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Arnao Giancarlo - 29 settembre 1979
Contro ogni proibizionismo
di Giancarlo Arnao

SOMMARIO: In occasione della manifestazione nazionale per la liberalizzazione dell'hashish e della marijuana (6 ottobre 1979), Giancarlo Arnao sostiene che la Marijuana è buona e non fa male, ma per qualche grammo si va ancora in galera! E' necessaria una azione immediata contro ogni proibizionismo.

(NOTIZIE RADICALI n. 146, 29 settembre 1979)

In linea generale, l'assoggettamento di una sostanza al regime proibizionistico viene motivato da due ordini di fattori:

a) "tossicità" cioè gravi rischi di danni fisici e/o psichici derivanti dall'uso anche moderato della sostanza (includendo fra i danni psichici anche la predisposizione a comportamenti criminosi o pericolosi per terze persone);

b) "impossibilità o difficoltà di uso controllato", legata alle caratteristiche farmacologiche (è ciò che accade con le sostanze che danno dipendenza fisica).

Una rapida scorsa alla storia del proibizionismo della cannabis mostra che questa sostanza è stata inizialmente proibita in diversi paesi (Grecia 1890, Giamaica 1913, Sud Africa 1928, USA 1937) con motivazioni di questo tipo e cioè:

- di provocare dipendenza fisica;

- di provocare pazzia;

- di provocare comportamenti criminali e violenti.

Tali motivazioni non erano peraltro giustificate da nessuna ricerca scientifica seria. Al contrario è stato successivamente dimostrato che l'uso di cannabis non determina né dipendenza fisica, né pazzia, né comportamenti criminali. La cannabis veniva però mantenuta nella lista delle "sostanze stupefacenti" con motivazioni, per così dire, "precauzionali": formalmente, per attendere che la ricerca scientifica desse un quadro completo e attendibile sulle conseguenze dell'uso; sostanzialmente, nella speranza che sarebbero emerse le giustificazioni a posteriori di un provvedimento legislativo, al cui cambiamento le burocrazie nazionali ed internazionali erano costituzionalmente riluttanti.

E' tipica in questo senso la motivazione con cui la Convenzione ONU del 1961 ha giustificato la definizione della cannabis come "sostanza stupefacente":

"particolarmente adatta a determinare abuso ed effetti dannosi (...) senza che ciò sia compensato da sostanziali vantaggi terapeutici",

da cui risulta chiaro che la sostanza viene valutata come "farmaco" anziché come oggetto di consumo voluttuario: infatti, nella stessa sede veniva sancita l'abolizione della cannabis come medicinale. E' evidente qui un'impostazione "culturale" unidimensionale, che fa dimenticare il fatto che la cannabis è una sostanza tradizionalmente usata in culture non-occidentali alla stessa stregua con cui da noi si usa l'alcool; se d'altra parte alcool, o tabacco, venissero valutati come medicinali, non si vede come potrebbero sfuggire alla definizione che ha condannato la cannabis all'iscrizione nella lista degli stupefacenti.

L'ambiguità delle argomentazioni della Convenzione appare evidente alla luce della insospettabile valutazione della Commissione governativa britannica, secondo cui la presenza della cannabis nella lista degli stupefacenti "si spiega con la diffusione del suo abuso e con la obsolescenza dell'uso medico piuttosto che con la sua intrinseca nocività" (cfr. Graham, "Cannabis Now", p. 81). In altri termini, la dimensione "culturale" è stata usata come un motivo per criminalizzarlo.

Successivamente, il proibizionismo della cannabis è stato motivato con altre argomentazioni, tra cui principalmente:

a) l'ipotesi della "droga di passaggio", cioè che l'uso di cannabis determinasse uno stimolo all'uso di droghe più pericolose;

b) la "sindrome amotivazionale", cioè la possibilità che l'uso prolungato di cannabis determini un distacco dalla vita attiva e produttiva;

c) "effetti patologici dell'uso prolungato" (danni ai cromosomi, atrofia cerebrale, diminuzione del testosterone, diminuzione della difesa immunitaria).

Ebbene, dopo anni di studi e ricerche accurate, "non una di queste ipotesi è stata scientificamente provata". Nessuno dei numerosi rapporti ufficiali promossi dai governi olandese, britannico, canadese, USA, australiano, dalla New York Academy of Science dall'Unione Consumatori (USA), dal Drug Abuse Council (USA), dal National Institute on Drug Abuse (USA) - in cui tutta la ricerca scientifica sull'uso di cannabis a livello mondiale è stata consultata e criticamente analizzata - è riuscito ad individuare l'esistenza di specifici effetti negativi irreversibili dell'uso anche intenso di cannabis.

