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Ignazi Piero, Panebianco Angelo - 15 maggio 1978
INCHIESTA SUI MILITANTI RADICALI: I MUTAMENTI TRA IL CONGRESSO 1976 E IL CONGRESSO 1977
di Piero Ignazi e Angelo Panebianco

SOMMARIO: Da un'analisi statistica compiuta su campioni di aderenti al PR di varia estrazione culturale, geografica e di età è risultato che il PR mostra la persistenza nel tempo di alcuni caratteri. E' un partito di provenienza medio-alto borghese, di buona cultura, e la parte più proletaria dei suoi aderenti tende all'autoritarismo. Mostra l'eclisse definitiva del favore ai partiti laici ed una forte ostilità al PCI. Si registra la preferenza per un'alleanza con Lotta Continua.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Aprile-Maggio 1978, n. 7)

In questo rapporto mettiamo a confronto i risultati delle due ricerche effettuate sui militanti radicali, la prima nel 1976 al Congresso di Napoli e la seconda nel 1977 al Congresso di Bologna.

L'analisi dei dati rilevati al Congresso di Napoli è già stata pubblicata (1). I dati del Congresso di Bologna sono esaminati in anteprima in questa sede.

Al questionario distribuito a Napoli risposero 592 partecipanti di cui 384 iscritti al partito e 208 sostenitori. A Bologna, all'ultimo Congresso, hanno restituito il questionario 712 radicali così suddivisi: 440 iscritti e 272 sostenitori.

In quest'ultimo caso sappiamo con certezza che i "sostenitori" sono realmente tali, non semplici curiosi o osservatori, perché nel questionario distribuito a Bologna erano state inserite diverse domande - spia atte a cogliere l'effettivo grado di coinvolgimento degli intervistati nella vita del partito. Coloro che non rispondevano ai requisiti essenziali sono stati esclusi dalla indagine. Per questa ed altre ragioni di carattere tecnico sui cui sorvoliamo, riteniamo di poter dire che il campione bolognese è realmente rappresentativo dei "militanti" (iscritti e non iscritti) al Partito Radicale.

La rappresentatività del campione trova riscontro nella provenienza geografica dei militanti intervistati che rispecchia, molto più che a Napoli, la dislocazione sul territorio nazionale della forza politico-organizzativa del partito.

Raggruppando le diverse regioni nelle ormai classiche aree geopolitiche si ottengono questi risultati:

Tab. 1 Provenienza geografica

1976 1977

Triangolo Industriale 20,9 24,2

Zona bianca 8,4 13,2

Zona rossa 13,3 29,1

Centro 24,3 21,5

Sud + Isole 32,9 11,0

La maggioranza relativa degli intervistati proviene dalle regioni rosse (il che ovviamente è una conseguenza della scelta di Bologna come sede del Congresso) con il 29,1. Segue poi il triangolo industriale con il 24,2 e il centro (su cui pesa l'influenza determinante di Roma) con il 21,5; le zone bianche con il 13,2 e infine il Sud con l'11 per cento. Risulta così corretto a favore di una migliore distribuzione quello squilibrio registrato l'anno prima a Napoli a favore del Sud (32,9) e che produceva un effetto "distorcente" di sottorappresentazione delle regioni del centro-nord.

Anche l'analisi della provenienza per province conferma il dato della equidistribuzione geografica. Il peso di Napoli, fortissimo e sproporzionato nel 1976 (17,6) si è ridotto, anche eccessivamente, al 3,8; quello di Roma è leggermente calato, dal 21,5 al 17,8; quello di Milano infine è cresciuto, dall'8,6 al 12,1. Ma soprattutto va rilevato che Bologna non inquina con una presenza eccessiva il campione: soltanto l'8,6 degli intervistati proviene da questa provincia.

Come nella ricerca precedente il questionario era suddiviso in tre distinti blocchi di domande che dovevano permettere di analizzare la composizione sociale del campione, gli atteggiamenti verso il partito, gli atteggiamenti politici generali.

La composizione sociale

Un primo dato che mostra persistenza nel tempo è la forte correlazione con la "dimensione urbana". Dal '76 al '77 non ci sono stati mutamenti di rilievo su questo fronte: il Partito Radicale continua a mostrare i tratti, già rilevanti nella precedente ricerca, di un movimento politico urbano.

Il sessanta per cento circa dei militanti proviene ancora da città con oltre centocinquantamila abitanti.

Alcune novità, non tali comunque da modificare questo dato di fondo della fisionomia radicale, ci sono. Pare significativo che le provenienze dai comuni al di sotto dei cinquemila abitanti passino dal 2,4 del 1976 al 6,3 del 1977, il che sembra indicare un sia pur leggero incremento della capacità di reclutamento, prima praticamente inesistente, del PR nei comuni rurali.

