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Galli Della Loggia Ernesto - 18 novembre 1979
Il Marco-pensiero
di Ernesto Galli Della Loggia

SOMMARIO: Il XXII Congresso radicale di Genova (31 ottobre, 1, 2, 3, 4 novembre 1979) si apre con due elementi: l'arresto del segretario del Partito Jean Fabre in Francia come obiettore di coscienza e la contestazione interna del gruppo di Giulio Ercolessi e Giuseppe Ramadori. I deputati radicali, rispettando il principio della "separazione" fra membri eletti (che rappresentano la nazione senza vincoli di mandato) e partito, non partecipano al Congresso. La stampa amplifica la contestazione interna parlando di caduta della leadership di Marco Pannella.

Ernesto Galli della Loggia analizza la strategia del Pr che si baserebbe su due idee-forza: "carisma per delegittimare socialmente e praticamente le burocrazie dei partiti, ostruzionismo per impedire che la domanda di 'imput' formale del sistema imponga anche al Partito radicale di assumere i tratti formali di una burocrazia-partito". Ma conclude che questo tentativo di "corto-circuitare" il sistema non sia agibile.

(L'ESPRESSO n. 46, 18 novembre 1979)

Al comune lettore di giornali i radicali sembrano oggi in preda ad una crisi di autolesionismo, come se il partito avesse deciso di fare un vero e proprio harakiri politico. Basti pensare a due fatti. Tra tutti i partiti italiani quello radicale è unico a ritrovarsi un leader dotato di un'efficacissima e sperimentata presa carismatica, e ciò proprio mentre in tutto il paese il successo del ``partinismo-wojtylismo'' pare indicare che la gente altro non chiede che l'uomo prestigioso e deciso in grado d'incarnare il fascino magico della ``leadership''. Ebbene, cosa fanno i radicali a questo punto? Decidono che è ora di farla finita con il carisma: quindi basta con Pannella, basta con il suo ``ducismo'' ammaliatore di folle televisive, che però impedisce alla ``base'' di ``esprimersi'' (richiamo che a sinistra ha più o meno lo stesso valore taumaturgico del richiamo in conclave allo Spirito Santo).

Secondo fatto. Come è noto, il partito radicale è un partito che non è un partito, ha appena tre-quattromila iscritti, tutta la sua influenza è affidata alla capacità di essere portavoce di un'area che in qualche modo attraversa tutti i pietrificati schieramenti tradizionali. Ebbene, dopo le elezioni di giugno, e specie in questi ultimi tempi, proprio mentre a sinistra si nota un po' dappertutto un risveglio delle ``aree'' rispetto alla struttura dei partiti (le lettere e i manifesti degli intellettuali ne sono un sintomo) cosa salta in mente ai radicali? Niente di meno che porre all'ordine del giorno la ``questione del partito'': si vogliono trasformare anche loro in partito (un partito ``diverso'', naturalmente, ma si sa come vanno a finire queste cose).

Il congresso di Genova è stato - nelle forme di un'ormai collaudata vocazione all'happening (unica novità di rilevo il bambino di 10 anni al microfono, che non si vedeva dai tempi di papa Luciani) - la cassa di risonanza di queste contraddizioni. Le quali, però, lungi dal riguardare i radicali soltanto, sono le contraddizioni di tutta la sinistra ed insieme del sistema politico considerato nel suo complesso. Vediamole.

Prima contraddizione: alla lunga il carisma è incompatibile con la burocrazia e viceversa. Il sistema, a sua volta, è incompatibile con entrambi.

Mi spiego. I partiti di sinistra (comunisti e socialisti), nati originariamente, grazie al messaggio ideologico-palingenetico del marxismo, come burocrazie carismatiche, almeno da vent'anni sono divenuti delle burocrazie e senza aggettivi. In questo, di per sé, non c'è niente di male. Il fatto è che, per aspirare ad una legittimazione, qualsiasi burocrazia deve essere dotata di efficienza propria: efficienza propria (nel caso di una burocrazia-partito: quando il partito ``vince'', ha la maggioranza alle elezioni o conquista il potere, soddisfa fondamentali bisogni simbolici e pratici di una base sociale), oppure efficienza riflessa prodotta dal sistema generale che essa contribuisce a far funzionare (nel caso nostro il sistema politico-statale: di questa legittimazione godono in genere soprattutto i partiti ``borghesi'').

Il guaio del caso italiano è però che: a) le burocrazie-partito di sinistra non possono produrre la prima forma di efficienza perché non possono vincere le elezioni e andare al governo; b) essendo il sistema politico-statale al collasso, e producendo inefficienza anziché efficienza, esso neppure può fornire indirettamente la legittimazione che sarebbe necessaria.

