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Pannella Marco - 21 ottobre 1978
IL PARLAMENTO NELLA COSTITUZIONE E NELLA REALTA'
Intervento di Marco Pannella al convegno, promosso dal Gruppo Parlamentare Radicale, che si è tenuto a Roma, presso l'hotel Parco dei Principi, il 20, 21 e 22 ottobre 1978

SOMMARIO: SOMMARIO: In questo intervento al convegno organizzato dal Gruppo Parlamentare Radicale sul tema "Il Parlamento nella costituzione e nella realtà", Marco Pannella esordisce analizzando la figura del deputato che a suo parere è destinata all'estinzione. Infatti i regolamenti, che definiscono diritti e doveri del deputato, vengono apertamente violati e interpretati secondo le esigenze della maggioranza.

Pannella prende poi in esame i Regolamenti parlamentari e la loro applicazione anche rispetto a prassi e precedenti che, afferma, non sono sempre verificabili.

Pannella si sofferma ad analizzare il secondo comma dell'articolo 27 del Regolamento della Camera dei deputati (modifica dell'ordine del giorno) che risulta praticamente inapplicabile per una serie di interpretazioni pretestuose affermate dalla Presidenza della camera, aprendo poi una polemica sul processo verbale "rattrappito" delle sedute della Giunta del regolamento. Altro argomento di discussione è la non applicazione dell'articolo 81 del Regolamento della Camera dei Deputati concernente i tempi di esame dei progetti di legge da parte delle commissioni in sede referente.

Tutto ciò snatura la figura del parlamentare che non può giocare nel pieno rispetto delle regole del gioco in quanto si preferisce barare al tavolo della democrazia.

(IL PARLAMENTO NELLA COSTITUZIONE E NELLA REALTA', Atti, regolamenti e prassi della Camera nella VII legislatura - Atti del Convegno del Gruppo Parlamentare Radicale, Roma, Hotel Parco dei Principi, 20-21-22 ottobre 1978 - A.Giuffrè Editore, 1979)

Stefano Rodotà ha già anticipato il motivo per il quale ritengo utile intervenire in questa fase del dibattito: perché dallo svolgimento dei lavori in qualche misura, sino adesso almeno, mi sento un po' frustrato, non in quanto radicale, ma in quanto deputato. Esiste certamente il problema del Parlamento, quello delle minoranze e delle maggioranze, il problema dei rapporti fra Governo ed opposizione, c'è anche un problema di inquadramento storico e di lettura non troppo presbite o troppo miope della situazione di questa legislatura, però, in qualche misura, credo che manchi sino ad ora un oggetto specifico nel dibattito; e ciò per un solo motivo, perché siamo abituati ormai all'estinguersi del soggetto: parlo cioè del deputato.

Ho proprio l'impressione che il soggetto deputato o senatore - d'ora in poi non parlerò più di parlamentari, ma solo di deputati, perché sono un autodidatta in tutte le mie cose e quindi mi auguro di non ledere la sensibilità dei colleghi senatori se mi riferirò soltanto ai deputati - ebbene ho l'impressione che il soggetto deputato sia un soggetto in via di costante estinzione, come fatto significativo, tanto è vero che scompare anche come oggetto, salvo poi rientrare ogni tanto, come nei cori dell'Aida a Caracalla (Si ride Applausi).

Di tutto ciò mi faccio carico, perché è anche un problema di correttezza per il mio partito che mi ha candidato. Infatti nel momento in cui il mio partito mi ha candidato, e decide di candidare qualcuno, stabilendo che è proponibile lo strumento di lotta politica e di democrazia politica e parlamentare della presentazione alle elezioni, credo che sia fondamentale sapere bene che cosa significhi essere deputato. Un partito deve cioè valutare attentamente anche che cosa un deputato può o non può fare. Se accetto che il mio partito mi candidi debbo anche aver stabilito prima dentro di me le regole del gioco e letto attentamente il regolamento. Perché, ripeto, per me la democrazia è soprattutto rispetto delle regole del gioco e quindi, devo conoscerle. Devo quindi mettere nel conto anche i miei eccessi e le mie provocazioni, che, però - devo dire - non faccio mai, perché purtroppo siamo sempre noi provocati dalla realtà e non abbiamo molto tempo o gusto per aggiungere le nostre personali provocazioni.