Tab. 2 Dimensioni del comune di residenza (in %)

1976 1977

Grandi città (oltre i 150.000 ab.) 64,9 59,3(*)

Medie città (da 45.000 a 150.000 ab.) 17,7 20,2

Comuni tra i 15.000 e i 45.000 ab. 10,3 8,3

Comuni tra i 5.000 e i 15.000 Ab. 4,7 6,0

Comuni al di sotto dei 5.000 ab. 2,4 6,3

(*) di cui

Metropoli (oltre 400.000 abitanti) 46,3

Grandi città (fra 150.000 e 400.000 Ab.) 13,0

Ma il dato di gran lunga più interessante, anche se di difficile interpretazione, è un altro. Nel 1977 si ripresenta l'andamento decrescente dalla grande città al piccolo comune ma con una eccezione vistosa. Infatti se scomponiamo la categoria "Grandi città" della tab. 2 separando le città con oltre quattrocentomila abitanti da quelle comprese fra i quattrocentomila e i centocinquantamila otteniamo, rispettivamente, una percentuale del 46,3 e del 13 per cento. Quest'ultima percentuale posta a confronto con quella delle "medie città" (fra i 45.000 e i 150.000 ab.) che è del 20,2 mostra che il reclutamento è più forte in quest'ultima fascia rispetto alla prima.

In altre parole, dalle medie città provengono più radicali che dalle grandi città (escludendo da questa categoria le metropoli che forniscono, in linea con le aspettative, la percentuale in assoluto più alta).

Per quanto riguarda l'età la stabilità del corpo radicale da un anno all'altro è pressoché totale. Non soltanto il Partito Radicale continua ad essere un partito "giovane" ma non ci sono mutamenti significativi neppure nelle rispettive percentuali delle fasce di età più giovani.

Il campione selezionato nel 1976 mostrava una presenza di donne (del 32,9) che, in base ai dati disponibili sugli altri partiti di sinistra, faceva del PR il partito con il numero più alto di militanti donne. Anche questo dato è riconfermato dal campione del Congresso di Bologna che mostra una presenza di donne del 33.4.

Tab. 3 Età dei militanti radicali (in %)

1976 1977

meno di 19 anni 10,4 12,4

20-24 anni 29,8 30,5

25-29 anni 21,2 21,7

30-34 anni 15,0 16,3

35-39 NNI 7,9 7,2

40-49 anni 11,3 8,0

più di 50 anni 4,4 3,9

Tab. 4 Istruzione

1976 1977

licenza elementare e medie inferiori 15,3 8,9

diploma 58,3 63,9

laurea 26,7 28,0

Il gruppo occupazionale più numeroso è ancora quello degli studenti (34,8 contro il 33,4 del Congresso di Napoli) dei quali il 27,8 sono universitari.

Il rimanente 65,2 per cento si suddivide, nell'ordine, in un 26,2 di impiegati (contro il 14,7 dell'anno precedente), un 14,4 di "categorie precarie", un 12,7 di professori (contro il 13,6), un 11,4 di liberi professionisti (contro il 7,2) e infine un 5,7 di operai (contro l'1,4).

Appare chiaro, anche a un esame superficiale, che il reclutamento per fasce occupazionali fra il '76 e il '77 ha mostrato una certa tendenza alla diversificazione. Aumentano gli impiegati (che pure già nel 1976 erano, dopo gli studenti, la categoria occupazionale più numerosa) e aumentano anche i liberi professionisti. Soprattutto aumentano gli operai praticamente assenti nel campione precedente.

Una spiegazione richiede ovviamente quel 14,4 che abbiamo definito genericamente di "categorie precarie" e che è il risultato della somma di un certo numero di categorie occupazionali marginali: pensionati, casalinghe, disoccupati con o senza titolo di studio, militanti che si sono definiti "lavoratori precari", stagionali ecc. quel 14,4 fa di questa eterogenea categoria, dopo gli studenti e gli impiegati, il gruppo in percentuale più numeroso. L'esistenza di una

componente, in prevalenza piccolo-borghese, in situazione di "deprivazione" e di sostanziale emarginazione economica risulta ulteriormente incrementata dalla presenza, come mostra la domanda corrispondente, nel gruppo occupazionale degli studenti di una quota discreta (il 12,9 del totale degli studenti) che svolge una attività lavorativa precaria per mantenersi agli studi.

Tab. 5 condizioni socio-economiche degli intervistati

1976 1977

cattive 17,8 16,6

discrete 59,7 58,0

buone 22,2 24,4

Nessuna novità di rilievo mostra invece la domanda sul livello di istruzione: 28,1 di laureati (contro il 26,7), 63,9 di diplomati di cui il 27,8 studenti universitari; l'8,9 con licenza media o elementare (contro il 15 per cento del 1976).

Nessuna variazione neppure per l'autocollocazione di status: grossa concentrazione nella posizione intermedia (quasi il sessanta per cento), prevalenza di coloro che giudicano "buona" la propria condizione rispetto a coloro che la giudicano "cattiva".

L'indice sintetico di classe, costruito secondo gli stessi criteri adottati per la ricerca precedente (2) mostra questo andamento fra il '76 e il '77:

1976 1977

proletariato 16,5 12,9

piccola borghesia 16,3 17,3

Media borghesia 35,6 34,0

Alta borghesia 31,6 35,7

Nella sostanza poche variazioni: leggero calo del proletariato, aumento dell'alta borghesia, stabilità della piccola borghesia che continua ad essere sottorappresentata nel campione radicale.

