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Teodori Massimo - 15 settembre 1979
COMUNISTI E RADICALI DI FRONTE A PROBLEMI E PROSPETTIVE DELLA SINISTRA
Introduzione di Massimo Teodori

SOMMARIO: Il rapporto fra radicali e comunisti non è stato mai un rapporto facile.In questo dossier si analizzano i "nodi" che gli uni e gli altri devono affrontare come problemi cruciali per la sinistra italiana. Infatti se da una parte c'è l'accettazione comunista di un "fenomeno radicale", non c'è il riconoscimento del "radicalismo" come elemento del patrimonio storico, culturale e politico della sinistra.

In Italia, infatti si stenta a riconoscere come legittima l'affermazione di una corrente di democrazia radicale, diversa nei valori prima ancora che nella politica, dalla tradizione comunista.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Aprile-Settembre 1979, N. 12-13)

Un dossier di "AR". Introduzione di Massimo Teodori. Interventi di Angiolo Bandinelli, Massimo Cacciari, Jean Fabre, Fabio Mussi, Alfredo Reichlin, Lorenzo Strik Lievers, Riccardo Terzi.

Introduzione

1. "Il rapporto fra radicali e comunisti non è mai stato un rapporto facile. Sia che si considerino i filoni politici antenati dei "nuovi" radicali negli anni '20, '30 e '40 (l'antifascismo di GL, la rivoluzione liberale di Gobetti, la democrazia radicale di Salvemini) o nel dopoguerra (Partito d'Azione, la vicenda Vittorini, gli anni '50), sia che si ripercorra l'ormai quasi ventennale vicenda del Partito Radicale d'oggi. Con "Argomenti Radicali" abbiamo voluto, fin dall'inizio, che le ragioni del conflitto, o, quando ce ne sono state, quelle della convergente collocazione politica, fossero chiare ed esplicite: che insomma la diversità fra radicali e comunisti e lo scontro politico che ne deriva, per quanto duro ed aspro esso fosse, apparisse sempre nelle sue ragioni profonde e non già soltanto come una serie di episodi di mera concorrenzialità del momento. E' significativo che proprio il numero 1 della nostra rivista si aprisse con un intervento", Radicali e comunisti: le ragioni vere del conflitto, "april

e 1977, che aveva appunto questo proposito.

Abbiamo dunque voluto preparare un dossier chiedendo ad alcuni esponenti comunisti e radicali interventi tesi non già ad analizzare i rapporti tra i due partiti, ma a fornire risposte su quelli che, a loro avviso, sono i nodi che" gli uni e gli altri "devono affrontare come problemi cruciali per la sinistra italiana. Non interessa in questa sede un esame delle relazioni, buone o cattive, che si sono avute, si hanno e si possono avere fra il PCI ed il PR. Sappiamo bene come la natura e la qualità di tali relazioni hanno il fondamento nella politica condotta dai due partiti in riferimento a più generali atteggiamenti di cultura politica e di strategia.

2. E' apparso che in casa comunista negli ultimi mesi ci sia stato un mutamento di atteggiamento dal periodo elettorale a quello che hai seguito il 3 e 10 giugno 1979. Allo scontro condotto dalla stampa e propaganda comuniste, con toni e argomenti che non hanno nulla a che fare neppure con l'affrontarsi di parti politiche strenuamente nemiche, nel PCI è subentrato, dopo il successo elettorale radicale. un volto meno settario e dozzinale e comunque attento alla "comprensione del fenomeno radicale". Lo si è potuto notare nei comportamenti politici d'ogni giorno, ma anche nel dibattito che in qualche settore comunista si è andato aprendo: ne testimonia, tra l'altro, il numero monografico de "Il Contemporaneo" dedicato in luglio a" Il radicalismo degli anni settanta.

"E' stato osservato da taluno che è costume comunista l'uso alternato del bastone e della carota a seconda dell'opportunità del momento. A noi pare che i segni dell'attenzione comunista verso "il radicalismo" siano in realtà sintomo di un'operazione più sottile che guarda lontano e che tenta di superare le difficoltà del rapporto con il paese e con alcuni settori dello stesso partito proponendosi il riassorbimento di un processo emorragico che le elezioni hanno solo segnalato in termini di risultati quantitativi facilmente leggibili, come appunto il travaso di voti dal PCI al PR, massiccio soprattutto nei settori giovanili e metropolitani, ma non circoscritti ad essi.