Debbo dire che non sono, così come i nostri compagni che fra qualche settimana prenderanno il nostro posto, lo stesso deputato che sarei dovuto essere.

Un deputato è individuato dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari; se per caso questo regolamento muta in modo regolamentare, attraverso un dibattito ed un processo formativo di revisione, siamo ancora all'interno delle regole del gioco, perché una volta che il nuovo regolamento fosse votato, uno dovrebbe onestamente dire se quel regolamento gli dà ancora la possibilità di rappresentare il popolo secondo i programmi e le idee pronunciate o no. Se ritiene di no uno si può anche dimettere. Ma in questo caso non ci sono doglianze perché l'alveo unico, obbligato, corretto e democratico del cambiamento del regolamento attraverso un certo iter procedurale è rispettato.

Debbo, però constatare che non appena abbiamo dato impulso e eccitato la democrazia parlamentare e italiana, immediatamente la risposta pressoché unanime è stata quella della violazione. Capisco certe cose; proprio ieri ho avuto in un'altra sede uno scambio di battute con chi mi raccomandava da un alto seggio, per un altro dibattito, la forma. Si possono cioè dire le cose peggiori, ma in un certo modo. Ho risposto che a mio avviso quello che fa le vere minoranze e le vere maggioranze è una cultura politica alternativa, quella che ha la durata, la teoria, ma anche la capacità di essere alternativa anche per un linguaggio diverso. Le differenze politiche che non sono anche differenze di stile e di parola non sono alternative, non sono opposizioni di lunga durata che possono presumere di rappresentare per lungo tempo un Governo diverso, ma sono a livello di cultura e di teoria politica, o a livello esistenziale dei fatti omogenei - anche se possono portare a dei fenomeni di opposizione momentanea - sostanzialme

nte votati a convergere nei fatti fondamentali, come la parola converge nel verbo.

A questo punto assistiamo a una escalation che va dalle interpretazioni ardite del regolamento a chiare violazioni. A quel punto non sono più deputato perché non posso più far valere le mie responsabilità secondo le regole che ho conosciuto e in base alle quali ho ritenuto di poter operare perché le capisco, le condivido.

Ho un po' paura, tanto quanta ammirazione, per l'amico Rodotà perché per mille cose illuminanti e stimolanti - continuiamo a lavorare e a creare in modo diverso delle cose che avevamo sperato, concepito ed intuito insieme decenni fa - sono d'accordo. Sono d'accordo nella dissacrazione, nella laicizzazione del momento del diritto, ma ho un po' paura quando anche in lui sento echeggiare un timore tipico o un vezzo tipico del giurista progressista che è quello di aver paura di essere formale, di apparire formalista. Ho timore di questo. E come se l'eleganza progressista dia un certo obbligo alla disinvoltura o al non accanimento rispetto ai problemi di lettera e all'importanza dei problemi della lettera rispetto all'interpretazione evolutiva. Questo è solo un problema di tendenza perché so benissimo che come corrispettivo c'è l'altra intuizione, l'altra interpretazione, che è giusta in parte, e che il neofita, essendo spesso anche autodidatta, diventa uno zelota delle varie situazioni quanto il paranoide il qua

le si fissa sulla lettura di determinate cose e non vede la storicità in fondo del processo formativo e non solo del pensiero, ma anche della lettera di una legge e di una norma, e quindi, molto spesso, il neofita, il radicale che arriva al regolamento vede il dettaglio, non vede la foresta e non è capace di amministrare, di governare quel momento del diritto che deve essere un momento della vita parlamentare, il momento costitutivo della vita dello Stato, forse il momento supremo della vita dello Stato, che deve essere ancora considerato con quel distacco, quella prospettiva, quel dubbio e quella »violenza creativa , che le cose vive portano con loro. Su questo non sono d'accordo. Se dovessi fare, per approssimazioni successive, un convegno politico, solamente politico, ne farei un convegno paranoide scientifico dal titolo: »Fenomenologia della settima legislatura relativamente a 40 articoli del regolamento della Camera dei deputati . Perché? Perché sono convinto che c'è esattezza anche nelle scienze cosidd

ette non esatte che deve essere, in qualche misura, presupposta come possibile per poter estendere, vedere e comprendere meglio.