I radicali e il partito

Cominciamo l'esame di questo blocco di domande con alcune informazioni sul "reclutamento politico". Gli intervistati, come già detto, si suddividono in 440 iscritti e 272 militanti non iscritti. Mentre nel campione del '76 si era registrata una tendenza all'aumento nel corso degli anni a partire dal 1972 e anzi al raddoppio, di anno in anno, del numero degli iscritti, il nuovo campione mostra una battuta di arresto. Infatti gli iscritti del 1977, pur rappresentando il 23,6 del totale, non sono la quota più alta che rimane quella degli iscritti del '76 (26,3), cioè l'anno della campagna elettorale.

Tab. 6 Anno di iscrizione

1976 1977

iscritti nel 1974 14,9 11,7

iscritti nel 1975 23,1 19,9

iscritti nel 1976 41,8 26,3

iscritti nel 1977 - 23,6

Questo potrebbe fare pensare che il partito, dopo anni di espansione e di crescita esponenziale, si è stabilizzato. E' strano e di difficile interpretazione che questa stabilizzazione sia avvenuta nell'anno della campagna degli otto referendum, cioè nel periodo di maggiore mobilitazione e presenza nel paese.

Conferma questo andamento il dato sull'anno di avvicinamento per i non iscritti: 37,9 si sono avvicinati nel 1976 contro appena il 15,9 del '77.

Una serie di domande era dedicata alla individuazione dei tempi e dei modi di avvicinamento al partito. E' risultato che un terzo degli iscritti è composto da radicali che sono entrati nel partito "senza" un periodo di collaborazione da "esterni". La maggioranza però è passata attraverso varie forme di impegno nel periodo precedente alla iscrizione. Per dare una idea più esatta dei tempi intercorsi fra il sorgere dell'interesse per il partito e l'iscrizione disponiamo di una periodizzazione di questo tipo:

"iscritti subito" 26,4

"almeno un mese di collaborazione" 6,4

"alcuni mesi di collaborazione" 27,1

"un anno di collaborazione" 20,3

"due anni o più di collaborazione" 19,8

Tra le varie ipotesi che avevamo presentato agli intervistati tipiche di un rapporto di impegno precedente alla iscrizione "due", ma di tipo diverso, sono risultate le più indicate: la prima, che è propriamente di impegno militante, cioè "il contributo alla attività politica del PR in occasioni particolari" ha ottenuto il 33,8 per cento; la seconda "sottoscrizione in denaro" con il 33,7 mostra l'efficacia, come canale di reclutamento, delle tradizionali attività per il finanziamento del partito.

Le domande sulle campagne politiche e sulla partecipazione ai congressi nazionali confermano che il campione di Bologna è composto di veri e propri militanti, una grande maggioranza dei quali impegnata nel partito da diversi anni. Per quanto riguarda le campagne politiche il campione mostra una presenza già significativa in occasione degli otto referendum del 1974. A quella iniziativa ha partecipato il 27,8 degli attuali radicali. Il 48,8 ha poi partecipato alla raccolta delle firme per l'aborto del 1975. Il 64,1 ha partecipato alla campagna elettorale del '76 e la quasi totalità, infine, il 91,8 alla campagna degli otto referendum del 1977.

Se si mantiene per un momento la distinzione fra iscritti e non iscritti si può vedere che in tutte le campagne gli iscritti partecipanti sono di numero superiore, sia pure non di molto, ai militanti non iscritti. L'unica eccezione riguarda il referendum sull'aborto.

A quella campagna parteciparono più non iscritti che iscritti. Questo dimostra l'efficacia per il reclutamento al PR di una campagna politica fatta, da una parte, su un tema di grande richiamo e risonanza e, dall'altra, in collaborazione con un ventaglio abbastanza ampio di forze politiche.

Altro dato significativo sul tipo di partecipazione è rappresentato dalla presenza del 15,5 di militanti alle marce antimilitariste. In particolare la prima marcia antimilitarista internazionale, quella del 1976, ha raccolto il maggior numero di adesioni.

Una ulteriore verifica della intensa partecipazione è data dalla costante presenza ai congressi nazionali che sono, come è noto, appuntamenti politici cruciali nella vita del partito. La presenza ai congressi risulta così ripartita:

"Congressi precedenti al 1972" 5,2

"Torino, XI, novembre 1972" 6,2

"Verona XIII, novembre 1973" 7,7

"Milano XIV, novembre 1974" 12,8

"Firenze XV, novembre 1975" 28,5

"Roma XVI (straord.), luglio 1976" 37,1

"Napoli XVII, novembre 1976" 30,1

"Roma XVIII (straord.), maggio 1977" 33,7

I dati emergenti sono soprattutto due. In primo luogo lo spartiacque nel numero dei partecipanti è dato dal Congresso di Firenze; in secondo luogo, il congresso con la maggiore presenza è quello straordinario che segue le elezioni politiche del 1976. Questo dato sembrerebbe confermare l'ipotesi già sostenuta analizzando l'andamento delle iscrizioni, che il successo elettorale del 1976 è stato uno dei più importanti fattori di aggregazione di nuovi militanti.

