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Aglietta Adelaide - 1 febbraio 1979
(16) DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE: La parola è alle parti
di Adelaide Aglietta

INDICE:

"Prefazione" di Leonardo Sciascia

Il coraggio della paura

Una città assediata

L'appuntamento con i violenti

Fiori in tribunale

Nel bunker

La prossima sarà Adelaide Aglietta

Giustizia per Giorgiana Masi, giustizia per il maresciallo Berardi

La strage di via Fani

La questione dell'auotodifesa

Il dibattimento è aperto

Tragedia nel paese, illegalità in Parlamento, noia in tribunale

Curcio: "Un atto di giustizia rivoluzionaria"

Frate Mitra

La campagna dei referendum: schizofrenia di una giurata

La parola è alle parti

La Corte si ritira, il mio compito è finito

Perché questo libro

SOMMARIO: Adelaide Aglietta, torinese, è entrata nel Partito radicale nel 1974. Dopo aver militato nel CISA per la depenalizzazione e la liberalizzazione dell'aborto e poi nel Partito radicale del Piemonte, è stata capolista radicale a Torino nelle elezioni del 20 giugno 1976. Nel novembre successivo è stata eletta segretaria del Partito radicale, carica che le è stata riconfermata per il 1978 al Congresso di Bologna. Estratta a sorte, nel marzo 1978, come giurata popolare nel processo di Torino alle Brigate Rosse, ha accettato l'incarico dopo che si erano verificati più di cento rifiuti da parte di altrettanti cittadini, consentendo così la celebrazione del processo.

Adelaide Aglietta è stata dunque il primo segretario di partito a partecipare ad una giuria popolare: il suo diario nasce da quest'esperienza al confine del lavoro politico e della vita privata, fra le tensioni e contraddizioni che il ruolo di giudice popolare, soprattutto in un processo politico, non può non creare.

Attualmente è deputata al Parlamento europeo.

("DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE" - Adelaide Aglietta - Prefazione di Leonardo Sciascia - Milano Libri Edizioni - febbraio 1979)

LA PAROLA E' ALLE PARTI

Giovedì 25 maggio. La parola ora è alle parti civili, al P.M., alle difese, infine agli imputati. Poi sarà alla giuria.

Seguo quest'ultima fase del processo in modo distaccato, con la mente alla campagna elettorale: la mattina, stanca e insonnolita, sono alla caserma Lamarmora, il pomeriggio, la sera e di notte sono sempre in viaggio.

Mercoledì 31 maggio. Mentre le arringhe delle parti civili sono scontate, c'è una certa attesa per la requisitoria del P.M. Mi appresto a seguirla in un stato d'animo indecifrabile, ma non sereno. Le argomentazioni del P.M., anche se non sono sempre facili da capire perché il modo di esporle è come sempre assai tecnico, seguono sistematicamente le argomentazioni di Caselli: l'accusa affonda le radici nel ritrovamento dei covi, che distingue per ordine di importanza a seconda del materiale in essi ritrovato. I covi sono il punto di congiunzione tra i documenti che portano ai reati contestati e l'dentità degli imputati. Quelle che continuano a mancare sono però le prove precise delle singole responsabilità di coloro che hanno commesso i singoli fatti.

Giovedì-venerdì 1-2 giugno. La requisitoria del P.M. continua serrata per tre giorni; cerca di ripercorrere la storia del nucleo storico delle BR e dei reati che stiamo giudicando, ma non riesce a superare questi limiti.

C'è intanto una conferenza stampa dei giurati per denunciare il fatto che, forse per la poca chiarezza della normativa in materia, a due giurate lo stipendio non viene pagato per intero, ma decurtato a causa della forzata assenza dal lavoro, nonostante lo Stato non abbia ancora provveduto al loro compenso per l'incombenza cui le ha chiamate.

Stiamo infine arrivando al termine della requisitoria del P.M.; quando Moschella nomina la Carletti, Buonavita ha uno scatto da dentro la gabbia: "Non ti permettere di nominarla"; gli fa eco Franceschini: "Ti lasciamo in vita perché ci servi, sei troppo stupido". E' l'ultimo fiacco tentativo di aprire una schermaglia.

Venerdì mattina, in un silenzio di tomba, il P.M. chiede le pene. Mi sento chiudere lo stomaco: sono travolta da un senso di angoscia, come di fronte alle catene, alla gabbia, alle visite alle carceri. E provo indignazione quando sento che per le donne (in particolare per Nadia Mantovani), in quanto ritenute pedine minori coinvolte nella vicenda solo per il legame con i rispettivi compagni, sono chieste pene minori. Neppure la dignità delle "proprie" idee!

Al termine dell'udienza mi guardo intorno: mi accorgo di non essere l'unica, della giuria, pallida e scossa.

