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Cacciari Massimo - 20 luglio 1979
L'utopia di un umanesimo che rifiuta i propri prodotti
di Massimo Cacciari

SOMMARIO: "Le aporie del radicalismo sono quelle di una concezione umanistica che si vorrebbe integrale". "Al centro del radicalismo vive una 'idea' dell'Uomo", irriducibile alla storia delle "infinite rivelazioni del suo essere-alienato". Tale concezione è resa più complessa dal riconoscimento che "l'Uomo deve intrattenere un rapporto armonico con la natura". Qui è l'errore teorico, perché "non c'è storicamente altro sviluppo dell'umanesimo se non l'inesorabile disincanto sulle possibilità di quella armonia". Ma "le aporie della concezione radicale vanno viste come segno dei tempi", segno cioè della "crisi dell'umanesimo come fondamento culturale della Tecnica"; e se la risposta del radicalismo "è contraddittoria e fondamentalmente regressiva, esso certamente la vive 'e ne vive'". Il radicalismo dunque "segna contraddittoriamente il problema del superamento dell'umanesimo". Ma questo superamento potrà avere successo solo come "attraversamento e oltre-passamento dello spazio dell'alienazione e della Tecnica"

. Tale metodo sembra però estraneo al radicalismo che sembra preferire le "scorciatoie". E tuttavia, "chi è senza contraddizione scagli la prima pietra".

(»Rinascita del 20 luglio 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

La problematica del radicalismo italiano è stata affrontata più che altro secondo ottiche sociologistiche o immediatamente politiche. Credo utile individuarne brevemente anche alcuni presupposti culturali più di fondo. Che questo lavoro non sia ancora stato fatto, può dipendere da un qualche (giustificato) timore da ritrovarsi alla fine con questa morale: "de te fabula narratur". Ma correre il rischio parrebbe necessario, poiché non vi è confronto laddove un partecipante rifiuti di mettersi in discussione.

Le aporie del radicalismo sono quelle di una concezione umanistica che si vorrebbe integrale. Non è difficile verificare che al centro del radicalismo vive una "idea" dell'Uomo. L'Uomo appare irriducibile alla storia (o preistoria) delle infinite rivelazioni del suo essere-alienato. Lo stato di alienazione non contamina la "natura" dell'Uomo, che si mantiene un "cosmo" in potenza, e che alla realizzazione di un "cosmo" di rapporti esistenziali e sociali "anèla". Senza tale "idea", il profondo afflato teleologico che regge il radicalismo è del tutto infondato - diviene un semplice discorso edificante, retorica. Ma tale afflato non è che escatologia secolarizzata.

La concezione radicale è resa, però, più complessa dal fatto che l'Uomo deve intrattenere un rapporto armonico con la natura. Ora, nelle tradizionali »apocalissi (rivelazioni) dell'autentica natura dell'Uomo, egli aveva saldamente mantenuto il suo ruolo di nocchiero, auriga, egemone, di colui al quale le cose della natura sono destinate dalla divina provvidenza, sono a sua »disposizione , "a portata delle sue mani". Invece, nell'»apocalisse radicale, egli non può pigiare col torchio la cosa e l'animale. Anzi, la sua stessa centralità pare dipendere dalla sua capacità di addivenire con la natura ad una sorta di "musicus concentus".

Ma può l'umanesimo svilupparsi in questa direzione (e, anche qui, davvero, non in forme retorico-edificanti)? Non si dà storicamente altro sviluppo dell'umanesimo se non l'inesorabile disincanto sulle possibilità di quell'armonia. L'umanesimo è la progressiva liquidazione (dalla stessa memoria) di quell'»alba non prometeica, nella quale il lavoro non appare come trasformazione-manipolazione-annichilimento della natura, ma »educazione della sua forma assieme a quella stessa dell'artefice. La stessa idea di un completo superamento dello stato di alienazione finisce col coincidere con l'utopia tecnica di un perfetto soggiogamento della natura (ivi compresa la stessa riduzione dei rapporti socio-economici a rapporti naturali: vedi l'economia classica). La compresenza di un modello escatologico umanistico e di questa idea, peraltro assai vagamente espressa anche se (parrebbe) acutamente vissuta, di un »liberarsi della natura stessa in una armonia superiore col fare dell'Uomo, costituisce un'aporia concettualme

nte e praticamente insuperabile.

Entrambe le direzioni della cultura radicale presuppongono un ritorno, una "riforma", nel senso letterale. Gli effetti di questa impostazione sono certo più immediatamente visibili sul terreno politico (la polemica allo »Stato dei partiti , una certa concezione degli istituti parlamentari, l'ideologia della società civile, e il continuo appellarsi ad essa ecc.), ma è qui che essi trovano origine. La cultura radicale è una cultura protestante, in sé doppiamente contraddittoria. Primo, perché si pretende laica e de-sacralizzata, quando il suo stesso umanesimo ha a condizione un'idea di natura umana, solo teleologicamente sostenibile. Secondo, perché, mentre la cultura protestante è del tutto fedele all'immagine giudaico-cristiana della Signoria assoluta dell'Uomo sulla natura qui si opera una confusione (che si vorrebbe sintetica) tra questo umanesimo ed una idea di armonia, che gli è storicamente estranea.

Il discorso non si conclude, ma inizia qui. Le stesse aporie della concezione radicale vanno viste come segno dei tempi. E questo segno assieme a molti altri, sembra indicare la crisi dell'umanesimo come fondamento culturale della Tecnica, la crisi di una teleologia che fa coincidere la piena realizzazione della Tecnica con la rivelazione della natura non alienata dell'Uomo. Il radicalismo non può pensare »radicalmente questa crisi, poiché non vede nella Tecnica il necessario prodotto dell'umanesimo, e perciò continuamente ricade nel Miserabilismus sul suo »cattivo uso , sugli »apprendisti stregoni , e così via predicando. Il radicalismo vorrebbe far tornare il fiume alla fonte. Eppure, se la sua risposta alla crisi dell'umanesimo è contraddittoria e fondamentalmente regressiva, esso certamente la vive "e ne vive". Esso segna contraddittoriamente il problema - che forse è l'"identità" stessa dell'epoca culturale che attraversiamo - del superamento dell'umanesimo. Certo, questo superamento non avverrà proced

endo all'indietro, aggrappandosi ai miti della natura umana inalienabile da rivelare, o della sintesi tra umanesimo e idea di armonia. Questo superamento potrà darsi soltanto come attraversamento e oltre-passamento dello spazio dell'alienazione e della Tecnica. Un attraversamento che sia "critica" di questo spazio, che sappia cogliere "al suo interno" i segni del suo possibile oltrepassarsi. Non la critica utopica che salta fuori da questo spazio e prefigura i tratti di quello avvenire, ma la critica che ne saggia i limiti, che ne sposta continuamente e faticosamente i confini, che ne scopre i »buchi e perciò stesso i "possibili" »eccessi . Questo difficile metodo sembra ancora estraneo al radicalismo, che mi sembra preferire le (impossibili) scorciatoie o enfatizzare il problema della sua immediatezza. Può essere, però, che se si riconosce la realtà di questo problema, e se ne riconosce la profondità difficilmente smerciabile al minuto, un confronto, un lavoro comune di scavo risulti proficuo. Chi è senza

contraddizione, scagli le proprie verità.

 
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