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Parachini Rolando - 1 gennaio 1979
(2) STORIA DELLA "SINISTRA RADICALE" dal 1952 al 1962 - CAPITOLO II - DALL'UGI AL PARTITO RADICALE (1955-56)
di Rolando Parachini

SOMMARIO: Chi sono i "nuovi radicali"? Esistono legami tra l'odierno partito e quello degli anni '50? Possiamo trovare oggi linee politiche comuni o addirittura personaggi di allora? L'autore sostiene la tesi della continuità politica ripercorrendo la storia dei radicali dall'Ugi alla costituzione della "Sinistra radicale".

(UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI ROMA - FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA

TESI DI LAUREA: Relatore Prof. Renzo De Felice - ANNO ACCADEMICO 1978 - 1979)

CAPITOLO II - DALL'UGI AL PARTITO RADICALE (1955-56)

Nonostante non poche polemiche e discussioni sulle scelte politiche necessarie una volta usciti dalle università, gran parte dei quadri dirigenti dell'UGI decideva, sul finire del 1955, di aderire alla costituzione del nuovo partito radicale. Sono anzi in gran parte gli stessi universitari a favorire la nascita della nuova organizzazione politica, a fornirne il sostegno militante e ad ispirarne la linea politica.

Tenteremo allora di ricostruire brevemente le fasi di questa nascita e di analizzare i punti di contatto e di disaccordo tra il partito stesso e la sua componente giovanile.

Il processo di unificazione liberale tentato a partire dalla fine del 1951 (vedi Cap. I), entrava definitivamente in crisi con l'assunzione da parte di Malagodi della segreteria del PLI e con la progressiva presa di coscienza, da parte degli elementi liberali più illuminati, della sempre più marcata funzione immobilistica e conservatrice del partito.

Portavoce di questo "liberalismo più avanzato" era stato, fin dalla sua nascita, il settimanale "Il Mondo", diretto da Mario Pannunzio. (1) Né l'autorevole settimanale, né la componente di "sinistra liberale" (della quale facevano parte alcuni tra i dirigenti dell'UGI) avrebbero più potuto condividere a lungo la politica di Malagodi. Il neo-segretario liberale faceva chiaramente appello "alle frange di destra dell'elettorato della DC" (2) e cominciava a porre sul tappeto la sua linea in politica economica, sulla quale sarebbe maturata poi la rottura. Infatti, nell'estate del 1954, alla conclusione del dibattito alla Camera sullo sganciamento dell'IRI dalla Confindustria, il gruppo liberale, in contrasto con il suo stesso Ministro Vrillabruna, votava insieme ai monarchici e ai neofascisti contrari al distacco. "L'on. Malagodi si sarà probabilmente conquistato, in tal modo, la riconoscenza della Confindustria", commentava a chiare lettere "Il Mondo". (3) Dopo la faccenda IRI, subentrò quella dei Patti Agrari,

(4) con cui Malagodi dimostrò, sempre secondo "Il Mondo", (5) di essere anche passato al servizio della Confagricoltura. Notava con amarezza Mario Paggi (6) che si tentava di trasformare il PLI "in strumento dei grossi interessi monopolistici e terrieri, rifugio di sciovinisti e di nostalgici, campo di manovra degli ultimi intralazzatori clientelistici". In altre parole il PLI si stava trasformando in un semplice partito di destra economica, "con sempre più scarsi contatti con i generali problemi dello stato e della società italiana, e con le poche o nessuna possibilità di dialogo governativo con gli altri partiti". (7)

Fra sinistra liberale e Malagodi si arrivava rapidamente alla resa dei conti. Da una parte "Il Mondo" reagiva a questo spostamento a destra del partito accentuando la sua tradizionale battaglia antimonopolistica (8) e trovando alleati in settori politici, come il PSI, fino a quel momento tenuti a debita distanza. Dal canto suo il Comitato esecutivo della Sinistra Liberale (9) inviava ai suoi aderenti una circolare datata 5 ottobre 1955 (10) in cui era riportato il comunicato diramato alla stampa la sera del giorno precedente. In esso si leggeva quanto segue sul congresso nazionale del PLI che si sarebbe tenuto a Roma nel mese di dicembre: "... considerati i metodi inqualificabili adottati dalla segreteria Generale per travisare la originaria fisionomia del Partito o per alterarne preordinatamente la composizione e la rappresentanza numerica, fa pubblica denuncia fin d'ora dell'invalidità del congresso e invita gli aderenti alla corrente a non presentare propri candidati per l'elezione dei delegati". (11) La