Questi dati ci portano a correggere almeno parzialmente l'ipotesi tradizionalmente accreditata di un forte ricambio interno al partito radicale. Secondo questa ipotesi il partito sarebbe composto da un nucleo abbastanza ristretto di militanti più o meno costanti nel tempo e da una fascia molto ampia di radicali fluttuati che si rinnova di anno in anno. Nel nostro campione invece il nucleo stabile appare molto esteso e l'area fluttuante più ristretta. Ma naturalmente questo significa soltanto che il "nucleo" è più ampio del previsto, non che la tesi tradizionale (forte ricambio interno) è necessariamente sbagliata. Infatti è ovvio che, per quanto rappresentativo, il campione non può non sovrarappresentare i militanti fortemente impegnati (con o senza tessera non importa) rispetto all'area dei militanti più "tiepidi" (e quindi più soggetta a ricambio e fluttuazioni). E sulla consistenza numerica di quest'ultima area i nostri dati non possono dire molto.

I radicali che hanno una precedente esperienza politica sono il 37,7 del totale contro il 34,3 del campione del '76. Di questi, il 10,7 proviene dall'area della sinistra extraparlamentare, comprendendo in questa area non soltanto i gruppi ma anche le esperienze del movimento studentesco; il 6,7 proviene dal PCI e una identica percentuale dal partito liberale. Seguono gli ex socialisti con il 6%.

Se confrontiamo questi dati con quelli del 1976 si osservano leggere oscillazioni: calo delle provenienze socialiste e repubblicane, aumento degli ex comunisti.

Per quanto riguarda i casi di doppia appartenenza, risulta iscritto ai movimenti federati il 16,3 per cento. Le appartenenze a movimenti federati risultano così dimezzate rispetto al 1976 quando raggiungevano il 32,8. E' un segno tangibile della crisi che attraversano i rapporti di federazione. Infine, i collegamenti (doppia tessera ecc.) con altri gruppi e partiti sono di scarsa entità.

La domanda sulle prospettive del partito già inserita nel questionario distribuito a Napoli è stata riportata in maniera pressoché identica nel nuovo questionario. La domanda chiedeva di esprimere una scelta fra tre prospettive strategiche aperte al PR: l'ipotesi della costituente socialista insieme al militanti del PSI, uno sviluppo autonomo e indipendente del partito, una alleanza con le formazioni extraparlamentari.

Nel 1976 i risultati erano questi: una maggioranza pro-socialista del 41,2; una forte presenza di quelli che definimmo "integralisti di partito" con il 29,7 e infine un 23 per cento di favorevoli all'area della estrema sinistra. Nel 1977 si registrano dei notevoli cambiamenti. Crolla l'ipotesi integralista (19,7) e aumentano i sostenitori di una alleanza con la sinistra extraparlamentare (35,6). Cala, pur restando per un soffio maggioritaria, l'ipotesi socialista (37,6).

L'interpretazione che a suo tempo abbiamo dato della forte presenza di integralisti nel campione del 1976 era legata alla ipotesi che la campagna elettorale e il susseguente successo avevano rafforzato gli atteggiamenti di identificazione nel partito e di contrapposizione a tutte le altre forze politiche. Il crollo di questi atteggiamenti nel 1977, quasi tutto a favore della ipotesi filo-extraparlamentare, è dovuto con ogni probabilità alla recente esperienza di collaborazione nella campagna degli otto referendum con altri gruppi della estrema sinistra.

Gli atteggiamenti politici generali

Oltre a un certo numero di domande nuove, nel questionario distribuito a Bologna erano state inserite anche domande volte a cogliere gli atteggiamenti politici che già figuravano nella ricerca precedente. Fra queste, le domande sulla alternativa di sinistra, sul compromesso storico e sulla vicinanza/lontananza dagli altri partiti.

a) "I giudizi sulla alternativa". Al Congresso di Napoli la coppia di proposizioni più scelta, fra le diverse possibilità previste, era la seguente:

"L'alternativa di sinistra consentirà uno sviluppo {

economico più egualitario" {

{ 23%

"L'alternativa di sinistra potrà mettere in moto un

{

processo di transizione al socialismo" {

Nel campione del 1977 questa coppia di risposte scende al 16,8 mentre sale a una percentuale simile (per l'esattezza il 16,3%) la coppia composta dalle seguenti proposizioni:

"Oggi in Italia il perseguimento di una alternativa di

{

sinistra è l'unico modo per creare un sistema di {

rotazione democratica al governo" {

{ 16,3

"L'alternativa di sinistra potrà mettere in moto un {

processo di transizione al socialismo" {

Contemporaneamente, l'ultima di queste proposizioni ("transizione al socialismo") che compare in tutte e due le coppie più indicate, viene anche scelta "da sola" dal più alto numero di intervistati (il 26,5). La già forte caratterizzazione "socialista" del campione di Napoli risulta così ancora più rafforzata nel campione del '77.

b) "I giudizi sul compromesso storico". Non c'è invece nessuna variazione per quanto riguarda i motivi di opposizione al compromesso storico. Una percentuale identica, il trenta per cento circa di entrambi i campioni, sceglie la coppia di proposizioni seguente:

1976 1977

"L'accordo tra i due grandi partiti non {

lascerebbe spazio alle voci critiche" {

{ 30% 30%

"Nessun passo nella direzione del socialismo {

può avvenire con la DC al governo" {

c) "Vicinanza/lontananza dai partiti". Anche le domande sulla vicinanza e sulla lontananza dagli altri partiti mostrano marcate differenze rispetto al campione di Napoli. Nel 1976 il partito di gran lunga considerato più vicino, da quasi la totalità degli intervistati (fra prima, seconda e terza indicazione), l'88,6, era risultato il PSI. Nel 1977, invece, fra prima e seconda scelta il PSI viene indicato dal 68,8 contro il 71,5 di Lotta Continua (38,6 nel 1976) mentre si dissolve vistosamente la simpatia verso il PCI, dal 43,5 del vecchio al 9,6 del nuovo campione.

