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Rognoni Virginio, Boato Marco - 1 marzo 1981
LA PELLE DEL D'URSO: (7) Il primo dibattito alla Camera dei deputati: le comunicazioni del Ministro degli Interni, l'intervento di Marco Boato (16 dicembre)

SOMMARIO: L'azione del Partito radicale per ottenere la liberazione del giudice Giovanni D'Urso rapito dalle "Brigate rosse" il 12 dicembre 1980 e per contrastare quel gruppo di potere politico e giornalistico che vuole la sua morte per giustificare l'imposizione in Italia di un governo "d'emergenza" costituito da "tecnici". Il 15 gennaio 1981 il giudice D'Urso viene liberato: "Il partito della fermezza stava organizzando e sta tentando un vero golpe, per questo come il fascismo del 1921 ha bisogno di cadaveri, ma questa volta al contrario di quanto è accaduto con Moro è stato provvisoriamente battuto, per una volta le BR non sono servite. La campagna di "Radio Radicale che riesce a rompere il black out informativo della stampa.

("LA PELLE DEL D'URSO", A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981)

IL PRIMO DIBATTITO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI

Le comunicazioni del Ministro degli Interni (16 dicembre)

Rognoni, Ministro dell'Interno. Signor Presidente onorevoli colleghi, per incarico ricevuto dal Presidente del Consiglio, nonché a nome del Ministro di grazia e giustizia, comunico alla Camera, in risposta alle interpellanze ed alle interrogazioni presentate sul sequestro del magistrato dottor Giovanni D'Urso, gli elementi a conoscenza del Governo. Nel far ciò, il Governo ha piena consapevolezza della gravità di un nuovo durissimo attacco ed anche dell'aspetto gravissimo che deriva dalla sua processualità, dal fatto cioè che si tratta di un sequestro e che è in atto. Questa circostanza, mentre non esclude il sindacato parlamentare, comporta da parte di tutti (Parlamento, Governo e, al di là di questi soggetti costituzionali, forze politiche nel loro insieme, pubblica opinione) un atteggiamento di grande sobrietà e prudenza.

Chiudere l'Asinara

Poco dopo le 22 del 12 dicembre, una telefonata di un giornalista del "Il Messaggero" informava il Viminale di aver ricevuto pochi minuti prima una telefonata anonima con la quale veniva rivendicato alle Brigate rosse il rapimento del magistrato D'Urso, direttore della terza sezione della divisione generale degli istituti di prevenzione e pena del Ministero di grazia e giustizia; l'interlocutore preannunziava la diffusione di un comunicato dell'organizzazione eversiva, anticipando la richiesta di soppressione del carcere dell'Asinara.

Venivano disposti subito accertamenti, dai quali si dava conferma che il dottor D'Urso non era rientrato nella sua abitazione al termine dei suoi impegni di lavoro; venivano accertati altri particolari. Pur non dovendo compiere quel giorno il turno pomeridiano, il magistrato si era ugualmente recato in ufficio, per sostituire un collega che gliene aveva fatta richiesta per cortesia, dopo aver accompagnato a scuola con la propria autovettura la maggiore delle figlie. Il magistrato aveva quindi parcheggiato l'auto ed aveva proseguito con un mezzo pubblico per il Ministero, dal quale era stato visto uscire da solo poco dopo le 20; la sua autovettura è stata trovata parcheggiata, come di consueto, in via Pio IV, prossima alla sua abitazione, regolarmente chiusa senza segni di effrazione. Ad un cinquantina di metri da essa, sono stati rinvenuti frammenti di occhiali, riconosciuti dalla moglie come appartenenti al marito.

Nessun testimone, nessun indizio

Tenuto conto dell'ora in cui il magistrato è uscito dal Ministero e dell'ora della telefonata pervenuta a "Il Messaggero", il sequestro deve essere avvenuto verosimilmente intorno alle 29,30: nessun testimone, nessun indizio certo, tranne quei frammenti d'occhiali ed alcune tracce di pneumatici, lasciate probabilmente dalla macchina usata dai terroristi per trasferire l'ostaggio. I familiari confermavano che il magistrato, nel momento in cui aveva lasciato l'abitazione, non portava con sé alcuna borsa né, come hanno confermato i colleghi d'ufficio, plichi o documenti.