La tesi e l'atteggiamento comunisti ci paiono seguire una linea che sommariamente può essere così riassunta: primo, esiste un "fenomeno radicale", un radicalismo, appunto, che ha assunto consistenza e spessore notevole e di cui il PR è solo un aspetto; secondo, il PCI non è stato sufficientemente attento e ricettivo di quel che il radicalismo rappresenta nella società attuale; terzo, il radicalismo è suscettibile anche di espressione politica, come dimostra il successo del PR; quarto, il PR interpreta in parte i nuovi antagonismi sociali e culturali ma con il segno "negativo", "abrogativo", e della "unilateralità critica" senza avere un progetto di trasformazione sociale; quinto, la negatività e unilateralità radicale si contrappone come estranea ed ostile alle grandi tradizioni politiche e segnatamente al movimento operaio organizzato, cioè al PCI; sesto, il PCI deve adeguarsi e comprendere la natura delle nuove conflittualità radicali, e quindi riassorbirle nella propria cultura politica, che è la cultura

politica della trasformazione, e incorporare gli elementi positivi del radicalismo all'interno della politica comunista.

3. La linea che sembra essere oggi scelta dal PCI di fronte alla "realtà delle cose", cioè ai risultati elettorali, è ispirata e riconducibile, se pure con toni diversi da quelli elettorali, ad alcuni punti fermi ricorrenti in tutte le prese di posizione. Da una parte, si osserva, il radicalismo è riemerso in questi anni, dopo il 1968, come un puro fenomeno sociale e culturale di cui l'azione politica dei radicali rappresenta un sottoprodotto; e, dall'altra, si valuta che, comunque, il radicalismo del PR rappresenta un elemento estraneo al patrimonio storico, culturale e politico della sinistra, e quindi non può essere considerato che come un "incidente" sulla strada che le grandi forze della tradizione italiana (comunista e socialista) percorrono nella vicenda della trasformazione della società.

A noi sembra, al contrario, che ciò che deve essere messo in risalto e valutato come la" novità "nella sinistra italiana ed europea sia proprio il segno strettamente politico della vicenda radicale. Giacché il grande processo di mutamento culturale e sociale avvenuto negli ultimi dieci anni in Italia sarebbe tutto o quasi naufragato nella disperazione e nella impotenza se non avesse trovato una espressione originale proprio nella politica radicale. La singolarità italiana non sta tanto nel complesso di trasformazioni socioculturali e nella emergenza di conflitti nuovi, incomprensibili ed incompresi dalla cultura politica delle sinistre tradizionali, quanto nel fatto che una proposta politica nuova, che pure ha le sue radici lontane, ha saputo dargli uno sbocco, una possibilità di esprimersi, una direzione nella società e nelle istituzioni.

"Il radicalismo degli anni settanta" probabilmente non sarebbe stato neppure chiamato "radicalismo" se non avesse trovato espressione con le gambe dell'azione politica radicale. L'espressione "radicalismo" importata dal mondo anglosassone, sta ad indicare un concetto generale e generico, e non a caso è generale e generica la connotazione che da parte comunista si vuole dare anche alla particolare questione radicale italiana. Quanti movimenti "radicali" hanno percorso la società dei paesi sviluppati nell'ultimo quindicennio? Ma quante politiche radicali si sono affermate a partire dai pur robusti radicalismi sociali apparsi in Francia, in Germania, negli Stati Uniti e altrove? Nell'intero mondo occidentale hanno preso corpo molte conflittualità "radicali", dovute alla natura delle società industriali sviluppate, ma solo in Italia ha preso forma e si è irrobustita una specifica" politica radicale. "Ed è su questo che occorre riportare la discussione, altrimenti ci si ferma alla soglia della specificità italian

a e della emergente possibilità di una politica "diversa" per la sinistra.

