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Camera dei deputati - 26 giugno 1980
REATI D'OPINIONE: Referendum per l'abrogazione di alcuni articoli del codice penale - Reati di opinione e di associazione

SOMMARIO: Scheda sul referendum per l'abrogazione dei reati d'opinione e di associazione del codice penale, promosso dal Partito radicale. Ordinanza della Corte di cassazione e sentenza della Corte costituzionale.

(IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ITALIA: LE NORME, LE SENTENZE, LE PROPOSTE DI MODIFICA - CAMERA DEI DEPUTATI - QUADERNI DI DOCUMENTAZIONE DEL SERVIZIO STUDI, Roma 1981)

"26 giugno 1980": presentazione della richiesta

"2 dicembre 1980": ordinanza Ufficio centrale Cassazione che dichiara legittima la richiesta

"10 febbraio 1981": sentenza n. 28 Corte costituzionale che dichiara inammissibile la richiesta

-----

Corte di cassazione - Ufficio centrale per il referendum

Ordinanza del 2 dicembre 1980

Sulla richiesta di "referendum" abrogativo degli articoli 256, 266, 269, 270, 271, 272, 273, 274, 279, 290, 291, 292, 292-"bis" comma primo limitatamente alle parole: »290, comma secondo (vilipendio delle forze armate) e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato); 293, 299, 302, 303, 305, 327, 342, 402, 403, 404, 414 comma terzo (alla pena stabilita nel numero 1) soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti) 415, 656, 657, 661, 667 e 688 del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930 n. 1938 e successive modificazioni.

Ritenuto in fatto e in diritto

.....

"Si omette la prima parte di questa ordinanza e delle altre emanate nella stessa data che - con le ovvie modifiche derivanti dalla diversità dei dati di fatto citati - è del tutto simile alla prima parte dell'ordinanza sulla richiesta di" referendum "abrogativo del d.l. 15 dicembre 1979 n. 625 convertito nella legge 6 febbraio 1980 n. 15, pubblicata sopra per intero".

Considerato che il compito dell'Ufficio Centrale consiste nella verifica della legittimità formale della proposta di "referendum", implicante il riscontro del rispetto dei limiti modali e temporali di questa;

- che relativamente all'oggetto del "referendum", qualora non vi sia questione di concentrazione con altri "referendum", spetta a questo Ufficio Centrale constatare esclusivamente se l'atto considerato è una legge o un atto normativo avente forza di legge e se al riguardo è intervenuta abrogazione legislativa o sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale;

- che nella specie è indubbio il carattere legislativo dell'atto normativo sottoposto a "referendum";

- che al riguardo non sono intervenuti atti di abrogazione;

- che le due pronunce della Corte Costituzionale relative a due articoli oggetto del "referendum" (sent. n. 87 del 1966 dichiarante l'illegittimità costituzionale del secondo comma dell'articolo 272 cod. pen. e sent. n. 108 del 1974 relativa ad un'interpretazione additiva dell'articolo 415 cod. pen.) non hanno cancellato gli articoli stessi dell'ordinamento, talché il "referendum" relativo ai due articoli in questione deve intendersi circoscritto al loro contenuto normativo attuale.

Per questi motivi letti gli articoli 75 della Costituzione 8, 9, 27 e 32 della legge 25 maggio 1970 n. 352 e successive modificazioni; l'Ufficio Centrale per il "referendum" dichiara legittima la richiesta di "referendum" popolare sul seguente quesito: »Volete voi che siano abrogati gli articoli 256, 266, 269, 270, 271, 272, 273, 274, 279, 290, 291, 292, 292-"bis" comma primo limitatamente alle parole ``290, comma secondo (vilipendio delle forze armate) e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato)''; 293, 299, 302, 303, 304, 305, 327, 342, 402, 404, 414 comma terzo (alla pena stabilita nel numero 1) soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti); 415, 656, 657, 661, 667 e 668 del codice penale approvato con regio decreto 19 ottobre 1930 n. 1398 e successive modificazioni? .