sinistra del PLI aveva d'altronde già tenuto una riunione a Milano nel luglio dello stesso anno, alla quale avevano partecipato quattro membri della direzione del PLI: Carandini, Pannunzio, Libonati e Paggi. (12) "Un nuovo partito nascerà a gennaio", scriveva Nicola Adelfi su "L'Espresso", chiedendosi a chi si sarebbe rivolto questo partito: "Il nuovo partito che tutti definiscono radicale (...) intende dunque radunare sulla sua piattaforma di centro-sinistra gli italiani che se paventano l'avvento di una dittatura comunista, hanno in uggia il governo democristiano e la Confindustria". (13)

Il 9 dicembre 1955, il "Corriere della Sera" appare con il seguente titolo in prima pagina: "Il Congresso Liberale si inaugura oggi a Roma. (...) Dimissionari 35 consiglieri dissidenti". L'articolo è quasi interamente dedicato alle tesi, le relazioni ed i dibattiti emersi al congresso liberale, ma nel finale si rilevano le critiche che i dissidenti insistono nel rivolgere al segretario Malagodi. Si registra infatti che nel pomeriggio di questo primo giorno di congresso, circa 35 consiglieri della sinistra e del centro si sono riuniti per annunciare ufficialmente le loro dimissioni dal PLI. Viene così approvato un ordine del giorno in cui si afferma tra l'altro che: "dall'abbandono incondizionato del Ministero della Pubblica Istruzione all'approvazione delle norme illiberali e anticostituzionali sui Tribunali Militari, il PLI ha rinnegato a pieno la sua fondamentale vocazione di custode delle istituzioni dello Stato liberale moderno. (...) Il partito stesso è stato definitivamente assoggettato alla volontà di

potenti gruppi monopolistici, e la sua politica si è avvilita alla consapevole ed aperta difesa di interessi particolari e di ristrette categorie. (...) Si è spezzata, sostanzialmente la solidarietà dei partiti laici e sabotata dall'interno la politica del centro-sinistra. (...) L'anima del liberalismo, il suo spirito aperto e rifomatore, si troverà d'ora innanzi fuori di un partito che di liberale conserva solo l'etichetta". (14)

Conseguentemente si teneva un affollatissimo convegno il 9 dicembre stesso al teatro Brancani di Roma, presieduto tra gli altri da Niccolò Carandini, Mario Paggi, il direttore de "Il Mondo" Mario Pannunzio e l'on. Villabruna, ex ministro della Pubblica Istruzione. Così il Corriere della Sera del giorno seguente annunciava l'avvenimento: "E' sorto ieri a Roma il nuovo Partito Radicale. (...) Si chiama precisamente Partito Radicale dei Liberali e dei Democratici Italiani (P.R.D.L.I.).

Oltre agli scissionisti liberali, confluiscono nel nuovo partito componenti dell'area democratica che fino a quel momento non sono riusciti a trovare la propria identificazione in una organizzazione politica. Vi sono ad esempio ex-azionisti, come Leo Valiani e Guido Calogero (15). Il Partito d'Azione si era sciolto nel 1947, avendo espresso, fin dalla Resistenza, l'idea salveminiana della necessità di ricostruire l'Italia secondo le regole del gioco democratico-occidentale. Si trattava di restituire al paese una politica libera da interferenze clericali e straniere. In una situazione del genere non avrebbe più avuto ragione d'esistere lo stesso Partito d'Azione, sostituendovisi un unico schieramento laico in grado di contrapporsi sia al potere democristiano che ad una eventuale presa di potere comunista. Discorso rivolto ai partiti socialista, repubblicano e, soprattutto, liberale, nei quali infatti confluirono la maggior parte degli azionisti al momento dello scioglimento. Altri, come appunto Valiani e Calo

gero, persistettero nell'idea che i socialisti fossero troppo ambigui nelle loro aperture e chiusure ai comunisti e che i repubblicani mostrassero troppa disponibilità di dialogo anche con la componente più smaccatamente clericale della DC. Quanto ai liberali, il partito che diceva di rappresentarli appariva chiaramente molto più occupato a proteggere diritti e prerogative di privati che a percepire le istanze più urgenti della società italiana. Per questo tipo di azionisti nessun partito di allora sembrò poter incarnare questa proposta "terzaforzista", mentre il P.R. sorto nel 1955 fece proprie le idee e le istanze fondamentali del Partito d'Azione. (16)

