Intervista a Leonardo Sciascia di Lino RizziSOMMARIO - Lo scrittore Leonardo Sciascia intervistato dal direttore del »Giornale di Sicilia , Lino Rizzi, spiega le ragioni della sua candidatura nelle liste del Partito radicale: "Ho pensato che bisognava parlare della vita e della morte in questo paese e che ne parlassi io come scrittore la cui pagina è la più vicina all'azione che si possa immaginare"
(Intervista pubblicata da IL GIORNALE DI SICILIA, ripubblicata da NOTIZIE RADICALI del 7 maggio 1979)
DOMANDA: La domanda che più lo ha assediato è: »Come mai? E' una domanda che noi ripetiamo, anche se sappiamo che ha già risposto in qualche modo; cioè come è avvenuta questa folgorazione, dopo le dichiarazioni che ha avuto modo di fare prima, che non avrebbe partecipato a questa campagna elettorale? .
RISPOSTA: »E' stata una decisione improvvisa e sorprendente anche per me. Ero fermamente deciso a non entrare in nessuna competizione elettorale, con nessun partito, con nessuno dei partiti che potevano interessarmi, che sono una ristrettissima area, per altro. Poi mi sono incontrato con Pannella ed è accaduto questo fatto imprevisto della mia accettazione. Ecco, non so se è una spiegazione, ma comunque posso dire quello che pensavo: mentre Pannella mi parlava, io pensavo per esempio a quel dialogo di Pasternak con Stalin per telefono. Una volta Pasternak aveva chiesto di parlare con Stalin per perorare la causa Mandelstam, il poeta che era stato arrestato. E una sera suona il telefono, Pasternak va a rispondere, ed era Stalin. Parlando di Mandelstam, molto duramente, da parte di Stalin e poi ad un certo punto Pasternak dice: »Vorrei incontrarvi . »E perché? , domanda Stalin. »Ma dice Pasternak per parlare della vita e della morte , ed a questo punto sente il telefono che si chiude. Stalin non voleva par
lare della vita e della morte, si capisce. Ecco io ho pensato che bisognava parlare della vita e della morte in questo Paese e che ne parlassi io come scrittore la cui pagina è la più vicina all'azione che si possa immaginare. Io so di essere questo tipo di scrittore, la cui pagina è proprio al limite dell'azione. E allora la tentazione di entrare nell'azione diretta, per me è forte .
D.: »Lei ha usato una frase che io ritengo molto bella, presa da Seneca. Ha parlato della politica degli schiavi che contano. Crede che esista veramente nel nostro paese oggi una situazione tale per cui gli schiavi, ammesso che vi siano gli schiavi, siano costretti a contarsi? .
R.: »Sì, credo di sì. Io ho molta stima del popolo italiano, contrariamente a quel giudizio che se ne fanno quasi tutti i politici. Io ho avuto stima del popolo italiano affrontando la campagna per il divorzio, quando tutti coloro che dovevano essere per il divorzio, tranne il PR credevano che il referendum sarebbe stato perso. Io credo che sotto questa indifferenza, questo cinismo, ci sia qualche cosa di vivo, di vero, di sentito nel popolo italiano. Non è vero che sia così cinico, così simile ai personaggi di Alberto Sordi, come lo si vuol far credere .
D.: »Però è vero, almeno nelle valutazioni correnti che probabilmente risentono anche della campagna elettorale già in atto, che il PR, cui lei si rifà, abbia accettato di essere il partito del divorzio, dei diritti civili, delle battaglie di libertà, e stia attraversando adesso un periodo di ambiguità. Sotto questa spinta elettoralistica va cercando consensi, nei settori più disparati del paese. Non solo apre dialoghi in direzioni in sé contraddittorie: con Plebe, con De Carolis, fino a qualche tempo fa; oggi con lei. Addirittura prende posizione in difesa dei militanti della autonomia per altri versi attaccando i responsabili dell'eccidio di via Rasella. Questo rimprovero non viene soltanto da parte comunista, ma anche socialista. E' un rilievo che ricorre abbastanza spesso in questi giorni, anche dalle colonne dell'Avanti. In fondo si sostiene questo partito insieme ai socialisti, aveva condotto tante battaglie limpide, belle, chiare, di grande presa sulla gente, ora ha imboccato una strada abbastanza
ambigua e abbastanza contraddittoria, che praticamente, secondo loro, potrebbe anche mettere in difficoltà un uomo come lei .
