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Terzi Riccardo - 15 settembre 1979
RIEMPIRE DI CONTENUTO SOCIALE IL DISCORSO POLITICO
di Riccardo Terzi

SOMMARIO: Viene sottolineata la necessità di riempire il discorso politico di un preciso contenuto sociale,per affrontare i problemi dello sviluppo della società italiana. Le questioni da affrontare investono la stessa nozione di "sinistra", il suo bagaglio teorico fondamentale, anche perché la piena assunzione di una responsabilità di governo da parte della sinistra e del movimento operaio è storicamente matura.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Aprile-Settembre 1979, N. 12-13)

Posso inviare, a causa degli impegni di lavoro, solo una nota breve e sommaria. Me ne scuso, ma voglio comunque sottolineare con questo intervento I'opportunità di qualsiasi iniziativa che possa favorire un confronto serio e costruttivo tra le forze della sinistra.

Il quadro attuale non è dei più confortanti, e troppo spesso assistiamo a esasperazioni polemiche, a contrapposizioni, a violente offensive ideologiche.

Se c'è la possibilità di mutare questo stato di cose, essa va indubbiamente raccolta e incoraggiata.

Il tema dell'unità della sinistra assume in questo momento, a mio giudizio, un valore primario, essenziale. Siamo infatti in presenza di una crisi politica profonda ed acuta, che rischia di marcire e di produrre uno stato di marasma e di ingovernabilità.

Il sistema di potere costruito dalla Democrazia Cristiana in questi trent'anni di vita democratica è giunto a un punto morto, e sopravvive a se stesso solo a prezzo della stagnazione e dell'immobilismo, per la vischiosità e la forza d'inerzia di una situazione che la sinistra non riesce a sbloccare.

Soprattutto in questa ultima fase abbiamo toccato con mano l'incapacità politica della DC di risolvere in modo adeguato il problema della direzione politica del paese, e contemporaneamente la resistenza tenace che essa oppone a qualsiasi cambiamento, a qualsiasi tentativo di porre in discussione la sua tradizionale "centralità". L'esempio più clamoroso ci è stato offerto dalla condotta democristiana di fronte all'incarico a Craxi: gli argomenti usati per far fallire questo tentativo sono stati un miscuglio di grossolanità e di arroganza, come da più parti è stato messo in rilievo.

Ecco perché oggi l'iniziativa unitaria della sinistra diviene urgente e indispensabile, per uscir fuori dalle secche dell'immobilismo, per indicare la possibilità di una prospettiva nuova e per organizzare intorno ad essa una lotta concreta che mobiliti le grandi masse popolari.

E' da notare il fatto che la tematica dell'alternativa, agitata con vigore fino a poco tempo fa da alcuni settori della sinistra, si è via via ridimensionata prendendo prima la forma dell'alternanza, e poi riducendosi più modestamente alla questione dell'assegnazione della presidenza del Consiglio ad un partito laico. Se davvero si trattasse solo di questo, si dovrebbe dire che si è fatto molto rumore per nulla.

E tuttavia anche questa questione, in se stessa certamente non risolutiva, può assumere un valore dirompente, può essere un passo significativo sulla via di un rinnovamento del nostro sistema politico, a condizione che non ci si fermi a metà strada, che non si riduca il tutto ad una meschina competizione di poltrone governative. In questo caso la sinistra non otterrebbe nessun risultato storicamente rilevante, e per di più finirebbe per perdere la faccia.

La questione è evidentemente più complessa, implica una prospettiva di più lungo periodo, una lotta più ardua. Resta comunque importante il fatto che si sia posto il problema di un mutamento ai vertici dello Stato, che oggi sia questa una questione all'ordine del giorno, e vanno quindi incoraggiate tutte le iniziative, anche parziali e limitate, che si muovono nel senso di una rottura, di un superamento del vecchio equilibrio di potere.

L'obiettivo che è storicamente maturo è quello della piena assunzione di una responsabilità di governo da parte della sinistra e del movimento operaio. E' nel quadro di questa affermazione generale che trovano la loro sostanziale motivazione le polemiche e le differenziazioni che ci hanno opposto, come comunisti, alle posizioni del Partito radicale. Dobbiamo infatti domandarci se queste posizioni aiutano la sinistra ad affermarsi come forza di governo, o se invece non la risospingono indietro, verso una concezione della politica che si riduce ad agitazione, a propaganda, a ricerca del gesto fine a se stesso.

Ciò può anche essere utile, come è stato provato dalle elezioni di giugno, al fine di lanciare una formazione politica che non ha ancora costruito nel paese una base sociale sufficientemente solida, ma è pensabile che per questa via si ottenga qualcosa di più di una momentanea fortuna elettorale? Probabilmente lo stesso Partito radicale si trova oggi ad affrontare problemi nuovi, e noi ci auguriamo che esso sappia compiere fino in fondo il passaggio dal folklore alla politica.

Non intendo affatto sbarazzarmi in modo sommario del problema del confronto con le posizioni radicali, che è posto dalla realtà dei fatti. Non vorrei però appartenere alla schiera di coloro che rincorrono le mode e che sono pronti a capovolgere i propri giudizi solo in virtù di un risultato elettorale.

