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Ghirelli Antonio - 17 febbraio 1981
Una »rosa tante spine
di Antonio Ghirelli

SOMMARIO: Il partito di Pannella rappresenta "la terza incarnazione storica" del radicalismo. La prima nasce alla fine del Settecento, sulla scia dell'utilitarismo di Bentham e di Stuart Mill; passato in Francia alla vigilia del crollo di Sedan, il movimento giunse in Italia con Felice Cavallotti e "gli elementi più focosi del vecchio Partito d'Azione risorgimentale": la seconda fase prende corpo con "Pannunzio e gli altri amici del 'Mondo'", "elitaria, aristocratica". Con Pannella siamo "al terzo tempo", lontanissimo sia da Cavallotti che da Pannunzio e Carandini. Sono mutati la "base sociale", il "disegno strategico", l'uso dei massmedia e del linguaggio, come pure dei "referendum", dell'"ostruzionismo", ecc. Ma il successo elettorale ha posto ai radicali problemi di ardua soluzione, e anche all'esterno del partito si sono manifestate perplessità e diffidenze. "Figli della crisi, i radicali si sono visti accusare di aggravarla". Forse queste accuse nascono, almeno in parte, dal "disagio dell'"establishment

" per un fenomeno irriducibile: ma anche il progetto dei socialisti di stabilire con loro "un collegamento non organico" pare fallito.

(»Il Mattino 17 febbraio 1981 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

I contatti con i terroristi detenuti nelle carceri speciali durante la drammatica vicenda del giudice D'Urso, il tenace ostruzionismo opposto alla Camera dei deputati contro la legge che proroga il fermo di polizia, la polemica contro la Corte costituzionale che ha respinto una parte dei referendum hanno riproposto vigorosamente, agli occhi dell'opinione pubblica, l'immagine del Partito radicale che pareva appannata dal protagonismo di Marco Pannella e dai contrasti interni allo stesso movimento, quali erano emersi anche in occasione dell'ultimo congresso del Pr.

Non v'è dubbio che questa formazione politica rappresenti una delle presenze più originali nel contesto del nostro Paese ed interpreti talune tendenze socio-culturali caratteristiche di questa fine secolo. Prima di tentarne un'altra analisi spassionata, però, sarà forse opportuno ricordare che ci troviamo di fronte alla terza incarnazione, per così dire, del Partito radicale. E' una verità ben nota, naturalmente, ma di solito poco citata.

Il radicalismo ha origine, alla fine del Settecento, in Inghilterra sulla scia delle posizioni filosofiche »utilitaristiche di Bentham e di Stuart Mill, che sollecitavano »radicali riforme intese ad assicurare la felicità del maggior numero di persone possibile . Passato in Francia alla vigilia del crollo di Sedan, il movimento incontrò una certa fortuna anche nel nostro Paese quando raccolse, intorno al famoso deputato duellante Felice Cavallotti, gli elementi più focosi del vecchio Partito d'Azione risorgimentale, e lottò coraggiosamente contro l'involuzione reazionaria degli ultimi governi della sinistra storica. Alleati di Giolitti nel decennio riformista, i radicali si disgregarono all'indomani della Prima guerra mondiale.

La loro seconda reincarnazione arrivò negli anni Cinquanta, quando Pannunzio e gli altri amici del »Mondo uscirono da un Partito liberale sclerotizzato da infiltrazioni conservatrici e monarchiche, e rifondarono il partito. Ma, mentre Cavallotti, Sacchi e gli altri radicali anteguerra interpretavano una sorta di romantico idealismo con venature socialistiche, i loro tardi nepoti di metà secolo incarnarono piuttosto un rigorismo moralistico e laico agli orientamenti di strati borghesi evoluti e della nascente tecnocrazia.

Fu una corrente elitaria, aristocratica, ostile tanto al flessibile populismo della Democrazia Cristiana quanto alla insinuante »doppiezza del Pci di Togliatti: la spaccatura tra il gruppo di Pannunzio e quello di Piccardi (accusato di trascorsi razzistici) e l'imprudente adesione alla cosiddetta »legge-truffa , bocciata nel '53 dal verdetto delle urne, ne segnarono irrimediabilmente la fine.

