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Aglietta Adelaide - 1 febbraio 1979
(15) DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE: La campagna dei referendum: schizofrenia di una giurata
di Adelaide Aglietta

INDICE:

"Prefazione" di Leonardo Sciascia

Il coraggio della paura

Una città assediata

L'appuntamento con i violenti

Fiori in tribunale

Nel bunker

La prossima sarà Adelaide Aglietta

Giustizia per Giorgiana Masi, giustizia per il maresciallo Berardi

La strage di via Fani

La questione dell'auotodifesa

Il dibattimento è aperto

Tragedia nel paese, illegalità in Parlamento, noia in tribunale

Curcio: "Un atto di giustizia rivoluzionaria"

Frate Mitra

La campagna dei referendum: schizofrenia di una giurata

La parola è alle parti

La Corte si ritira, il mio compito è finito

Perché questo libro

SOMMARIO: Adelaide Aglietta, torinese, è entrata nel Partito radicale nel 1974. Dopo aver militato nel CISA per la depenalizzazione e la liberalizzazione dell'aborto e poi nel Partito radicale del Piemonte, è stata capolista radicale a Torino nelle elezioni del 20 giugno 1976. Nel novembre successivo è stata eletta segretaria del Partito radicale, carica che le è stata riconfermata per il 1978 al Congresso di Bologna. Estratta a sorte, nel marzo 1978, come giurata popolare nel processo di Torino alle Brigate Rosse, ha accettato l'incarico dopo che si erano verificati più di cento rifiuti da parte di altrettanti cittadini, consentendo così la celebrazione del processo.

Adelaide Aglietta è stata dunque il primo segretario di partito a partecipare ad una giuria popolare: il suo diario nasce da quest'esperienza al confine del lavoro politico e della vita privata, fra le tensioni e contraddizioni che il ruolo di giudice popolare, soprattutto in un processo politico, non può non creare.

Attualmente è deputata al Parlamento europeo.

("DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE" - Adelaide Aglietta - Prefazione di Leonardo Sciascia - Milano Libri Edizioni - febbraio 1979)

LA CAMPAGNA DEI REFERENDUM: SCHIZOFRENIA DI UNA GIURATA

Giovedì 18 maggio. L'udienza è sospesa, per permettere che si faccia il processo a Curcio e Franceschini per apologia di reato. Leggo la pena assurda che viene comminata: penso con amarezza che questo era uno degli articoli del codice Rocco che prevedono i reati d'opinione dei quali chiedevamo l'abrogazione. Non è impedendo a chicchessia di esprimere le proprie opinioni, sia pure apologetiche di reato, che si argina la criminalità, ma arrestando i criminali; e non è impedendo che si vilipendio i capi di Stato o le istituzioni che si ridà a queste credibilità. Mi viene in mente il caso del ragazzino sospeso qualche settimana fa dalla scuola perché aveva dichiarato di essere brigatista rosso: sono le conseguenze ridicole di uno Stato nel quale i reati d'opinione continuano ad essere il baluardo di una giustizia borbonica. La sera, mentre sono a Milano per la campagna elettorale referendaria, c'è la prima trasmissione televisiva dei comitati dei referendum e del Partito radicale. La trasmissione, ventiquattro m

inuti complessivi, si svolge nel silenzio assoluto: Emma, Marco, Gianfranco, Mauro si presentano sullo schermo imbavagliati, e tali rimangono per venti minuti, limitando agli ultimi quattro la spiegazione del messaggio che si è voluto, in questo modo così insolito, trasmettere. I tempi televisivi sono una truffa: scarsi, lottizzati e senza confronto diretto fra le forze politiche; da mesi non abbiamo diritto di parola e di opinione; i cittadini non devono poter "conoscere per giudicare", un cinico modo per sperare di raggirarli. Se, in queste condizioni, avessimo accettato di svolgere il nostro ruolo normalmente e nei modi previsti, saremmo stati a nostra volta conniventi e responsabili del sopruso e dell'illegalità imposti al paese.

Le immagini dei quattro radicali denunciano platealmente e grottescamente la situazione dell'informazione di regime; i cittadini che hanno visto recapitare a casa i certificati elettorali senza saperne nulla si pongono ora qualche domanda, i partiti della maggioranza sono costretti a venire allo scoperto: dal giorno seguente ha infatti inizio la vera campagna elettorale, tutti i giornali sono costretti a parlare dei referendum. Per inciso, la trasmissione è quella che ha avuto il più alto indice d'ascolto tra le trasmissioni politiche.