Nei giorni successivi ho appena tempo di scorrere i giornali, completamente sommersa dalla campagna politica. Con mio stupore, i giornalisti e i soliti esperti disquisiscono sulle richieste del P.M. Moschella che appaiono a tutti indulgenti. Forse, solo essendo direttamente coinvolti in un processo si riesce a valutare con lucidità che cosa significhi esattamente la perdita della libertà e come anni di detenzione non siano un fatto astratto, ma una dura realtà che dovrà essere vissuta giorno dopo giorno; e come, questa volta, non sia stato detto che questi imputati non sono quelli che hanno insanguinato il paese in questi anni e che i reati dei quali sono accusati non prevedono pene superiori a quelle richieste. Ancora una volta è proprio vero: la funzione della stampa è stata fondamentale...

Domenica faccio un giro di comizi in Piemonte, per un giorno ritrovo il contatto vitalizzante con i compagni e con la gente, e riesco a scrollarmi di dosso il carico di tristezza e di opacità che porto dietro.

Stiamo per affrontare gli ultimi quindici giorni del processo: la mia insofferenza è ormai all'esasperazione. In questi giorni riuscirò però a tirare le fila dei rapporti stabiliti, magari anche con il silenzio, in questi due mesi all'interno della caserma Lamarmora.

Lunedì-martedì 5-6 giugno. Iniziano le arringhe dei difensori di Borgna, Levati, Carletti. Inizia anche l'applicazione della nuova legge sull'aborto e appaiono le prime denunce dell'inagibilità degli ospedali, delle obiezioni di coscienza dei medici, ben superiori a quelle previste, delle difficoltà oggettive di poter applicare questa legge.

Credo di dover ringraziare l'avvocato Bianca Guidetti-Serra della sua arringa in difesa della Carletti; è riuscita con la sua lucidità, con la precisione delle argomentazioni giuridiche, con una seria valutazione della storia personale, morale, sociale della figura e delle motivazioni dell'imputata, a dare un esempio importante di come il diritto, al di là delle norme e dei codici, non possa mai essere sganciato dalla realtà storica e sociale cui viene applicato: tutto questo senza ovviamente mai prescindere dal principio chiave della certezza del diritto, come fondamento della convivenza civile.

La figura di Bianca, al di là della sua credibilità e della stima di cui gode non solo a Torino, ma in tutti i fori italiani, è stata in questi lunghi mesi, con la sua presenza serena e riservata, con la sua decisione e correttezza, uno dei punti di riferimento, almeno per me, in questa vicenda processuale difficile, travagliata, spesso prevaricata dall'esterno.

Mercoledì 7 giugno. Si alza a parlare l'avvocato Zancan. Per sei ore terrà inchiodata la giuria e l'aula alla sua arringa in difesa dell'avvocato Lazagna, portando sicuri e inoppugnabili elementi di dubbio anche grave rispetto alle tesi della pubblica accusa. Al termine della sua difesa, che ha avuto il pregio di distaccarsi dalla terminologia strettamente giuridica per riuscire comprensibile a tutti, nella giuria ci saranno grosse discussioni sul merito delle tesi svolte.

In questa fase, ritrovo con alcuni componenti della giuria un dialogo reale. La consapevolezza dei limiti di un processo (non solo di questo), della difficoltà di restare nei confini del diritto di una istruttoria così lacunosa, della fragilità di alcune prove e quindi la consapevolezza della responsabilità angosciosa di giudicare, sono diventati finalmente patrimonio di altri giurati. Cade la barriera che in questi mesi ci ha a volte inevitabilmente separati.

In particolare con una donna della giuria riapro un rapporto di solidarietà: da una posizione direi superficiale è approdata ad una comprensione della realtà di classe e delle ingiustizie socilai che ha radicato in lei la volontà di affermare una giustizia non discriminante, fondata su fatti e prove reali, non influenzata da preconcetti. La difficoltà di rapporti iniziale, determinata anche da una vaga conflittualità rispetto al mio essere figura pubblica e quindi pubblicizzata, cade per lasciar posto a un confronto, a un rapporto serio e leale.

Barbaro solitamente riservato si lascia andare oggi ad alcune confidenze. All'improvviso all'ora di pranzo aveva ordinato una lunga sospensione del processo. Non era mai accaduto e non ce ne spiegavamo la ragione. Quando lo incontro nel pomeriggio gliene chiedo il motivo: si scusa e mi dice di aver sentito il bisogno di andare a casa perché la moglie gli aveva detto che sua figlia era stata presa da una crisi di angoscia. "Le ho parlato, adesso è tranquilla. L'ho lascata, come sempre, vicina alla radio". Apprendo così che la figlia è una ascoltatrice assidua di Radio Radicale. Rifletto sulla vita che quest'uomo e la sua famiglia sono costretti a vivere, ormai da anni, prigionieri quali sono delle scorte armate, sotto la minaccia costante delle BR.

