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Reichlin Alfredo - 15 settembre 1979
CHI GOVERNA LA TRASFORMAZIONE?
di Alfredo Reichlin

SOMMARIO: Alfredo Reichlin si pone il quesito se movimento operaio e fenomeno radicale siano destinati ad un qualche incontro od a un antagonismo insanabile.

Contesta l'equazione crescita radicale=crisi della sinistra tradizionale, convinto che la ripresa radicale sia un sintomo della crisi generale del paese, dopo le illusioni che avevano seguito il centrismo. Avverte l'esigenza di un reciproco riconoscimento di legittimità messo in pericolo dal "veleno"che scorre nel corpo della critica radicale al movimento operaio.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Aprile-Settembre 1979, N. 12-13)

Credo che il tema vero su cui lavorare sia quello di liberare il terreno dai detriti della polemica immediata per individuare i discrimini delle due culture e delle due prospettive politiche. E' solo a partire da questa opera di chiarezza che si potrà capire davvero se movimento operaio e fenomeno radicale siano destinati ad un qualche incontro o a un antagonismo insanabile. Sarà necessario un grande sforzo di serenità. Non si può cancellare il fatto che il relativo successo elettorale del PR (o meglio della composita area culturale-politica che ne ha adottato il simbolo e accettato la rappresentanza carismatica di Pannella) è stato pagato con un attacco alla politica e alla identità ideale del PCI che pesa. E pesa per tutti, giacché sarebbe un danno per tutti se si dimostrasse vera l'equazione: crescita radicale=crisi della sinistra "tradizionale".

Ma è proprio questa equazione che vorrei anzitutto contestare. La mia convinzione è che la ripresa radicale è piuttosto sintomo - uno dei sintomi - della crisi generale del paese, e più esattamente della crisi delle illusioni neoriformiste e neocapitalistiche che si erano affermate dopo il centrismo. E come tale va considerato un fenomeno significativo, che deve interessare il movimento operaio. Per essere preciso dirò: un fenomeno esterno ma non estraneo ad esso; e non solo perché ha avuto un certo qual effetto di corrosione del blocco elettorale comunista ma perché testimonia di un'area di critica al sistema che non accoglie i valori e le prospettive del movimento operaio e che tuttavia, in qualche modo, pone problemi che il movimento operaio non può ignorare se vuole davvero aggregare un nuovo blocco dirigente.

In sostanza, vede una distinzione rigorosa ma anche la necessità di un reciproco riconoscimento di legittimità. Ma qui sorgono le maggiori preoccupazioni. Scorre nel corpo della critica radicale al movimento operaio qualcosa, un veleno direi, che assomiglia molto alla negazione di una legittimità storica. La forsennata campagna sul cosiddetto "regime", sulla "ammucchiata", sull'abbraccio mortale "tra le due chiese" ha un nucleo ideologico molto vicino all'anatema, cioè alla negazione dell'ammissibilità storica, cioè della legittimità, di questo movimento operaio (oltre che di questo mondo cattolico). Domando: è legittimo o no temere che per questa via, ed anche contro volontà, si finisca con l'aprire prospettive di destra?

Dico questo non per "demonizzare" l'anticomunismo radicale ma per sollevare quello che mi sembra il vero problema: la capacità del movimento operaio di allargare l'arco delle "questioni" su cui proiettare la propria iniziativa, e che sono le questioni più nuove poste dalla crisi generale del paese: quelle della qualità della vita, dei malesseri soggettivi, dei diritti civili, dei rapporti tra pubblico e privato, tra cittadini e istituzioni, tra uomo e natura. Se questa capacità nostra si allarga e si sensibilizza potremo avere un duplice effetto: far avanzare la razionalità politica, la risposta collettiva, l'autogoverno della società; e rendere meno difficili i rapporti tra ciò che per noi è fondamentale (il sociale, la realtà delle classi) e i movimenti, come quello radicale, che rifiutano il meccanismo della mediazione e della sintesi politica.

Dobbiamo superare questa prova oggi, quando si sta dispiegando con tutta la sua forza un tentativo di rivalsa, una controffensiva capitalistica. Se questa offensiva dovesse passare, essa trascinerebbe via con sé anche le possibilità di dare risposte positive alle nuove esigenze emergenti dal tipo di crisi che il paese sta vivendo.

Ma si può fronteggiare questo tentativo di rivincita senza che avanzino la classe operaia e il suo movimento? La domanda non nasce da uno schema ideologico ma dalla preoccupazione, già verificabile empiricamente, che se la società non si trasforma e non si rinnova, essa finisce con atomizzarsi in mille, contrapposti particolarismi. Nella storia degli ultimi dieci anni è questo il punto di frontiera tra i comportamenti radicali e l'iniziativa dei comunisti. Sono anni in cui il movimento operaio ha saputo dispiegare capacità egemoniche (anche nell'impostare la battaglia del referendum sul divorzio bisognerebbe riconoscere che fu vincente una impostazione diversa da quella anticlericale e di rottura dei radicali) ma che hanno visto anche il manifestarsi più acuto di lacerazioni e di scontri. E se una colpa dobbiamo rimproverarci è quella di non aver sempre mirato, nella battaglia contro le impostazioni radicali, ai contenuti. Su questo terreno - è vero - abbiamo scontato seri ritardi nell'assumere con tempestiv

ità e coerenza tutte le questioni riconducibili a quella che viene chiamata "la qualità della vita", ma abbiamo sperimentato anche come al bisogno, allo sforzo nostro di proporre, costruire proposte positive ha corrisposto una impostazione radicale tesa e limitata al momento "abrogativo" di quello che non va. Ma chiedo: si può costruire qualcosa di nuovo e di diverso a furia di referendum? Ed è vera democrazia quella che chiama il popolo a pronunciarsi esclusivamente sulla base del "sì" o del "no"? Ci vuole dell'altro in una società moderna per far sì che la democrazia non sia un guscio vuoto, una caricatura che reca già in sé i germi della tragedia. Parlo, è evidente, dell'intervento delle masse nella politica giorno per giorno, attraverso gli strumenti di direzione, mediazione e sintesi politica che esse si danno. La contestazione radicale, pur dando voce a esigenze di innegabile validità, ha preso di mira, con la strategia dei referendum, proprio questa visione della lotta politica. Che di questo nell'are

a radicale ci si renda conto o no, stanno qui le minacce più serie per la democrazia. Il momento di sintesi e di direzione politica affidato ai partiti non può essere contestato se non ci si dice come si intende rispondere alla domanda: chi e come governa, oggi, la trasformazione della società, la transizione fondandosi sul consenso e sbarrando la via alle soluzioni autoritarie?

Ecco il dilemma che spazza via ogni equivoco e obbliga a risposte chiare, a precise assunzioni di responsabilità. posti, noi e voi, di fronte a questa prova i cui esiti sono decisivi per il paese domando: che senso avrebbe il perseverare nell'anatema, nella contestazione globale delle "funzioni e dei diritti" del movimento operaio anziché misurarsi con esso?

 
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