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Sciascia Leonardo - 13 febbraio 1981
PENA DI MORTE: E' UN'INFAMIA
di Leonardo Sciascia

SOMMARIO: La pena di morte è una "infamia". Trova "incredibile" che se ne torni a parlare. Se se ne parla, è per l'"insicurezza che ci circonda". Ma con la pena di morte "l'equivalenza tra delitto e castigo diventa equivalenza tra delitto e delitto". Riferisce episodi dell'infanzia e della guerra sul tema della pena di morte. I paesi che ancora non l'hanno abolita "non sono arrivati allo stadio di civiltà sufficiente": anche la stessa Francia. La pena di morte non è un "deterrente" contro il delitto, e questo anche se vi sono "uomini colti" che "si pongono il problema". Purtroppo la grande maggioranza della gente è invece favorevole, e se ci fosse un referendum voterebbe per il ripristino: a costoro manca "un senso religioso della vita umana". Per combattere il terrorismo, la "piaga dei rapimenti", bisogna applicare le leggi, far funzionare la polizia", ecc.

(NOTIZIE RADICALI, 13 febbraio 1981)

Roma, 13 febbraio '81 - N.R. - Che i radicali siano nettamente contrari alla proposta di ripristino della pena di morte, è superfluo dichiararlo. E del resto, i radicali rispondono e risponderanno a quanti (non solo Almirante, come documentano le cronache di questi giorni) stanno suonando la grancassa di provvedimenti forcaioli e barbari con la campagna per l'abrogazione dell'istituto dell'ergastolo. Siamo infatti convintissimi che per preservarci dai tempi oscuri cui drammaticamente ci stiamo avviando, l'unico modo sia quello di garantire e affermare quel diritto e quella civiltà giuridica che traggono le loro radici da Beccaria e Piero Calamandrei.

Leonardo Sciascia è intervenuto sulla "polemica" con una dichiarazione, resa al "Mattino", quotidiano di Napoli.

"Al delfino di Francia che voleva discutere un teorema, Fenelon, che ne era il precettore, disse: "Monsignore, vi giuro che è così".

Già offerti alla umanità tutti gli argomenti contro la pena di morte, argomenti di mente e di cuore, di ragione e di sentimento - e vanno dall'Evangelo a Beccaria e a Dostoevskij - a coloro che oggi invocano la pena di morte, coloro che sono contro possono dire: "Vi giuriamo che la pena di morte è un'infamia".

Voglio dire che è un argomento - ed è il solo assieme a quello della tortura - su cui non può esserci tolleranza di opinioni: è un'infamia; e basta".

Sciascia ha inoltre parlato dell'argomento con "La Repubblica". Ecco il testo dell'intervista:

"Io trovo addirittura incredibile che in Italia si torni a parlare della pena di morte. Quando è stata abolita, Savinio ha scritto che era un grande giorno per l'Italia, un giorno da festeggiare e da celebrare. E io la penso allo stesso modo, che una delle più grandi conquiste della nostra democrazia sia appunto questa".

Domanda: "Le può sembrare incredibile, ma se ne parla sempre di più. Perché secondo lei?"

Sciascia: "Per l'insicurezza che ci circonda. E allora, più che credere, si vuol far credere che la pena di morte sia un rimedio tanto estremo quanto efficace. Ma la pena di morte non è altro che un delitto commesso con i crismi della legge. Basta leggere le pagine di Dostoevskij, nell'"Idiota", per avere il senso e la misura del delitto che è la pena di morte".

Domanda: "Lei dunque nega ogni giustificazione all'applicazione della pena di morte. Anche in presenza di certe stragi, di certi delitti?"

Sciascia: "Dico di più: il delitto più efferato, più atroce, commesso dal singolo non è paragonabile in efferatezza e atrocità a quello commesso da una collettività, con la pena di morte. E' proprio il rovesciamento, la negazione della legge, che si trasforma nel suo contrario, nel delitto. E lo affermo anche al di fuori di quelli che possono essere gli errori giudiziari".

Domanda: "Lei, Sciascia, pone una questione di principio generale; Mila, invece, ne fa una questione di giustizia, "come necessità - cito le sue parole - del vivere civile: una funzione che deve essere adempiuta, costi quel che costi, senza preoccuparsi che serva o non serva, per stabilire e mantenere un equilibrio di delitto e castigo che è - questo si - sacro".

