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Teodori Massimo - 20 giugno 1980
Elezioni, referendum, prospettive politiche
di Massimo Teodori

SOMMARIO: La chiave di lettura delle elezioni regionali e comunali dell'8 giugno è da una parte il complesso delle fluttuazioni interpartitiche e dall'altra lo scarto fra i votanti e l'insieme delle manifestazioni di dissenso e di protesta del sistema partitico. Ci troviamo di fronte ad una crescente parte del paese che giudica di volta in volta, perde ogni fedeltà aprioristica si "laicizza" ed è disponibile a spostarsi rapidamente da questo a quel partito. Ricorda che la raccolta di 5 milioni di firme per i dieci referendum è comunque un'impresa politicamente eccezionale ma che il clima di sfiducia e motivi contingenti hanno reso più difficoltoso il raggiungimento dell'obiettivo che è stato reso possibile solo grazie all'intervento socialista.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Febbraio-Maggio 1980, N. 15)

Era generale l'aspettativa per i risultati delle elezioni regionali e comunali dell'8 giugno e per il significato politico che avrebbero assunto. Il responso delle urne è stato certo importante in termini politici generali, ma probabilmente secondo un segno assai diverso da quello che la maggior parte delle forze politiche e degli osservatori si attendeva. Non sono infatti gli spostamenti fra un partito e l'altro a dare la chiave di lettura di questa prova elettorale, bensì da una parte il complesso delle fluttuazioni interpartitiche e dall'altra lo scarto fra i votanti e l'insieme delle manifestazioni di dissenso e di protesta dal sistema partitico.

I dati sono ben noti. La somma delle astensioni, del voto bianco e del voto nullo, che ha oscillato per un trentennio fino al 1976 fra il 9% e l'11%, e che era già aumentata al 13,4% nelle elezioni politiche del 1979, questa volta è arrivata ad oltre il 17%. si tratta quindi, in cifre assolute, di oltre due milioni e mezzo di elettori che questa volta deliberatamente hanno dato un segno di estraneità dal sistema politico. Dunque questa imponente massa di »non voti è proprio quella che caratterizza le elezioni del 1980. Ma non solo e non tanto per quello che sta a significare in termini di rivolta antipartitica, ma soprattutto per un'altra ragione. Perché dà il segno dell'ormai crescente e definitivo tramonto della vecchia caratteristica dell'elettorato italiano contrassegnata dalla mancanza di fluidità e dalla accentuata fedeltà, per ragioni ideologiche o clientelari, al proprio partito tradizionale. Dapprima con le elezioni del 1975 e 1976, messe in moto dal referendum del 1974, e poi con le elezioni del 1

979 influenzate dai referendum del 1978, ed ancor più con queste del 1980, è divenuto ormai clamorosamente evidente che ci troviamo di fronte ad una crescente parte del paese che giudica di volta in volta, progressivamente perde ogni fedeltà aprioristica, si »laicizza , ed è disponibile a spostarsi rapidamente da questo a quel partito; o anche, come nel caso attuale, quando non ci sono partiti soddisfacenti, passa dai partiti al rifiuto stesso della politica proposta dai partiti. Altri hanno detto e diranno che si tratta di un fenomeno negativo, di »americanizzazione , di montante »qualunquismo . A noi pare, al contrario, che prima ancora del modo in cui queste preferenze elettorali si sono indirizzate e si indirizzeranno, il fenomeno risponda a tratti tipicamente »moderni , capaci di imprimere nel prossimo futuro delle svolte davvero significative se le forze politiche saranno in grado di offrire prospettive e sbocchi a questa massa di insodisfatti. Si fa sempre più numerosa la schiera di coloro che scelgon

o di volta in volta senza farsi intimidire dal ricatto e dalla paura dell'effetto del proprio voto nei confronti di quelli che sono considerati gli avversari. Ciò significa che nonostante che la partitocrazia regni sovrana si manifestano abbondanti segni di svincolo dalla sua morsa. Da tale movimento è stato oggi reso vincente il partito dell'astensione e della protesta ma domani possono riservare sorprese formazioni politiche capaci di interpretare genuinamente le domande di libertà e di trasformazioni che percorrono la società.