Venerdì 19 maggio. Il referendum sulla legge Reale è ormai certo: l'ostruzionismo dei deputati radicali (quattro su seicento, anzi su più di mille contando i senatori) ha avuto successo, i tempi per cambiare la legge sono slittati irreparabilmente.

La mia vita per un mese non avrà più sosta. Non riuscirò quasi più a ritagliarmi gli spazi di tempo da trascorrere con le bambine, che sono stati in questo periodo quelli più rilassanti, sereni e allegri. Finite le udienze, passerò da un comizio all'altro, da una radio ad una televisione privata. Nonostante cerchi di limitare le richieste, passerò molte delle mie notti in autostrada, mezzo addormentata, per riuscire ad arrivare in orario alle udienze della mattina. Ma anche questo periodo, che in minima parte mi fa rinascere la volontà di lottare insieme a un po' di entusiasmo, lo vivrò in modo paranoico, non in sintonia con i compagni di partito: anzi spesso con angosciose contrapposizioni. Non partecipando al lavoro collettivo di impostazione della campagna politica avrò spesso la sensazione di essere un robot o, ancora peggio, un pacco postale, costretta a passare attraverso due realtà diversissime, senza i tempi sufficienti per adattarmi alle due diverse dimensioni: esco dalla caserma Lamarmora e passo i

n via Garibaldi, la sede del partito, dove mi viene dato il mio "ruolino di marcia", e subito riparto. Una o due colte sarò costretta a chiedere a Barbaro di adattare parzialmente i tempi del processo alle mie esigenze: lo troverò sempre comprensivo.

Lunedì 22 maggio. Con grande soddisfazione di Barbaro, della giuria e di molti avvocati, oggi viene a deporre il giudice Sossi. Non che nessuno si attenda grosse novità o dichiarazioni esplosive, evidentemente, ma la prepotenza e l'arroganza con le quali costui ha tentato si sottrarsi a questa incombenza hanno influenzato tutti negativamente, anche chi non ha nessuna conoscenza della persona e del suo operato.

Prima di aprire l'udienza, ci sono le solite perplessità su come andrà a finire, sulle eventuali reazioni degli imputati e, conoscendolo, anche del giudice. In effetti, oltre a fornire la ricostruzione dei fatti relativi al suo rapimento ed alla sua detenzione, il giudice Sossi se ne esce - dopo quattro anni - con un nuovo ricordo: Lazagna fu esplicitamente menzionato come rappresentante dell'organizzazione dai suoi carcerieri, che fecero pure richiami ad altri avvocati come persone con cui avevano rapporti, in particolare la Guidetti-Serra, Arnaldi e Guiso. La Guidetti-Serra reagisce indignata e detta a verbale una dichiarazione, menzionando fatti che smentiscono Sossi. L'avvocato Zancan chiede come mai le accuse su Lazagna vengano fuori proprio oggi, e mai negli interrogatori dopo la sua liberazione: appare sorprendente e poco credibile che particolari di questa portata affiorino solo ora dalla memoria del giudice o, come sostiene Sossi, che siano sfuggiti a Caselli nel corso di una istruttoria già non abb

ondante di fatti e testimonianze precisi. Nella confusione generale, Ognibene e Franceschini interrompono la testimonianza per rievocare il passato del giudice, smentire di aver mai avuto loro infiltrati al Viminale, porre domande a Sossi.

L'avvocato di Sossi sbotta che è ora di finirla di condurre così il dibattimento, ma Barbaro lascia la parola all'imputato che contesta le affermazioni del giudice. Gli imputati puntualizzeranno la loro posizione nei confronti di Sossi in un comunicato, il n. 17, che consegneranno alla corte il 29 maggio.

1) Sossi ha collaborato con le forze rivoluzionarie a smascherare la macchinazione costruita intorno al processo dei G.A.P. Interrogandolo abbiamo potuto individuare e ricostruire le forze e le tecniche che la controrivoluzione ha messo in campo per annientare i compagni dei G.A.P. di Genova...

