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Panebianco Angelo - 30 gennaio 1980
CARISMA E PARTITO RADICALE: ALCUNE RIFLESSIONI
di Angelo Panebianco

SOMMARIO: L'autore riprende l'idea di Ernesto Galli della Loggia che interpreta il ruolo politico dei radicali nei termini "weberiani" di una contrapposizione tra carisma e burocrazia. Illustra per sommi capi la teoria weberiana del carisma ricordando che il carisma è associato da Weber al mutamento, la burocrazia è congelamento di norme, strutture, è cristallizzazaione di rapporti, è conservazione. Il carisma con la sua stessa esistenza rappresenta un attaco frontale alla burocrazia.

Il carisma è suscitatore di energie che debordano e vanno molto al di là dello strumento-partito da cui è veicolato, ma il carisma può essere "routinizzato" in quanto presto o tardi si sviluppa una pressione che tende a riassorbirlo. Il "carisma riesce a produrre tanto più mutamento tanto più a lungo resiste alla pressione che lo spinge a routinizzarsi". Nel caso del Partito Radicale c'è però una contraddizione: il militante ha scoperto che i nuovi valori libertari lo rendono critico di ogni potere e quindi anche del potere del leader.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Novembre 1979 - Gennaio 1980, N. 14)

"Questo articolo è stato concepito e può essere letto, in un certo senso, come un intervento congressuale... a scoppio ritardato. L'occasione immediata è stata offerta dai commenti della stampa sul congresso del PR di Genova e soprattutto da un acuto intervento di Ernesto Galli della Loggia apparso su "L'Espresso " dopo la conclusione del congresso. L'articolo che segue era stato originariamente pensato e scritto (un paio di settimane dopo il congresso) per una sede diversa da "AR ", per un pubblico più esterno che interno al mondo radicale. Ecco perché almeno alcune delle cose che qui vi sono contenute dovrebbero essere in qualche modo familiari a molti radicali. Rileggendo questo articolo in un'ottica per così dire "interna", l'autore si rende conto che il suo contenuto sembra fatto apposta per scontentare un po' tutti i radicali, anche se forse gli uni per ragioni diverse dagli altri, e se ne dispiace. Valga, a titolo di considerazione, la consapevolezza che la realtà, come sempre, è assai più complessa e

assai più ricca di quanto non appaia in un "modello" interpretativo per sua natura schematico e semplificante: nel caso specifico, né il Partito Radicale è riducibile al solo carisma né, del resto, il PCI è riducibile alla sola burocrazia.

D'altra parte, chi scrive ha sempre seguito la regola di non curarsi delle conseguenze politiche di quanto andava sostenendo - anche perché, maldestro come è, forse non le saprebbe nemmeno valutare - ritenendo non doverci essere divaricazione fra la categoria del "vero" (nell'unico senso possibile della propria e quindi opinabile verità) e la categoria dell'"utile". Senza contare che le "conseguenze politiche" degli esercizi intellettuali, a guardar bene, quale che sia il polverone che tali esercizi sollevano, sono spesso minime e a volte del tutto inesistenti. Anche se gli intellettuali, al fine di vendere meglio i loro prodotti, hanno il vizio di sopravvalutare spesso, in modi veramente eccessivi e stucchevoli, il proprio cosiddetto "ruolo" in politica (d'altra parte, a chi non piacerebbe essere Kissinger?). E i politici fanno bene a riderne o a scrollare le spalle.

Comunque sia, è sempre troppo faticoso trattenere sulla punta della penna idee che si hanno da un po' di tempo".

Unico fra i commentatori del congresso radicale di Genova, Ernesto Galli della Loggia ("L'Espresso", 18/11/79) ha accennato al modo giusto di interpretare il ruolo politico dei radicali, nei termini "weberiani" di una contrapposizione fra carisma e burocrazia. E poiché il "problema radicale" è oggi un problema importante della politica italiana conviene approfondire l'argomento.