Un'altra componente del Partito Radicale fu quella degli ex aderenti al movimento"Giustizia e Libertà". Tra questi, Ernesto Rossi, il più aggressivo dei giornalisti de "Il Mondo", sempre in prima fila dalle colonne del settimanale, nella lotta contro il clericalismo e la "pirateria privata".(17)

Leopoldo Piccardi in un articolo apparso sul "Mondo" nel gennaio del 1956, invitava gli aderenti a "Unità Popolare", l'organismo laico sorto nel 1953 per combattere la cosiddetta "Legge Truffa", a confluire nel partito radicale. (18)

Chi ci interessa maggiormenre in questa sede è la componente UGI che, come abbiamo detto, si fa promotrice anch'essa del nuovo partito. In essa non ritroviamo soltanto i nomi incontrati nell'analisi dei due congressi dell'UGI, ma anche gran parte del nucleo di militanti che al momento dello scioglimento del P.R., nel 1961, rifiuterà la scomparsa del radicalismo dalla scena politica e, rifondandone il partito, lo condurrà fino ai nostri giorni. (19)

Non senza polemiche all'interno della stessa UGI, causate dalle esigenze di apartiticità e di autonomia dell'organismo universitario, gran parte dei dirigenti "goliardi" decideva comunque alla fine di apporre la propria firma all'appello che sanciva la nascita del P.R. (20)

La nuova sigla vuole in effetti essere un punto di incontro per tutte le voci laiche, indipendentemente dalla appartenenza a determinati partiti o "credo" ideologici. Difficilmente troveremo, nelle pagine de "Il Mondo" articoli di esponenti comunisti, è vero. Non dimentichiamo però che alla metà degli anni '50 pesava sul PCI l'ombra dello stalinismo e della guerra fredda, né mancavano i dubbi sulla volontà, da parte comunista, di accettare le citate "regole del gioco democratico". Con i radicali possiamo nuovamente parlare di "terzaforzismo", ispirato in gran parte dalle idee di Gaetano Salvemini. Esso è caratterizzato da una dura lotta contro il clericalismo e dalla speranza che il Partito Socialista metta da parte le aperture al massimalismo, ai frontismi, al Partito Comunista, per riscoprire il proprio carattere laico, antiautoritario, volto alla difesa dei diritti e delle libertà sociali, oltre che economiche.

Leopoldo Piccardi precisava la posizione del P.R. nel quadro politico italiano, in un articolo apparso su "Il Mondo" nel gennaio 1956. (21) Esiste una "sedia vuota" nell'area democratica, afferma Piccardi, da offrire a tutti coloro che non si riconoscono nelle grandi e disciplinate organizzazioni di classe e tanto meno in un partito di carattere fideistico come la DC. Lo spazio per il P.R. esiste nel paese, specie nel momento in cui stanno "scricchiolando gli schemi tradizionali del classismo". (22) Non si tratta solo di rivolgersi ad una vaga "classe media", ma di allargarsi ai settori del proletariato che vanno migliorando le proprie condizioni economiche. Altro destinatario del messaggio radicale è quella parte della borghesia che, pur "proletarizzandosi" con il lavoro specializzato, in realtà aumenta il proprio reddito. Il Partito Radicale tende dunque ad occupare tutto lo spazio esistente tra il PSI e la DC. Quali saranno allora i rapporti da instaurare con le altre forze politiche del momento? E' quant

o tenta di esporre, ancora dalle pagine de "Il Mondo", Mario Paggi. (23) Premessa l'impossibilità di un colloquio "con i partiti della destra sovversiva", vengono ribadite le critiche da sinistra al PLI, origine della scissione. Nei confronti del PRI e del PSDI, ferme restando le accuse di eccessivo tradizionalismo del primo e di ambiguità ideologica del secondo, i radicali si pongono come necessari interlocutori in vista di maggiori convergenze: "le realtà sociali su cui si fondano (i tre partiti) sono talmente omogenee che nessuna loro assurda e particolaristica divisione può dividerle; e le opportunità politiche che loro ancora si offrono sono legate alla loro capacità di non scoraggiare ulteriormente un corpo elettorale avvilito e depresso. Questo dica in maniera nettissima che lo spirito che muove i radicali non si arresta alle soglie di una scissione, ma intende porsi al servizio di nuove, vaste, necessarie e fatali confluenze". Più complessa si presenta la questione dei rapporti con il PSI. Se esso in

fatti rappresenta "gran parte delle forze migliori della nostra società", gli va "tuttavia rimproverata l'"indifferenza ai problemi strutturali della laicità" e l'"immobilismo nei suoi rapporti con il partito comunista". (24) Analoga posizione viene presa nei confronti del PCI, nonostante la sua più marcata volontà illiberale. "Poiché anche ai comunisti - conclude Paggi - capita talvolta, e sia pure non volendo, di compiere una funzione liberale, ogni volta che essi in tale funzione agiranno, il partito radicale non ha veti teologici da opporre". (25)