...Sossi ha parlato chiaro, gli uomini che hanno istituito il processo speciale e che lo hanno diretto secondo gli interessi e le direttive del potere politico, sono i suoi colleghi e superiori: CASTELLANO, GRISOLIA, COCO!...

...Il processo di Ge è stato PRECOSTITUITO, l'unico obiettivo era di arrivare ad una condanna esemplare, non solo degli uomini, ma prima di tutto delle loro tesi politiche...

...Con l'interrogatorio ed il processo di Sossi, abbiamo potuto verificare concretamente il ruolo di subordinazione della magistratura alle direttive dell'esecutivo. Non a caso ciò si è concretizzato in modo evidente proprio nel primo tentativo di processare un'organizzazione comunista combattente...

...Dallaglio e Saracino sono i nomi dei funzionari del SID che, al momento giusto passavano a Sossi le veline da utilizzare contro i compagni. Lui, da bravo P.M. non si è mai chiesto la ragione di questa intromissione; ma forse questa è un'abitudine comune tra i P.M. ...!

Il traffico di armi tra la questura di Ge e due armerie. Il poliziotto Catalano, che è uno degli artefici del processo ai G.A.P., si è fatto i soldi con questo traffico losco...

...Catalano però ha le spalle coperte: al Ministero degli Interni c'è Taviani, al vertice della magistratura genovese Coco; così l'istruttoria sul traffico illecito, viene prima assegnata al fido Castellano, e poi sparisce.

La paura di Sossi. Dopo averci parlato di questi fatti e averci indicato i nomi (e gli INDIRIZZI) dei potenti personaggi che ne sono i responsabili, Sossi ha più paura dei poliziotti e dello Stato che non delle BR...

...Sossi aveva già collaborato attivamente (anche suo malgrado) con le forze rivoluzionarie e questo è uno fra i diversi motivi per cui abbiamo deciso di "sospendere" la condanna contro di lui e di rimetterlo in "libertà provvisoria".

2) Una precisazione a proposito della insinuazione velenosa di rapporti tra le BR e l'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno. Ribadiamo che l'unico rapporto esistente e possibile tra i combattenti comunisti e il Ministero degli Interno è già stato definito con una serie di operazioni che vanno da Tuzzolino, a Berardi, a Demartini...

A proposito del massacro nel carcere di Alessandria, al di là delle fantasie ben retribuite del "frate spia", non c'era certo bisogno di veline per formulare un tipo di analisi che tutto il movimento faceva.

Nell'operazione di Alessandria c'era un significato simbolico più generale e un riferimento preciso all'operazione Sossi. La violenza messa in campo contro tre detenuti non era riferibile alla pericolosità del fatto. In realtà TAVIANI, REVIGLIO, DALLA CHIESA parlavano a noi; si voleva evitare un precedente e dimostrare che lo Stato aveva scelto la strada della forza...

...3) L'azione di Genova ha una sua storia. Non è nata dalla testa di qualcuno, ma ha la sua origine nelle lotte operaie di quegli anni, in particolare nelle lotte della FIAT che hanno sempre rappresentato la punta più avanzata dell'offensiva operaia in Italia.

Per capire il significato politico del sequestro di Sossi, occorre dunque partire da quel punto di svolta che sono state le lotte operaie che hanno portato Torino alla "settimana rossa" con l'occupazione di Mirafiori e ai fenomeni di organizzazione spontanea degli operai sul terreno del potere proletario armato come i "fazzoletti rossi"...

...Di fronte all'incalzare delle lotte operaie, da una parte cresce l'interesse della FIAT per le forze che all'interno del PCI spingono per una svolta di tipo socialdemocratico...

...Dall'altra si inserisce in modo organico all'interno della DC e della Confindustria che sono i centri politico-economici fondamentali per il progetto di ristrutturazione imperialista dello Stato (Gianni Agnelli assume la presidenza della Confindustria e Umberto Agnelli prepara la sua ascesa politica dentro la DC).

All'interno del movimento operaio si definiscono due linee di "uscita dalla fabbrica", cioè il superamento della parzialità dell'iniziativa di fabbrica...

...Come dicevamo allora in un nostro documento: "Compromesso storico o potere proletario armato, questa è la scelta che i compagni devono oggi fare. Una divisione s'impone in seno al movimento operaio, ma è da questa divisione che nasce l'unità del fronte rivoluzionario che noi ricerchiamo".