Dichiara cessate le operazioni di sua competenza relative a questa fase del "referendum".

-----

Corte costituzionale

Sentenza 10 febbraio 1981, n. 28

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente sentenza nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'articolo 2, comma primo, legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione degli articoli 256; 266; 269; 270; 271; 272; 273; 274; 279; 290; 291; 292; 292 bis, comma primo limitatamente alle parole: »290, comma secondo (vilipendio delle forze armate) e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato) ; 293; 299; 302; 303; 304; 305; 327; 342; 402; 404; 414, comma terzo (Alla pena stabilita nel numero 1) soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti); 415; 656; 657; 661; 667; e 668 del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398 e successive modificazioni (n. 14 reg. ref.).

Vista l'ordinanza 2 dicembre 1980 con la quale l'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;

udito, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981, il Giudice relatore Antonino De Stefano;

uditi l'avv. Mauro Mellini per il Comitato promotore del "referendum" e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

"Ritenuto in fatto":

L'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione, ha esaminato, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, la richiesta di "referendum" popolare, presentata il 26 giugno 1980 da Rippa Giuseppe, Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia, Pergameno Silvio, Vigevano Paolo e Mellini Mauro, sul seguente quesito: »Volete voi che siano abrogati gli articoli 256; 266; 269; 270; 271; 272; 273; 274; 279; 290; 291; 292; 292 bis, comma primo limitatamente alle parole »290, comma secondo (vilipendio delle forze armate) e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato) ; 293; 299; 302; 303; 304; 305; 327; 342; 402; 403; 404; 414, comma terzo (Alla pena stabilita nel numero 1) soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti); 415; 656; 657; 661; 667 e 668 del codice penale approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398 e successive modificazioni? .

L'oggetto dei singoli articoli indicati nel quesito, quale si desume dalle rubriche, è rispettivamente il seguente:

Art. 256: Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato;

Art. 266: Istigazione di militari a disobbedire alle leggi;

Art. 269: Attività antinazionale del cittadino all'estero;

Art. 270: Associazioni sovversive;

Art. 271: Associazioni antinazionali;

Art. 272: Propaganda ed apologia sovversiva o antinazionale;

Art. 273: Illecita costituzione di associazioni aventi carattere internazionale;

Art. 274: Illecita partecipazione ad associazioni aventi carattere internazionale;

Art. 279: Lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica;

Art. 290: Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze Armate;

Art. 291: Vilipendio alla Nazione italiana;

Art. 292: Vilipendio alla bandiera o ad altro emblema dello Stato;

Art. 292 bis: Circostanza aggravante;

Art. 293: Circostanza aggravante;

Art. 299: Offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero;

Art. 302: Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi primo e secondo;

Art. 303: Pubblica istigazione e apologia;

Art. 304: Cospirazione politica mediante accordo;

Art. 305: Cospirazione politica mediante associazione;

Art. 327: Eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, delle leggi o degli atti dell'Autorità;

Art. 342: Oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario;

Art. 402: Vilipendio della religione dello Stato;

Art. 403; Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone;

Art. 404: Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose;

Art. 414: Istigazione a delinquere;

Art. 415: Istigazione a disobbedire alle leggi:

Art. 656: Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l'ordine pubblico;

Art. 657: Grida o notizie atte a turbare la tranquillità pubblica o privata;

Art. 661: Abuso della credulità popolare;

Art. 667: Esecuzione abusiva di azioni destinate ad essere riprodotte col cinematografo:

Art. 668: Rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive.

