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Roccella Franco - 29 settembre 1979
Lotta per la vita: dal 18 settembre di nuovo digiuno
di Franco Roccella

SOMMARIO: Sull'urto della proposta radicale, Parlamento e governo consentono che si debba procedere subito con interventi urgenti e straordinari. E' la tesi radicale: un approccio non al "problema della fame", in cima al cumulo di logiche e congegni che consolidano l'assetto del mondo, ma la testimonianza bruciante di "questo" sterminio per fame di decine di milioni di vite ogni anno, di "questi" assassinii; non l'enunciato delle sacrosante analisi economiche e sociali, ma l'incompatibilità fra questo massacro e questa nostra coscienza di oggi, nel nostro paese-mondo, nel nostro tempo-civiltà.

(NOTIZIE RADICALI N. 146, 29 settembre 1979)

(L'azione nonviolenta volta ad imporre interventi urgenti per salvare dallo sterminio, entro il 31 dicembre, coloro che sono altrimenti condannati alla morte per fame)

Registriamo intanto questa prima conquista. Sull'urto della proposta radicale, Parlamento e governo sono venuti al nostro convincimento: doversi procedere subito con interventi urgenti e straordinari. Non è poco. Vuol dire che il problema della fame nel mondo dal tempo storico passa ai tempi politici, da apprensione che fugge verso orizzonti remoti diventa impegno che si concreta sul terreno della politica, della politica che si fa, da riferimento allo "sviluppo" delle cose si traduce in momento della nostra coscienza civile.

E' la tesi radicale. Il nostro rapporto con questo, e non con il futuro, fenomeno della fame acquista spessore e peso specifico, solo se modifichiamo l'angolazione dell'approccio: non il problema della fame, collocato in cima al cumulo di logiche e congegni che consolidano l'assetto del mondo ma le sue testimonianze brucianti, "questo" sterminio di decine di milioni di vite umane per anno, "queste" morti, "questi" assassinii; non l'enunciato sapiente delle sacrosante analisi economiche e sociali o delle definizioni esaurienti, ma il risentimento di incompatibilità fra questo massacro e questa nostra coscienza di oggi, in questo territorio di esistenza dove si correlano e si integrano paesi, economie, popoli, collegati da un nesso compensativo che si chiama "equilibrio", senza fini distinzioni di "altri" e di "altrui". Il "nostro" paese-mondo, il nostro tempo-civiltà.

E' bene insistere su questo punto; e chiarire. Ripetiamo, il problema della fame diventa problema civile e politico se colto nel segno più intollerabile, le angosce e le morti; solo allora si pone nella urgenza e nella perentorietà delle nostre coscienze individuali e collettive, private e pubbliche e determina, altrimenti coscienza non è, l'obbligatorietà del "reagire".

Solo sgombrando il terreno da ogni tentazione dilazionante e da ogni lusinga è estraniata (è "altro", ed è d'"altri") subito, qui oggi, si apre con lealtà la via delle possibili soluzioni.

E piani e programmi, in questa dimensione, diventano attendibili. E in evidenza immediata in questa dimensione del concreto morale e politico, vengono la contraddizione che corre tra nostro modo di fruire e spendere la vita e questo modo contemporaneo di sprecarla in assurdi olocausti, tra impiego delle risorse in investimenti di guerra e di morte, le spese militari (in Italia siamo oltre 5.000 miliardi), e impiego delle risorse in investimenti per la vita e davvero per la pace, fra logica dell'economia nei profitti incondizionati e dei nazionalismi concordati e logica dell'economia della socialità. Solo in questa dimensione, suggerita e imposta dai radicali, le visioni correttive degli assetti e dei meccanismi economici acquistano valore, perché richiamati sul terreno dell'attendibilità politica e operativa.

E' l'opportunità che offriamo al "sapere" (sapienza professionale e "politica") di esperti e di impegnati, i quali non possono, per serietà questa volta morale, attenderla nel silenzio e nell'inerzia per decenni e disprezzarla, quando arriva, con clamore.