Quando, per esempio, il Presidente della Camera con comunicazione quasi verbale, improvvisa, risponde alle tre di notte si ha l'impressione di una connivenza e si può avere un dato di ammirazione. Ma sta di fatto che a livello della cronaca quando abbiamo una risposta urgente, anche i tempi vogliono dire qualche cosa. Le più grandi innovazioni le posso anche capire. Ma che uno alle tre di notte stabilisca contro legge disposizioni scritte dai suoi predecessori e cioè che un deputato non ha diritto di sostenere nelle commissioni propri emendamenti malgrado g!i articoli 80, 90, 4 e 96 del regolamento della Camera, appare incoerente. Il regolamento dice che ogni deputato può partecipare senza diritto di voto a sedute di commissione diverse da quelle a cui appartiene e senza alcun diritto di voto.

A questo punto ci dovrebbe essere a nostra portata e a vostra portata la documentazione su di un determinato fatto come se però la Camera non avesse una editoria sempre più chiericale sicché i testi non sono più disponibili, sicché i cataloghi ci sono e non ci sono. Se ad un certo punto tutta l'attività edittale è ignota a tutti, dobbiamo chiedere la legge delle »12 tavole . Quando per sei sette anni tutti i dati giurisprudenziali della Camera dei deputati non vengono raccolti e sono ignorati dalla stragrande maggioranza degli uffici, tranne che per quei pochi addetti, ci rendiamo conto di quanto grave sia la situazione. Io, lo sanno coloro che sono presenti, ho troppa stima della qualità degli uffici della Camera dei deputati, che è altissima, per non ritenere che di questa posizione chiericale siano inavvertitamente conniventi, visto che la ragion politica impone questa scarsa laicità per impedire agli altri di conoscere. Questo non aiutare gli altri a conoscere prima e a deliberare poi si è verificato sem

pre nel corso di questa legislatura. Non ci si è accorti di questi quattro deputati pedanti e si è sempre trovata la giustificazione di tutto in precedenti e in prassi. Ogni volta che la Presidenza della Camera ci dice che vi è una prassi o un precedente non si ha molta possibilità di verificarne l'autenticità. In alcuni casi il Presidente di seduta ha affermato il non vero, richiamandosi alla prassi dove magari vi era un solo precedente ad hoc contraddetto da un altro precedente.

Voi mi direte: tutto questo è pedante! No, un deputato eletto ha la possibilità di andare alla Camera, di andare ovunque ma in Commissione il deputato non commissario non può votare, perché le commissioni permanenti devono, in qualche misura rappresentare una micro assemblea.

Non siamo - insisto amico Rodotà - troppo signorili rispetto alla plebea eloquenza di questo o di quel fatto. La circostanza che alle due o alle tre di notte si verificano questi atti giurisprudenziali ci fa pensare. Essi si verificano sotto l'aspetto dell'istituto legale ? No, sotto l'esigenza di una maggioranza politica; giusta o non giusta si tratta di vedere. Certo, tutto ciò è sorto da una richiesta fatta alle due di notte da un presidente di commissione che è espressione di maggioranza politica, e non per la salvezza delle istituzioni.

TOSI

L'incidente a che ora è avvenuto?

PANNELLA

Mi riferisco all'episodio verificatosi presso la commissione giustizia.

TOSI

Se l'incidente fosse sorto alle 9 o alle 10 del mattino avrei trovato molto lodevole il merito delle decisioni.

PANNELLA

Ma quale poteva essere la ragione di tanta urgenza, cosa poteva impedire a un presidente di commissione di prendere tempo per riflettere, magari per sentire di nuovo la Giunta del regolamento? Una risposta ipotetica c'è: era necessario difendere i diritti della maggioranza conculcando quelli della minoranza.

Intanto, è chiaro che se io deputato non posso andare nelle commissioni a difendere i miei progetti di legge o i miei emendamenti, subisco una limitazione che diminuisce di molto le mie possibilità, tanto più se appartengo ad un gruppo di 4, 5, 14 o anche 17 deputati.