Il richiamo all'atteggiamento assunto dall'UGI nei confronti delle organizzazioni democratiche e di sinistra si fa immediato. E' in luce il concetto di partito come "servizio" per le forze laiche, aperto alle più ampie convergenze per le singole battaglie, nel rigoroso rispetto dell'autonomia di ciascuno. Lo spirito informatore di questa politica era nella tradizione più autenticamente liberale. Al momento della scissione dal PLI, A.C. Jemolo sottolineava l'esistenza di una costante duplice anima del liberalismo italiano. (26) Una parte rivolta alla conservazione di notevoli prerogative acquisite in decenni di vita politica e poco propensa ad attuare seri programmi riformistici. Si ha poi l'altra anima, progressista e radicale. Solo quest'ultima aveva reso possibile la politica liberale e sociale di Giolitti agli inizi del secolo ed aveva poi rifiutato di lasciarsi integrare dal fascismo. Appariva quindi logico (e giusto) che i liberal-democratici lasciassero a Malagodi la gestione di un partito sempre più r

eazionario. Necessità di chiarezza delle rispettive posizioni veniva avvertita dallo stesso Ugo La Malfa alla fine del 1955. Il leader repubblicano (27), nel dare il suo "benvenuto" alla nuova formazione radicale tra le fila laiche, dove già egli situa il PRI, si esprime in senso palesemente "terzaforzista", seppure con apertura dialogica nei confronti della DC. E' quest'ultimo atteggiamento che non avrebbe mai potuto trovare l'approvazione di un Ernesto Rossi, di uno Scalfari, né, tanto meno, di quella che di lì a poco si sarebbe costituita in "sinistra radicale". Infatti la componente più giovane del nuovo partito, quella stessa classe studentesca che abbiamo seguito attraverso i due congressi dell'UGI del 1952 e 1953, aveva già sulle spalle l'esperienza di anni di rapporti polemici ma chiari con i cattolici. La collaborazione politica con organizzazioni democristiane o vicine al partito di governo si era dimostrata impossibile. Non solo, ma all'interno della università si era anche messa in evidenza la po

ssibilità di alternativa di potere tramite la citata formula della "unione laica delle forze democratiche". Il governo dell'UNURI e le numerose presidenze laiche in essa erano lì a dimostrare la volontà e la possibilità di cambiare. (28) Tuttavia, passando alla organizzazione di un vero e proprio partito politico, le proposte di alternativa si rivelavano ancora premature. I giovani radicali trovavano alla propria sinistra un partito comunista il cui peso politico non era certo paragonabile a quello del CUDI nelle università. Il dialogo appariva ancor più improponibile a causa delle ormai famose pregiudiziali laiche anticomuniste. Tali pregiudizi non erano fin da allora condivisi da chi aveva visto confluire nella propria organizzazione universitaria gli studenti del disciolto CUDI. Una divergenza di vedute che sarebbe esplosa di lì a qualche anno ed avrebbe creato una vera spaccatura "generazionale" all'interno del P.R.

All'inizio prevalsero i motivi di unione nel nuovo partito, espressi lucidamente da Guido Calogero, in una sua lettera pubblicata su "Il Mondo". (29) In essa vengono tracciate "le linee d'azione di un partito che voglia affrontare modernamente i problemi del nostro paese". Calogero esordisce affermando che sebbene il bipartitismo di tipo anglosassone sia la forma più evoluta di democrazia parlamentare che conosciamo, esso è ben lontano dal potersi realizzare in Italia. Nella nostra situazione di pluripartitismo non ha molto senso creare un nuovo partito in base al prestigio personale di alcuni suoi esponenti o solo perché esistono "spazi elettorali" da occupare. Affinché una nuova formazione politica sia giustificata, bisogna che coloro che se la propongono vedano con chiarezza tre cose: "Primo, che certi provvedimenti legislativi e governativi possono e devono essere presi. Secondo, che la loro adozione ha per effetti determinati vantaggi per determinate sezioni della popolazione a cui è quindi legittimo ch

