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Notizie Radicali - 26 maggio 1978
Aboliamo il finanziamento pubblico

SOMMARIO: Le ragioni per le quali è stato consentito di svolgere il referendum sul finanziamento pubblico dei partiti promosso dal Partito radicale (dei 9 referendum proposti su cui sono state raccolte le firme, i primi quattro vengono dichiarati inammissibili dalla Corte Costituzionale - Concordato, tribunali, codici militari e reati d'opinione - mentre quelli sull'aborto, la legge manicomiale e sull'inquirente non si possono svolgere perché il Parlamento ha approvato leggi che abrogano quelle sottoposte a referendum. Si vota quindi solo sui referendum abrogativi delle norme speciali di polizia - legge "reale" - e del finanziamento pubblico dei partiti).

(NOTIZIE RADICALI n. 119, 26 maggio 1978)

"L'hanno detto subito: questo referendum si sarebbe fatto. Quando i partiti di regime - dalla DC al Pci, a Democrazia Nazionale, al Pdup - hanno iniziato la corsa per spazzare via i 9 referendum radicali hanno promesso che, in ogni caso, uno l'avrebbero risparmiato: il referendum sul finanziamento pubblico, appunto. Si può anche capire perché. Innanzitutto, un residuo di paura per la reazione che, malgrado tutto, l'eliminazione di tutti i referendum avrebbe potuto provocare nell'opinione pubblica. Per cui, dovendone lasciare in piedi uno era inevitabile che la scelta cadesse su quello che poteva esaltare meglio l'unità del blocco di regime, senza metterne a repentaglio uno dei pilastri. Chiaro che non si poteva scegliere il concordato o il Codice Rocco o i codici militari o tanto meno l'aborto.

Il finanziamento pubblico ha un altro vantaggio: presentato come un elemento minore del progetto referendario, può essere l'occasione di una crociata di Stato (vale a dire, dei corpi separati, dei centri di potere, dei partiti della "grande coalizione": in una parola, corruttori e corrotti) contro le minoranze "destabilizzanti". Non sarà una crociata convenzionale, rumorosa e dichiarata: ma una crociata di tipo nuovo un atto quasi burocratico, come si conviene a una partitocrazia che ha, per ora, poco meno del 100% dei seggi in Parlamento e il 100% assoluto nel dominio dei centri di potere e dei mezzi d'informazione di massa e d'élite.

Quando le Brigate rosse hanno consumato, con la complicità dei politici, l'assassinio di Moro, gli uomini del potere hanno voluto cancellare lo scandalo di quella morte con una sfilata dimostrativa nella Basilica di San Giovanni in tutto e per tutto simile a una autocelebrazione. Adesso, su un punto di scontro per altri versi più limitato, qual è il finanziamento pubblico, si spera che questa dimostrazione formale di compattezza e di sicurezza basti a schiacciare gli incauti oppositori, radicati in prima fila.

Una sorta di guerra lampo, che le teste di cuoio del regime tenteranno di realizzare agitando il fantasma qualunquista a difesa di uno dei canali di alimentazione dell'attuale partitocrazia.

Sanno quello che fanno, perché, l'accusa di qualunquismo e l'aspirazione al perbenismo politico fanno ancora morti e feriti nel campo della sinistra, e qualcuno hanno acciaccato anche tra i radicali; sicché si può pensare che molti, che sarebbero favorevoli all'abrogazione della legge, si metterebbero il silenziatore per paura delle brutte compagnie e della possibilità di far breccia su cittadini mai toccati finora da una battaglia di sinistra.

La consegna del silenzio

Ma più delle accuse e delle polemiche, più delle ostentazioni di concordia e di forza, varrà il silenzio a determinare l'esito della consultazione popolare. Un silenzio completo e sostanziale, imposto ai promotori del referendum e agli elettori come un coprifuoco: la misura principale è la riduzione della campagna elettorale televisiva. E non è escluso, anzi è certo, che con questa drastica limitazione del diritto-dovere d'informare gli elettori delle intenzioni dei promotori dei referendum, delle critiche alla legge e delle possibili alternative, con questa barriera di silenzio alzata tra il blocco di regime e la volontà popolare, si farà finalmente ricorso anche alla calunnia.