La sola prospettiva valida per le avanguardie comuniste è quella di uscire con le armi dalle fabbriche per estendere l'offensiva rivoluzionaria ai centri vitali dell'imperialismo. Ed è questo ciò che accade nel '74...

...A proposito del CRD e di Beria d'Argentine. La strategia che ha portato alla riunione di Biumo e alla nascita del CRD è la stessa delle bombe di Piazza Fontana e della mobilitazione dei ceti reazionari della "Maggioranza silenziosa"...

...Fino al '74 i progetti di Sogno coincidono con gli obbiettivi strategici della politica imperialista in Italia...

...Il fallimento dei piano dei "golpisti bianchi" non significa la fine del progetto imperialista.

Dopo la sconfitta di Fanfani al referendum del '74, si sviluppa nella DC la linea Moro di "attenzione" e di "apertura" al PCI.

A questo punto è la DC ad assumersi come partito dell'imperialismo il compito della RIFONDAZIONE dello STATO, mentre il PCI, da parte sua, garantisce quella resa sociale indispensabile alla "cogestione della crisi"...

...Ci pare emblematica la figura di Beria d'ARGENTINE.

Intanto ribadiamo l'esistenza di una lettera a Sogno in occasione del Convegno sulla "rifondazione dello stato" a cui Beria rinuncia a partecipare per motivi di "convenienza politica", ma al quale invia una propria relazione pregando Sogno di leggerla senza citare il suo nome...

...La posizione politica assunta da Argentine è rappresentativa della continuità dell'iniziativa imperialista in Italia in questi anni al di là delle vicissitudini del quadro politico. Ed è indicativa del ruolo ricoperto da questi "tecnici della controrivoluzione" che costituiscono il personale politico imperialista. Argentine infatti sarà proprio uno degli ispiratori del programma sull'ordine pubblico proposto dal governo Andreotti e approvato col favore del PCI.

A partire da questa data si attua una svolta nella RISTRUTTURAZIONE dello STATO che porta fino alla realizzazione delle CARCERI SPECIALI, dei TRIBUNALI SPECIALI e delle TRUPPE SPECIALI ANTIGUERRIGLIA.

L'udienza finisce con uno strascico di polemiche nel corridoio. Non posso non amministrare l'indifferenza di Barbaro di fronte ad avvenimenti di questo tipo. Barbaro rimase completamente imperturbabile anche quando gli sospesero la scorta, e sarà superiore anche di fronte al comunicato della magistratura torinese, a sostegno indiretto della posizione di Moschella, e polemico nei suoi confronti. Questa linearità di comportamento, a parte pochissime eccezioni, è ciò che di Barbaro mi ha colpito ed impressionato più favorevolmente, facilitando i momenti molto frequenti di dialogo che nel corso del processo abbiamo avuto.

Scappo via dall'udienza perché devo prendere un aereo per Roma. Gianfranco Spadaccia mi ha ventilato l'ipotesi di un suo nuovo sciopero della fame, ed eventualmente anche della sete, contro le decisioni della Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI-TV. Ogni volta che qualcuno di noi inizia un digiuno entro in agitazione. La gente, per una sorta di assuefazione determinata soprattutto dall'irrisione e dalla denigrazione dei nostri avversari, non prende in considerazione i rischi di queste azioni nonviolente o perché è indotta a considerarci dei fachiri per i quali è normale digiunare come per gli altri è normale magiare, o perché semplicemente non crede alla nostra onestà nel portarli avanti. Io so bene quanto siano invece costosi per la salute, anche se gli effetti non sono immediatamente avvertibili. So anche che esistono rischi più gravi per la stessa vita di chi li intraprende, e che sono tanto maggiori quanto meno si può contare sull'informazione, cioè sulla onestà e sulla correttezza della stamp

a e della televisione.

Sulla nonviolenza non c'è mai stato dibattito. O viene considerata una sorta di generico rifiuto della violenza, oppure hanno credito e vengono diffuse (quando diventa obiezione di coscienza e disubbidienza civile) le peggiori mistificazioni: la più insidiosa è quella secondo la quale la richiesta del nonviolento è ricattatoria quanto quella del violento (per esempio il sequestratore di persona). Secondo questa tesi, l'unica differenza riconosciuta o almeno non contestata è che l'oggetto della "minaccia" del nonviolento è la propria vita e non quella di altri. Non è una differenza da poco, ma non è la sola. In realtà con il digiuno, con lo sciopero della fame, o con quello della sete, il nonviolento non pretende di imporre la propria volontà contro la legalità vigente; al contrario chiede il rispetto delle regole del gioco fissate dai propri avversari e dalle quali il potere trae la fonte della propria legittimità. Questa volta sono in gioco i principi e la correttezza della campagna elettorale dei referendu

m.