Con ordinanza del 2 dicembre 1980, depositata in pari data, l'Ufficio centrale ha dato atto che la richiesta è stata preceduta dall'attività di promozione conforme ai requisiti di legge, che è stata presentata da soggetti che vi erano legittimati, che il deposito è avvenuto nel termine di tre mesi dalla data di vidimazione dei fogli, che la richiesta di abrogazione degli articoli del codice penale innanzi specificati è stata regolarmente formulata e trascritta nella facciata contenente le firme di ciascun foglio, che il numero definitivo delle sottoscrizioni regolari supera quello di 500.000 voluto dalla Costituzione, e considerato che è indubbio il carattere legislativo dell'atto normativo sottoposto a "referendum", che »le due pronunce della Corte costituzionale relativa a due articoli oggetto del "referendum" (sentenza n. 87 del 1966 dichiarante l'illegittimità costituzionale del secondo comma dell'articolo 272 del codice penale e sentenza n. 108 del 1974 relativa ad un'interpretazione additiva dell'artic

olo 415 del codice penale) non hanno cancellato gli articoli stessi dell'ordinamento, talché il "referendum" relativo ai due articoli in questione deve intendersi circoscritto al loro contenuto normativo attuale , ha dichiarato legittima la richiesta anzidetta.

Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente deliberazione il giorno 14 gennaio 1981, dandone a sua volta comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 33, comma secondo, della legge n. 352 del 1970.

In una memoria, presentata il 10 gennaio 1981, il Comitato promotore del "referendum", contestati (singolarmente e nel loro insieme) i motivi posti dalla sentenza di questa Corte n. 16 del 1978 a base del criterio della omogeneità come requisito essenziale del quesito (e in applicazione del quale con la stessa sentenza la richiesta di "referendum" abrogativo su 97 articoli del codice penale, allora presentata, fu dichiarata inammissibile), osserva che questa volta il quesito referendario è stato comunque formulato - tenendo conto di quanto allora la Corte ebbe ad affermare - in modo nettamente diverso. Nell'attuale richiesta, infatti: a) tutti gli articoli di cui si propone l'abrogazione riguardano la parte speciale del codice penale, ed in particolare la previsione di altrettanti reati o ipotesi particolari di reato, con l'esclusione quindi sia di norme relative alla specie della pena (la norma dell'ergastolo è oggetto di separato "referendum"), sia delle norme generali sulle attenuanti, le aggravanti, i lo

ro meccanismi, ecc.: b) quanto ai reati considerati, pur essendo essi classificati in vario modo (delitti contro la personalità dello Stato, contro la pubblica amministrazione, contro il sentimento religioso, contro l'ordine pubblico, o contravvenzioni concernenti la polizia di sicurezza) si tratta pur sempre di reati che si concretano in una comunicazione verbale o scritta, in sé considerata, e quindi sullo stabilirsi di una trasmissione di dati del pensiero da uno ad altri soggetti, oppure, all'inverso, nell'acquisizione di informazioni, con esclusione quindi di ogni ipotesi di reato consistente in condotta con eventi o comunque con effetti materiali sulle cose o sulle persone. Sono inclusi, è vero, anche i reati di associazione, che, però, mentre si consumano con espressioni reciproche di volontà tra gli associati, hanno finalità specifiche riconducibili, in tutto o in parte, ad espressioni di pensiero e di attività politica, e sono in larga misura strumentali anche rispetto ai reati di cui sopra si è det

to. Perciò - se ne conclude - se si ha riguardo alla caratterizzazione impressa dalle norme abrogative all'intero complesso del codice, e quindi all'effetto su di esso della proposta abrogazione, si deve convenire che le norme stesse (che criminalizzano con particolari qualificazioni, sanzioni e finalità, condotte che per lo più, in tutto o in parte, ricadrebbero sotto comminatorie diverse, dirette a tutelare beni privati e senza finalità politiche) caratterizzano in modo tipicamente autoritario, improntato alla »ragion di Stato diffidente e dura verso le manifestazioni del pensiero, il codice penale vigente. Omogeneità del quesito, dunque, anche rispetto all'intento specifico di quanti saranno chiamati a pronunciarsi pro o contro l'abrogazione. L'atteggiamento positivo o negativo dei votanti, rispetto a tutte ed a ciascuna delle norme in questione, è infatti sicuramente riconducibile ad un'unica matrice politico-culturale, riscontrabile del resto anche attraverso un esame della storia delle norme stesse.