E' in questo senso che il sistema è incompatibile con la legittimazione della burocrazia. Il successo dei radicali si deve in misura notevole al fatto di aver capito tutto questo, e quindi alla loro decisione di ``vedere'' il bluff della pseudo-legittimazione dei partiti della sinistra.

Proprio a questo punto, però, si pone un ulteriore problema, che è appunto quello che oggi si trova davanti il partito radicale. Esso consiste nel fatto che esistono anche le ``forme'' del sistema politico, le sue interne regole di funzionamento. Queste regole, queste forme, comportano una domanda di ``input'' formale (elezioni, attività delle rappresentanze nelle assemblee, gioco dei tempi e delle procedure) la quale, svincolata com'è da ogni valutazione circa l'``output'' reale del sistema, è sostanzialmente una domanda che sola la burocrazia-partito può soddisfare. Insomma, per usare un'espressione cara agli intellettuali comunisti, il sistema delle forme politiche domanda forma-partito.

Seconda contraddizione: un commando di sabotatori e un partito d'interessi diffusi. Pannella questo l'ha capito; ha capito cioè che il carisma, rivelatosi così efficace nella fase di deligittimazione delle burocrazie, è del tutto impotente di fronte all'involucro formale del sistema. Donde la sua decisione di alzare il tiro, vale a dire di attaccare questo involucro sabotandone per l'appunto la forma più importante, che è quella di produrre normativa, di legiferare.

Questo il senso dell'ostruzionismo parlamentare che è, nella mente del leader, la via maestra che i radicali devono tenere a Montecitorio. Per riassumere: carisma per delegittimare socialmente e praticamente la burocrazia dei partiti, ostruzionismo per impedire che la domanda di ``input'' formale del sistema imponga anche al partito radicale di assumere i tratti formali di una burocrazia-partito. I due corollari obbligati di questa linea sono: il dominio assoluto del gruppo parlamentare e un uso del finanziamento pubblico che rilanci in continuazione il messaggio carismatico-deligittimante (soldi alle radio e non alle sedi).

La scelta è senz'altro abile ma non tiene conto di almeno due elementi importanti. Il primo è che la domanda di ``input'' formale da parte del sistema politico è assai più grossa di quanto Pannella non sembri credere. Il sistema esige che vengano coperti migliaia di consigli comunali, provinciali, regionali, eccetera; che si sia in grado di dire la propria sull'universo mondo con proposte e progetti di legge (che magari non troveranno esito alcuno, ma questo poco importa) e quindi che si abbiano commissioni ad hoc, uffici, studi, funzionari per seguire le questioni, ecc. ecc. Le forme del sistema politico generale impongono la creazione di una burocrazia partitica. Tutto diverso, naturalmente, sarebbe il discorso se da noi esistesse un sistema presidenziale. Da questo punto di vista è strano che il gruppo dirigente radicale si sia lasciato così poco tentare dalle proposte presidenzialiste che circolano in questi mesi.

Il secondo elemento riguarda il rapporto del partito con la sua base elettorale. E' vero che il partito radicale concepisce la strategia referendaria come surrogato dell'insediamento sociale e della mediazione politica. E' anche vero, tuttavia che, come tutti i partiti, anch'esso ha bisogno di un ``suo'' elettorato stabile (e possibilmente crescente). Questo elettorato diciamo così patrimoniale esso l'identifica principalmente nei cosiddetti portatori di interessi diffusi (donne, giovani, consumatori, emarginati, vecchi, ecologisti, ecc.) per antonomasia non organizzati. Ma - e qui è il punto - non organizzati come? Perché organizzati di fatto lo sono, almeno embrionalmente; ne fa fede la corolla di leghe e di associazioni che ruota intorno al partito radicale.

Ora, fino a che punto è immaginabile che questi gruppi possano crescere senza una burocrazia (anche il Touring club, per fare un esempio, ha un stuolo di funzionari) e soprattutto senza che questa burocrazia apportatrice di voti e di consensi non chieda di essere adeguatamente ricompensata e tenuta in considerazione?

Per concludere, non mi sembra che la strategia di ``corto-circuitare'' il sistema con il carisma e con l'ostruzionismo possa alla fine rivelarsi pagante o, come anche, si dice, agibile. Il problema non è quello di abolire le burocrazie, ma di selezionarle con criteri diversi; non è quello di mettere fuori gioco il sistema impendendone le forme, ma di cambiare la forma anche delle sue regole. Il problema, cioè, è quello di costruire una cultura democratica e riformatrice che sappia finalmente fare i conti con la realtà.

 
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