Ricordate? Quando il tema è stato sfiorato nelle passate tribune politiche, niente polemiche, niente insulti come di consueto: solo la manina agitata da Natta, le grottesche proteste di Preti. E sulla stampa di sinistra? Quasi nulla. E in altri sedi politiche? Zero. La verità è questa: l'argomento non è stato mai dibattuto realmente nei partiti di sinistra, al vertice e alla base, né alla televisione né sulla stampa; tutti, dagli iscritti ai partiti agli altri cittadini, sono stati completamente espropriati della possibilità di un'informazione corretta, messi nell'impossibilità di tradurre in termini politici le esigenze di rinnovamento pur così largamente avvertite. Ha un bel dire Natta: benvenuto il referendum, perché ci permetterà di spiegare il problema alla gente. A parte il fatto che non sarà possibile spiegare nulla (grazie al Pci, che si è tanto battuto per la limitazione delle tribune televisive), perché diavolo dovevano aspettare i radicali e i 700 mila firmatari per cominciare ad aprire il becco?

Quattro anni fa, alla Camera, la legge è stata approvata in pochi giorni e sostenuta con argomentazioni che andavano in senso diverso dai dispositivi che sono stati effettivamente attivati. Peggio delle migliaia di leggine semiclandestine (ma ben note ai partiti di opposizione) che in 30 anni hanno regalato miliardi su miliardi ai padroni del vapore. Lo stesso Galloni, nella relazione introduttiva al disegno di legge, a illustrazione del presunto dibattito che c'era stato nel paese poté citare solo tre convegnucci piuttosto remoti. Urgeva, è vero, la valanga di merda dello scandalo dei finanziamenti petroliferi: ma bastava a giustificare il varo di una legge che contraddiceva tutte le posizioni sostenute da anni da gran parte della sinistra e dell'opinione democratica?

Perché questo è il nocciolo: la sinistra, e in particolare il Pci, ha sempre sostenuto la necessità di un finanziamento pubblico che non premiasse gli apparati burocratici e il parassitismo, ma sostenesse invece l'attività politica realmente svolta, servisse a stimolare la partecipazione dei cittadini e non creasse discriminazioni. In poche parole, il finanziamento pubblico doveva essere un supporto funzionale alla vitalità e alla diversità della società civile, vale a dire alla democrazia politica intesa come capacità d'iniziativa dei cittadini. Potremmo citare innumerevoli affermazioni di politici oggi ferocemente contrari al referendum, ieri partigiani decisi di un finanziamento indiretto che fornisse strumenti di attività e combattesse il malcostume e la burocratizzazione dei partiti. Soprattutto i comunisti ne erano particolarmente convinti: fino al '74.

Poi la musica è cambiata, la legge del '74 che contraddiceva quelle affermazioni è diventata (miracolo?) la migliore legge del mondo, se è vero che bisogna difenderne oggi anche le virgole e far quadrato attorno ad essa (tutti, socialisti comunisti e anche il Pdup insieme con Gava Evangelisti Mattarella Rumor Preti Tanassi Terrana Gunnella De Marzio Almirante e Leone) contro il pericolo di un'abrogazione popolare. Adesso anche quella legge è diventata una delle trincee del compromesso storico.

Battere la politica della rinuncia

Contro la consegna mafiosa del silenzio, malgrado le violazioni delle garanzie democratiche e la chiusura dell'informazione crediamo che l'esito finale della partita non sia affatto scontato. In questa partita, da una parte stanno i partiti strati attorno a un malloppo d'ingiustizia e di corruzione; dall'altra i cittadini cui oggi viene negata, con l'informazione, la possibilità di far valere l'aspirazione maggioritaria, di massa, a una democrazia pulita e matura, in cui sia possibile finalmente far deperire le burocrazie centralizzate e incontrollabili, il corporativismo e lo strapotere dei gruppi di pressione. Il risultato dipende da come ognuno di noi si schiererà. Contro la rinuncia della sinistra a essere se stessa, i promotori del referendum vogliono affermare le idee stesse che fino a ieri furono della sinistra. Forse non ci sarà un'altra occasione.

 
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