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Mellini Mauro - 28 giugno 1980
Astensione, scheda bianca, voto nullo
di Mauro Mellini

SOMMARIO: Dopo il voto amministrativo dell'8 giugno, di volta in volta, nelle regioni e nelle province, voti comunisti servono per mettere in piedi giunte di sinistra, o di unità nazionale o per l'opposizione a giunte di centro-sinistra; e quelli democristiani servono a seconda dei casi per tenere fuori i comunisti o per tirarli dentro. Questo non perché trionfa l'autonomia delle forze politiche regionali rispetto ai vertici nazionali, ma perché la "democrazia consociativa", l'ammucchiata nazionale si articola in giunte rosse, bianche, di centro destra o di centro sinistra come altrettanti elementi del dosaggio della lottizzazione nazionale. Questo processo è parallelo alla progressiva cancellazione dell'autonomia degli enti locali, ridotti a ruolo ausiliario del potere centrale nel campo amministrativo; e allo sfaldamento dei principi costituzionali per quel che riguarda i rapporti tra governo e Parlamento, tra maggioranza e minoranza. Oggi per governare è necessaria una maggioranza del 90%, e questa ha bis

ogno di criminalizzare ogni minoranza, per evitare che questa possa mettere in crisi un meccanismo che non ammette alternative ma solo false opposizioni soddisfatte di un ruolo di copertura. La protesta astensionista, cui il Partito radicale ha dato segno e rilevanza politica, è rivolta contro la corruzione costituzionale e la corruzione nel senso comune del termine. Se una forza politica di opposizione si pone il problema di rendere reversibile questo processo di corruzione istituzionale, non può arrestarsi al momento elettorale: occorre proporre obiettivi e dare sbocchi politici alla protesta di fondo dell'opinione pubblica che ha consentito di dare una prima lezione ai partiti del regime.

(NOTIZIE RADICALI N. 32, 28 giungo 1980)

(Vanificazione delle autonomie locali. Le Regioni ridotte a ruolo ausiliario del potere centrale. Inoltre: la corruzione elevata a sistema, opposizioni di comodo, lottizzazioni a tutti i livelli, ammucchiate decentrate. Intanto però, l'8 giugno, il cittadino manda un segnale...)

All'indomani del voto dell'otto le forze politiche sono impegnate nelle operazioni di cucina delle giunte regionali, provinciali e comunali, muovendosi secondo la logica da noi denunciata dalla lottizzazione, dell'ammucchiata decentrata, dell'assoluta polivalenza, ad anzi equivalenza del voto ottenuto da ciascuna di esse. Voti comunisti servono di volta in volta per mettere in piedi giunte di sinistra, di unità nazionale, per l'opposizione a giunte di centrosinistra; e così voti democristiani servono i volta in volta e da regione a regione per tener fuori i comunisti dalle giunte o per tirarli dentro etc. E questo non perché trionfi l'autonomia delle forze politiche locali rispetto ai vertici nazionali, ma perché la "democrazia consociativa", in altre parole l'ammucchiata nazionale si articola così: giunte rosse, bianche, di centro sinistra non sono che altrettanti elementi del dosaggio della lottizzazione nazionale. E quel che è peggio, anche le opposizioni, naturalmente "costruttive" nelle varie sedi obbe

discono alla stessa logica.

Questo processo di trasformismo articolato delle forze politiche è parallelo alla progressiva cancellazione dell'autonomia degli enti, in primo luogo le regioni, oramai nemmeno un po' somiglianti al disegno che ne aveva tracciato la Costituzione ridotte invece ad un ruolo ausiliario del potere centrale nel campo amministrativo, con un potere legislativo di mero "adattamento" di quello esercitato dallo Stato senza rispettare le competenze delle regioni stesse. Un ruolo che tuttavia riserva alle amministrazioni regionali un enorme potere di sottogoverno, del quale esse, ovviamente, sono soddisfattissime.

Questa vanificazione delle autonomie locali è a sua volta parallela allo sfaldamento dei principi costituzionali per quel che riguarda i rapporti tra governo e Parlamento, la funzione legislativa, la responsabilità del Governo di fronte alle Camere e, soprattutto, all'interno di esse, i rapporti tra maggioranza e minoranza. La logica del compromesso storico, dell'unità nazionale, la logica, in buona sostanza, del centralismo democratico, si sostituisce a quella dello stato di diritto, alla garanzia delle norme costituzionali nel giuoco tra maggioranze e minoranze della prospettiva dell'alternativa al potere ed all'opposizione. L'unità nazionale, la scelta di una formula di maggioranza, di giorno in giorno diventa una caratteristica istituzionale imposta, di fatto ed al di là delle apparenze delle formule di governo, dalla progressiva modifica della costituzione di fatto imposta al Paese al di fuori e contro la carte del 1948.