Mobilità, le vere novità elettorali

In questo senso mi pare che vadano riletti tutti i risultati elettorali. Certo è di grande importanza lo stallo che entrambe le forze maggiori, DC e PCI, hanno dovuto registrare nonostante il ricatto che l'una e l'altra forza hanno effettuato sugli elettori servendosi dello spettro della forza avversa. Certo, di grande importanza è anche l'avanzata senza ombra di dubbio di un PSI che da venticinque anni ha visto progressivamente diminuire la propria influenza elettorale. Certo, è tanto più significativo l'inizio di un processo di riequilibrio fra PCI e PSI in quanto complessivamente la sinistra ha tenuto quella soglia del 46%-47% che costituisce quasi un apice storico, pur in presenza di un massiccio partito della protesta. Non saremo certo noi a sottovalutare queste dinamiche elettorali, ben consapevoli che ormai, per quel che riguarda la DC e il PCI, non si tratta di temporanee fluttuazioni congiunturali, ma di tendenze alla decadenza elettorale corrispondenti ad un processo di trasformazione culturale pro

fondo di ampi settori del paese nel loro stesso rapporto con la politica. Tutto questo è vero. Ma è ancora più vero che i risultati assoluti e le crescite o diminuzioni in percentuale nascondono dei movimenti molto più intensi con flussi in entrata ed in uscita per ciascun partito: i quali flussi, nel complesso, connotano una tendenza ormai irreversibile al voto che si sposta e che non è più prevedibile se non in base agli specifici comportamenti delle singole forze politiche e quindi al giudizio che possono raccogliere in un determinato momento.

Referendum: alcune ipotesi delle difficoltà

A fronte della scelta di una non presenza diretta sul fronte elettorale, i radicali hanno condotto nei tre mesi corrispondenti la campagna referendaria. Nel momento in cui scriviamo (15 giugno) si può dire che la raccolta delle firme è andata a buon esito superando la soglia necessaria per la riuscita costituzionale dell'iniziativa. Certo è ancora presto per valutare la natura delle difficoltà incontrate quest'anno nell'adesione dei cittadini a confronto con la maggiore facilità del 1977. Per i commentatori superficiali ed interessati val subito la pena di riaffermare quella che è un'ovvietà: che cioè in ogni caso l'impresa della raccolta di 500.000 firme per 10 referendum, cioè di 5 milioni di firme, è di per sé, comunque, un'impresa politicamente eccezionale. Ciò detto, ci sembra che quest'anno alcuni fattori hanno contribuito a rendere più difficoltoso il raggiungimento dell'obiettivo. Proviamo ad ipotizzarli. Il primo è stato sicuramente rappresentato dal clima generale di sfiducia nelle possibilità di g

enerare cambiamento, conseguenza, in termini generali, del fallimento della politica comunista nel triennio 1976-1979 e, in termini specifici, del tentativo condotto su diversi fronti di vanificare i meccanismi referendari compiuto tra il 1977 ed il 1979 (corte costituzionale, leggi bidone...). Il terzo è stato probabilmente rappresentato da una maggiore identificazione del rapporto referendario con il Partito Radicale, avendo assunto il PR, nell'ultimo anno, con la sua quintuplicata rappresentanza parlamentare, un'immagine più forte e quindi una più corposa presenza nel paese. Il quarto fattore lo si può rintracciare nel fatto che un qualsiasi strumento politico ha minore carica dirompente, e quindi minore attrattiva, per l'uso ripetuto. Il quinto, ed ultimo, elemento che vogliamo sottoporre alla comune riflessione è dato dalla mancanza di specifici referendum trainanti tutto il pacchetto. Questa volta il referendum nucleare, che avrebbe potuto assolvere quella funzione guida che nel 1977 fu svolta da quell

o sul finanziamento pubblico dei partiti, probabilmente per ragioni di mancanza di conoscenza, di informazione e di dibattito sul tema non ha assolto lo stesso ruolo.