iedere l'appoggio. Terzo, che da nessun altro partito ci si può attendere che veda e voglia quelle cose con altrettanta chiarezza". (30) E' il partito radicale in queste condizioni? Secondo Calogero bisognerà intanto ammettere che questo genere di chiarezza non è proprio né delle destre, né dei comunisti, né della DC. Queste forze hanno infatti un elettorato garantito da chi vuole cambiamenti a tutti i costi e da chi desidera invece la conservazione dello statu quo. Grave diventa invece la non chiarezza di partiti come il PRI e il PSDI, dai quali si ha spesso un'utile diagnosi dei mali della società italiana, ma quasi mai una chiara indicazione di terapia. Il termine "terapia", utilizzato da Calogero nella sua lettera, significa riforme concrete da attuare con massima urgenza. Questa sarà una costante della politica radicale per più di vent'anni. Ed in questo stesso articolo vediamo di seguito elencati tutti quei provvedimenti indicati costantemente dalle pagine de "Il Mondo" dei mesi precedenti. Si pensi ad

Ernesto Rossi e, più indietro ancora, alle idee di Gaetano Salvemini, del Partito d'Azione, di tutta la "cultura" radicale prima e dopo il fascismo: riforma tributaria, mutamento del regime delle società anonime e dei monopoli privati, riforma dell'assistenza, nazionalizzazione dell'energia elettrica, riforma e "declericalizzazione" della scuola, abolizione del regime concordatario, riforma della burocrazia, e così via. Sono tutte indicazioni precise e Calogero, tornando alla fondazione del P.R., aggiunge (31): "O infatti un partito moderno sa e dice quel lo che vuole in modo preciso, o non è un partito moderno.

In questo senso nessun partito italiano è ancora veramente un partito moderno. E quindi può esserci la giustificazione per un partito nuovo, che moderno voglia essere". Le belle ma generiche piattaforme politiche e le corse al potere non possono contribuire, nell'ottica dei radicali, alla realizzazione di un partito moderno. Con molta concretezza Calogero indica allora la prassi ed i contenuti riformatori con cui presentarsi all'elettorato: il P.R.I. "deve studiare situazioni a fondo, deve formulare precisi piani di riforme legislative: e lasciamo in seconda linea, per ora almeno, ogni altra forza di attività. (...) dedicare quasi tutti i fondi di cui può inizialmente disporre a mettere in piedi un solido Ufficio Studi, che, lavorando intensamente, gli permetta, a capo di un anno, di sapere esattamente cosa vuole, e di poterlo dire alla Nazione". (32) E' quindi chiaro che per essere un partito moderno si deve attraversare un periodo di preparazione e di studio, forse meno gratificante per quel che concerne r

isultati e soddisfazioni immediate, ma certo più utile al paese. Parallelamente a questa fase, Calogero indica la necessità di lavorare perifericamente per la costituzione del partito stesso. L'esponente radicale si spinge ancora più avanti nelle sue indicazioni e nella sua analisi. Da quanto afferma in seguito si comprendono fin d'ora le ragioni della spaccatura del P.R. nel 1961 e della adesione ad esso nel 1955 da parte della componente giovanile o "universitaria". Solo dopo la lunga fase ora indicata, conclude Calogero, in cui "le intenzioni riformatrici del Partito si verranno, in ogni campo, esattamente precisando (...), si saprà esattamente anche da chi potrà essere costituito il Partito, perché potrà ben darsi il caso di persone che abbiano sinceramente inteso di partecipare a questo processo di formazione di un nuovo partito capace di studiare una buona volta a fondo il problema della società italiana e di proporre soluzioni concretamente civilizzatrici, e che poi, non trovandosi d'accordo con le so

luzioni prescelte, ritengano di dovere in coscienza abbandonarlo. Né alcuno potrebbe in tali casi, accusarle di volubilità e di incoerenza, perché non si può essere coerenti o incoerenti rispetto a qualcosa che ancora non c'è". (33)