E' facile da questi dati constatare che gli atteggiamenti verso gli altri partiti sono stati fortemente influenzati dagli spostamenti e dalle nuove alleanze contratte dal PR nell'ultimo anno.

La domanda sui partiti più lontani non comprendeva, né nel primo né nel secondo questionario DC e MSI.

Ma maggiore ostilità al Congresso di Napoli era andata nell'ordine al PSDI (85,4), al PLI (69,6), al PRI (69,2) e, con un certo distacco, al PCl (33,1). Dalla lista presentata nell'ultimo questionario era stato escluso anche il PSDI. Nel nuovo campione liberali e repubblicani ottengono ancora la percentuale più alta di ostilità (con il 70,2%) a ulteriore conferma di una ormai fortissima distanza ideologica da due partiti da cui pure proviene una parte non irrilevante degli attuali militanti radicali. E' contemporaneamente cresciuta l'ostilità verso il PCI che viene indicato come il partito più lontano dal 60,9% - raddoppiando così la percentuale di ostilità - seguito a distanza dalla "autonomia operaia"con il 45,8%.

L'ostilità verso il PCI che secondo questi dati è andata aumentando dal 1976 al 1977 risulta confermata da un blocco di quattro domande appositamente dedicate al partito comunista.

Queste domande possono essere analizzate in due modi distinti: da una parte considerando le risposte a ciascuna domanda e, dall'altra, estraendo dalle diverse percentuali un indice "sintetico" di ostilità/vicinanza verso il PCI.

Ecco nell'ordine le quattro proposizioni concernenti il PCI e le rispettive risposte:

l) "Il PCI è recuperabile, sia pure nel lungo periodo, ad una strategia di alternativa"

Qui il campione si suddivide in una maggioranza (48,7) che è "d'accordo" e in una minoranza, peraltro cospicua, che si dichiara in "disaccordo" (36,3) mentre è alto (il più alto per questo blocco di domande) il numero di "non so" (14,9), probabilmente perché la proposizione implica, a differenza delle seguenti, un giudizio sugli sviluppi futuri.

2) "Il PCI con la politica del compromesso storico ha tradito gli interessi della classe operaia"

Qui esiste una schiacciante maggioranza (85,2) che si dichiara "d'accordo" con la proposizione enunciata.

3) "Il PCI era e rimane una chiesa dogmatica e illiberale"

Anche in questo caso c'è nel campione, una quasi totalità di radicali che si dichiarano "d'accordo" con questa affermazione 4) "Pur fra molti errori e incertezze il PCI ha avuto il merito di difendere gli interessi dei lavoratori"

In questo caso si assiste a un ribaltamento di posizioni. Infatti la maggioranza (68,4) è disposta ad ammettere la veridicità di questa affermazione.

Dall'esame analitico delle singole risposte si ricava quindi che il giudizio dei radicali sul PCI è complesso e sfumato: quasi tutti lo ritengono una chiesa dogmatica e pensano che esso abbia "tradito" gli interessi della classe operaia. Molti però pensano anche che il PCI abbia pur sempre difeso gli interessi dei lavoratori e che sia probabilmente recuperabile, in un futuro più o meno prossimo, alla politica della alternativa.

Questo per quanto riguarda l'esame delle singole domande. L'indice sintetico costruito misura in punti l'accordo o il disaccordo con le quattro proposizioni complessivamente considerate: attribuito un punteggio minimo di "zero" alla combinazione di atteggiamenti più filo-comunisti e un punteggio massimo di "cento" agli atteggiamenti di più forte anticomunismo, è risultato che la "media" è del 57,8, cioè più spostata verso il versante dell'anticomunismo.

Esaminiamo ora i risultati di alcune domande che non comparivano nel questionario distribuito a Napoli. Questo blocco di domande riguarda la concezione del modello di società, le opinioni sulla democrazia, la autocollocazione e la collocazione del PR lungo la dimensione ideologica.

Dalla domanda sul modello di società, è risultato che la maggioranza dei radicali (il 67,2) ritiene che "il potere centrale va limitato e controllato per mezzo del federalismo e dell'ampliamento delle autonomie" mentre il 29% pensa che "il potere centrale deve essere eliminato per avere una società socialista".

Meno netto è invece l'atteggiamento della maggioranza per ciò che riguarda la concezione della democrazia. Infatti il 57,5 ritiene che la forma migliore sia la "democrazia rappresentativa integrata da strumenti di democrazia diretta e autogestionaria" ma il 40,9 auspica una "democrazia diretta e autogestionaria che rifiuti la delega a tutti i livelli". Interessante è il risultato dell'incrocio fra le domande sulla dislocazione del potere e sui possibili "modelli di democrazia" soprattutto perché dimostra una notevole coerenza nelle risposte che è indice di un buon livello di cultura politica.