L'auto blindata

Numerosi colleghi chiedono quali misure siano state adottate a tutela del dottor D'Urso ed il Ministero di grazia e giustizia precisa di aver da tempo attuato misure per la tutela di magistrati addetti ad uffici ministeriali che, per la delicatezza dei compiti loro assegnati, possono ritenersi esposti a pericoli; il Ministero ritiene che tali misure (macchine blindate a disposizione dei magistrati) siano appropriate, anche se non è possibile affermare che la loro puntuale applicazione valga in modo assoluto ad evitare del tutto possibili attacchi ed offese alle persone protette. Il Ministero di grazia e giustizia precisa che quel pomeriggio di venerdì il consigliere D'Urso non aveva chiesto di usare la macchina di servizio: egli si serviva dell'auto blindata solo per il rientro a casa alle 14, ogni giorno, e molto di rado la richiedeva per il rientro pomeridiano e per i turni festivi. Aperto rimane pertanto il problema, estremamente delicato, di come adottare e far osservare le massime precauzioni anche da c

hi non le ritenga necessarie ed opportune, e quindi del limite entro il quale sia lecito imporre tali misure a tutti coloro che, in ragione del loro ufficio, risultino più esposti ai colpi del terrorismo.

I pedinamenti di D'Urso

Rispetto al pedinamento di cui sarebbe stato fatto oggetto in precedenza il dottor D'Urso, posso precisare che nel mese di febbraio l'autista che lo accompagnava con l'auto di servizio (un agente di custodia) segnalò la presenza di due macchine sospette sull'itinerario compiuto dal magistrato, e ne rilevò le targhe. Gli accertamenti, subito compiuti dalla questura dietro interessamento del Ministero di grazia e giustizia, portarono a stabilire che tali targhe non corrispondevano ai tipi di vetture indicate: le indagini, compiute allora e ripetute in questi giorni, non hanno condotto all'acquisizione di elementi apprezzabili.

Il piano d'emergenza

Quanto alle misure adottate in relazione al rapimento del magistrato, preciso che, non appena informata dell'accaduto, la questura di Roma ha provveduto subito ad attuare il piano d'emergenza previsto per circostanze di tale gravità, istituendo, con il concorso dell'Arma dei carabinieri, posti di blocco e di controllo sulle arterie che si dipartono dalla capitale; contemporaneamente, funzionari della questura, in stretto contatto con il sostituto procuratore della Repubblica, accorso sul posto presumibile del sequestro, provvedevano ad acquisire i primi dati necessari per l'avvio delle indagini, che sono state rapidamente sviluppate in tutte le direzioni.

L'opera degli investigatori, nonostante le difficoltà dovute alla carenza di testimonianze sulla fase del rapimento, procede senza sosta, con un accanimento pari alla durezza della prova, sotto la direzione dell'autorità giudiziaria, ed accenna ad assumere contorni sempre più definiti. Su questo punto credo che ogni riserbo possa essere compreso ed apprezzato dal Parlamento.

Le rivendicazioni del sequestro alle Brigate rosse si sono susseguite nel corso della giornata di sabato 13, mediante telefonate anonime in varie città italiane: a "l'Unità", di Torino, all'"Ansa" di Verona a "Il Giornale" di Vicenza, a "La Notte" di Milano, a "Il Messaggero" di Roma. Nel pomeriggio dello stesso sabato veniva fatto trovare a Roma il primo volantino delle Brigate rosse. Ieri, sempre nel pomeriggio, veniva rinvenuto il secondo comunicato, in cui si afferma che il magistrato è sottoposto, con la sua ``collaborazione'', all'interrogatorio dei terroristi.

Attacco alle strutture carcerarie

L'analisi di questi documenti conferma, innanzitutto, che il sequestro del Magistrato D'Urso si inserisce nei propositi di attacco del terrorismo alle istituzioni democratiche e, all'interno del sistema, alle strutture carcerarie in particolare. Questo disegno ha come obiettivi: organizzare la liberazione dei detenuti, smantellare il cosiddetto circuito della differenziazione, costruire e rafforzare i comitati di lotta, chiudere il carcere dell'Asinara. Questo disegno è considerato, dall'organizzazione eversiva, come strumentale ai suoi obiettivi primari: la destabilizzazione ed il rovesciamento delle istituzioni democratiche.