Di parere diverso, in una memoria presentata, anch'essa in data 10 gennaio 1981, per il Presidente del Consiglio dei ministri, è l'Avvocatura dello Stato, secondo la quale la richiesta di "referendum" anche questa volta dovrebbe essere dichiarata inammissibile. Nella memoria si riconosce che l'attuale richiesta, rispetto a quella presentata nel 1977 per l'abrogazione di 97 articoli dello stesso codice penale, è stata radicalmente semplificata, e che gli stessi promotori hanno precisato di averla limitata alle norme che disciplinano i reati d'opinione, riunione ed associazione. Anche a voler ammettere, però, la riconducibilità del quesito ad unica categoria di reati così genericamente definiti, è da escludere che in tal modo sia stata raggiunta la necessaria omogeneità dei quesiti da proporre al corpo elettorale. Tra gli articoli dei quali si propone l'abrogazione, infatti, alcuni, come gli articoli 256 (procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato), 270 (associazioni sovversive), 279 (lesa

prerogativa dell'irresponsabilità del Presidente della Repubblica), 305 (cospirazione politica mediante associazione), puniscono reati che non sembra possano definirsi di opinione. Del resto - prosegue l'Avvocatura - anche quegli articoli che pacificamente configurano, tutti, reati di opinione, tutelano a loro volta beni giuridicamente diversi. Anche riguardo ad essi, perciò, attraverso la inosservanza del limite della »omogeneità del quesito , finisce con l'essere lesa la libertà degli elettori, chiamati ad esprimere un voto bloccato su diversi quesiti, ai quali si potrebbe voler dare risposte diverse.

Ad integrazione del contraddittorio espressamente previsto dall'articolo 33, comma terzo, della legge n. 352 del 1970, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981 sono stati uditi l'avv. Mauro Mellini, per il Comitato promotore, e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri, i quali hanno rispettivamente insistito per l'ammissibilità e per la inammissibilità del "referendum".

"Considerato in diritto":

La richiesta di "referendum" abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, a seguito della ordinanza del 2 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale costituito presso la Corte di cassazione, che ne ha dichiarato la legittimità, investe, in tutto o in parte, trentuno articoli del codice penale, approvato con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, e successive modificazioni. Di essi ventisei sono compresi nel Libro II (Dei delitti in particolare), e precisamente gli articoli 256, 266, 269, 270, 271, 272, 273 274 nel Titolo I (Dei delitti contro la personalità dello Stato), Capo I (Dei delitti contro la personalità internazionale dello Stato); gli articoli 279, 290, 291, 292, 292-bis, comma primo, limitatamente alle parole »290, comma secondo (vilipendio delle forze armate) e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato) , 293, nello stesso Titolo I, ma Capo II (Dei delitti contro la personalità interna dello Stato); l'articolo 299 nello stesso Titolo I, ma Capo IV (Dei delitti cont

ro gli Stati esteri, i loro Capi e i loro rappresentanti); gli articoli 302, 303, 304, 305 nello stesso Titolo I, ma Capo V (Disposizioni generali e comuni ai capi precedenti); l'articolo 327 nel Titolo II (Dei delitti contro la pubblica Amministrazione), Capo I (Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione); l'articolo 342 nello stesso Titolo II, ma Capo II (Dei delitti dei privati contro la pubblica Amministrazione?; gli articoli 402, 403, 404 nel Titolo IV (Dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti), Capo I (Dei delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi): gli articoli 414, comma terzo (Alla pena stabilita nel numero 1· soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti), 415 nel Titolo V (Dei delitti contro l'ordine pubblico). I rimanenti cinque sono compresi nel Libro III (Delle contravvenzioni in particolare), Titolo I (Delle contravvenzioni di polizia), Capo I (Delle contravvenzioni concernenti la polizia di sicure

zza), Sezione I (Delle contravvenzioni concernenti l'ordine pubblico e la tranquillità pubblica), e precisamente: gli articoli 656, 657, 661, nel 1 (Delle contravvenzioni concernenti l'inosservanza dei provvedimenti di polizia e le manifestazioni sediziose e pericolose), gli articoli 667, 668 nel 3 (Delle contravvenzioni concernenti la vigilanza su talune industrie e sugli spettacoli pubblici).