A Genova, come parte della stampa ha segnalato, si è sviluppato un conflitto fra i difensori delle "istanze della base" e i sostenitori del leader carismatico. Ed è vero ciò che Galli della Loggia osservava nell'articolo citato, che nei partiti di sinistra il richiamo alle istanze della base è l'equivalente della invocazione dello Spirito Santo in Conclave. Ciò non toglie che uno dei drammi ricorrenti della politica sia legato alle periodiche ribellioni degli uomini alla legge, peraltro ferrea, del "piccolo numero", la legge del predominio delle "élites". Gli uomini si ribellano, e in ciò consiste la loro "umanità", a un gioco, quello politico - sotto qualunque cielo - secondo le regole del gioco in larga misura stabilite da altri. Quando ciò accade, che il principio di organizzazione sia il carisma (come nel Partito Radicale) o sia la burocrazia (come nei partiti comunisti) si produce una profonda tensione interna (sulla quale si innestano, ovviamente, le manovre delle "élites" di minoranza). In un partito

carismatico, questa tensione implica una oggettiva e potente pressione nella direzione di quella che Max Weber definiva la "routinizzazione" del carisma, la sua sostituzione con almeno alcuni principi organizzativi burocratici (mentre di tipo opposto è la pressione sulle burocrazie). A Genova si è sviluppato un tentativo di imporre una routinizzazione del carisma. La tesi implicita nelle note che seguono è che se un processo di questo genere andasse realmente in porto, ciò sarebbe poco meno che una catastrofe per i radicali e comunque la fine pura e semplice del loro ruolo innovativo nella politica italiana (e forse europea). Per spiegare questa tesi occorre meglio chiarire, a fronte di una cultura politica che, mediamente, ne mastica poco o nulla, in che cosa consista, almeno per grandi linee, la teoria Weberiana del carisma.

Vediamo di che si tratta:

1) Il carisma è a un tempo un principio di organizzazione e un meccanismo di legittimazione del potere di un leader. Il fenomeno del carisma può prodursi a livello micropolitico (ad esempio, di piccola comunità) oppure a livello macropolitico (di stati o di imperi).

2) Carisma non è sinonimo di "popolarità": un leader carismatico può non essere troppo popolare, un leader popolare non è solo per questo un leader carismatico. De Gaulle fu, alla luce della teoria weberiana, un leader carismatico ma la sua popolarità misurata dai sondaggi subì molti alti e bassi. Pertini è un leader popolare, anzi popolarissimo, ma Weber non lo classificherebbe fra i leader carismatici.

3) Il carisma può presentarsi a "sinistra" oppure a "destra" e può incarnarsi in ipotesi politiche autoritarie oppure democratiche. Per rimanere ai fenomeni macropolitici, può essere autoritario di destra (ad es. fascismo) o autoritario di sinistra (leninismo) e può essere democratico di destra (gollismo) oppure democratico di sinistra. Tra i molteplici tratti distintivi dell'avventura radicale, c'è anche la progressiva crescita di un carisma che presenta il doppio carattere di essere "di sinistra" e di essere "democratico".

4) Il carisma è associato da Weber al mutamento, esso è l'opposto della burocrazia. La burocrazia è congelamento di norme, strutture, è cristallizzazione di rapporti, è conservazione. Il carisma, con la sua stessa esistenza, rappresenta un attacco frontale alla burocrazia. L'antagonismo radicali-comunisti ha anche in questo una sua possibile chiave di lettura. Il carisma si presenta sempre come innovazione, come rottura con il passato in nome di nuovi valori. La fondazione del movimento carismatico così come tutta la sua successiva attività è volta ad imporre una rottura con la tradizione. "E' scritto... ma io vi dico": suscitare scandalo, attaccare frontalmente le credenze "ufficiali" è parte costitutiva e fondante del fenomeno carismatico nel suo dispiegarsi conflittuale contro le burocrazie. Il discorso di Pannella su via Rasella all'inizio della campagna elettorale si inquadra in questo schema. Esso crea un messaggio delegittimante per la tradizione (e per la "violenza legittima", quella partigiana, che

la tradizione consacra) con possibili effetti sconvolgenti per le burocrazie che la tutelano. La rottura con la tradizione è tanto più radicale e suscita dunque tanto più scandalo perché è condotta "da sinistra", in nome della non-violenza (per delegittimare "qualunque" violenza). Se l'attacco fosse condotto da destra, infatti, come la destra lo ha sempre condotto, contro la violenza partigiana per giustificare la violenza nazista, non rappresenterebbe una rottura con la tradizione, non susciterebbe scandalo, non sarebbe pericoloso per la burocrazia.