Sciascia: "Non esiste più questo equilibrio, con la pena di morte. L'equivalenza tra delitto e castigo diventa equivalenza tra delitto e castigo. Ho sentito parlare per la prima volta della pena di morte quando hanno fucilato Schirru che aveva avuto l'intenzione di attentare alla vita di Mussolini. Già sarebbe stato mostruoso condannarlo a vent'anni, ma io allora (avevo 12 o 13 anni) non commisuravo il delitto alla pena. Ero atterrito del fatto che alcuni uomini che stavano dalla parte della legge ne prendessero un altro, lo mettessero contro un muro e gli sparassero. E poi ero spaventato dal fatto che nessuno - compresi i miei stessi familiari che mi zittivano - volesse parlarne. Ho rivissuto questa impressione a Caltanissetta, negli anni della guerra. Dopo un processo per un delitto comune ci furono due condanne a morte, e seguite pubblicamente. Un mio compagno di scuola che andò ad assistere all'esecuzione l'ho, diciamo, disprezzato, e ancora oggi non riesco a pensarlo senza disprezzo".

Domanda: "Quella era l'Italia del fascismo. Ma ci sono paesi democratici dove ancora sopravvive la pena di morte. Che ne pensa?"

Sciascia: "Dico che questi paesi ancora non sono arrivati allo stadio di civiltà sufficiente per abolirla".

Domanda: "Pensa così anche della Francia?"

Sciascia: "Per quanto civilissima in ogni altra cosa, anche la Francia conserva questa orrenda reliquia barbarie".

Domanda: "La pena di morte, dunque, secondo lei, non è un principio di giustizia. Può essere un "deterrente"?"

Sciascia: "Sappiamo benissimo che non serve, che l'indice dei delitti non s'abbassa con la minaccia del patibolo".

Domanda: "Come giudica il fatto che uomini colti, insospettabili di autoritarismo o peggio ancora di fascismo, si pongono il problema, e tra pur mille turbamenti si dicano favorevoli?"

Sciascia: "C'è stata sempre nel mondo tante gente favorevole alla pena di morte. Questo non incrina per un momento la mia certezza che è un delitto".

Domanda: "Lasciamo stare gli intellettuali. Se ne parla anche nei luoghi di lavoro e nelle famiglie. Chi sono, secondo lei, quelli che aderiscono alla petizione popolare che sta raccogliendo migliaia di firme?"

Sciascia: "Certamente, non sono quelli del MSI che firmano. Credo che se si fa un referendum la maggioranza sarà per la pena di morte. La gente si sente insicura e vuole vendicarsi. Ma è un errore".

Domanda: "Perché molti pensano con naturalezza che "chi uccide deve essere ucciso?"

Sciascia: "Perché non hanno un senso religioso della vita umana. Chi firma per la pena di morte in cuor suo, come direbbe il Vangelo, ha commesso un delitto".

Domanda: "Lei dice che la pena di morte non può essere invocata a sanzione neanche del delitto più atroce. Cosa può soddisfare la

Domanda di giustizia dei familiari delle vittime?"

Sciascia: "So capire che un padre che ha avuto ucciso il figlio, un uomo che ha avuto ucciso il fratello sentano l'impulso e magari arrivino ad uccidere l'uccisore, questo è ancora umano. Ma questa vendetta filtrata attraverso gli organismi della giustizia diventa un'altra cosa, un delitto commesso a freddo con l'alibi della legge".

Domanda: "E dunque, quale risposta?"

Sciascia: "Contro il terrorismo, la piaga dei rapimenti e tutto il resto, bisogna applicare le leggi che già ci sono, far funzionare la polizia, migliorare la macchina giudiziaria, rinnovare gli apparati dello stato. Non c'è altro mezzo. In questo senso ho già detto che la repressione è l'unico modo per battere il terrorismo".

Domanda: "Perché le leggi esistenti finora non sono bastate?"

Sciascia: "Perché gli organismi dello stato vivono di inefficienza e di confusione. E' un'esperienza che sto facendo in commissione Moro. Ma, in conclusione, non ci sono momenti eccezionali che possono portare uno stato a negare se stesso. Dobbiamo essere grati ai padri della democrazia che ci hanno liberato della vergogna dei plotoni di esecuzione".

 
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