inversione di tendenza.

Il rischio è quello di cadere nella costruzione di astratti modelli di ingegneria istituzionale, ma proprio la lotta dei radicali per l'attuazione della Costituzione ce ne mette al riparo e ci conserte di pensare ai necessari adeguamenti anche della stessa Carta, non certo nei suoi principi fondamentali che attengono ai diritti civili e politici del cittadino e alle garanzie nei suoi rapporti con lo Stato, ma nelle norme di organizzazione dello Stato.

La difesa del diritto al referendum, in contrasto con le proposte limitatrici, potrebbe forse essere resa più forte proponendo l'istituzione del referendum propositivo. Anche la tradizionale rivendicazione radicale per una effettiva centralità del Parlamento, ridotto oggi a puro notaio, per non essere sterile si deve probabilmente porre il problema dell'adeguamento ai compiti che non sono quelli del parlamento dell'ottocento.

Alcuni obiettivi sono forse già maturi, ad esempio l'eliminazione del sistema bicamerale e la riduzione del numero dei parlamentari e parallelamente per quanto riguarda il Governo, la ristrutturazione dei ministeri e la definizione del ruolo della Presidenza del Consiglio.

A livello locale la costruzione delle autonomie locali attraverso una rete che Giuliano Amato ha definito di contro-poteri (provincia-comprensorio-unità locale di servizi-comitati di quartiere-aziende pubbliche) dovrebbe vedere i radicali presenti non nell'ipotesi di ritagliare piccoli spazi di presenza spicciola, ma nell'individuazione dei legami di potere che si creano e in riferimento all'obiettivo di una democrazia conflittuale. Certamente può produrre risultati esaminare i risvolti istituzionali di settori centrali come l'industria militare e l'informazione.

Il dibattito sulla riforma dello Stato che nei mesi scorsi ha impegnato tante energie intellettuali deve essere calato nel fuoco dello scontro politico; se i radicali riusciranno a condurre una rigorosa politica delle istituzioni manterranno sicuramente dall'opposizione (al compromesso storico e alla Grande Coalizione) una capacità di produrre riforme, cioè di governare, non solo nella società ma soprattutto nel sistema politico rendendolo più adatto e più congeniale alla prospettiva dell'alternativa.

 
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