R.: »Io non credo che vi sia ambiguità nel PR. Io credo che i radicali vogliano parlare con tutti. E' giusto parlare con tutti. Una Camera che quando parla Pinto sul caso Moro se ne va interamente. Pinto ha parlato ai banchi, ed è stato il discorso più interessante che sia stato fatto sul caso Moro. Ecco, non è una Camera democratica. Io penso che Pannella intenda la democrazia nel senso pieno, totale della parola. Parlarne con tutti .
D.: »Si dice che quello dei radicali sia un partito che prometta il protagonismo a tutti; un protagonismo senza uguali. Cioè un modo di fare politica certamente svincolato dagli schemi, che sfugge a tutti i canoni classici ed abituali di far politica in questo paese. Lei crede che possa essere un'esca, un incentivo per qualcuno ad entrare nel PR e far politica per il Pr?
R.: »Non lo so. So soltanto che l'unica cosa che si muove, proprio nel senso della vita contro la morte, in questo paese, è il PR. E poi devo negare anche che Pannella abbia attaccato la resistenza e l'episodio di via Rasella. Pannella ha semplicemente detto che è violenza anche quella, ed è innegabile che lo fosse .
D.: »Ho capito. Lei sa anche che un qualche motivo di perplessità a sinistra è venuto da una sorta di avallo dato da Montanelli, il quale ha definito Pannella e i radicali i figli non degeneri, i figli soltanto un po' discoli di un certo filone liberale democratico insomma un'accentuazione, una posizione portata al parossismo, ma riconducibile a quel tipo di scuola, di dottrina, di ideologia .
R.: »E' un'analisi che Montanelli ha fatto ed è abbastanza probante direi. Il consenso di Montanelli non m'impressiona, non m'imbarazza... .
D.: »Mi fa piacere sentirglielo dire, nel senso che questo mi pare veramente spirito di libertà, al di fuori degli schemi e dei tabù .
R.: »Io ho un rapporto con Montanelli abbastanza buono. Ho sperimentato la sua onestà, sul piano personale, insomma. Lui era partito all'attacco del mio libro su Moro prima di leggerlo. Poi ha letto il libro e si è ricreduto. Il suo punto di vista continuava ad essere quello che non bisognava trattare, ma comunque ha fatto una ritrattazione su tante cose, da uomo onesto di fronte ai suoi lettori e ve ne è stato uno che addirittura glielo ha rimproverato. Quindi il consenso di Montanelli non m'imbarazza per niente .
D.: »Volevo dirle questo. Un'accusa oggi abbastanza corrente sul PR, lei lo sa meglio di me, è l'accusa di una ripresa di qualunquismo, sia pure di sinistra. Ora questa, lei lo sa, non è un'accusa infamante, pero è un'accusa ricorrente nella storia di questo paese in cui chiunque si pone fuori dal sistema, prende posizioni non convenzionali. Ecco, io le chiedo se anche questo la imbarazza, questa etichetta, questa marchiatura di qualunquismo .
R.: »Assolutamente no. E' da anni che qualcuno mi rivolge l'accusa di qualunquismo. Non me ne importa nulla. Bisogna poi definire che cos'è questo benedetto qualunquismo, una volta per tutte. Pare che sia moralismo. Ebbene, io sono un moralista allora, ed accetto la qualifica .
D.: »Senta, parliamo del programma. Mi pare d'aver letto in questi giorni su un giornale che il segretario del PR, interpellato sul programma, avrebbe risposto: il nostro programma sono gli 8 referendum. E' certamente una posizione abbastanza impegnativa, anche per i meccanismi che i referendum comportano. Lei ritiene tutto questo sufficiente per un azione parlamentare, per una presenza radicale nella vita politica del paese? .
R.: Guardi il bello del PR è nel non essere un partito nel senso tradizionale, burocratico, organizzato. E' un partito di indipendenti. Il mio programma è quello della verità: la verità sul terrorismo, sul caso Moro e penso che se non si sciolgono questi nodi, questo paese non può andare avanti .