Tra l'altro, voglio anche dire che forse non è stata saggezza, all'inizio di questa legislatura, l'aver autorizzato la costituzione di gruppi al di sotto dei 20 deputati. Forse Bozzi ricorderà che la prima volta che io partecipai alla conferenza dei capigruppo ringraziai per aver concesso la costituzione del gruppo ma aggiunsi che ringraziavo tanto più in quanto non sapevo se, essendo io presidente, mi sarei comportato nello stesso modo. E anche i miei compagni sanno che ebbi molte volte a dire che forse sarebbe stato preferibile non costituire un gruppo autonomo ma ritrovarci in quello misto insieme ai Malagodi, ai La Malfa, ai Saragat e a tanti altri: allora sì che avremmo assistito alla rinascita della figura del singolo deputato.

Ma andiamo avanti negli esempi. C'è un articolo del Regolamento della Camera che secondo me è centrale e comunque indubbiamente molto esplicito. E l'articolo 27 che stabilisce che l'ordine del giorno dell'assemblea o delle commissioni viene formulato in un certo modo e che non si può proporre all'improvviso di discutere un argomento diverso. E' una norma giusta, costituisce una garanzia per tutti quanti, una garanzia di serietà e una garanzia contro i frequenti »colpi d'aula .

Apro una breve parentesi per ricordare la famosa storia delle 48 ore venuta fuori con il nuovo regolamento: in realtà è una norma che non esiste, che non viene mai applicata e autorevolissimi esponenti della burocrazia della Camera mi dicono che quella norma non è durata più di 48 ore perché era impraticabile.

Torniamo al discorso. Il secondo comma dell'articolo 27 stabilisce che per discutere e deliberare su materie che non siano all'ordine del giorno è necessaria una votazione a scrutinio segreto e con la maggioranza dei tre quarti dei votanti. E' un quorum eccezionale, mai richiesto per altre cose. E questo deve pur significare qualcosa. Ebbene, il nostro gruppo ha chiesto l'applicazione di questa parte dell'articolo 27 e sapete cosa ci è stato risposto tre o quattro volte, dopo aver anche consultato la giunta del regolamento? Questa tra l'altro non ha verbale, i suoi lavori non sono pubblici, si fa solo un comunicato non certo dignitoso: si dice che la giunta si è riunita (senza dire chi ha partecipato) che ha discusso di certi argomenti, che sono state dette certe cose, che si è stabilito di farne certe altre (si ride). Certo, può sembrare risibile, ma è proprio così.

FOIS

Quando, tempo fa, ho visto per la prima volta quel resoconto non credevo ai miei occhi.

PANNELLA

Puoi allora figurarti come possano sentirsi Pannella, Bonino o Mellini, che queste cose le hanno sotto gli occhi tutti i giorni: ci viene da chiederci che forse siamo pazzi davvero!

TOSI

Però teniamo conto che quello non è un processo verbale. Io sono il primo ad aver vituperato nella mia introduzione la prassi di questo tipo di pubblicità rattrappita, però teniamo conto che quello che si legge - e che è indubbiamente vituperabile - non è il processo verbale della giunta del regolamento.

FOIS

Ma non dovrebbe esserci almeno un resoconto sommario?

TOSI

Secondo me no, è richiesto solo un annuncio.

PANNELLA

L'annuncio fatto a Maria era che doveva nascergli un figlio, ma le avessero annunciato che in cielo c'era il sole non era certo più un annuncio!

Stavo dicendo prima: sapete cosa si è stato risposto quando abbiamo chiesto di applicare il secondo comma dell'articolo 27? Che siccome quel giorno era lunedì e il lunedì è riservato ad altri argomenti, l'articolo 27 non poteva essere applicato. L'appiglio sta nel fatto che il regolamento stabilisce che le sedute del lunedì siano dedicate alle interrogazioni, ma non si può per questo impunemente dire (e tutta la maggioranza è stata concorde) che il regolamento è sospeso, in rapporto ad altro evento, in un giorno della settimana. E così, tra l'altro, siccome tutti i lunedì discutiamo le interrogazioni, abbiamo in pratica creato un precedente!

E badate che la stessa cosa è successa per l'inversione dell'ordine del giorno. Quando avevamo chiesto l'applicazione del secondo comma dell'articolo 27, avevamo tra l'altro detto, come paradosso: ma allora, se non ci fate fare questo, non ci fareste neppure chiedere un'inversione dell'ordine del giorno. Ebbene, dopo qualche settimana abbiamo chiesto l'inversione dell'ordine del giorno e ci hanno risposto che non si poteva proporre perché era lunedì. A quanto pare, siamo arrivati all'Ogino Knaus, ai giorni fertili dell'attività parlamentare!