Invocare la complessità del problema fame, la sua intima connessione conseguenziale con gli assetti economici, la sua immediata dipendenza dalle scelte e dai meccanismi di politica, di potenza, e di convenienza neocapitalistica, per dileggiare l'opportunità offerta, significa semplicemente rifiutare di avvalersene per testimoniare quell'ostruzionismo complice che Pasolini addebitava agli intellettuali italiani.

Non vale. Così come non vale il ricorso alla ponderatezza e al realismo utilizzato dal PCI per accusarci di mancanza di "serietà", di facile propagandismo, di estemporanea improvvisazione, rivendicando incautamente a sé, al tempo stesso, una antica attenzione al "problema".

I compagni comunisti si espongono a tre ordini di contestazioni, semplici e chiare: 1) non esiste una così lunga e connaturata preoccupazione del fenomeno fame se ha sempre avuto un suo riscontro sistematico nella omissione politica e se il risultato è questo biblico incremento dello sterminio per fame, più da presso questa sicura persistenza della refrattarietà parlamentare rota esclusivamente dall'urto "irresponsabile" dei radicali; 2) se amore di realismo, di analisi e di programmi c'è, non c'è alcuna ragione confessabile, onesta, "seria", per rifiutare l'apprezzamento dell'opportunità, non assumerla come occasione, a lungo attesa, e per far valere questo sviscerato e incorreggibile amore traducendolo nell'operare politico; 3) non ha senso aver rifiutato le firme per la convocazione straordinaria del Parlamento, o ha solo il valore di un'assenza per poi riconoscere con il voto a un ordine del giorno, la priorità strategica dell'intervento straordinario e urgente.

Insistiamo dunque: interventi straordinari e immediati; e urgenti come urgenti sono le morti per fame. La nostra infingardaggine, dati i termini in cui abbiamo posto il "problema", porterebbe ad assumerci tutto il carico di un contenzioso folle; il rinvio a interventi ultimativi, proiettandosi nel tempo, verso lontane scadenze risolutive, dovrebbe dare di necessità per scontato l'accumularsi di queste morti e lascerebbe per intanto inalterato e operante, e quindi condizionante, il meccanismo dell'economie che si dice di voler correggere.

Misurate con questo metro, le due proposte più "serie" formulate in Parlamento sono quella radicale dell'impiego dell'esercito (in particolare genio e sanità) in assetto disarmato di pace negli interventi immediati e straordinari e quella del socialista Francesco Forte in ordine all'utilizzo a media scadenza dei surplus cerealicoli ed alimentari.

Governo e Parlamento dunque hanno accettato la logica dell'intervento straordinario ed immediato. Ma non l'hanno quantificata. Da qui la contraddittoria, ma solo apparentemente contraddittoria, confluenza del voto radicale sull'ordine del giorno concordato da DC, PCI, PSI, PSDI, PLI alla Camera e la persistenza del digiuno di Marco Pannella e del sottoscritto.

Riteniamo come è giusto una conquista quell'ordine del giorno, impensabile senza l'iniziativa radicale, e riteniamo la questione tuttora aperta.

Ne attendiamo le conclusioni. Gli interventi straordinari ai quali è impegnato e si è impegnato l'esecutivo tendono a salvare dalla morte prevista e programmata coloro che si sono condannati "nelle prossime settimane". Così il testo. Allora il parametro è questo, e su questo parametro si misura l'urgenza e il quanto. Nelle sei prossime settimane i condannati a morte per fame sono più di 5 milioni. Ma una settimana è già trascorsa e noi contiamo i giorni in cifre di morti. Quante vite intende salvare il governo per essere credibile in rapporto a queste folli cifre? E quanto si intende procedere con una disponibilità di tempo così avara? Su queste risposte misureremo la serietà degli impegni. Non possiamo fare altrimenti. Solo allora potremo ritenere questa prima fase della nostra iniziativa conclusa. Nell'attesa la nostra proposta rimane inalterata: l'Italia dia quell'1% del prodotto nazionale lordo che in sede ONU si è impegnata a dare (e non ha dato) in aiuti ordinari, e stanzi un altro 1% in interventi str

aordinari. E su questo apporto il ministro degli esteri giochi il credito del nostro paese nelle sedi internazionali: il suo credito e, finalmente, una politica di grande respiro.

 
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