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Asor Rosa Alberto - 1 giugno 1979
Cinque motivi per non votare radicale
di Alberto Asor Rosa

SOMMARIO: Non è tra coloro che liquidano il fenomeno radicale come "qualunquismo" ed etichettano Pannella come "fascista": il fenomeno ha una "complessità e contraddittorietà" con cui occorre "misurarsi". Cercherà di spiegare ad un "giovane" le ragioni per cui "non" deve votare radicale.

I) Perché i radicali "sono antioperai prima che anticomunisti". Il partito radicale "spezza il campo delle forze progressiste".

2) Perché "il gruppo dirigente radicale è, intimamente, borghese e conservatore"; favorisce il "leaderismo" e il "carisma", punta ad uno "Stato liberal-borghese..."

3) Perché "la strategia di lotte parziali... rinuncia alla visione generale, complessiva, dello scontro di classe".

4) Perché il "radicalismo" ha sempre rappresentato, "nella storia italiana" un "approccio superficiale ai problemi".

5) Nel "radicalismo c'è una malcelata e profonda volontà di sopraffazione".

Lo spazio radicale è uno spazio che "il movimento operaio ha...occupato fin dagli ultimi anni del secolo scorso": è lo spazio "dei diritti civili..." Se però oggi il radicalismo risorge vuol dire che sul terreno dei diritti civili "il movimento operaio italiano non ha fatto tutto quello che avrebbe dovuto".

(»L'Unità 1 giugno 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

Premetto che non sono fra quelli che liquidano il fenomeno radicale come qualunquismo o che trovano comodo etichettare Pannella come fascista (anzi, più in generale proporrei di usare quest'ultimo termine con maggiore discrezione e appropriatezza: se ne fanno un uso e un abuso, che rivelano, temo, la carenza di analisi più approfondite e aggiornate). C'è invece, una complessità e contraddittorietà del fenomeno con le quali occorre misurarsi. E c'è al tempo stesso il pericolo che un aumento della forza elettorale di questo partito, ottenuto sulla base degli "slogans" che esso utilizza nel corso di questa campagna, ne scateni gli aspetti e le componenti peggiori.

C'è, ancora, il pericolo che verso la suggestione radicale s'indirizzino il sentimento di protesta e le frustrazioni di certi settori dei giovani, i quali possono nei radicali individuare l'ennesima proiezione illusoria di certe loro aspettative non ingiustificate di "rinnovamento e di trasformazione".

Perciò, prendendo i radicali, o, per meglio dire, il loro gruppo dirigente, per quello che sono, e cioè una forza che interpreta e strumentalizza stati d'animo e reazioni, che nascono dalla crisi profonda di certi settori della società italiana e delle istituzioni, mi proverò a spiegare ad un giovane, presumibilmente progressista e democratico, le ragioni per cui "non" deve votare radicale. Non deve votare radicale:

1) Perché i radicali sono antioperai prima che anticomunisti, o, più esattamente, anticomunisti in quanto antioperai. Non c'è un solo punto del programma radicale che riguardi gli interessi, i bisogni, le lotte della classe operaia.

Mi si potrà rispondere: cosa ce ne importa a noi della classe operaia? non basta lottare per i propri più immediati e avvertiti interessi? Ma è appunto questo l'elemento grave che il radicalismo introduce nel dibattito politico italiano, anche rispetto alla lunga conquista di posizioni e di coscienze seguita al '68-'69: il convincimento che si possano soddisfare interessi e bisogni di qualsiasi settore in movimento della società italiana è, senza fare riferimento alla classe operaia. Mettendo fra parentesi la classe operaia e la sua strategia di trasformazione, il radicalismo spezza il campo delle forze progressiste, fa un favore alla conservazione.

2) Perché il gruppo dirigente radicale è, intimamente, borghese e conservatore. Non fermiamoci alle apparenze: alle urla, agli strilli, alle proteste da gruppo minoritario perseguitato ed oppresso. Ciò che il gruppo dirigente radicale ha in mente come democrazia organizzata delle grandi masse, è l'enorme rilievo che, attraverso i moderni partiti e sindacati, hanno assunto i soggetti sociali collettivi della trasformazione. Il loro sogno è quello di ricostruire una società politica in cui il potere dell'»organizzazione sia fortemente ridimensionato e il "leaderismo" e il "carisma" di alcuni notabili vengano restituiti al valore d'un tempo. Lo Stato di diritto, a cui i radicali pensano, assomiglia molto allo Stato liberal-borghese post-unitario: Bertrando Spaventa conta, in questa visione, molto ma molto più di Marx.

