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Pellicani Luciano - 31 maggio 1979
Da Giannini a Pannella: di progetto politico non c'è neanche l'ombra
di Luciano Pellicani

SOMMARIO: "Stiamo marciando verso la paralisi decisionale": "è divenuta problematica persino la formazione di un governo quale che sia", anche se Andreotti "confida molto sullo spirito di sacrificio dei comunisti", cui tocca oggi di subire le "pressioni 'morali'" un tempo riserbate ai socialisti. Ma perché i partiti della sinistra non sloggiano "dalla stanza dei bottoni" i democristiani? G. Galli ha detto che dopo il 20 giugno la cosa sarebbe stata possibile, se "il PCI fosse stato più coraggioso". Ma "è da dimostrare che i voti comunisti siano sommabili a quelli socialisti". E d'altra parte la vicenda di Allende ha chiarito ai comunisti "che cosa può accadere se una coalizione di partiti dotati di scarsa legittimazione... cerca di forzare i tempi". Questa impossibilità di governare con il PCI "rende patologico il funzionamento della democrazia", e questo spiega perché "una parte dell'elettorato fluttuante" vota per il partito radicale: che poi non è un "partito" ma solo un "cartello di no", dunque un fenome

no di "qualunquismo".

(»L'Avanti 31 maggio 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

Il grado di entropia del nostro sistema politico sta aumentando di legislatura in legislatura. Stiamo marciando, quasi fra l'indifferenza generale, verso la paralisi decisionale. Un tempo era difficile, per non dire proprio impossibile, formare governi stabili, autorevoli ed efficaci. Ora siamo giunti al punto in cui è divenuta problematica persino la formazione di un governo quale che sia.

Il risultato che uscirà dalle urne il 4 giugno sarà, quindi, di decisiva importanza. Se la tendenza alla polarizzazione che emerse tre anni fa sarà confermata, difficilmente l'ottava legislatura morirà di morte naturale: verrà strozzata non appena i due superpartiti constateranno che non esistono le condizioni minimali per una collaborazione organica.

E' vero che Andreotti ha espresso un certo ottimismo al riguardo. I comunisti, egli ha detto in una sua intervista, potrebbero ripensarci e convenire che l'unica via d'uscita dall'"impasse" in cui il paese si è cacciato è la ripresa della politica di unità nazionale. Ma non si vede proprio perché mai il PCI dovrebbe accettare di svolgere per un'intera legislatura il ruolo di sostegno esterno dei governi democristiani. Evidentemente Andreotti confida molto sullo spirito di sacrificio dei comunisti non potendo contare su quello dei suoi compagni di partito. Il che è quanto meno bizzarro, per non dire cinico, ma non certo nuovo. Negli anni sessanta erano i socialisti che venivano premurosamente invitati a sacrificarsi per il bene della nazione. Ora tocca ai comunisti subire le pressioni »morali dei democristiani, che certo non possono essere accusati di incoerenza: da più di tre decenni coltivano con rigore calvinista la vocazione al controllo egemonico delle risorse dello Stato.

A questo punto sorge rituale la domanda: che cosa impedisce agli altri partiti, e in particolare ai partiti della sinistra, di sloggiare dalla stanza dei bottoni i democristiani?

Giorgio Galli ha reiteratamente sostenuto che dopo il 20 giugno, la cosa sarebbe stata possibile, se il PCI fosse stato più coraggioso, poiché i suoi voti, sommati a quelli del PSI, superavano quelli della DC. Ma è un ragionamento assai poco convincente. E per più di un motivo.

Prima di tutto, perché una volta che si decide di sommare i suffragi dei partiti della sinistra storica non si vede perché non si debba estendere il procedimento ai partiti moderati, che insieme sfiorano il 59%. In secondo luogo, perché è tutto da dimostrare che i voti comunisti siano sommabili a quelli socialisti. Le divergenze sulla »giusta società esistenti fra PCI e PSI sono tante e tali da rendere quanto meno azzardato un simile suggerimento. Infine, perché il PCI ha sempre rifiutato di prendere in considerazione l'ipotesi dell'alternativa delle sinistre per una ragione assai semplice ma che, stranamente, sfugge a Galli: esso ha paura di se stesso o, quanto meno, dell'immagine che ha dato della sua natura. Non si tesse l'elogio della rivoluzione marx-leninista e del »socialismo realizzato senza far sorgere attorno a sé un muro di diffidenza e sospetto.

D'altra parte, non è certo un caso che l'idea di fare una »escursione al centro per essere legittimati ai dirigenti del PCI è venuta subito dopo lo strozzamento dell'esperimento di Allende. Per essi la crisi cilena è stata esemplare e altamente istruttiva: ha permesso loro di toccare con mano che cosa può accadere se una coalizione di partiti dotati di scarsa legittimazione (interna e internazionale) cerca di forzare i tempi.

Il discorso potrebbe continuare, ma credo che quello che ho ricordato sia sufficiente per evidenziare la causa che ha bloccato la sinistra storica davanti alla Città del comando, che poi è la stessa che ha finora permesso alla DC di governare ininterrottamente l'Italia senza dover rendere conto all'elettorato del suo operato. La DC è inamovibile perché nel nostro sistema politico ha piena vigenza il teorema di Léon Blum: »I socialisti senza i comunisti non possono vincere; ma con i comunisti non possono governare .

Ciò è già sufficiente per rendere patologico il funzionamento della democrazia, che ha fisiologicamente bisogno non solo di una opposizione efficace ma anche di una credibile alternativa. Per di più negli ultimi due decenni sono state »bruciate tutte le formule di governo praticabili (centrismo, centro-sinistra, unità nazionale). Il che ha reso ancora più »comatoso lo stato della Repubblica.

Si capisce agevolmente, allora, perché una parte dell'elettorato fluttuante (irritato per la miseria dei partiti, la corruzione delle strutture dello Stato la paralisi decisionale, lo scarto fra promesse e realizzazioni, la retorica democratica) sia tentata di manifestare il suo dissenso rafforzando il cosiddetto partito radicale.

Ho scritto »il cosiddetto perché il PR è tutto fuorché un partito. Da che mondo è mondo, un partito è una associazione di uomini e di donne che mettono in comune le loro risorse materiali, intellettuali e morali per realizzare un progetto politico. Ma qui di progetto politico non c'è neanche l'ombra. Il PR non è altro che un »cartello di no , un concentrato contraddittorio di irritazioni o, per essere più espliciti, una »piccola ammucchiata di protestatari che, senza rendersene conto, si comportano come gli eredi di Giannini. Quando si suonano i tamburi della protesta contro tutti e contro tutto si fa, piaccia o meno, del qualunquismo. Il che è già assai grave. Se poi si tiene presente qual è il problema centrale che deve essere imperativamente risolto - quello della governabilità - la formazione della piccola ammucchiata radicale capitanata da Pannella acquista tutti i tratti dell'avventura irresponsabile.

 
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