5) Procedendo in questo modo il movimento carismatico agisce secondo un'"etica della convinzione" che è il tratto caratteristico dello stile politico associato al carisma. L'etica della convinzione è l'opposto dell'"etica della responsabilità" secondo i cui principi procedono le burocrazie. L'etica della responsabilità è compromesso, attenzione al "quadro politico", alle compatibilità, disponibilità alla mediazione ecc. L'etica della convinzione (o del "valore assoluto") è rifiuto di ogni mediazione, consiste nel perseguire fino in fondo "ciò che è giusto" prescindendo da considerazioni di opportunità. "I radicali sono eccessivi irresponsabili" è la classica obiezione del leader-burocrate che applica un'etica della responsabilità a chi si muove secondo uno stile politico dominato da un'etica della convinzione.

6) Il carisma è suscitatore di energie che debordano, che vanno molto al di là dello strumento-partito da cui è veicolato. La sproporzione fra la consistenza (assai esigua) del Partito Radicale e le enormi energie di rinnovamento (a cominciare dal divorzio) che sa suscitare nel paese è da tutti notata. E' inerente al fenomeno del carisma che la stessa "autorità" dello strumento (partito, setta o altro) sia un'autorità riflessa, di secondo grado, che lo strumento non ha per se stesso ma che gli viene dalla "autorità" del leader presso l'opinione pubblica.

7) Arriva sempre, prima o poi, il momento in cui il leader smette di "parlar male di Garibaldi", di attaccare la tradizione, e il movimento cessa di produrre nuovi valori. E' proprio di qualunque carisma, infatti, di essere precario, provvisorio. Si sviluppa presto o tardi una pressione che tende a riassorbirlo. Quando ciò accade il carisma si è "routinizzato" (quali che siano le successive fortune del leader e del movimento), i valori che ha suscitato e imposto si cristallizzano in una nuova burocrazia, si trasformano in tradizione. La trasformazione della setta che segue il profeta contro le Chiese preesistenti in Chiesa essa stessa, quindi in burocrazia, esemplifica il processo di routinizzazione del carisma.

Una logica conseguenza di questo discorso è dunque che "il carisma riesce a produrre tanto più mutamento quanto più a lungo resiste alla pressione che lo spinge a routinizzarsi".

E' alla luce di questa teoria che è possibile analizzare le tensioni e i conflitti interni al Partito Radicale e fra i radicali e le altre forze politiche. Nei rapporti interni, il conflitto si produce perché quello stesso rifiuto della mediazione che il leader applica nella azione politica, viene applicato, con altrettanta durezza, all'interno. In un movimento carismatico libertario questo avviene nel rispetto della democrazia procedurale. Sul piano delle procedure non c'è partito più democratico di questo: lo scontro è sempre frontale e in campo aperto. Ma il punto importante è che esiste una stretta corrispondenza fra il modo di procedere del partito nell'azione politica e il suo modo di regolare i rapporti interni. E non può che essere così perché il rifiuto della mediazione e della contrattazione all'esterno (che è una condizione di auto-alimentazione del carisma) richiede e si fonda sul rifiuto della mediazione all'interno. Ciò che gli oppositori di Pannella (di vario genere) chiedevano a Genova era in

realtà "mediazione", compromesso interno che rispecchiasse e rispettasse la complessità del movimento. Ciò che essi non comprendono - né lo possono perché in questa non-comprensione fondano la propria "umanità", la propria ribellione alle leggi ferree della politica - è che non potrebbe darsi mantenimento della "diversità" radicale nella politica italiana se si sviluppasse uno stabile sistema di mediazione interna. Non si dà infatti un'etica della convinzione nei rapporti esterni cui corrisponda un'etica della responsabilità in quelli interni. La mediazione il compromesso, è parte del modo di procedere delle burocrazie. Istituzionalizzandosi entro il Partito Radicale implicherebbe la routinizzazione del carisma. E la routinizzazione, attraverso i compromessi interni, distrugge inesorabilmente la "diversità".

Nel caso del Partito Radicale gioca, inoltre, al suo interno, una contraddizione specifica che non si ritrova in altri movimenti o partiti carismatici. In un movimento carismatico, poniamo, di tipo bolscevico, non c'è contraddizione fra l'essere un "buon rivoluzionario" e accettare il potere del leader. Ma in un movimento libertario questa contraddizione esiste ed è esplosiva: da una parte, il militante ha scoperto i nuovi valori libertari grazie alla "predicazione" del leader ed è quindi portato a seguirlo; d'altra parte, i valori libertari lo rendono critico di ogni potere e quindi anche del potere del leader. Da qui quell'atteggiamento contraddittorio verso il leader che è proprio di molti radicali. Da qui le "rivolte contro il padre" che caratterizzano "tutti" i congressi radicali (varia solo, di volta in volta, l'intensità e l'ampiezza del conflitto) e che sono segnate da una "ambivalenza" per spiegare la quale la psicoanalisi ha forse più strumenti della scienza politica.