Ma questo sarebbe un andare avanti o un tornare indietro? Il sistema dei partiti ha bisogno di essere profondamente rinnovato, lo sappiamo tutti, penso che i giovani siano interessati a rinnovarlo nel senso di una partecipazione crescente delle masse alla democrazia, non in quello esattamente opposto di un ripristino delle condizioni che reggevano in piedi il vecchio notabilato liberal-conservatore (che, non a caso, comprimeva e mortificava proprio la presenza delle giovani forze politiche e culturali nella società).

3) Perché la strategia di lotte parziali, che i radicali propongono, rinuncia per definizione alla visione generale, complessiva, dello scontro di classe e della battaglia politica.

Questo spiega anche perché dentro ci si può ammucchiare di tutto: dai sentimenti di frustrazione di una piccola borghesia impiegatizia e localistica al ragionamento opportunistico dell'ex rivoluzionario deluso. Ma può piacere ai giovani tutto questo? Fra una battaglia parziale e l'altra ci stanno spazi larghi come una casa: dentro questi spazi il potere della vecchia classe dominante ci si adagia comodamente. Ai democristiani questa strategia gli fa il solletico: tant'è vero che preferirebbero di gran lunga un successo radicale ad una rinnovata affermazione comunista.

4) Perché il radicalismo è una mentalità che nella storia italiana, anche nella storia della cultura italiana, ha sempre rappresentato un approccio superficiale ai problemi, uno schematizzare, un semplificare, ecc.

Avete mai sentito, onestamente, un dirigente radicale fare un "ragionamento", tentare un'"analisi"? Al posto degli strumenti analitici c'è, nei casi migliori, un uso brillante della dialettica e una capacità notevole di resa emotiva; nei casi peggiori, la violenza verbale, la volontà di ridurre il confronto politico ad un gioco di ragioni polemiche sostenute unicamente dalle reciproche volontà distruttive.

Questo è potuto sembrare qualche volta affascinante. Ma pensateci bene: a quale tipo di discorso politico il radicalismo ci induce? A un tipo di discorso politico fondato esclusivamente sulla contrapposizione schematica e spesso puramente verbale. Anche questo è un passo avanti o un passo indietro? Se siamo d'accordo che il ragionamento (e il linguaggio) politico italiano soffre di formalismo e di vuotaggini, il discorso radicale non fa che confermare e approfondire questo carattere: con un po' più di verve ma anche con maggiore protervia.

5) Perché nel radicalismo c'è una malcelata e profonda volontà di sopraffazione. Si lamentano di essere costretti a parlare troppo poco, ma in realtà urlano più di tutti. Hanno disprezzo per i loro interlocutori. Fanno scuola d'intolleranza. Attirano elettori dalla destra facendo sfoggio di battute anticomuniste e antistituzionali. Guardate Marco Pannella quando parla in TV: è dai primi anni '50 che ce l'ha con i partiti di sinistra e in particolare con i comunisti, e lo dimostra con tutta la rabbia che esprime. Cova un sogno di rivincita: e i sogni di rivincita non badano troppo al sottile, tutti i mezzi sono buoni. Ma cos'ha a che fare questa rivincita personale o di gruppo con le speranze di trasformazione e di rinnovamento proprie della gioventù italiana?

Per concludere: lo spazio radicale è uno spazio politico e sociale, che il movimento operaio ha in Italia solidamente occupato fin dagli ultimi anni del secolo scorso. E' lo spazio dei diritti civili e delle lotte per l'allargamento delle libertà, della critica alle tentazioni autoritarie dello Stato e della rivendicazione di migliori »condizioni di esistenza per l'individuo e per il cittadino. Non a caso l'unico episodio rilevante di un'alleanza tra movimento operaio e partito radicale è legato alla lotta contro l'»infame governo Crispi e contro la svolta reazionaria del '98. Da allora, la battaglia radicale è stata ricompresa nella più complessiva strategia liberatoria del movimento operaio italiano.

Se uno spazio radicale si è riaperto, vuol dire che sul terreno dei diritti civili e delle insufficienze del nostro sistema politico e della nostra democrazia, il movimento operaio italiano non ha fatto tutto quello che avrebbe dovuto. Questo i giovani possono e debbono richiedere: che il terreno dello sviluppo della democrazia e della libertà sia individuali che collettive venga praticato fino in fondo dal movimento operaio, dai comunisti, nell'arco complessivo di una strategia riformatrice, che veda crescere, e non diminuire, l'unità delle loro forze sociali e politiche progressiste. Ma appunto perciò non si può dar credito al gruppo dirigente radicale, che usa queste tematiche per una battaglia di divisione e di anticomunismo stantio: bisogna, anche col voto, dimostrare che la strumentalizzazione non è passata.

 
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