di Giuseppe AreSOMMARIO: Un saggio sulla natura e le radici storiche del nuovo radicalismo e un confronto sulla questione radicale con interventi di: Baget-Bozzo, Galli, Ciafaloni, Tarizzo, Galli della Loggia, Lalonde, Alfassio Grimaldi, Are, Asor Rosa, Corvisieri, Orfei, Cotta, Stame, Ungari, Amato, Mussi, Savelli.
(SAVELLI editore, ottobre 1978)
Indice:
Parte prima
I Politica e società (1376)
II Radicali sotto accusa (1377)
III Il Pr come partito bifronte (1378)
IV Radicalismo e socialismo (1379)
V Radicalismo o marxismo, convivialità o tecnofascismo (1380)
Parte seconda
Un confronto sulla questione radicale (1381 - 1397)
Per un partito della borghesia
di Giuseppe Are
(»Argomenti radicali , n. 5, dicembre '77 - gennaio '78)
Nessun partito nella storia della repubblica italiana è riuscito ad associare in sé due caratteristiche così contraddittorie come il Partito radicale. La sua presenza è l'elemento più originale e dinamico dello schieramento politico italiano. In pari tempo però i suoi metodi sono assai discutibili, e quel che più conta, le sue strategie sono nebulose e pericolosamente incapaci di garantirgli un consolidamento dei suoi successi ed una espansione della sua influenza di massa e dello spazio che merita fra i partiti italiani. In che cosa consista la sua originalità e il suo dinamismo, è stato dimostrato a sufficienza dalla sua capacità di suscitare mobilitazioni civili che nessuno dei grandi e piccoli partiti storici aveva creduto utili e necessarie.
Se fosse dipeso dai grandi »interpreti del progresso storico da un lato e dai »custodi dei più elevati valori della civiltà liberale dall'altro il nostro Paese si dovrebbe ancora sopportare una legislazione familiare in arretrato rispetto alla sua maturità civile e al suo sviluppo economico. Credo che l'essersi assunto il compito di guastafeste davanti alle due opposte tradizioni ecclesiastiche che soffocano questo paese sia nella migliore tradizione del liberalismo occidentale, nella migliore tradizione del liberalismo intellettuale e illuministico di questa parte del mondo. La maggior parte dei referendum abrogativi che il Partito radicale ha proposto hanno la funzione di mettere le bombe sotto i piedi non solo al conformismo e al dogmatismo opaco che i due partiti maggiori italiani alimentano, ma anche all'insieme di dosaggi e di asfissianti equilibri, ai riguardi e alle convenzioni che hanno portato il sistema politico italiano alla sclerosi, alla degenerazione e alla corruttela in cui è impantanato.
Se la massa è il prodotto del peso per la velocità, la massa del Partito radicale è grandissima, malgrado il suo peso elettorale quanto mai esiguo, proprio e solo in virtù della sua forza d'urto, del suo dinamismo provocatorio, della sua irruenza nel prendere a schiaffi tutto ciò che questo mondo politico di »responsabili addormentatori ritiene necessario preservare.
E tuttavia questo partito le cui campagne corrispondono oggettivamente alle esigenze più sentite della parte più moderna, europea tollerante e civile di questo Paese, ha un seguito elettorale minimo e continua ad essere circondato da resistenze, diffidenze e dubbi che non gli promettono affatto una grande crescita futura. Esiguità dei gruppi sociali capaci di comprenderne e di assecondarne l'azione? Lo nego. Il potenziale terreno elettorale di una linea politica imperniata sulla rivendicazione di una più moderna concezione della società e del costume, e sulla rivolta contro le strategie addormentatrici degli apparati dei partiti è segnato secondo me dalla maggioranza divorzista del 1974. Non è vero dopo tutto che gli italiani sono una massa di conformisti irreformabili. Sono le filosofie e gli apparati politici dei maggiori partiti che tendono a renderli tali.
Ma se così stanno le cose è evidente che c'è qualcosa di sbagliato nei metodi e nelle strategie del Partito radicale. Prima di tutto c'è da chiedersi se esso si propone davvero di diventare un partito di massa, come avrebbe il diritto e il dovere. Se se lo propone non si vede a che cosa gli serva l'indulgere ad un permissivismo sciocco (marijuana, ecc.) che non gioca a favore degli ideali libertari, non foss'altro che per il suo irrazionalismo, e perché è una delle forme estreme della disgregazione morale che spesso alimenta il consumismo contemporaneo. Non si può da un lato sostenere il permissivismo estremo e dall'altro battersi contro le centrali nucleari. Una società che limita la crescita per rispetto delle future generazioni non è una società irresponsabilmente permissiva di hippy e di gente che rifiuta la disciplina del lavoro: è un società severa, senza essere necessariamente intollerante. Non dico affatto che il Pr debba respingere gli emarginati e i diversi di tutte le risme. Dico che non può farne
il criterio della propria azione politica, non foss'altro che per il fatto che i possibili sostenitori delle molte campagne liberatorie promosse dal partito sono molti di più di tutti gli omosessuali militanti di questo Paese (sia chiaro però che non ho niente contro gli omosessuali).
Trovo anche poco saggio l'insistere del Pr sul concetto di una alternativa di sinistra. Se un'alternativa di sinistra si realizzasse nel nostro paese, in una situazione come quella attuale, essa vedrebbe non l'egemonia ma la dittatura del Pci e questa dittatura schiaccerebbe tutto ciò che il Pr vuole e rappresenta, in ventiquattr'ore. Ci vuole un certo realismo anche nell'indicare i traguardi a media scadenza, se non si vuol dar luogo ad equivoci ed incompatibilità che finiscono per compromettere lo sviluppo di una forza politica.
Non accetto, se mi viene fatta, l'obiezione che il Pr perderebbe la sua ragione d'essere se rinunziasse alle sue connotazione singolari e stravaganti, che ne hanno però fatto un protagonista, e soprattutto se rinunziasse alla proposta di un'alternativa di sinistra. Non l'accetto, perché ritengo che il problema essenziale in questo momento di suprema emergenza nel nostro paese sia quello di riuscire a distruggere gli equilibri e gli scenari attuali del gioco politico italiano. Questo è possibile soltanto con una forza intermedia capace di aggregare e unificare molto rapidamente quanto resta dei partiti laici minori, non solo per farne una forza di opposizione al compromesso storico già in atto, ma anche per attirare suffragi dal di fuori di quest'area. E' essenziale far perdere la maggioranza alla Dc: solo allora in Italia possono cominciare giochi politici con nuovi protagonisti e nuovi scenari. Ma questa rottura può dar luogo a qualcosa di positivo soltanto se fra il centro e la sinistra, accanto al Partito
socialista anche se indipendente e critica verso di esso, si forma una forza abbastanza ampia da poter essere il punto di riferimento della parte più moderna della borghesia italiana, e non solo di un insieme di emarginati di ogni risma. Ma bisogna che questo raggruppamento sia abbastanza forte da poter contrastare il passo al prepotere comunista che in quel momento diventerebbe davvero pericoloso.
Tutto questo significa che il Pr ha il dovere di diventare adulto. Non sono sicuro che questo gli costerà la perdita di qualche frangia lunatica. Sono però sicuro che chi si assumesse il compito di rappresentare davvero quegli italiani che non ne possono più del regime che si sta consolidando avrebbe la possibilità di mettere insieme un partito molto più influente, nel Parlamento e presso l'opinione pubblica, di quanto il Pr oggi non sia.