La discussione va fatta, ma certo non basta la parola magica dell'unità per far scomparire le ragioni reali e profonde del dissenso. Cerchiamo di mettere in luce queste ragioni, di approfondirle, di impostare un confronto che sia sorretto da un sufficiente rigore di argomentazione: sarebbe già questo un passo in avanti significativo.

Io ritengo che il successo radicale del 3 giugno sia dovuto a due ragioni fondamentali.

La prima consiste nel logoramento della politica di solidarietà democratica, nella presa propagandistica che ha potuto avere tutta la campagna sul cosiddetto "regime" instauratosi nel paese in seguito alla politica del compromesso storico.

Tralascio la grossolanità interessata e strumentale di chi è messo ad agitare lo spettro del regime solo nel momento in cui, solo parzialmente, i comunisti riuscivano a rompere vecchie e tenaci pregiudiziali e ad entrare nell'area di governo.

E' forse un caso che si siano rivelate affinità spirituali tra Pannella e Montanelli, che da entrambe le parti si concentrasse la polemica proprio su questo punto?

Ora una fase politica si è conclusa, e oggi occorre esaminare in termini nuovi tutta la questione dell'unità democratica, tenendo conto dei mutamenti che sono intervenuti e dei segnali offerti dal risultato elettorale.

Tuttavia, e sta qui probabilmente una ragione di contrasto non secondaria, noi continuiamo a ritenere che sia essenziale per l'avvenire democratico del paese e per la sua trasformazione costruire le condizioni per un'intesa tra le forze democratiche.

C'è molto da discutere sulle "forme" che la politica unitaria può oggi assumere, sulle condizioni entro cui oggi può svilupparsi, sugli obiettivi che realisticamente possono essere posti; c'è un esame critico e autocritico da approfondire, e tuttavia resta questo il terreno necessario della nostra azione, al di fuori del quale c'è solo la restaurazione moderata e la piena rivincita dei gruppi conservatori, i quali appunto hanno lavorato per il fallimento di ogni prospettiva unitaria.

La seconda ragione è nel fatto che si è venuta offuscando per strati considerevoli della popolazione, e forse particolarmente per i giovani, la prospettiva della "trasformazione", per cui, in assenza di un progetto di cambiamento, non restava altra possibilità che quella di conquistarsi, nell'ambito dell'assetto sociale dato, il più ampio spazio di libertà possibile.

E' questo un fenomeno preoccupante, che può condurci a forme di "americanizzazione" della società italiana, di individualismo che si rinchiude in se stesso, che rinuncia ad ogni progetto di rinnovamento complessivo della società.

Anche in questo caso vi è però un nocciolo positivo e razionale da raccogliere: tutta la tematica della soggettività, dello sviluppo dell'individualità, della costruzione di una condizione umana più libera ed aperta, deve essere incorporata nell'azione del movimento operaio, che si è mosso con un certo ritardo su questo nuovo terreno.

Ma se l'ideologia radicale consiste essenzialmente nell'accettazione di un'idea di libertà indifferente alle condizioni concrete di organizzazione della realtà sociale complessiva, allora si pone la necessità di una battaglia politica e ideale, perché è in gioco la stessa prospettiva della trasformazione socialista.

Su questo punto, centrale e prioritario, occorre che le posizioni rispettive siano chiarite con estrema nitidezza.

Lo scontro che oggi è aperto nel paese ha come suo contenuto fondamentale, anche se non esclusivo, il tipo di sviluppo economico, il sistema delle relazioni di classe, e ogni posizione che prescinda da ciò, anche se apparentemente assai avanzata finisce per essere nei fatti succube delle forze conservatrici.

Per questa ragione, il discorso politico deve essere riempito di un preciso contenuto sociale, deve essere l'indicazione di una proposta che affronti i problemi dello sviluppo della società italiana. E' questo il dibattito che il nostro Partito ha sollecitato con il recente articolo del compagno Berlinguer.

O si ritiene invece che la "società civile" abbia bisogno soltanto di liberarsi dalla cappa di piombo dell'autoritarismo dello Stato, di liquidare ciò che ne ostacola il libero e spontaneo sviluppo? E'una tesi legittima, ma appartiene alla tradizione liberale, a Locke piuttosto che a Marx.

Insomma, le questioni da affrontare investono la stessa nozione di "sinistra", il suo bagaglio teorico fondamentale.

Nonostante ciò, nonostante il fatto che la nostra discussione non potrà certo sgomberare rapidamente il campo dalle diversità (anche se è auspicabile quanto meno un atteggiamento di rispetto e di correttezza), vi sono però occasioni ravvicinate di lotta politica in cui si può misurare la possibilità di un'azione convergente. L'appuntamento più rilevante è quello della battaglia elettorale dell'80, in cui si decideranno le sorti delle amministrazioni di sinistra che si sono costituite nelle grandi città italiane. Già da tempo si sta organizzando la controffensiva, e noi ci troviamo di fronte a due possibilità: o la restaurazione moderata, il ritorno ai metodi di governo del centro-sinistra, oppure la riaffermazione del ruolo delle sinistre e l'allargamento ulteriore della loro influenza e delle loro alleanze. Può essere questo un punto di iniziativa comune, un'occasione di incontro? In caso contrario, dovremmo trarre la conclusione che le divergenze sono anche più profonde di quanto finora non sia apparso.

 
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