Va preliminarmente ricordato che con sentenza n. 16 del 1978 questa Corte ebbe già a dichiarare inammissibile, fra le altre allora sottoposte alla sua pronuncia, la richiesta di "referendum", presentata il 30 giugno 1977, per l'abrogazione, totale o parziale, di novantasette articoli del codice penale. In quella occasione la Corte, premessa la esistenza di »valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi "referendum", al di là della lettera dell'articolo 75, secondo comma, della Costituzione , enunciò »quattro distinti complessi di ragioni d'inammissibilità ; ed in primo luogo considerò »inammissibili le richieste così formulate, che ciascun quesito da sottoporre al corpo elettorale contenga una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, da non poter venire ricondotto alla logica dell'articolo 75 della Costituzione: discostandosi in modo manifesto ad arbitrario degli scopi in vista

dei quali l'istituto del "referendum" abrogativo è stato introdotto nella Costituzione, come strumento di genuina manifestazione della sovranità popolare . Di tale criterio la Corte fece allora puntuale applicazione, dichiarando inammissibile il menzionato "referendum" vertente su novantasette articoli del codice penale: ed al riguardo osservò che »per quanti sforzi interpretativi si facciano, da tali disposizioni non si riesce ad estrarre un quesito comune e razionalmente unitario; e ciò fornisce allora la riprova che la richiesta non può venire ammessa, perché incompatibile con le proclamazioni degli articoli 1, 48 e 75 della Costituzione .

Il Comitato promotore del "referendum" ora in esame, contesta, nella presentata memoria, la fondatezza dei motivi posti dalla richiamata sentenza n. 16 del 1978 a base del criterio della »omogeneità come requisito essenziale del quesito referendario. Ma la Corte non ravvisa argomenti che possano indurla a discostarsi dai principi allora formulati, che anzi ritiene di dover pienamente confermare, rinviando in proposito alla trattazione condotta nella sentenza n. 27 di data pari alla presente, con la quale è stata dichiarata inammissibile la coeva richiesta di "referendum" per l'abrogazione parziale della legge 27 dicembre 1977, n. 968, sulla disciplina della caccia.

Nella sua memoria il Comitato afferma inoltre che questa volta il quesito referendario è stato comunque formulato tenendo conto delle censure mosse dalla Corte al precedente quesito, e perciò eliminando dal suo oggetto tutte quelle norme del codice penale »che allora furono ritenute eterogenee rispetto a quelle di cui oggi viene proposta l'abrogazione . Infatti, tutte le norme rimaste comprese nel quesito - vien precisato - concernono solo reati che, anche se classificati in vario modo, si concretano pur sempre »in una comunicazione verbale o scritta, in sé considerata, e quindi sullo stabilirsi di una trasmissione di dati del pensiero da uno ad altri soggetti, oppure all'inverso nell'acquisizione di informazioni . In tale categoria »sono altresì inclusi reati di associazione che, mentre si consumano con espressioni reciproche di volontà tra gli associati, hanno finalità specifiche riconducibili, in vario modo, in tutto o in parte, ad espressioni del pensiero e dell'attività politica e sono in larga misura s

trumentali anche rispetto ai reati di cui sopra . Le norme anzidette »caratterizzano in modo tipicamente autoritario, improntato alla »ragione di Stato , diffidente e dura verso le manifestazioni del pensiero, il codice penale vigente . Considerazioni, queste, che »valgono anche a qualificare l'omogeneità dell'intento specifico di quanti saranno chiamati a votare per o contro l'abrogazione, essendo riconducibile l'atteggiamento positivo o negativo rispetto a tutte ed a ciascuna delle norme in questione, ad un'unica matrice politico-culturale .