La schiacciante maggioranza degli intervistati che indicano nel federalismo il modo per contenere il potere centrale (cioè 326 sui 398 che hanno indicato questa risposta) dichiarano anche la loro preferenza per una democrazia rappresentativa "corretta" da strumenti di democrazia diretta. Questa coppia di risposte è peraltro scelta dalla maggioranza relativa del campione (49,2). Altrettanto coerente è in buona parte il blocco che ritiene che sia "da eliminare" il potere centrale e che si pronuncia, al settanta per cento, a favore di una democrazia diretta e "senza delega". Gli atteggiamenti "incoerenti" sono invece propri di una minoranza: l'8,1% è composta da radicali (54 casi) che ritengono "da eliminare" il potere centrale e, contemporaneamente, si pronunciano a favore di una democrazia rappresentativa "corretta", cioè accoppiano una risposta per così dire più "estremista" a una risposta più "moderata".

Un altro importante mezzo di identificazione degli atteggiamenti è dato dalle domande sulla autocollocazione e sulla collocazione del partito lungo il continuum sinistra-destra. Anche qui una maggioranza più "moderata" si contrappone a una forte minoranza "estremista". Mentre il 49,9 si colloca "a sinistra" il 29,3 si colloca invece "alla estrema sinistra". Interessante però è anche la percentuale di coloro che "non si riconoscono in questa classificazione", cioè che rifiutano di lasciarsi incasellare in un continuum ideologico definito dalle consuete categorie destra-sinistra e che rappresentano il 12,2%. Alla domanda su dove vada collocato il partito, ancora una maggioranza, il 53,0, ritiene che il PR si collochi "a sinistra" mentre il 24,5 lo colloca "alla estrema sinistra" e un 13, 8 rifiuta per il PR questa classificazione.

Anche l'incrocio fra l'autocollocazione e collocazione del partito mostra una sostanziale coerenza di posizioni. In particolare la schiacciante maggioranza di coloro che si collocano "a sinistra"; l'82,5 colloca "a sinistra" anche il partito. Analogamente il 69,7 di coloro che giudicano "alla estrema sinistra" se stessi ritengono anche il PR un partito di estrema sinistra. Però è abbastanza alta anche la quota di coloro che si giudicano più a sinistra del partito (22,2).

Tab. 7 Voto alle elezioni del 1972, 1975, 1976

Camera, 1972 Regionale, 1975 Camera, 1976 (2)

Napoli, 1976 Bologna, 1977 Napoli, 1976 Bologna, 1977 Napoli, 1976 Bologna, 1977

PLI 3,5 6,0 0,9 1,9 - 0,4

PRI 14,1 14,3 16,8 6,0 - 0,1

PSI 34,6 35,7 37,3 44,1 - 2,4

PCI 20,2 17,9 23,3 24,1 - 4,3

Psiup - Manifesto D.P.

13,8 13,7 20,8 15,5 - 2,8

PR - - - - - 80,0

(1) Non sono stati considerati i non votanti per motivi di età, le astensioni e le schede bianche

(2) Nel questionario distribuito a Napoli non era stata inserita la domanda relativa alle elezioni politiche del 1976

Contrariamente a quanto ci si poteva attendere, anche e soprattutto per le alleanze durante la campagna degli otto referendum, è risultato che "Lotta Continua" non è il quotidiano più letto in assoluto dai radicali. Il quotidiano più letto è invece "La Repubblica"con il 61,1% di lettori assidui, seguito da "Lotta Continua"con il 43% e dal "Corriere della Sera" con il 36,4%.

Le domande sul comportamento di voto alle politiche del '72, alle regionali del '75 e alle politiche del '76 mostrano elementi di novità rispetto ai risultati della precedente ricerca.

Alle elezioni del '72 per la Camera, a parte un 43,3% che non ha votato per ragioni di età, si riproduce una proporzione fra il voto per i diversi partiti simili a quella rilevata nella precedente ricerca.

I partiti più votati sono, nell'ordine, il PSI (35,7), il PCI (17,9), il PRI (14,3), il Manifesto (13,7). Ancora alle regionali del '75 il partito più votato è il PSI (44,1) seguito dal PCI (24,6) e dal PDUP (15,5). Il dato più significativo riguarda il crollo, per le elezioni del '75, fra il campione precedente e quello attuale, del voto repubblicano, che passa dal 16,8 al 6%. Questo si spiega forse con il fatto che il campione di Bologna è più equilibrato, meglio distribuito fra nord, centro e sud rispetto al campione di Napoli ove era invece sovrarappresentata la componente "romana" del partito. E nel 1975 a Roma, come è risultato dalla precedente inchiesta, molti radicali, secondo l'indicazione del partito, votarono repubblicano per appoggiare la candidatura di Franco De Cataldo. Ma c'è anche un'altra, forse più consistente ipotesi che vedremo più avanti.

Alle elezioni del '76 (Camera), la quasi totalità (88%) ha espresso un voto radicale mentre nessuno degli altri partiti ottiene percentuali significative. Più interessante è il voto al Senato nelle stesse elezioni. La percentuale di voto radicale alla camera alta, ove si sapevano scarse le chances del PR (e ove è richiesta all'elettorato una età superiore), scende al 66,6. I partiti più votati dopo il PR risultano essere in questo caso il PSI (17,3) e il PCI (13,8).