La commissione parlamentare di vigilanza l'ha regolamentata come se fosse una normale elezione politica. Poiché i partiti del NO sono in netta maggioranza, anche calcolando i tempi dei comitati promotori dei referendum, i sostenitori del SI' sono fortemente svantaggiati in una campagna che dovrebbe essere paritaria. Non è stata regolamentate l'informazione dei normali giornali radio e telegiornali, non sono previsti dibattiti e contraddittori, sono state abolite le conferenze stampa, due referendum (formalmente ancora indetti) sono stati arbitrariamente depennati a campagna elettorale già iniziata.

Parto dunque molto preoccupata: voglio conoscere gli obiettivi che Gianfranco vuol dare all'iniziativa e sapere se sono in qualche modo raggiungibili. Si tratta infatti di far correggere dalla Commissione di vigilanza una decisione che è già stata formalmente presa.

Martedì 23 maggio. Mentre sono a Roma con Emma e Gianfranco abbiamo un incontro con il presidente Leone.

Arriviamo al Quirinale cinque minuti prima dell'udienza. L'unico di noi tre presentabile è Gianfranco, in giacca e cravatta. Io sono in pantaloni e maglione, Emma in gomma e zoccoli. Ma non fanno obiezioni al nostro abbigliamento. Ci riceve il segretario generale Bezzi, cortesissimo, che ci introduce subito nello studio del presidente. Giovanni Leone mi appare ancora più piccolo di come lo immaginavo, ma soprattutto molto invecchiato e stanco. Non ha nulla dell'arguzia napoletana, non scevra di qualche volgarità, che l'aveva reso noto in passato. Mi appare come un vecchi signore un po' ridicolo e molto impacciato. Saluta Gianfranco ed Emma, e poi subito si rivolge a me con fare quasi affettuoso per dirmi che "è stato molto apprezzato [proprio così, non di aver molto apprezzato] il mio gesto di accettare l'incarico di giudice popolare al processo di Torino". Cerco di interrompere questa conversazione sul processo. Rispondo seccamente che "ho solo ubbidito alla mia coscienza di cittadina".

Spero che comprenda che non mi sono sentita costretta da altro e che capisca che non intendo parlare del processo. Ma m'accorgo subito di aver di fronte un interlocutore che riesce ad avere poca attenzione per chi gli parla. Continua a chiedermi quanto si prevede che durerà il processo, mi chiede, ancora, del presidente Barbaro; aggiunge di averlo conosciuto quando era ancora giudice di Napoli e di considerarlo un valente magistrato. Ci accompagna quindi dall'altro lato, prospicente alla sua scrivania, dove si trovano un divano e alcune poltrone. Accende nervosamente una sigaretta, infilata in un lungo bocchino, e comincia il colloquio.

L'impressione di prima si rafforza. E' come se tutti i nostri argomenti costituzionali fossero esposti al vuoto. A tutti Leone risponde dicendo che il presidente della Repubblica non ha poteri e competenze diretti, in materia, ma solo un potere di influenza e persuasione sugli organi costituzionalmente competenti.

Ma non è questa volta l'arroganza del potere che si nasconde dietro questo atteggiamento: è come se non riuscisse proprio a concentrarsi, a prestare attenzione, a comprendere il contenuto dei nostri argomenti. Penso che sia impossibile che un professore universitario, un avvocato, un uomo dalla lunga esperienza politica e parlamentare, sia privo della più elementare capacità di attenzione e di dialogo. Evidentemente mi trovo di fronte ad un uomo estremamente provato. Non mi suscita irritazione, ma soltanto pena. Penso quanto sia ingiusto averlo a tutti i costi voluto mantenere in quel posto, nonostante la gravità delle accuse e dei sospetti: ingiusto e pericoloso per la Repubblica, ma anche per lui. Ho come la sensazione che invece di concentrarsi sui nostri discorsi, sia condizionato dal filo di questi pensieri non espressi.