Dal suo canto l'Avvocatura dello Stato, nella memoria, pur riconoscendo che l'attuale richiesta referendaria, rispetto a quella presentata nel 1977 per l'abrogazione di novantasette articoli dello stesso codice penale, appare semplificata, essendo stata limitata, come precisato dai promotori, alle norme che disciplinano i reati d'opinione, riunione ed associazione, ritiene che anche questa volta debba essere dichiarata inammissibile. Invero, non soltanto alcune delle norme di cui si propone l'abrogazione puniscono reati che non possono definirsi di opinione, come, a titolo di esempio, gli articoli 256 (procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato), 270 (associazioni sovversive), 279 (lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica), 305 (cospirazione politica mediante associazione). Ma gli stessi articoli che pacificamente configurano reati di opinione, tutelano, a loro volta, beni giuridicamente diversi. Il quesito si rivela, dunque, carente della necessaria ed impr

escindibile »omogeneità .

La Corte ritiene fondate le conclusioni cui previene l'Avvocatura dello Stato. In proposito occorre anzitutto considerare che la »omogeneità del quesito referendario non può essere vagliata - come già puntualizzato nella sentenza n. 16 del 1978 - alla stregua degl'intendimenti soggettivi dei presentatori e dei sottoscrittori della richiesta: né tanto meno in relazione ai mutevoli intenti che potrebbero indurre gli elettori a votare per o contro l'abrogazione. Nella ipotesi in cui formi oggetto del quesito una pluralità di norme, come nella specie, devesi, invece, ricordare se dalle norme medesime, obiettivamente considerate nella loro struttura e nella loro finalità, sia dato porre in evidenza un comune principio, la cui eliminazione dall'ordinamento attraverso l'abrogazione delle norme in cui si concreta, o la cui permanenza in alternativa, verrà a dipendere dalla risposta che il corpo elettorale fornirà al dilemma. In ciò si realizza appunto quella caratteristica di chiarezza, di inconfondibilità della do

manda, che, in una con le concomitanti caratteristiche di semplicità e di univocità, sole possono soddisfare l'esigenza di »nettezza del quesito, a sua volta postulata dalla »nettezza della scelta, secondo quanto affermato dalla già citata sentenza n. 27 di pari data.

Ora i trentuno articoli oggetto della richiesta in esame sono forzosamente e soggettivamente conglobati dai promotori in un unico contesto, mentre molteplici sono i parametri che obiettivamente li differenziano. I reati perseguiti sono in maggioranza delitti, ma alcuni di essi sono semplici contravvenzioni; alcuni sono reati di pericolo, altri di danno; dei delitti perseguiti alcuni possono venir qualificati come delitti politici, altri come delitti comuni. La stessa tripartizione adoperata dai promotori, di reati di opinione, riunione ed associazione, postula significativamente una pluralità di condotte, che certo non possono tutte ricondursi univocamente alla manifestazione del pensiero. Ma soprattutto determinante, ai fini della eterogeneità che indubbiamente ne consegue, è la profonda diversità - che più rileva nella coscienza sociale e maggiormente quindi incide sulla libertà di scelta dell'elettore - dei beni tutelati, che vanno dagl'interessi concernenti la vita dello Stato nella sua essenza unitaria,

al regolare funzionamento della pubblica Amministrazione, all'ordine pubblico, per giungere fino al sentimento religioso.

Anche questa volta, pertanto, dalle disposizioni del codice penale delle quali si propone l'abrogazione, non è dato estrarre un quesito comune, razionalmente unitario; e la richiesta in esame va, pertanto, dichiarata inammissibile.

Per questi motivi la Corte costituzionale

dichiara inammissibile la richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione di 31 articoli del codice penale, approvato con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, e successive modificazioni, nei termini indicati in epigrafe, dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione.

 
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