Concludiamo esaminando i passaggi nelle scelte elettorali da una elezione all'altra. L'incrocio fra i voti per le diverse elezioni consente di individuare gli spostamenti nel tempo del comportamento elettorale. Se guardiamo al rapporto fra il voto alle politiche del '72 e alle politiche del '76 rileviamo questa suddivisione: i voti radicali del '76 sono, nell'ordine, di ex votanti socialisti (36,1), comunisti (16,2) repubblicani (15,2) e ex elettori del Manifesto (13,5).

Risultato analogo - ma con una rilevante eccezione - si ha confrontando il voto alle regionali del '75 con il voto radicale alle politiche del '76. In questo caso la percentuale più alta di votanti radicali è ancora composta da ex socialisti (46,1) seguiti da ex votanti comunisti (22,1) con un aumento di entrambe le componenti, e ex elettori demoproletari (15,1) mentre è praticamente scomparsa la provenienza di voto repubblicano. Questo dato, confrontato con il voto alle politiche del '72 e alle regionali del '75 mostra che nel campione è presente una forte componente che ancora votava repubblicano nel '72 ma che abbandona questa formazione per altri partiti della sinistra già nel 1975, in particolare confluisce in quell'anno nella lista socialista.

Un altro dato molto significativo che emerge dal confronto fra le tre elezioni è il reclutamento al PR di militanti che avevano votato comunista in almeno due elezioni consecutive (1972 e 1975), cioè presumibilmente con una forte identificazione nel partito comunista.

Conclusioni

La possibilità di disporre di due campioni rilevati in anni diversi ci rende oggi molto più sicuri nelle nostre valutazioni sul PR di quanto non fossimo al tempo della prima ricerca. A differenza di ciò che avviene per i partiti fortemente strutturati, con organizzazioni forti, ove la continuità sociale e politica delle componenti tende ad essere assicurata dalla rete organizzativa interna e dalle interazioni istituzionalizzate, un movimento politico "fluido" come il PR, a debole organizzazione, può andare soggetto, almeno in ipotesi, a fortissime variazioni da un anno all'altro, da una stagione politica all'altra. Ed ecco perché, in questo caso più che in altri, una doppia rilevazione appariva necessaria. Possiamo oggi dire che, nonostante la fluidità organizzativa, il PR mostra la persistenza nel tempo di un gran numero di caratteri che quindi appaiono non come un fatto contingente ma stabile e durevole della sua fisionomia. Si tratta di un movimento politico urbano, giovane, con una fortissima presenza di

donne (probabilmente la più forte fra i movimenti politici che operano in Italia) e con atteggiamenti politici, come meglio diremo poi, radicati e persistenti.

Due parole merita l'altro carattere persistente, già evidenziato dalla prima ricerca, quello che fa del PR, sotto il profilo della provenienza di classe, un partito in prevalenza medio-alto borghese anche perché ci consente di dire la nostra su un aspetto sul quale, come del resto era scontato, si è appuntata l'attenzione dei critici superficiali. Si è detto da parte di alcuni: poiché i militanti radicali sono principalmente di estrazione medio-alta ne consegue - fatalmente - che la politica del partito "rappresenta" (nientemeno) le "classi borghesi" per cui è difficile considerarlo un movimento politico di sinistra. Ci si consenta innanzitutto una battuta: mancano purtroppo indagini sistematiche (evidentemente per colpa dei ricercatori militanti in quelle formazioni) sui movimenti politici che si formarono dopo il '68 ma quel poco che si sa (anche sul movimento studentesco di allora) fa ritenere che una estrazione medio-alta fosse, sotto questo profilo, il dato prevalente. Vorremmo sostenere allora che "Il

Manifesto" era un gruppo politico "di destra"?

Venendo a considerazioni più serie, a noi pare che questi ragionamenti consentano almeno tre tipi di obiezioni. Innanzitutto le poche ricerche empiriche effettuate in Italia su comportamenti e atteggiamenti politici dei giovani (e il Partito Radicale è, come si è visto, un partito giovane) hanno dimostrato - suscitando le solite critiche dei soliti critici superficiali - che gli atteggiamenti più conservatori, più resistenti al cambiamento, sono rintracciabili in massima parte fra i giovani delle classi medio-basse (piccola borghesia, proletariato e sottoproletariato) dove risultano ampiamente più diffuse "le personalità autoritarie", laddove gli atteggiamenti più aperti, progressisti e favorevoli al cambiamento dei rapporti politici, sociali e interpersonali appaiono maggioritari fra i giovani delle classi medio-alte (3). I radicali, al pari delle formazioni extraparlamentari di sinistra postsessantotto, hanno prevalentemente reclutato i propri aderenti, come già rilevammo nella precedente ricerca, fra i gi

ovani che Carlo Tullio Altan e Alberto Marradi hanno definito del "ceto medio progressivo" e della "borghesia libertaria", cioè fra i gruppi giovanili di estrazione medio-alta che sono caratterizzati dagli atteggiamenti più orientati al mutamento in senso libertario.