E andiamo avanti. C'è poi l'articolo 81 del regolamento della Camera, un'altra - ci hanno detto molte volte - delle tante cose centrali del nostro regolamento: io, da semplice elettore, non riesco però a capire come possa essere centrale una cosa che non viene mai applicata. Devo essere stupido e perciò dico: chinatevi al capezzale dei deputati, uomini di scienza!

L'articolo 81 (nella stesura del 1971, si badi bene) stabilisce che le relazioni delle commissioni devono essere presentate all'Assemblea entro il termine massimo di quattro mesi dalla assegnazione del progetto. Mi sono chiesto: che senso aveva, nel 1971, scrivere una cosa del genere, quando si sapeva benissimo, con 25 anni di esperienza parlamentare alle spalle, che il 95 per cento dei progetti di legge non vengono trattati entro i quattro mesi? Perché si è voluto mantenere questa norma? Una ragione deve pur esserci, perché anche dietro ai tabù (quale questo potrebbe essere chiamato) c'è sempre qualcosa.

Io credo che in questo caso ci sia dietro ancora la volontà di non rinunciare a quel quanto di ottocentesco, di velleitaristicamente serio che si vorrebbe porre al fondamento della democrazia parlamentare. Certo, sarebbe indubbiamente molto serio dire che la Camera è obbligata a conoscere, prendere in esame, discutere, magari bocciare entro 4 mesi una legge, impedendo che sia invece tenuta nel cassetto. Però non ha un senso dire una cosa del genere quando si sa benissimo che succederà sempre tutto il contrario.

Comunque, ad un certo punto, passati i quattro mesi, si può fare il richiamo; nel quadro ostruzionistico, noi abbiamo chiesto di richiamare alcune leggi, che erano appunto leggi da richiamare. Ebbene, il Presidente di turno stabilì che su questo non ci potesse essere scrutinio segreto, mentre vi era sempre stato. Poi è stato detto che non vi erano precedenti: certo, l'articolo 81 è richiamato assai di rado. E di casi di questo genere potrei citarne a iosa. Allora, la mia domanda è questa: perché hanno fatto queste cose? Perché era in atto l'ostruzionismo radicale. Ma quand'anche fosse? Si cambia il regolamento, ci si riunisce. E invece non si conoscono le leggi, gli editi, la giurisprudenza; il deputato non deve sapere, in fondo egli rappresenta un incomodo. L'articolo 65: certo, il giurista, l'avvocato è bravo quando, nonostante la lettera della legge appaia tassativa ed univoca al profano, egli riesca a darne una interpretazione diversa. Il regolamento della Camera stabilisce che la pubblicità dei lavori d

elle Commissioni in sede legislativa e redigente venga assicurata mediante la pubblicazione del resoconto stenografico, e che la stampa ed il pubblico possano seguire lo svolgimento dei lavori attraverso telecamere a circuito chiuso.

Professor D'Albergo, perché faccio questa domanda? Per un mese noi, insieme con giornalisti e cittadini, abbiamo avanzato una richiesta in questo senso, perché questa norma regolamentare instaura una sorta di diritto del cittadino e della stampa, non tanto un nostro diritto; noi tutti abbiamo una certa formazione democratica, e abbiamo rimproverato alla democrazia cristiana l'arroganza del suo atteggiamento: ma più che arroganza, quella del Presidente della Commissione e del Presidente Camera era protervia. La sacralità di una funzione democratica va guadagnata giorno per giorno: solo perché il partito comunista non voleva che la gente cogliesse lo scontro vero sulla legge Reale, non ha voluto pubblicità, non ha voluto contraddittorio. Eppure la possibilità tecnica di rendere pubblici i lavori esisteva: in quel momento erano applicabili cinque circuiti televisivi ed era agibile la famosa auletta in cui si riunisce la Commissione inquirente. Cosa c'entra, allora l'ostruzionismo radicale ? E' nelle piccole cos

e che si prefigurano certi grossi riflessi.

Ancora un esempio. Noi non possiamo avere pubblicità. Non vi è solo la distorsione esterna della radio e della televisione, che pure è una condizione del legiferare; ma vi è anche quella nostra, interna, per tutti questi motivi.