Con Pannella siamo al terzo tempo, lontanissimo nella forma e nella sostanza tanto dalla prima quanto dalla seconda reincarnazione del movimento. In comune con Cavallotti, i radicali di oggi hanno soltanto l'anti-conformismo del comportamento; con Pannunzio e Carandini, soltanto l'ostilità parallela contro democristiani e comunisti. Per il resto, le novità sono molte e drastiche.

E' mutata completamente, tanto per cominciare, la base sociale del Pr, che non raccoglie più intorno alla sua »rosa purpurea i borghesi colti e i tecnocrati in grisaglia ma i ceti emergenti generati dal neocapitalismo, gli emarginati, i »diversi , tutti coloro insomma - giovani, donne, intellettuali, ecologi, omosessuali, anche tossicodipendenti - che rifiutano ad un tempo la logica della società industriale avanzata e quella della partitocrazia.

Mutato è il disegno strategico del partito, che non punta più a razionalizzare il »sistema ma a scardinarlo, esaltando i diritti civili, l'obiezione di coscienza, la qualità della vita, la libera »gestione del corpo, la non violenza. La sintonia del terzo radicalismo con il tempo in cui è fiorito, si evidenzia nell'uso che esso fa spregiudicamente dei »mass media e nell'adozione di un linguaggio infocato, aggressivo, virulento, che evidentemente è stato scelto per soverchiare le massicce comunicazioni della classe dominante.

Gli strumenti di cui Pannella e i suoi compagni si servono con efficacia sono il referendum, l'ostruzionismo e la Tv »non-stop . La loro influenza nello svecchiamento della società italiana è stata determinante a partire dalla metà degli anni Settanta e si è tradotta in uno straordinario successo elettorale nelle ultime consultazioni politiche.

Per i radicali, tuttavia, come per tutte le formazioni che si affacciano prepotentemente alla ribalta senza un adeguato periodo di gestazione ideologica ed organizzativa, lo strumento di quel successo si è rivelato piuttosto arduo. Si è già accennato alle riserve suscitate all'interno del partito da taluni atteggiamenti di Pannella e da talune decisioni della segreteria, ma è soprattutto all'esterno che si sono manifestate perplessità e diffidenze sempre più pronunciate.

Figli della crisi, i radicali si sono visti accusare di aggravarla per più di un motivo. Il ricorso ai referendum »a pioggia è stato considerato come un fattore di confusione e di divisione nel tessuto di un Paese già lacerato dal declino di antichi partiti, valori, certezze. Insieme con il ricorso all'ostruzionismo esasperato anche contro misure legislative non fondamentali, l'abuso dell'arma referendaria è parso un tentativo provocatorio di esasperare la paralisi dell'attività legislativa, di svalutare il prestigio del Parlamento, di accentuare l'ingovernabilità delle istituzioni.

Lo sfruttamento esplosivo della televisione (si ricordi l'episodio della figlia di D'Urso) e la virulenza del linguaggio sono stati denunciati come una contraddizione in termini per un movimento non violento, un contributo non edificante all'imbarbarimento delle coscienze e dei comportamenti. I contatti con i terroristi detenuti, gli appelli ai »compagni assassini delle Brigate rosse si sono configurati addirittura come una collusione con il partito armato, la prova di una »contiguità molto pericolosa per la sopravvivenza della democrazia.

E' difficile dire se queste accuse sono, almeno in parte, fondate o non nascono piuttosto, almeno in parte, dal disagio dell'"establishment" politico e dei ceti sociali meglio integrati nel »sistema di fronte ad un fenomeno che non si lascia ridurre negli schemi tradizionali della nostra cultura. Il fatto certo è che i radicali non mostrano di darsene pensiero ma sembrano risoluti a portare la loro sfida fino alle estreme conseguenze.

Anche il progetto dei socialisti di stabilire con essi un collegamento non organico che riuscisse a realizzare quanto meno un'intesa elettorale per ampliare gli spazi del Psi, si sta rivelando illusorio, nel senso che questi compagni di strada corrono troppo in fretta e non accettano egemonie ma pretendono di trasformarsi essi stessi nel »volano dell'intera sinistra italiana, sottraendo la »base dei due partiti storici al controllo dei vertici.

Stando così le cose, e lasciando agli elettori della prossima consultazione politica il giudizio definitivo sul partito della »rosa , rimane soltanto da constatare che la sinistra italiana non è mai stata frazionata, e quindi debole, come oggi.

 
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