Da ciò, la particolare collocazione che le Brigate rosse rivendicano, oggi, nel terrorismo italiano e che si riassume in questo punto: il compito dell'organizzazione è di dimostrare, nello scontro di classe, la capacità di essere la punta più avanzata dell'intero movimento rivoluzionario; la sua linea politica, espressa nella ``Risoluzione della direzione strategica'', si condensa nella parola d'ordine: ``accettare la guerra e attaccare il cuore dello Stato, facendo vivere i contenuti di distruzione e disarticolazione dentro una linea di massa che dialettizzi i programmi immediati con il programma generale di transizione al comunismo".

Dimostrare che l'organizzazione è viva

L'azione clamorosa del sequestro del dottor D'Urso permette, dunque, alle Brigate rosse di dimostrare, dopo i duri colpi subiti, che l'organizzazione eversiva è ancora viva e operante, di ritentare una ``carta politica'' in contrapposizione allo avventurismo di altri gruppi terroristici. Lo scopo di tale disegno appare perciò chiaro: minare al cuore la tenuta delle nostre istituzioni, creare disagio, inquietudine ed allarme nell'opinione pubblica, disgregare la compattezza delle forze politiche sul fronte del terrorismo, innescare una spirale di tensione e di polemiche introducendo motivi di lacerazione nella vita politica del paese, già così tormentata, dura e difficile. Nella lotta contro il terrorismo - pur riconoscendo e valutando, nelle giuste dimensioni, i risultati conseguiti dalla magistratura e dalle forze dell'ordine - non abbiamo mai ritenuto che la partita fosse vinta. Abbiamo sempre avvertito che la strada da percorrere sarebbe stata ancora lunga ed aspra. Contro il terrorismo in nessun modo pos

sono essere allentate la vigilanza e la più ferma determinazione. Il Governo, mentre conferma la sua disponibilità al dibattito sulla politica carceraria e sulla situazione in atto negli stabilimenti penitenziari, preannunziata dal Ministro guardasigilli giovedì scorso presso la Commissione giustizia della Camera, assicura di essere ugualmente pronto ad un dibattito sui temi della sicurezza, dal quale ritiene di poter trarre elementi destinati a rafforzare l'impegno nella difesa di una giusta e pacifica convivenza civile.

Per tale impegno, e di fronte alla persistente durezza dell'insidia eversiva, risultano più che mai necessarie, oggi, la compattezza delle forze politiche e sociali, la solidarietà e l'unità di intenti, la coesione e la responsabile consapevolezza di tutti.

Obiettivo primario: salvare D'Urso

Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo non lascerà nulla di intentato, nei limiti delle sue possibilità, per raggiungere l'obiettivo, oggi primario, della restituzione del giudice D'Urso alla sua famiglia, di cui partecipiamo e viviamo l'angoscia, e al suo lavoro, al suo posto nell'ordine giudiziario, così duramente colpito. In questa prospettiva il Governo praticherà ogni strada e non trascurerà alcuna opportunità che possa condurre ad un esito positivo di questa vicenda, che partecipa obiettivamente dei valori più profondi del ``privato'' e nello stesso tempo si inserisce duramente nella vicenda più complessa ed articolata della comunità nazionale.

L'intervento di Marco Boato (16 dicembre)

Presidente. L'onorevole Boato ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per l'interpellanza De Cataldo n. 2-00749, di cui è confirmatario.

Non è come il sequestro Moro

Boato. E' stato detto in questi giorni, in queste ore - lo si è letto su molti giornali - che ci troviamo di fronte ad una puntuale riedizione del ``sequestro Moro''. Credo si possa dire con forza che ciò non è vero: che la situazione del Paese è cambiata, che è cambiata la situazione del terrorismo, è cambiato l'obiettivo, sono cambiate le modalità di esecuzione, è cambiata la risposta delle forze politiche. Spero si tratti di un cambiamento in meglio: il collega Bianco mi consenta però di notare che la sua replica mi farebbe pensare alla possibilità di un allentamento della tensione morale e politica. Lo dico considerando il contenuto e la vacuità di quella replica, in rapporto al problema che abbiamo di fronte; lo dico con durezza, ma senza astiosità, proprio perché ho ascoltato con attenzione quelle sue poche parole.