Alla fine Gianfranco, dopo un quarto d'ora, riesce a fargli intendere questo concetto: che la costituzione riconosce a lui, e solo a lui, come presidente della Repubblica, il potere di indire i referendum, e che quindi la Commissione di vigilanza sulla RAI-TV, cancellando due dei quattro referendum ancora formalmente indetti, ha invaso le sue competenze. Il nostro parere è che non solo il presidente della Repubblica ha il potere, ma "anche il dovere" di intervenire nei confronti di uno "sconfinamento" di questa natura. Anche Bezzi interviene per spiegare il concetto e alla fine l'argomento sembra colpirlo: la constatazione che una sua attribuzione costituzionale non è stata tenuta in nessun conto sembra farlo in qualche modo reagire. In conclusione ci assicura che eserciterà il suo potere di persuasione presso i presidenti delle Camere per gli altri problemi da noi sollevati, mentre per quanto riguarda questo "sconfinamento" della Commissione di vigilanza sulla RAI-TV interverrà direttamente presso il presid

ente della commissione con un documento. Viene anche concordato con Bezzi un comunicato in questo senso.

Non c'è da aspettarsi, a questo punto, che la cosa possa avere alcun seguito pratico. Ma per noi quest'intervento ha comunque un valore di principio: è l'ulteriore testimonianza delle illegalità commesse dalla maggioranza, della disinvoltura con cui il potere piega le leggi ai suoi interessi.

Dopo tre quarti d'ora di udienza, riattraversiamo a piedi il cortile che fiancheggia i giardini del Quirinale. Una macchina ministeriale lo attraversa in senso opposto. Dentro c'è Piccoli che si reca dal capo dello Stato. Ci guarda con aria stupita, come se non si attendesse in incontrarci in quel posto.

Prima di riprendere l'aereo per Torino Gianfranco mi prega di non unirmi alla sua iniziativa. Comprendo le ragioni senza bisogno che me le spieghi: a febbraio sono stata molto male fisicamente, e i medici hanno attribuito questo mio stato di profonda debolezza ai digiuni dell'anno precedente. Assicuro Gianfranco che farò lo sciopero della fame e non quello della sete. Ennio Boglino, il compagno che come medico ci assiste sempre in queste circostanze, è come al solito innervosito. Forse fra tutti noi è quello che soffre di più. Ricordo le sue telefonate angosciate da Madrid, nottetempo, quando Marco stava facendo lo sciopero della sete per i diritti degli obiettori di coscienza in carcere.

Mercoledì 24 maggio. Arrivo alla caserma Lamarmora e sono colta dall'atmosfera di suspense, di fronte alla notizia che in provincia di Cuneo è stato rubato un camion di divise dei carabinieri: alcuni fanno l'ipotesi che il fatto possa preludere a una azione contro la caserma Lamarmora, per liberare i prigionieri. Scrollo le spalle, mi pare fantascienza. Ascoltiamo Beria d'Argentine che, chiamato in causa dalle dichiarazioni degli imputati sui suoi rapporti con Sogno e con il progetto del Centro di Resistenza Democratica, ha chiesto di venire a deporre. E' evidente che semai il suo posto sarebbe nel processo contro Sogno, non qui. Infatti le sue dichiarazioni non portano contributi aggiuntivi sui fatti dei quali dobbiamo giudicare.

Ho iniziato lo sciopero della fame in appoggio a quello di Gianfranco e di altri compagni: per una settimana sarò oggetto di curiosità di attenzioni. Il presidente Barbaro mi chiede subito preoccupatissimo che cosa si debba fare nel caso mi senta male e se è necessario un medico. Un avocato che non conosco, dopo aver sentito un mio intervento sugli scopi del digiuno ad una televisione libera, mi avvicina e mi manifesta la sua solidarietà ed il suo rispetto per questo tipo di iniziative. Persino il P.M. Moschella mi viene a stringere la mano dicendomi che, nonostante le frequenti divergenze, non può che rispettare chi fonda la lotta politica su azioni nonviolente. L'atteggiamento degli imputati è ironico: Semeria, durante l'arringa del P.M., avendo notato una mia momentanea assenza dovuta all'arrivo di un compagno del partito che mi porta notizie urgenti, esclama rivolto a Moschella: "Ne ha già fatta fuori una della giuria... A meno che non sia andata a mangiare un panino". L'udienza viene sospesa per rintrac

ciarmi. Gli avvocati che io conosco si limitano a disapprovare recisamente la cosa, puntualizzandola con battute maschiliste, cui anche il presidente non si sottrae. forse la presenza mia e di altre donne avvocato e femministe invoglia a questo tipo di battute.