La chiarezza di queste idee mi ha spinto ad esporre dettagliatamente la lettera di Guido Calogero a "Il Mondo". Non so se egli, nel dare al partito radicale queste indicazioni, alludesse anche alla necessità di un attento dibattito interno sul "metodo" da seguire. E' comunque innegabile che un partito con il programma che tra poco illustreremo, e che dichiara di voler creare una alternativa laica e democratica al potere democristiano, debba fare i conti con un preciso "discorso sul metodo". Tanto più quando non si vuole e non si può avere nulla a che fare con la destra reazionaria. Qualsiasi altro schieramento escludente la DC dovrà porsi il problema della presenza egemone, a sinistra, del Partito Comunista Italiano. Abbiamo già detto che negli anni '50 i radicali, liberali democratici, come essi stessi scelgono di definirsi, considerano il comunismo come una forma pericolosa di autoritarismo, tendente alla eliminazione del "parlamentarismo borghese", da sostituire con la "dittatura del proletariato". D'altr

a parte il P.R. tende a non considerarsi espressione di una determinata ideologia. (34) Marxismo, liberalismo, cattolicesimo, potranno essere oggetto di seri dibattiti e studi filosofici o storici; quel che fanno marxisti, liberali e cattolici va invece osservato nel presente, né può essere accettato o rifiutato a priori solo perché espressione di una ideologia. Restava, negli anni '50, la difficoltà ad aprirsi ai comunisti, se non addirittura ai socialisti: si era in atmosfera di guerra fredda, di stalinismo, di rivolta e repressione in Ungheria. D'altra parte l'ala sinistra del P.R., ma non solo questa, realizzava di non poter attendere altri vent'anni di malgoverno per comprendere che ogni collaborazione con le forze clericali era quanto mai dannosa per la costruzione di un paese moderno e democratico. Il "discorso sul metodo" appariva come il problema più spinoso per la nuova formazione politica. Esso era risolvibile non tanto attraverso la costituzione di fronti o alleanze, ma con l'indicazione precisa

delle riforme che spettavano al paese nella sua richiesta di modernizzazione e di maggiori libertà democratiche. La costruzione di una componente terzaforzista in grado di non lasciarsi egemonizzare dal PCI e capace nel tempo stesso di opporsi alla DC passava allora attraverso un confronto diretto ed una verifica con il Partito Socialista. Leone Cattani parlò infatti sin dall'inizio della necessità di rapporti "da potenza a potenza" per poter stabilire un reale colloquio con il PSI. (35) Le reazioni da parte socialista non si facevano attendere. L'11 dicembre 1955 l'organo ufficiale del partito pubblicava un fondo di Pietro Nenni, dal titolo "La sinistra liberale". (36) Il leader socialista considera la scissione liberale "tra le conseguenze della politica quadripartitica che ha già valso ai minori alleati della DC molti guai e altri gliene prepara". Nenni prevede dunque che la crisi si allargherà ai partiti laici minori, che non sono riusciti a condizionare la preponderanza democristiana e non hanno "l'elem

ento di coesione che i democristiani trovano nella religione e nell'interesse elettorale insito nella commistione di religione e politica". Nell'attesa che queste crisi emergano, viene da chiedersi cosa la sinistra liberale possa apportare alla lotta democratica. Sempre secondo Nenni, quest'ultima ha nel nostro tempo due direttrici fondamentali: 1) la trasformazione dei rapporti di proprietà e di classe; 2) l'irrobustimento della coscienza democratica e laica (nel senso della separazione dello Stato dalla Chiesa, della funzione educatrice dello Stato stesso, della sua responsabilità sociale). Analizzando queste due direttrici, Nenni prosegue: "Dal contributo che la sinistra liberale (...) darà alla soluzione di questi problemi, dipende la valutazione che potrà farsi della validità delle istanze di cui è erede e che la fanno depositaria più di un metodo che di una dottrina, in una civiltà che non è più quella delle élites ma delle masse". (37)

Ricordando che nelle università le organizzazioni studentesche socialiste si erano disciolte per consentire ai propri militanti di confluire nell'UGI, notiamo subito la differenza di atteggiamento assunta dal PSI, trovandosi in posizione di forza. Non manca, nel finale di questo fondo di Nenni, una punta di settarismo: i problemi economici e l'inserimento delle masse nella vita democratica sono nettamente separati da questioni come diritti dell'uomo e libertà civili: "Proprio nella sua concretezza il socialismo è la filosofia ed è la pratica moderna della liberazione. Non nuoce alle lotte odierne un poco della tolleranza propria al liberalismo, purché la tolleranza non si corrompa in agnosticismo. Non nuoce richiamare il fine ultimo di ogni lotta progressiva, che non è soltanto quello di liberare l'uomo dallo sfruttamento economico e sociale, ma di ridargli la piena libertà del proprio destino e della propria vocazione. Epperò si è nel nostro tempo SOLTANTO (il maiuscolo è mio) se si sta al discorso sui gran

i, vale a dire al discorso sulle conquiste del lavoro, al discorso sulle garanzie costituzionali". (38)