Mi auguro prima di tutto, per il dottor D'Urso e per la sua famiglia, ma anche e soprattutto da punto di vista politico, per le sorti della democrazia e delle istituzioni nel nostro paese, che non ci si debba ritrovare di fronte ad una stanca riedizione di ciò che è avvenuto così drammaticamente e tragicamente in occasione del "sequestro Moro". E questo spero che possa valere anzitutto per i terroristi: spero cioè che non si giunga alla tragica conclusione cui si giunse il 9 maggio 1978. Spero invece che, da parte nostra, si possa tener conto che ci troviamo in una situazione in cui ancora si può intervenire per modificare ciò che sta avvenendo, e mi auguro che di ciò si rendano conto le forze politiche del nostro paese: anche se qualche timido accenno, che si può cogliere dai giornali, ci fa poco ben sperare. Sembra di veder ricomparire sulla scena i rappresentanti di altrettante posizioni predefinite e precostituite, che tornano stancamente a riassumere, nelle "caselline" relative allo schieramento politic

o sul terrorismo del nostro paese, i posti che a ciascuno di loro, purtroppo tradizionalmente, ormai spettano.

La riedizione di una vecchia pellicola

Se si tratta di una riedizione, è la riedizione di un vecchia pellicola, ormai usurata e fuori uso, incapace persino di suscitare grandi tensioni e grandi contrasti all'interno del paese. Le uniche cose grandi sono le idiozie pronunziate dal magistrato Sossi, il quale ha l'unico merito, nella sua vita, di essere stato vittima delle Brigate rosse. Nel corso del suo sequestro non sembra però che il suo comportamento sia stato un capolavoro di coraggio e di rigore morale e politico; ora nel corso dei sequestri altrui, non sa far altro che ripetere stancamente e idiotamente le tesi fasciste sullo stato di guerra, sulla pena di morte.

Le idiozie di Sossi

So che uso parole forti, signor Presidente: ma contro chi parla di stato di guerra e di pena di morte si possono anche rivolgere parole forti, che comunque non sono mai paragonabili, come gravità, alle richieste che ha avanzato! Salvo queste grandi idiozie del magistrato Sossi - dicevo -, non abbiamo però ancora di fonte, per fortuna, degli schieramenti talmente rigidi e conclamati da divenire irremovibili: neppure da parte del Governo, ripeto: debbo dire, per fortuna, fino ad ora neppure da parte del Governo. Però debbo anche chiedermi, e non con il tono di chi dice "si sapeva sempre tutto in anticipo": qui c'è un sottosegretario ai servizi di sicurezza, il Ministro della giustizia, un sottosegretario della giustizia, il Ministro dell'Interno e altri sottosegretari. Vi chiedo: lo fate il vostro mestiere tutti i giorni? Avevate letto nei fatti che succedevano in questi mesi nel nostro paese che questo che oggi abbiamo di fronte, stava per succedere?

Ma li avete letto i documenti?

Evidentemente non che avrebbero sequestrato proprio D'Urso: questo non lo sapeva nessuno, spero. Ma li avete letto i fatti che stavano accadendo? avevate letto i documenti delle Brigate rosse, da mesi e mesi a questa parte, riguardo ad un unico, ossessivo, paranoico obiettivo - anche se io dico, giusto per tutt'altri motivi -: chiudere l'Asinara!

Chidere l'Asinara!

Questa era l'unica cosa paranoica che veniva detta. Allora come potevate non sapere che a questo sarebbero giunti? La rivolta nel carcere di Volterra, la rivolta di Fossombrone, la rivolta di Nuoro, la rivolta di Firenze avevano questo unico obiettivo: non andare all'Asinara, chiudere l'Asinara!