Dopo una settimana, grazie al passaggio allo sciopero della sete da parte di Gianfranco, con un rischio non indifferente reso evidente dalle sempre più preoccupanti analisi cliniche, riusciremo ad ottenere un supplemento di informazioni Tv in misura uguale per tutti. I dibattiti contrapporsi invece sono stati bloccati dai commissari comunisti: il confronto su questi referendum non è accettato. La maggioranza che sulla carta ha il 94 per cento si è impaurita.

Torino e tutta Italia nel frattempo sono state invase dagli slogan farneticanti diffusi dell'"Unità" e dal PCI: i radicali sono a volta a volta non solo più irresponsabili, o folcloristici, ma fascisti, qualunquisti, destabilizzanti e fiancheggiatori dei terroristi.

Questa campagna all'insegna della diffamazione non ha bisogno di risposte, si commenta da sola: non c'è nessuno disposto a credere a queste incredibili e oltre a tutto contraddittorie affermazioni. Il paese la respingerà. Tutti gli avvocati di sinistra presenti al processo, a parte i tre comunisti, sono indignati e vengono a parlarmene, a volte chiedono che cosa facciamo per rispondere. Io ribadisco che tanto più in questa occasione sono i fatti che parlano per noi: la nostra linearità di posizioni è continua e chiara, altri devono spiegare perché dopo aver contestato il codice Rocco e la legge Reale sono quest'anno diventati i difensori dell'uno e dell'altra.

Quelle che invece vanno smentite sono le affermazioni che hanno inizio con l'intervento in televisione di Ugo Spagnoli, e che continueranno con diverse sfumature e aggiustamenti di tiro durante tutta la campagna elettorale, diventando il cavallo di battaglia dell'"Unità", dei manifesti e dei comizi comunisti. Si afferma che se venisse abrogata la legge Reale sarebbero rimessi in libertà Concutelli e Curcio, i "mostri" del Circeo, Ferrari e Vallanzasca. Illustri giuristi, non sospetti di simpatie radicali, smentiscono indignati queste affermazioni. Io lo farò nell'intervento in televisione, l'unico durante la campagna elettorale, che mi è costato una corsa affannosa a Roma e due notti insonni, per rispettare i tempi del processo di Torino.

Giovedì 25 maggio. Mentre discuto aspramente con un giurato che ha come sua unica fonte d'informazione "l'Unità", mi viene in mente una dichiarazione comunista sui referendum, riportata in gennaio sulla "Stampa": "I referendum sono tali da provocare uno scontro confuso e lacerante, che servirebbe a riunire un fronte assai vasto ed equivoco di difensori dell'ordine". Gliela ricordo senza commentarla.

Anche attraverso le bambine, inevitabilmente, vengo a contatto con l'"esterno": pure nelle loro scuole si parla di referendum. Mentre pranzo con loro Francesca mi narra un episodio, mettendola un po' sul ridere, ma in realtà ne è rimasta turbata. Un suo compagno di scuola, figlio di un "ortodosso" del PCI, l'ha accusata di essere "fascista, come la tua mamma". Ci penso su un momento, per capire se è il caso di parlarle e di chiarire. Poi mi accorgo, dal suo commento, che è inutile. Francesca, nonostante i suoi dodici anni, è una bambina matura e forte. Il fatto però mi preoccupa, è una fedele "spia" del clima che ci stanno creando intorno.

Oggi anche il PSI ha preso ufficialmente posizione per il NO, lasciando peraltro liberi i propri iscritti di votare come credono quasi ce ne fosse bisogno. Il processo intanto continua fra il disinteresse generale: anche nei corridoi fuori dell'aula il tempo passa in discussioni politiche, a volte molto accese. Invece l'udienza di oggi è quasi storica: "Il dibattimento è chiuso" annuncia Barbaro. Pare quasi di sentire, insieme a quello del presidente, un sospiro di sollievo collettivo.

 
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