Disponibilità da una parte, e distanze di tipo ideologico dall'altra, dunque. Tutto questo verrà messo da parte dai radicali nel momento in cui anch'essi accetteranno la formula del centro-sinistra, ma non poteva invece passare sotto silenzio nella mente di chi pochi anni prima aveva dichiarato: "Goliardia è per noi un modo particolare di intendere la vita alla luce di un'assoluta libertà di critica, senza pregiudizio alcuno di fronte ad uomini ed istituti. E oggi noi aspiriamo (...) non all'unità delle forze laiche (...) ma all'unità laica delle forze come fondamento della democrazia". (39) queste discrepanze nel modo di impostare i propri rapporti con le formazioni della sinistra italiana, sarebbero presto venute a galla. Per il momento, esisteva una piattaforma, un programma, che riusciva a raccogliere il consenso di tutti i radicali. Vediamone i singoli punti: 1·) il rinnovamento della società italiana doveva attuarsi secondo lo spirito innovatore della società moderna e i progressi della scienza; 2·) si

richiedeva l'attuazione integrale della Costituzione e la effettiva instaurazione "di quello stato di diritto che fa tutti i cittadini uguali innanzi alla legge, senza discriminazioni politiche e religiose e che ne garantisce la libera attiviti dall'arbitrio governativo e poliziesco"; (40) 3·) si insisteva per un'azione contro i monopoli, indicando l'urgenza di sottoporre a controllo pubblico quelle imprese e quelle concentrazioni di ricchezza che del monopolio abbiano le caratteristiche, in campo industriale, commerciale o terriero, per spezzare il prepotere che ne deriva; 4·) una riforma radicale dell'ordinamento tributario "rendendo le imposte chiare e certe, accentuando il loro carattere progressivo, alleviando gli oneri dei ceti medi agiati, ed ampliando il settore delle imposte dirette"; (41) 5·) superando un'antiquata concezione del liberismo economico, ci si appellava al "diritto e dovere" dello Stato di intervenire nella vita economica e sociale in difesa dei ceti disagiati e per lo sviluppo econom

ico e politico delle zone depresse; 6·) infine una riforma scolastica "che rinnovi profondamente la scuola italiana (...), che metta fine alla invadenza del confessionalismo e restituisca dignità e primato alla scuola dello Stato". (42) Il programma è, come si vede, un programma liberale moderno, con istanze laiche e socialiste: esattamente il rovescio del programma del PLI malagodiano. Sui punti ora elencati i radicali trovavano la massima intesa, dai giovani dell'UGI agli aderenti di fede più marcatamente liberale e moderata. Ancora un anno più tardi, nel dicembre del 1956, il Comitato Centrale del Partito vi si riconosceva in modo unitario ed approvava infatti un o.d.g. che così si concludeva: "Il Comitato Centrale ritiene che attraverso l'intesa di tutte le forze della sinistra democratica, ed in particolar modo dei partiti Radicale, Repubblicano, Socialdemocratico e Socialista Italiano, si possa pervenire ad una concreta azione politica capace di rispondere alle aspettative che l'opinione pubblica sempr

e più chiaramente manifesta". (43)

Se da una parte si ribadiva con questa delibera la posizione anticlericale del P.R., dall'altra riemergeva la solita pregiudiziale anticomunista e la opposizione a quella che i radicali stessi definivano "politica di classe". Per il piccolo partito laico la stabilità ed il vigore della democrazia italiana passano attraverso una collaborazione tra il ceto medio, svincolato dalla subordinazione ai gruppo monopolistici, e le forze operaie. Quel che di lì a poco avrebbero sostenuto i corponenti dell'ala sinistra del P.R. era la velleità di ogni discorso mirante anche alla classe operaia senza tener presente il ruolo egemone e determinante che in essa gioca il Partito Comunista. Ma i tempi non erano maturi per esprimere simili posizioni e si preferì per il momento seguire le indicazioni di Guido Calogero: dedicarsi con attenzione all'evolversi delle idee e delle azioni e prepararsi a poter intervenire con incisività nella vita politica del paese.