Io penso che, da questo punto di vista, forse un'ulteriore riflessione dopo questo convegno sulla fenomenologia della legislatura in corso e su quello che rivelano le scelte di questa Presidenza, debba essere fatta perché certe cose salomoniche che vengano raccontate purtroppo sono troppo facili. Lo dico ai migliori dei miei amici. Si dice che vi sono state responsabilità uguali: noi facevamo l'ostruzionismo, in quattro, e gli altri si sono un po' difesi, abbiamo ecceduto tutti. No, le responsabilità sono diverse.

Ma vorrei farvi riflettere: noi, sostanzialmente, non abbiamo fatto alcun ostruzionismo. Ci siamo rifiutati a questo fatto preciso: al 16 marzo una maggioranza politica aveva bloccato da sei mesi la Camera; non solo durante la crisi, ma anche prima non aveva consentito attività legislativa, non aveva permesso che andassero avanti la riforma di polizia e tutti i grandi temi che erano sul tappeto. Chi ha fatto ostruzionismo per sei mesi contro i calendari? E mente, sapendo di mentire, chi dice che i radicali, in seno agli uffici di Presidenza, hanno reso difficili o impossibili gli accordi unanimi, perché la mancanza di programmi, al 99 per cento, è addebitabile alla maggioranza che non è riuscita a proporli ed al Presidente che, per prassi, non ce li propone nemmeno più formalmente. Quindi, è una menzogna parlare di difficoltà derivanti dalla presenza dei radicali. E' questa maggioranza che non permette il calendario regolamentare ! Noi non abbiamo potuto nemmeno dire no, se non una o due volte: in quel caso

si va in aula e si supera la situazione. Da quel 16 marzo è iniziata l'atmosfera dell'ostruzionismo: più di 300 leggi richiamabili ai sensi dell'articolo 81; fiducia al Governo (e la vicenda Moro poi ha risolto il problema, a mio avviso malissimo); discussione del bilancio dello Stato (momento fondamentale della democrazia parlamentare); grande dibattito sull'ordine pubblico, nel quale erano impegnati maggioranza e Governo; discussione del progetto di legge sull'aborto; discussione della legge manicomiale, della Reale bis, del provvedimento relativo alla nuova Commissione inquirente: tutte riforme di importanza fondamentale. Allora quando all'improvviso tutte queste attività vengono assegnate ad una Commissione in sede legislativa, in modo non regolamentare e scandaloso; quando un provvedimento è assegnato ad una Commissione, invece che a due in sede congiunta (e viene sottratto alla Commissione interni, nella quale noi siamo presenti e che ha competenza primaria): se voi mettete insieme tutte queste cose ne

lla fenomenologia di quei 90 giorni, tutte le violazioni statutarie, le innovazioni statutarie e regolamentari, l'ostruzionismo e tutto il resto, c'è scandalo se io dico che non vogliamo il »deputato squillo ? Ma che cosa è il deputato che non può essere chiamato in Parlamento per sei mesi?

Niente! In relazione a questo, contemporaneamente, ci si propongono lavori assurdi; la radio e la televisione non sono più capaci, hanno promosso il giornalismo, hanno promosso la Rai Tv: in modo che, oggi, non ci sono giornalisti, qui, perché non c'è nessuno, tra i giovani, in condizione di fare la cronaca, di capire un convegno di questo genere, che pure è laico.

Questa è la situazione per la quale penso sia prezioso il vostro apporto, ma per la quale chiederei un'oncia di coraggio in più e di chiarezza. Diciamo non più le opposizioni, ma i quattro radicali. E la verità mi sembra chiara. E' vero che in questa legislatura è nata l'opposizione che usa a fondo degli strumenti parlamentari, è nata con noi, con tutte le distorsioni, perché in passato c'è stato anche l'uso degli strumenti parlamentari e il momento dell'opposizione parlamentare, ma questa fiducia che abbiamo nella bellezza del gioco, nel divertimento, nella felicità connaturata ad un gioco come questo, un gioco democratico parlamentare, non vi era mai stata. Abbiamo dimostrato che è un bel gioco, però ci siamo trovati con chi non per nequizia, non per cattiveria, ma per debolezza politica ed anche culturale, ha dovuto barare, perché non vedeva altra salvezza che barare al tavolo della democrazia, dei regolamenti e delle leggi per le sue prospettive politiche (Applausi Una voce: perché non ci credono! Ap

plausi).

 
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