Il terrorismo è un fenomeno storico-politico

Alcuni giorni fa perfino un articolo de "l'Unità" si concludeva chiedendosi come faceva a sapere un tale che i terroristi sarebbero giunti a ciò, rivolto a non so chi. Ma bastava leggere i loro volantini, sentire le loro dichiarazioni e capire politicamente il terrorismo! Del resto in quest'aula l'ho detto mille volte, e voi ormai lo sapete, che il terrorismo è, sì, un fenomeno criminale, ma di una natura del tutto particolare; e quindi prima di tutto è un fenomeno politico-criminale, storico-politico, ideologico, e va "letto" con questi strumenti.

Il Ministro dell'Interno qualche tentativo - l'ho sentito poco fa nelle sue comunicazioni - in questa direzione ha cercato di farlo. Ma perché nulla è successo?

Prevenire e prevedere

Perché non abbiamo fatto tesoro persino delle cose di cui abbiamo discusso in quest'aula, in pochi, dopo l'assassinio dell'ingegner Briano a Milano? Lo dissi in quella occasione, in quest'aula: ha paura ad usare queste parole, ma vi dico che a mio parere, per quello che ne capisco io, l'assassinio dell'ingegner Briano è un "intervento" nel dibattito politico all'interno delle Brigate rosse. Potete sospettare che io abbia informazioni segrete su questo? Spero di no. Vi ho spiegato come si capiscono questi fenomeni, ed è risultato proprio così: l'assassinio dell'ingegner Briano e poi quello di Mazzanti erano un tragico, cinico, assassinio, criminale intervento nel dibattito politico interno alle Brigate rosse! Questi eventi non sono come i terremoti, che si possono invece prevenire e qualche volta anche prevedere.

E' una rivendicazione sacrosanta

Signor Ministro della giustizia, mi rivolgo a lei con forzata speranza, perché lei è nuovo a questo incarico, affinché abbia la creatività, l'intelligenza, il coraggio - se mi consente -, insieme al Governo, di non ripetere stancamente stanchi modelli che portano, oltre che alla morte delle persone, anche alla morte stanca, per inedia, per accidia, per incapacità di iniziativa, della nostra democrazia. C'è avanti a lei il sottosegretario alla giustizia Spinelli, che era presente in Commissione giustizia pochi giorni fa, insieme al sottosegretario Lombardi, allorché abbiamo discusso - la Commissione era affollata come non mai - sulla tabella 5 del bilancio e sulla legge finanziaria, per quanto attiene alla Commissione giustizia. Signor sottosegretario Spinelli, lei lo rammenterà, io conclusi il mio intervento dicendo: non arrivate a dover accettare il ricatto dei brigatisi sul carcere dell'Asinara. Chiudere l'Asinara è certo una rivendicazione dei brigatisti per fini eversivi, ma chiudere l'Asinara e rivedere

tutto il regime delle carceri "speciali", delle carceri "di massima sicurezza" nel nostro Paese, è una rivendicazione sacrosanta che noi, forze politiche democratiche, di maggioranza o di opposizione, dobbiamo portare avanti autonomamente e con forza, per ragioni di giustizia, di civiltà del diritto, di democrazia nel nostro Paese.

Le dichiarazioni di Horset Mahler

Se avremo la forza di sottrarre questo terreno all'eversione terroristica, allora vinceremo democraticamente; ma se non avremo la forza di percorrere questa strada, perché poi questo è il terreno che i terroristi, con obiettive ragioni quanto ai fatti materiali, utilizzano per il ricatto eversivo, allora questa sarà persa in partenza, e il terrorismo sarà destinato a rimanere un fatto endemico ed invincibile, nonostante tante vittorie riportate nei suoi confronti nel nostro Paese. Infatti, quando si arrestano duemila terroristi, presunti o reali, e li si rinchiudono nelle galere, questo fenomeno si riproduce endemicamente, inevitabilmente. Leggetevi su "Rinascita" di questa settimana, le dichiarazioni che fa Horset Mahler, uno dei capi usciti dalla RAF, che parla di come il meccanismo carcerario, la liberazione dei detenuti, anche in Germania fu meccanismo di riproduzione e di perpetuazione del fenomeno terroristico.