Non possiamo, in questa sede, dilungarci nei particolari, per cui rimandiamo ai testi specializzati. Pensiamo che sia utile un breve accenno per fare chiarezza sull'accennato problema della "droga di passaggio". Si sente e si legge spesso, a questo proposito, un'argomentazione che sembra ineccepibile: "tutti quelli che fanno eroina hanno cominciato con l'hashish; quindi l'uso di hashish porta all'uso di eroina", dimenticando che seguendo questa stessa logica si potrebbe affermare che "l'uso di hashish porta a diventare noti musicisti di rock, dato che tutti i noti musicisti rock hanno cominciato fumando hashish".

L'ultimo rapporto ufficiale sulla cannabis è stato pubblicato nel 1979 dal National Institute on Drug Abuse, e ribadisce che nessuna delle ipotesi formulate su eventuali danni dell'uso prolungato di cannabis ha trovato finora conferma. Ciò non significa naturalmente che la cannabis è "innocua": "non esistono sostanze nocive o innocue in assoluto, ma diversi livelli di nocività relativa, in rapporto alle circostanze di uso". Il fatto che non sia stata raggiunta la certezza dell'inesistenza di effetti negativi, non può essere interpretato qualunquisticamente come la prova di una generica e indiscriminata "non affidabilità" della sostanza, ma come la prova di un "basso livello di nocività relativa": in altre parole, se determinati effetti negativi non sono stati individuati nonostante le numerose ricerche intraprese, ciò significa concretamente che gli eventuali effetti nocivi avvengono con una incidenza percentuale limitata, e sono probabilmente legati ad altri fattori concomitanti. Va comunque notato che, se

pure "tutte le ipotesi" formulate sulla nocività non sarebbe più grave di quello dell'alcool o del tabacco.

Siamo quindi di fronte al paradosso di una sostanza che viene mantenuta nell'illegalità "soltanto perché non si è certi della sua completa innocuità". Se questo criterio fosse adottato coerentemente, la lista dei comportamenti illegali dovrebbe essere estesa indiscriminatamente. Rimanendo nell'ambito dei casi più evidenti, non si vede perché non dovrebbero essere illegali alcool, tabacco, o comportamenti altamente rischiosi come le competizioni automobilistiche e motociclistiche, come l'alpinismo (173 morti, 440 feriti, 47 dispersi in Italia nel 1978).

In effetti, le più recenti argomentazioni a favore del proibizionismo prescindono volutamente da valutazioni di "nocività relativa" (non potendo negarsi che le droghe "legali" sono più nocive della cannabis), ma si basano sull'affermazione apparentemente "realistica" che "se abbiamo sbagliato con alcool e tabacco, non è una buona ragione per sbagliare ancora con la droga leggera". Si dà cioè ad intendere che, se alcool e tabacco fossero stati a suo tempo proibiti non darebbero oggi i problemi tremendi che danno. Chi afferma questo dimentica che alcool e tabacco "sono stati proibiti" nel passato in diversi Paesi, con risultati del tutto negativi. Dimentica soprattutto la recente, clamorosa e disastrosa esperienza del proibizionismo americano, che ha definitivamente dimostrato come i problemi di salvaguardia sanitaria non possono essere risolti con le leggi, e come le leggi proibizioniste incrementano lo sviluppo di imponenti attività criminali.

Si dimentica inoltre che una legge che penalizza la cannabis e non altre sostanze, a dispetto dell'evidenza scientifica, è in contrasto con i criteri di eguaglianza che devono essere alla base del diritto, e perde quella credibilità senza la quale, come si è visto, è destinata a fallire. Inoltre, tale argomentazione non tiene presente il fatto che, fra cannabis e alcool, è l'alcool a provocare più facilmente quei comportamenti violenti o irresponsabili che costituiscono un rischio per terze persone e quindi una valida motivazione di controllo legale.

Infine, tale argomentazione non tiene presente il fatto che l'uso di cannabis è comunemente "alternativo" a quello di alcool: penalizzarlo significa di fatto incoraggiare l'uso di alcool, più tossico e più pericoloso per i suoi effetti sul comportamento.

 
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