NOTE AL CAPITOLO II

1) Il settimanale "Il Mondo", diretto da Mario Pannunzio, visse dal 1949 al 1966. In merito si vedano:

- Pier Franco Quaglieni (a cura di): "Pannunzio e il Mondo", Torino 1971

- "Diciotto anni de Il Mondo", Roma 1966

- Paolo Bonetti: "Il Mondo 1949-1966 - Ragione e illusione borghese", Bari, Laterza, 1975

2) Bonetti: "Il Mondo 1949/66", cit., pag. 83

3) "Taccuino: dovere di scegliere", in "Il Mondo", 10 agosto 1954

4) Per la polemica sui patti agrari, vedi Nicolò Carandini: "Liberali alla ventura", in "Il Mondo", 1 febbraio 1955

5) Taccuini in "Il Mondo": "Padroni e servitori", 22 febbraio 1955 e "La posta in gioco", 1 marzo 1955

6) Mario Paggi: "La frana liberale", in "Il Mondo", 8 marzo 1955

7) Ibid.

8) Per la lotta contro i monopoli, si vedano gli "Atti del convegno "la lotta contro i monopoli"", Bari, Laterza, 1955

9) Il Comitato Esecutivo della Sinistra Liberale era composto da: Nicolò Carandini, Leone Cattani, Vittorio De Caprariis, Giovanni Ferrara, Franco Libonati, Marco Pannella, Mario Pannunzio, Nina Ruffini, Eugenio Scalfari.

10) Vedi allegato n. 1

11) Ibid.

12) Nicola Adelfi: "Scissione liberale battesimo radicale: catenaccio a destra", in "L'Espresso", 4 dicembre 1955

13) Ibid.

14) L'o.d.g. della sinistra liberale è riportato in "Il Corriere della Sera" del 9 dicembre 1955: "Il congresso liberale si inaugura oggi a Roma", firmato A.A.

15) Sulla politica del Partito d'Azione, si veda Leo Valiani: "Dall'antifascismo alla Resistenza", Milano 1959

16) Leo Valiani: "Il Partito Radicale e la situazione politica", a cura del P.R., Roma 1956, pag. 30-32

17) Per la lotta contro i monopoli, vedi gli "Atti di Convegno", Bari, Laterza 1955, cit.

18) "Una lettera di Piccardi", in "Il Mondo" 24 gennaio 1956

19) Per la storia del Partito Radicale fino agli anni '70, si veda Massimo Teodori: "I Nuovi Radicali", Milano Mondadori 1977 e Fabio Morabito: "La sfida radicale", Sugar Co. Milano 1977

20) "Per un partito moderno" in "Il Mondo", 10 gennaio 1956, pag. 1 (Su questo appello torniamo in seguito)

21) Piccardi: "La sedia vuota", in "Il Mondo" 10 gennaio 1956

22) Ibid.

23) Mario Paggi: "Protagonisti radicali" in "Il Mondo" 17 gennaio 1956

24) Ibid.

25) Ibid.

26) A.C. Jemolo: "Io difendo Malagodi" in "Il Mondo" 1 novembre 1955

27) Ugo La Malfa: "Un passo avanti" in "Il Mondo" 27 dicembre 1955

28) Tra gli altri ebbero l'incarico della Presidenza UNURI, tra il 1953 e il 1956, i seguenti rappresentanti dell'UGI: G. Faustini, S. Stanzani, A. Kenzer, V. Boni, P. Cabras, M. Pannella, P. Ungari

29) Guido Calogero in "Il Mondo" 24 gennaio 1956

30) Ibid.

31) Ibid.

32) Ibid.

33) Ibid.

34) Vedi Massimo Teodori: "I nuovi radicali", Mondadori, cit.

35) L. Cattani, dal suo intervento alla costituzione del P.R., Roma, Palazzo Brancani. In "Avanti", 10 dicembre 1955

36) Fondo di Pietro Nenni in "Avanti", 11 dicembre 1955, pag. 1. Segue il fondo un articolo anonimo: "I radicali annunciano il loro programma politico"

37) Nenni, ibid.

38) Nenni, ibid.

39) Franco Roccella: relazione al congresso UGI di Firenze, 1952

in "Il Veltro" n. 1/2, 1964, cit., pag. 228

40) Tutti i punti di questo programma e la citazione sono ne "Il Corriere della Sera" dell'11 dicembre 1955 e nell'"Avanti!" dello stesso giorno

41) Ibid.

42) Ibid.

43) Circolare a tutte le sezioni del P.R. e ai Consiglieri Nazionali, datata 11 dicembre 1956. Vedi allegato n. 2

 
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