Ma in Italia il fenomeno è molto più presente, perché molto diverse sono le caratteristiche del terrorismo italiano, rispetto a fenomeni che pure hanno avuto peso nella Repubblica federale di Germania.

L'intervista di Bonifacio

Voglio dirvi - ma non per la solita, stanca voglia di attaccare il Governo comunque, privo ormai addirittura di motivazioni - che se l'unica misura che potete immaginare è quella di due mesi di fermo di polizia in più, allora è bene che vi leggiate l'intervista del vostro ex Ministro della giustizia Bonifacio, il senatore democristiano Bonifacio, sul settimanale "Oggi" del 3 dicembre 1980, il quale critica duramente le misure eccezionali di cui egli stesso è stato il principale protagonista nei governi di "unità nazionale", e dice che si farà adesso una fatica tremenda a ritornare su un terreno istituzionale diverso da quello su cui il terrorismo ha costretto purtroppo il nostro Paese in questi anni. E' il senatore democristiano Bonifacio a dire queste cose sul settimanale "Oggi"; non le dice Marco Boato su "Lotta Continua": le dice il vostro Ministro della giustizia, il nostro ex presidente della Corte costituzionale, che è indotto a riconoscere oggi come giuste le analisi che noi proponiamo da tanto tempo.

In Commissione giustizia

Il collega De Cataldo ha avuto la cortesia di ricordare quanto si sia insistito, per un anno e mezzo, in Commissione giustizia perché ci fosse una capacità di dibattito, e di intervento, quanto meno conoscitivo da parte nostra, ed ovviamente esecutivo da parte del Governo, sulla situazione carceraria, che tutti quelli che la seguivano attentamente si rendevano conto come stesse per diventare esplosiva.

Gli agenti di custodia

Può sembrare forse che questo non sia il momento migliore per parlare anche della riforma del corpo degli agenti di custodia che il Gruppo radicale porta avanti da anni. Ma guardate che anche questo problema attiene alle inadempienze del Governo, all'incapacità del Parlamento di far fronte a problemi carcerari che sono estremamente collegati tra loro. Io ho sentito parlare dell'Asinara - prima ancora che dai detenuti, o dagli ex detenuti, o dai loro familiari - dagli agenti di custodia: dalla loro diretta esperienza ho sentito che cos'è l'Asinara. Anche poche settimane fa qui, alla sede del nostro Gruppo parlamentare, una delegazione di agenti di custodia è venuta a parlarci anche dell'Asinara. E cose analoghe dicono le delegazioni di ex detenuti, o di familiari dei detenuti.

Io credo che la situazione in cui ci troviamo in questo momento - tragica, drammatica, ma molto, molto, molto diversa da quella in cui ci si trovava durante il sequestro di Aldo Moro - possa trovare uno sbocco diverso, se ci sarà da parte del Governo, delle forze politiche di maggioranza, ma anche - e sottolineo "anche" - delle forze di opposizione la capacità di imparare le lezioni tremende che abbiamo subito in questi anni, la capacità di assumere una iniziativa politica diversa, una iniziativa istituzionale e amministrativa diversa, ma anche una iniziativa legislativa diversa.

Siamo disponibili

Io credo - e concludo - che queste siano le ragioni dell'impegno, signor Ministro della giustizia, per cui noi ci dichiariamo, dall'opposizione, qui, oggi, in questo momento, totalmente disponibili, in relazione alle iniziative su questo sequestro, ma anche in relazione a tutto ciò che, senza accettare ricatti, ma per autonoma iniziativa politica delle forze di questo Paese, si sappia e si voglia fare in queste ore e in questi giorni. Noi ci dichiariamo totalmente disponibili.

Se vogliamo invece ripercorrere le vecchie strade, e magari ripeterle ancora più stancamente, in modo più becero, sarà questa una tragedia non solo, e prima di tutto, purtroppo, per il dottor D'Urso e la sua famiglia, ma una tragedia anche per la democrazia nel nostro Paese. Risolvete infatti - apparentemente - questo "caso", seppellendo un cadavere, e dicendo: "Non abbiamo ceduto", ma vi ritroverete di fronte ad un fenomeno ormai reso endemico, che non avrete saputo sconfiggere perché non sarete stati neppure in grado di capirlo.

 
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