Terminata l'udienza esco frettolosamente dalla caserma: come ormai da vari giorni alcuni compagni mi attendono, con una macchina, e subito ricomincia il "tran-tran" della campagna elettorale: mancano pochissimi giorni al voto, l'impegno si intensifica. Alle sei del pomeriggio, fra una radio e una televisione privata, corro ad improvvisare uno degli ultimi comizi, in una sala del centro. Come al solito, dove è annunciata la mia presenza salta agli occhi un insolito schieramento di polizia, e agenti in borghese si mescolano fra il pubblico. Li riconosco bene, alcuni di loro sono fra quelli che, imperterriti, continuano da mesi a recitare (male) la parte dei cittadini interessati al processo, nel settore dell'aula riservato al pubblico. Parlando sfogo le mie tensioni, le preoccupazioni: mi soffermo, a lungo, sul tema dell'ordine pubblico. Alla fine del comizio mi si avvicina un alto funzionario di polizia, che ho già avuto occasione di conoscere: "Lo sappiamo noi quanto avete ragione... Le leggi Reale sono le l

eggi del disordine, altro che dell'ordine pubblico. Siamo in molti, sa, a votare SI', domenica...". Lo dice a bassa voce, ma lo dice. E questo è l'importante.

Venerdì 9 giugno. Continuano gli interventi degli avvocati della difesa. E' di scena Arnaldi, per alcuni imputati minori. Cerca di fare un esame dei motivi per cui è nato il fenomeno del terrorismo, di far emergere le motivazioni degli imputati, di ricondurle al valore sociale e morale che intendono esprimere, al di là dei fatti e dei comportamenti che hanno determinato. Per questi motivi chiede in via subordinata le attenuanti previste e applicate normalmente nei "delitti d'onore" e in altre occasioni.

La reazione della stampa è sorprendente. Sabato, mentre sono alla radio impegnata dal giorno prima in un filo diretto in vista del voto di domenica, leggo sui quotidiani un linciaggio nei confronti dell'avvocato Arnaldi che mi lascia sgomenta e che dà il segno di come questo processo all'esterno sia stato colto e vissuto come un processo "speciale", certamente così è stato imposto all'opinione pubblica dalla stampa. Insieme a quella di Guiso, che parla di uso spregiudicato della prova penale, che distingue fra rivoluzionari e terroristi e si richiama anche lui al particolare valore sociale delle motivazioni che hanno spinto gli imputati, sono le uniche due arringhe in cui si tenta un esame più approfondito del fenomeno del terrorismo, del nascere e dello svilupparsi delle BR. Le tesi sono interessanti e avrebbero meritato maggior attenzione da una stampa che, anche in questa fase, si limita a dare una visione degli imputati e dei fenomeni che si sono presentati in questo processo o strumentale alla situazion

e politica o folcloristica.

Arnaldi, che ha partecipato alla Resistenza e ha profuso il suo impegno di avvocato in processi a militanti della sinistra e sindacalisti, è insultato su tutti i giornali. La stessa cosa capita a Guiso. Pare quasi che si pretenda di trasformare il ruolo della difesa in un ruolo concorrenziale a quello del P.M.

Domenica-lunedì 11-12 giugno. Seguo le votazioni e gli scrutini dei referendum. Nel pomeriggio di lunedì, al comune, i volti dei funzionari e degli assessori comunisti sono sempre più tirati, seri, pallidi. Verso la fine degli scrutini del primo referendum, quello sul finanziamento, viene sospesa la pubblicità dai dati. Sono i sintomi, divenuti poi certezza, che a Torino il finanziamento pubblico è stato sconfitto. Il 53,8 per cento dei cittadini ha votato per la sua abrogazione. Anche il 27 per cento sulla Reale è superiore a quello del resto d'Italia. La città operaia per eccellenza ha dato una risposta seria a certe propagande faziose, prive di contenuti, fondate sulla disinformazione, la mistificazione, il linciaggio.

La sera, in piazza Carlo Alberto, si radunano spontaneamente centinaia di persone, per festeggiare questa grande vittoria politica. Con un megafono improvvisato incomincio a parlare, ma non riesco a trattenere la commozione. Decine di compagni mi abbracciano: le lacrime che mi cadono sono forse l'inizio dello sciogliersi di un grosso nodo interno, l'inizio del rinascere e del riaffermarsi in me della fiducia nella gente, nella sua maturità e civiltà. Mi sono riconquistata la volontà di continuare a lottare, ad affermare nei comportamenti personali e politici quelle speranze che vedo non più patrimonio di pochi, ma sempre più patrimonio di molti: ora è necessario dare voce e rappresentanza a questa opposizione che con tanta chiarezza è venuta alla luca, l'11 giugno.

Dopo la manifestazione, in un clima di euforia, torno al partito. Mi telefonano da Roma: vogliono una dichiarazione per Radio Radicale. Gianfranco ed Emma - mi dicono - sono con Mimmo Pinto a Piazza Navona, a festeggiare anch'essi il risultato. Marco Pannella ha invece atteso i risultati in piazza, a Trieste, dove siamo già in piena compagna elettorale e dove il partito radicale, il 24 giugno, prenderà oltre il 6 per cento dei voti.

Nei giorni successivi, anche alla caserma Lamarmora i toni pessimistici di alcuni avvocati lasciano il posto all'euforia e ad atteggiamenti di entusiasmo.

 
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