E' ormai acquisito che soltanto grazie all'intervento socialista, che ha preso corpo soprattutto nelle ultime settimane di raccolta, l'obiettivo delle firme necessarie è stato perseguito. Questo è un fatto politico che non va né rimosso né sottovalutato. Quella socialista è stata una scelta, forse mossa in parte da motivazioni di carattere elettorale, ma che nel momento stesso in cui ha preso corpo è andata ben al di la delle molteplici ragioni iniziali. Si è concretata in un'azione puntuale e con obiettivi definiti quella convergenza di progetto che certamente rappresenta ed interpreta appieno un'anima libertaria ed antidogmatica del PSI, ampiamente presente nella sua base. Ci spingiamo oltre nelle nostre riflessioni affermando che se la dirigenza socialista nelle sue più qualificate sedi, segreteria, direzione e comitato centrale, non avesse colto che lo spirito e la lettera dei referendum andavano nel senso delle profonde aspirazioni dei socialisti, sicuramente si sarebbe approfondita quella divaricazione

fra naturale tendenza dei socialisti a partecipare a movimenti politici di libertà e di liberazione e la concreta possibilità di realizzarla. Si è trattato, dunque, di un atto di intelligenza politica, che è servito ai radicali per non dovere più affermare la propria solitudine nel progettare il cambiamento e ai socialisti per poter ricongiungere aspirazioni e comportamenti politici.

La prossima stagione densa di nodi da sciogliere

Siamo in periodo di riflusso, si dice. Al di là della evidente banalità dell'affermazione, sono le cose stesse a smentire questo giudizio, a cominciare dai comportamenti elettorali, come abbiamo cercato di evidenziare nella prima parte di questo editoriale. E' invece vero che siamo nel bel mezzo di una crisi di fondo per la sinistra. Ben oltre la metà del paese (se si considerano oltre i voti della sinistra, anche tutta la massa di protesta, certamente »da sinistra ) vorrebbe che prendesse corpo una politica nel senso di maggiore libertà e di un qualche cambiamento, senza essere intimidita dalle vicende pur altamente drammatiche del terrorismo, del disastro economico e del caos sociale. A fronte di tutto ciò stanno i partiti di sinistra privi di idee, di prospettive e di politica.

Nell'ultimo quinquennio è andata crescendo la massa dei comportamenti elettorali che ha cercato nel PCI, ora con il voto referendario, ora con l'indicazione radicale, ora con le manifestazioni di dissenso e di protesta antipartito, uno sbocco anticonservatore ed antiregime democristiano. Un numero sempre maggiore di voti è fluttuante e non riesce a trovare uno sbocco adeguato. Infatti il PCI è impotente e piegato su se stesso. Il PSI riesce a mala pena ad aggrapparsi alla »governabilità pur tra le sue positive contraddizioni libertarie. La stagione che ci sta di fronte rischia così di risolversi in un vero vuoto pneumatico. Altro che riflusso! Si tratta semmai di riflusso di questa politica.

Con l'operazione elettorale radicale (astensionismo attivo) che ha saputo cogliere e provocare lo spirito del tempo, e poi con il coinvolgimento socialista nel progetto stesso e per l'apertura di feconde contraddizioni all'interno dello stesso PSI che non casualmente è stato premiato in termini elettorali, i radicali hanno contribuito ad aprire una stagione di possibile ripresa dell'iniziativa politica a sinistra. Nei prossimi mesi, fino alla primavera 1981, il parlamento ed il paese saranno impegnati a discutere i dieci temi proposti con i referendum ed a trovare comunque delle soluzioni. E' un nutrimento offerto alla classe politica, all'opinione pubblica ed alle istituzioni. La »governabilità è anche, e soprattutto, fatta della scelta dei temi sui quali la classe dirigente deve decidere per dare leggi adeguate al paese. A noi sembra che i temi dello Stato del diritto e quelli della qualità della vita che sottendono i dieci specifici referendum sono certamente momenti qualificanti per riconvertire la stes

sa sinistra o, in mancanza di un suo riallineamento, per un suo scavalcamento. Saprà il PCI scrollarsi di dosso le pesantezze accumulate da lunghi anni di negoziati con la DC? Saprà il PSI imboccare decisamente la strada a cui lo spinge la sua anima riformatrice e libertaria deprimendo la componente sottogovernativa e accomodante? Sapranno le istituzioni essere all'altezza di una moderna democrazia fondata sul vero confronto delle grandi opzioni piuttosto che sul compromesso sistematico? Questi gli interrogativi a cui dovrà essere data una risposta nei prossimi mesi e su cui riposerà l'avvenire stesso della nostra democrazia.

 
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