D.: »Mi pare che la sua posizione sia anche così di rifiuto della »grande ammucchiata viene chiamata così con linguaggio abbastanza discutibile, ma efficace che per questo modo di fare politica per grandi accordi, per grandi linee, praticamente facendo scomparire l'opposizione in questo Paese. Mi pare che sia anche una delle motivazioni per cui i radicali stanno incontrando, almeno stando ai primi sondaggi, quella comprensione. .. .
R.: »Restringendosi l'area dell'opposizione, ai radicali spetta di fare l'opposizione, se vogliamo mantenere un barlume di vita democratica in questo paese .
D.: »Di fronte a questi programmi, certamente impegnativi, soprattutto con la giustificazione e l'ottica dalla quale lei li guarda, cioè questa ricerca della verità, questa riscoperta della gente, nella sua particolare posizione di uomo del sud, tutto questo non è riduttivo rispetto a quelli che sono i problemi che lei sente, che sono i problemi veri di questa terra? .
R.: »Sarà riduttivo, ma bisogna fare una cosa per volta. Io non so se andrò al Parlamento Europeo o a quello nazionale. Se andassi al Parlamento nazionale, i miei problemi sarebbero quelli che ho detto. Agire nel senso di una ricerca della verità, di costringere alla verità. Se andassi al parlamento europeo, allora mi si presenterebbe il problema del sud. Noi stiamo pigliando sottogamba il parlamento europeo. Credo che i partiti abbiano adottato il criterio di liberarsi di qualcuno mandandolo al parlamento europeo, invece il parlamento europeo è importante e lì bisogna difendere gli interessi del sud, perché finora si è agito in questi enti europei, enti finora economici, si è agito come se il sud non esistesse. I nostri rappresentanti sono andati a Bruxelles o a Strasburgo non tenendo conto assolutamente dell'esistenza del sud .
D.: »Non le chiedo di fare un'opzione in questa sede, e non sono soprattutto io autorizzato a farle questa domanda. Però le chiedo se lei crede alla funzione sua nel parlamento europeo. Un deputato di minoranza, di estrema minoranza, come sarà un rappresentante del PR, può avere un ruolo e un peso appaganti? .
R.: »Per come si delinea l'unità europea, l'unione degli stati europei in questo Parlamento, io temo molto che i Sud pagheranno le spese dell'unità europea, come il sud italiano ha pagato l'unità d'Italia. Però bisogna tentare che questo non succeda, ecco .
D.: »Senta adesso parliamo sulla sua particolare condizione di candidato di un partito minoritario, molto singolare per sua stessa ammissione. Lei è stato candidato, sia pure per un organismo rappresentativo minore, come era il consiglio comunale a Palermo. Però con l'elezione assicurata, perché lei m'insegna che il PCI è in grado di assicurare attraverso la propria macchina elettorale le elezioni a chi vuole. Questa volta per lui in un certo senso questa battaglia è un rischio. In quale diversa posizione, anche psicologica, si sente? .
R.: »Appunto nella posizione di rischiare. Ecco, mi piace. Io non ho mai giocato a carte, non sono per nulla giocatore, ma in questo lo sono, mi piace azzardare, rischiare, puntare tutto, insomma .
D.: Senta, lei lo sa che i sondaggi di questi giorni, e poi al di là dei sondaggi per quello che si sente dire, i radicali saranno una variabile indipendente, diciamo così dello schieramento politico italiano. In tutte le previsioni non v'è n'è una che non contempli una crescita, anche clamorosa, del PR. Qualcuno ha anche pensato previsioni, il 5%. Pannella ha detto che se le cose dovessero andare in un certo modo, si sentirebbe appagato solo dal raggiungimento di 2 milioni di voti che sono 5 volte quelli avuti nelle passate elezioni. Secondo lei sono previsioni fondate? .
R.: »Su, stando alle apparenze credo di sì. Io sabato sono stato al mio paese, è sempre stato un barometro per me. Ho incontrato una ventina di persone, almeno; mi hanno detto che avevano deciso di votare radicale prima che sapessero della mia presenza in quella lista .
D.: »I giovani? .
R.: »I giovani e le donne, sì .