La seconda obiezione possibile è questa: appare del tutto arbitrario fare discendere dalla composizione sociale interna di un partito la "politica" del partito stesso. Se guardiamo alla composizione sociale dei partiti italiani accettando questa premessa sbagliata e dal momento che, sia pure in combinazioni diverse, tutti i partiti sono, per la loro fisionomia interna, interclassisti, dobbiamo concludere che tutti, partito comunista compreso, sono "partiti pigliatutto". Ma poiché dalla composizione interna non si può dire molto sulla politica praticata dai partiti anche gli studiosi che si occupano del PCI, per stabilire se è diventato o no un "partito pigliatutto", non si servono esclusivamente di questo indicatore. Non si vede quindi perché ciò che non vale per gli altri partiti dovrebbe valere per il solo partito radicale.

La terza obiezione possibile è forse, è proprio il caso di dirlo, ancora più radicale. La concezione che fa discendere la politica di un partito-intesa come rappresentanza di "interessi di classe" - dalla sua composizione sociale interna affonda le radici in una più generale visione della politica di tipo vetero-marxista, come "sovrastruttura", come riflesso meccanico dei rapporti sociali e fra le classi. Ecco perché questa critica non dovrebbe preoccupare troppo i radicali che sono stati il primo movimento politico della sinistra italiana a rompere con il conformismo culturale dominante e a rifiutare questa visione della politica e del funzionamento delle istituzioni. Oggi nessuno sostiene più banalità a lungo sostenute in passato (esempio: il divorzio-riforma-lusso-"borghese") ma l'humus culturale che le produce è ancora, purtroppo, vivo e vegeto nella sinistra italiana.

Ritorniamo, dopo questa doverosa parentesi, alle nostre considerazioni conclusive.

Si è detto della sostanziale coerenza degli atteggiamenti, indice di una buona cultura politica, un dato quest'ultimo confermato anche dall'altissimo numero di lettori assidui della stampa quotidiana. Si è detto anche della crisi dei rapporti di federazione e della scomparsa delle doppie appartenenze (al PR e ad altri partiti). Un altro elemento che va sottolineato è l'eclisse definitiva di atteggiamenti (di cui pure esistevano "sopravvivenze" nel campione del '76) anche solo moderatamente favorevoli ai partiti cosiddetti laici, repubblicani e liberali. Il dato più significativo che appare dall'esame tanto del voto quanto della provenienza politica è che sono andati aumentando negli ultimi anni i militanti ex comunisti mentre è contemporaneamente cresciuta l'ostilità verso il PCI.

L'analisi degli atteggiamenti mostra che il campione radicale si suddivide in due blocchi di militanti coerentemente attestati o su una posizione-largamente maggioritaria - che riprende tematiche e, più in generale, una visione della politica tradizionalmente radicale oppure su una posizione di più accentuato rifiuto dell'ordine sociale e politico esistente ("eliminazione del potere centrale", democrazia diretta a tutti i livelli, autocollocazione e collocazione del partito alla "estrema sinistra"). Il fatto che sia la prima e non la seconda la posizione maggioritaria è interessante se lo si confronta con l'indicazione di vicinanza agli altri partiti e sulle prospettive strategiche. Infatti qui si registra una prevalenza di Lotta Continua a scapito del PSI, tra il '76 e il '77, e un aumento molto forte delle preferenze per una alleanza con la sinistra extraparlamentare (anche se, significativamente, e sia pure di poco, resta maggioritaria la prospettiva socialista).

Contrariamente alle apparenze non sembra esserci contraddizione. Ciò può significare infatti che mentre il momento politico generale (alleanza con Lotta Continua durante la campagna dei referendum, isolamento politico ecc.) influenza, come è ovvio, le scelte politiche più contingenti, non intacca invece gli atteggiamenti più profondi e radicati che i militanti conservano dopo anni di identificazione nel partito (da qui la forza degli atteggiamenti favorevoli al federalismo, allo Stato di diritto ecc.).

Una indagine sociologica empirica può dare delle indicazioni anche, come riteniamo che queste siano, molto attendibili ma non può "costitutivamente" non schematizzare, non impoverire una realtà sociale che è sempre molto più complessa, molto più articolata e anche molto più contraddittoria. Ecco perché è con tutte le cautele del caso, e non sottovalutando anche la forza delle divisioni e delle diversità di orientamenti ideali, che ci sembra di poter concludere evidenziando soprattutto un aspetto. I radicali, o almeno il "nucleo" esteso e persistente che è caduto dentro il nostro campione sembra avere sviluppato e sviluppare quello che è sempre un dato importante per qualunque movimento politico: una memoria collettiva del partito, quale che ne sia la collocazione contingente, del significato delle sue lotte, delle sue finalità.

Note

1) Cfr. M. Teodori, P. Ignazi, A. Panebianco, "I nuovi radicali", Milano, 1977, pp. 213-265. Prime indicazioni "grezze", molte delle quali corrette nella ricerca definitiva sono apparse sui numeri 1 e 2 di "Argomenti Radicali".

2) Cfr. "I nuovi radicali", cit. p. 219 e ss.

3) C. Tullio Altan, "I valori difficili", Milano, 1974, C. Tullio Altan e A. Marradi, "Valori classi sociali, scelte politiche. Indagine sulla gioventù degli anni settanta", Milano, 1976.

 
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