Alla tensione interna corrisponde una tensione esterna, fra i radicali e le altre forze politiche. L'attacco del movimento carismatico alle burocrazie politiche si manifesta, come si è detto, incrinandone la legittimazione. E proprio questo spiega, nel caso radicale, ciò che né Galli della Loggia né altri riescono a spiegarsi: l'atteggiamento "tiepido" se non ostile dei radicali alle proposte presidenzialistiche. Spiega la distanza che corre tra un rinnovamento della sinistra tentato per via di riforma costituzionale (come nelle proposte di Giuliano Amato) e la sfida radicale (il rinnovamento della sinistra affidato alla delegittimazione delle burocrazie). Non si riflette mai a sufficienza sul perché da quasi venti anni i radicali predichino il "ritorno alla costituzione", l'abbandono della "costituzione materiale" - "il regime", nel linguaggio polemico dei radicali - per una riorganizzazione che abbia a propria misura la costituzione scritta (formale). E lasciamo stare il fatto che si tratti di una costituz

ione in parte idealizzata, come sempre accade quando un modello viene assunto a guida e parametro dell'azione, diventando parte integrante del "mito politico" del movimento. La violazione di ciò che "è scritto", cioè della tradizione, diventa dunque ritorno alla "norma scritta", costituzionale, violata da una prassi che si erge a tradizione. L'obiettivo, come per qualunque movimento carismatico, resta l'attacco alle burocrazie consolidate e alla tradizione che esse difendono e quindi il "rivoluzionamento" delle regole del gioco: ma in "questo" caso le regole del gioco aggredite sono quelle "di fatto" (incostituzionali) e le regole del gioco proposte sono quelle costituzionali. Nel sistema del trentennale malgoverno e della opposizione compiacente (vedi, ad esempio, le "leggine") non può esservi infatti niente di più rivoluzionario di più radicalmente antagonista alla tradizione che perseguire... l'applicazione della costituzione.

La delegittimazione delle burocrazie consolidate passa dunque attraverso la assunzione di un modello (quello costituzionale) che prescrive l'organizzazione del consenso per "fini generali" contro una organizzazione di fatto del consenso per "fini particolari" (o corporativi). E il modello è omogeneo al ruolo che i radicali si sono assunti di rappresentanti di "interessi diffusi" o generali.

I dirigenti comunisti che non hanno generalmente Weber nel proprio bagaglio culturale ma che sono espertissimi in problemi di "egemonia" sanno che è loro interesse incoraggiare, ad esempio sul problema delle elezioni amministrative, le tensioni interne al Partito Radicale, le contraddizioni militanti-leader. Giocare sulle contraddizioni degli altri è, del resto, per il PCI, una tecnica collaudatissima. Questo non deve scandalizzare: ciascuno, giustamente, fa il suo mestiere. Ciò non toglie che grazie a questa tecnica il PCI è fino ad oggi riuscito a "fare fuori" tutto quello che esisteva o si presentava a sinistra, dal PSI ai partitini dell'ultra-sinistra. Solo i radicali, fino ad ora, si sono rivelati intrattabili, non "assimilabili" all'interno del progetto egemonico. Una prematura routinizzazione del carisma agevolerebbe il compito del PCI (oltre a fare tirare sospiri di sollievo in altri settori della sinistra storica).

Ed ecco perché, nonostante tutto, è forse giusto scegliere, da parte dei radicali, ancora una volta, il carisma piuttosto che il "partito" con tutte le contraddizioni, anche pesanti, che il carisma comporta. La routinizzazione implicherebbe il venir meno di una delle poche possibilità che si intravvedono per provocare un effettivo rinnovamento della sinistra, salvo poi consolarsi con dotti esercizi di ingegneria costituzionale o con i saggi estivi su Proudhon. Se restiamo alla teoria Weberiana, il "tempo" della burocrazia è sempre destinato ad arrivare. Compito dei radicali dovrebbe essere quello di ritardarne il più possibile l'avvento.

 
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