Ciò che è nuovo in Italia, e stenta pertanto ad essere riconosciuto come legittimo, è il ritorno o l'affermazione, se ci si sofferma al dopoguerra, di una corrente di democrazia radicale, diversa nei valori, prima ancora che nella politica, dalla tradizione comunista e caratterizzata da un proprio fondamento culturale prossimo ad alcuni filoni del socialismo, intrecciato ma non completamente identificato con esso. La verità è che lungo un intero trentennio istanze, posizioni e cultura politica che in qualche modo si possono definire "radicali" sono state costantemente battute sul piano politico che, sull'onda dell'organizzazione politica, la politica comunista ha imposto all'intera sinistra. Così è stato delegittimato un intero patrimonio - certo rivisitato con il nuovo PR alla lue delle diversissime condizioni di questi anni rispetto alla vecchia società degli anni '50 e magari anche all'ottimismo "progressista" e riformista degli anni '60 - come patrimonio appartenente a pieno titolo alla sinistra. Tutta l

a polemica sui radicali "a cavallo tra destra e sinistra" prende le mosse non già dall'analisi puntuale del significato dell'azione politica di questi anni (si sono mai posti i comunisti domande semplici ma rivelatrici: "i radicali hanno accresciuto o indebolita la forza della sinistra nel complesso?", "hanno fatto sviluppare o deperire la democrazia italiana?") ma dal luogo comune così profondamente interiorizzato a sinistra secondo cui i valori e i concetti propri del PCI dovevano divenire tout court concetti e valori su cui misurare l'essere o lo stare a sinistra di tutta la sinistra.

Di questa impostazione oggi si comincia ad intendere l'angustia, e per l'obiettiva crisi delle forze tradizionali della sinistra di fronte ai problemi dell'oggi e del domani, e specificamente sotto la spallata dei risultati, da ultimo elettorali, conseguiti dai radicali. Emergono così i motivi di fondo che dividono la predominante cultura comunista (che travalica la stessa area di influenza del PCI) dalla emergente cultura radicale (che, anch'essa, va al di là della sua semplice espressione politica organizzata). Su alcuni nodi il confronto è aperto, ed è un confronto che si deve fare più che tra due forze, tra le risposte politiche che da esse provengono e che sono in grado di riempire il vuoto di prospettive caratterizzante l'intero panorama italiano dopo il fallimento della cosiddetta "solidarietà nazionale", versione realizzata tra il 1976 ed il 1979 della politica del compromesso.

4. Alcuni nodi sono ormai ricorrenti nella polemica quotidiana emergente dal conflitto fra politica radicale e comunista. Anche negli interventi che seguono tornano questi motivi a confermare, al di là della occasionalità della polemica, la dimensione "teorica" delle diverse posizioni. Valga per tutti evocarne alcune: il ruolo e la concezione del partito; la nozione di democrazia intesa dai comunisti come un processo i cui protagonisti non possono essere che le sole grandi forze organizzate al di fuori delle quali c'è solo disgregazione; l'atteggiamento di fronte a fascismo/antifascismo; il modo di intendere l'unità della sinistra; il rapporto tra classi e loro rappresentanze politiche che, nei comunisti, al di là delle articolazioni e sfumature, ripropone una visione di classe ancorata all'economicismo. Oltre questi temi che in parte abbiamo sollevato con lo schema proposto ai nostri interlocutori, ed a cui sono in parte dedicati gli interventi che seguono, vorrei qui accennare, e solo accennare, a due ques

tioni che mi paiono anch'esse "teoricamente" rilevanti e tali da rafforzare, nei più recenti atteggiamenti della dirigenza comunista, la irriducibile diversità fra radicali e comunisti.

La prima riguarda la recente riproposizione, nonostante l'insuccesso del 3 giugno, della consolidata strategia del compromesso e della solidarietà nazionale che, al di là delle diverse interpretazioni che di volta in volta se ne posson dare, conferma una visione della democrazia politica basata su soluzioni organicistiche e unanimistiche e, al tempo stesso, la sfiducia nella possibilità di costruire nel nostro paese progetti e schieramenti alternativi. Una sfiducia che riguarda i primo luogo lo stesso PCI nonostante il pur ricco dibattito che si è andato aprendo nel suo seno senza che tuttavia abbia avuto la possibilità di trovare un qualche sbocco nei meccanismi decisionali e negli assetti direzionali della grande macchina di partito.