Naturalmente, una volta che l'unità nazionale diventa un derivato della nuova costituzione di fatto e che per governare occorre una maggioranza del novanta per cento, occorre criminalizzare la minoranza che, crescendo, metterebbe in crisi tutto il meccanismo che, ovviamente, non ammette alternative, ma solo false opposizioni soddisfatte di un ruolo di copertura.

Un meccanismo di questo tipo non può, ovviamente, funzionare senza una colossale corruzione, senza l'abbattimento, di cui abbiamo già detto, del concetto stesso dello stato di diritto.

I partiti assumono, nella logica dell'unità nazionale, nell'assenza di ogni controllo effettivo reciproco controllo, di ogni concludente denunzia delle loro malefatte, un ruolo di effettiva esenzione dell'osservanza delle leggi, a cominciare da quelle penali. Anzi, come avviene sul piano costituzionale, in cui la "volontà delle forze politiche" sempre più si sovrappone e si sostituisce alla norma costituzionale, ai regolamenti parlamentari ed alle loro corrette interpretazioni, così la volontà e le prassi dei partiti "fanno legalità di fatto", si sostituiscono ad ogni legge, operano impunemente ogni forma di corruzione.

La logica del partito unico, di cui l'unità nazionale è l'anticipazione, non può tollerare di convivere con il garantismo e con lo stato di diritto, come non può tollerare prospettive reali di alternativa e ruoli autonomi e reali delle minoranze, come non può tollerare e, di fatti non tollera, autonomie locali effettive con competenze ripartite secondo criteri costituzionali e principi garantisti.

Corruzione costituzionale e corruzione nel senso comune della parola si connettono, dunque, e si sostengono a vicenda. La corruzione, i taglieggiamenti nei confronti dei cittadini, le tangenti, le lottizzazioni dei favori, degli impieghi, dei contributi (in una finanza che è sempre più finanza "di contributi"!) non sono più atti di devianza dalla norma, ma prassi costanti, senza le quali sarebbe impossibile ad essi mantenere e controllare le clientele su cui si fonda essenzialmente le loro forza.

D'altro canto la corruzione non è più un fatto che investa la sola figura dei governanti e degli amministratori, lo Stato e la cosa pubblica, riflettendosi solo indirettamente sulla massa dei cittadini. Oggi la corruzione attraversa la vita di tutti, segnandola talvolta amaramente e tragicamente.

Al fondo della protesta astensionista nelle recenti elezioni, cui il Partito Radicale ha dato segno e rilevanza politica, la componente della rivolta contro la corruzione è certamente la più rilevante e bruciante. Del resto i grandi filoni della corruzione: dispensa dei posti di lavoro, edilizia, assistenza e credito non solo sono sotto gli occhi di tutti, ma investono dati essenziali della vita di tutti.

Se una forza politica di opposizione vuole porsi il problema della reversibilità di questo processo di corruzione istituzionale ed amministrativa e vuole porselo in termini reali e politici, non può non proporsi di dar forza a questa bruciante rivolta contro la corruzione che è tra la gente. Senza timore di cadere nel qualunquismo. Ché anzi individuare il valore di questo atteggiamento è l'unico modo per non cadere nel qualunquismo o nella complicità.

D'altro canto se l'"operazione astensione" portata avanti dal Partito Radicale si è rivelata vincente e concludente, essa non può arrestarsi al momento elettorale. Occorre dar forza, proporre obiettivi, ricercare sbocchi ai dati di fondo dell'opinione pubblica che hanno consentito di dare questa prima lezione ai partiti del regime. E, soprattutto occorre rendersi conto quanto certi atteggiamenti della gente siano assai più "politici" di quanto non si voglia ammettere.

Proposte operative immediate? Se prima del congresso del Partito ci incontrassimo per discutere, in ipotesi un tema come "corruzione delle istituzioni e della vita pubblica nella vita della gente; schema di indagine e prospettive di lotta"? Potrebbe servire per cominciare.

 
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