La seconda questione si riferisce al ritorno in forza di un atteggia mento filosovietico proprio nel momento in cui si dispiegano con sempre maggiore evidenza le verità fattuali, e non solo le congetture ideologiche, sul carattere totalitario dei regimi del cosiddetto "socialismo reale" e sulla crescente pericolosità per gli equilibri internazionali del peso e dell'uso che di esso viene fatto della forza strategico-militare dell'URSS.

Non siamo mai stati, noi radicali, tra coloro che enfatizzavano le sudditanze del PCI da Mosca e che da queste facevano derivare il proprio giudizio sulla politica e sulle evoluzioni del comunismo italiano. Ma proprio per ciò oggi non è più possibile ignorare che l'irrigidimento a sostegno dei paesi dell'Est come di quei paesi nei quali si è realizzato il socialismo, è prova che il dibattito che pur si va conducendo all'interno del PCI e che, per quel che ne sappiamo, è franco e talvolta assai divaricato, non porta ad altro esito che non sia la ricomposizione finale sulle linee più vecchie e settarie del filosovietismo nel timore che lo sgretolamento di vecchi miti e credenze porti alla messa in questione dello stesso assetto interno del PCI e cioè del centralismo democratico. Pertanto, anche su questo terreno si conferma una nostra vecchia osservazione secondo cui la DC e l'URSS rappresentano i due aspetti della medesima camicia di forza della politica comunista.

5. Per la realizzazione di questo dossier abbiamo sottoposto lo schema che segue con l'invito a prendere in considerazione uno o più punti, o a proporre altri temi ritenuti necessari ed importanti per un confronto nella sinistra":

a) unità della sinistra: che cosa intendono il PCI ed il PR;

b) intreccio, convivenze, confluenze e contrasti fra atteggiamenti e tradizioni comuniste, socialiste e radicali nella storia delle sinistre in Italia;

c) valore, utilizzazione e significato della tradizione, della coscienza e del mito antifascisti;

d) rapporto partito e società;

e) modello di partito;

f) quale opposizione, in vista di che cosa e per quali ipotesi di

fondo;

g) il doppio problema dell'alternativa.

- come è prospettabile l'alternativa in riferimento ai condizionamenti interni e internazionali (rischio cileno);

- come si può prospettare una ripresa del compromesso storico data la natura della DC;

h) scelte di fondo urgenti: la questione energetica.

Da collegare non solo alla questione ecologica o a quella del

regime interno degli stati ma anche al nodo pace/guerra;

i) scelte di fondo urgenti: il ruolo internazionale dell'Italia.

- è possibile perseguire trasformazioni o operare scelte reali

nei limiti dello stato nazionale?

- è valido e "progressista" il mito dell'indipendenza nazionale? Se non, come si mette in moto un processo di unione europea?

"Come appare evidente dall'impostazione del questionario, l'invito non era tanto a un confronto fra le posizioni ufficiali dei due partiti, ma a un dibattito sulle cose, da cui potessero uscire contributi utili a individuare problemi, a far crescere discorsi comuni: essenziale dunque raccogliere, dall'uno e dall'altro versante, un arco ampio di sollecitazioni e di accenti. Davvero in questo spirito, e anche di questo li ringraziamo, hanno voluto rispondere: fra i comunisti Massimo Cacciari, deputato, Fabio Mussi, condirettore di "Rinascita", Alfredo Reichlin, direttore de "l'Unità", Riccardo Terzi, segretario della federazione comunista di Milano; fra i radicali Angiolo Bandinelli, della giunta nazionale del PR e consigliere comunale a Roma, Jean Fabre, segretario nazionale del PR, Lorenzo Strik Lievers, della redazione di "Argomenti Radicali".

Li ringraziamo tutti per essere voluti intervenire, ognuno con la propria sensibilità, centrando l'attenzione su questo o quell'aspetto dello schema da noi sottoposto e che il lettore rintraccerà negli scritti che seguono".

 
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