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Aglietta Adelaide, Ajello Aldo, Baldelli Pio, Boato Marco, Bonino Emma, Cicciomessere Roberto, Crivellini Marcello, De Cataldo Franco, Faccio Adele, Melega Gianluigi, Mellini Mauro, Pinto Domenico, Rippa Giuseppe, Roccella Franco, Sciascia Leonardo, Teodori Massimo, Tessari Alessandro - 24 marzo 1981
(1) Rimborso da parte dello Stato delle spese sostenute per le attività elettorali e per l'attivazione degli istituti di democrazia diretta. Contributo dello Stato alle spese dei gruppi ed alle attività dei parlamentari. Diritto all'informazione dei cittadini e garanzia per l'utilizzazione del servizio pubblico televisivo

PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA DEI DEPUTATI:

AGLIETTA, AJELLO, BALDELLI, BOATO, BONINO, CICCIOMESSERE, CRIVELLINI, DE CATALDO, FACCIO, MELEGA, MELLINI, PINTO, RIPPA, ROCCELLA, SCIASCIA, TEODORI, TESSARI ALESSANDRO

Presentata il 24 marzo 1981

SOMMARIO: Si propone una profonda modifica della legge sul finanziamento pubblico dei partiti privilegiando il sostegno e agevolazione delle attività politiche dei cittadini e della loro partecipazione alla vita pubblica piuttosto che il finanziamento diretto delle strutture partitiche. A questo fine si prevede di limitare il finanziamento diretto a partiti e movimenti al solo momento elettorale e a quello della attivazione degli istituti di democrazia diretta, di regolamentare in modo paritetico l'accesso delle formazioni politiche all'informazione radiotelevisiva, di concorrere alle spese per l'attività dei gruppi parlamentari e di inasprire divieti, obblighi e sanzioni per limitare i fenomeni di corruzione.

(Atti Parlamentari - Camera dei Deputati - VIII LEGISLATURA - DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTO N. 2464)

COLLEGHI DEPUTATI! - L'11 giugno 1978 il popolo italiano è stato chiamato a pronunciarsi su una richiesta di abrogazione della legge n. 195 del 1974 concernente il »Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici . La richiesta era stata promossa dal solo Partito radicale e sostenuta dopo l'indizione del "referendum" dal PLI e dai gruppi che si raccoglievano allora in Democrazia proletaria. Tutti i partiti della così detta unità nazionale (DC, PCI, PSI, PRI, PSDI) si espressero invece per il mantenimento della legge e per il NO alla sua abrogazione, mentre il Movimento sociale italiano-destra nazionale lasciò liberi i suoi elettori di votare per il SI' o per il NO anche a causa delle forti divergenze interne che si erano manifestate in questo partito sulla questione.

La richiesta di abrogazione fu respinta, ma con un margine relativamente esiguo se si tiene conto che i partiti antiabrogazionisti rappresentavano oltre il 90 per cento dell'elettorato e quelli decisamente favorevoli alla abrogazione, tutti insieme, circa il 3,5 per cento.

Al momento delle votazioni oltre il 43 per cento degli elettori votanti si espresse al favore del SI' alla abrogazione. Fu un risultato clamoroso: una sconfitta numerica molto contenuta, ma anche un indiscutibile successo politico per chi aveva promosso il "referendum". Il risultato mise in rilievo lo scollamento di gran parte dell'elettorato dei partiti che si riconoscevano nella maggioranza di »unità nazionale su una questione certamente centrale dell'assetto istituzionale che si era venuto configurando e consolidando nella Repubblica italiana nel corso dei decenni, spesso in contrasto con la lettera e lo spirito, con il dettato della Costituzione repubblicana.

La campagna referendaria era stata impostata dai partiti dell'unità nazionale come un "referendum" pro o contro i partiti; le posizioni abrogazioniste furono demonizzate come qualunquiste, destabilizzatrici e anticostituzionali. La clamorosità del risultato indusse, dopo il referendum, a qualche mutamento e ad una maggiore riflessione critica. Non mancò chi continuò ad insistere acriticamente sul tasto del qualunquismo, con la pretesa di avvicinare in qualche maniera il risultato di questo "referendum" a quello Monarchia-Repubblica del giugno 1946. Uno degli argomenti invocati da questi commentatori acritici fu che le maggioranze abrogazioniste si erano prevalentemente concentrate nelle regioni meridionali in contrasto con la »tenuta delle regioni rosse, dove l'organizzazione del consenso del Partito comunista aveva consentito di limitare al massimo lo sfondamento degli abrogazionisti non solo sulla legge Reale, ma anche sul finanziamento pubblico dei partiti. Questa tesi miope e riduttiva non teneva conto

del risultato inconfutabile di grandi città del centro e del nord, che da anni ormai registravano maggioranze elettorali di sinistra e dove gli abrogazionisti avevano ottenuto vaste maggioranze assolute; ma anche nel Mezzogiorno, dopo oltre 30 anni di democrazia, la situazione era completamente diversa da quella del 1946: il voto sui due "referendum" fu colto da quelle popolazioni come uno »sbocco politico di un vasto e giustificato malcontento per le condizioni delle loro regioni.

La maggioranza dei commentatori mise in rilievo invece che il risultato dell'11 giugno era chiaramente un voto per la moralizzazione della vita pubblica: non un voto contro i partiti, ma un voto contro la degenerazione partitocratica della democrazia; non un voto contro i partiti, ma un voto, al contrario, per una maggiore democrazia nella Repubblica e negli stessi partiti e per un più corretto funzionamento delle istituzioni.

Non solo i giornali, ma anche molti commentatori politici degli stessi partiti della maggioranza riconobbero che si trattava di un allarme e di un segnale che le classi dirigenti avrebbero dovuto tenere nel massimo conto. Le dimissioni di Leone dalla Presidenza della Repubblica, dove la sua posizione si era fatta difficile a causa del sodalizio con i fratelli Lefèbvre, imputati nel processo "Lockheed", e a causa di sospetti su sue eventuali dirette responsabilità, fu giustamente interpretata come una risposta positiva a questa richiesta dell'elettorato; una interpretazione rafforzata dalla successiva elezione alla massima carica dello Stato di Sandro Pertini.

Dopo quel gesto emblematico, tuttavia, non c'è stato più alcun segno di ripensamento, da parte delle classi dirigenti di quei partiti che promossero e vararono la legge sul finanziamento pubblico, sui problemi posti in discussione da quel "referendum".

Si giunge così alla legge finanziaria per l'esercizio 1980, nella quale si propone il raddoppio secco degli stanziamenti destinati al finanziamento pubblico dei partiti. Il raddoppio non è diventato operante solo perché, nelle more della tormentata discussione della legge finanziaria, esplode lo scandalo Caltagirone con la notizia di ingenti finanziamenti elargiti da questi imprenditori-palazzinari a partiti, correnti di partito e uomini politici, e con il fondato sospetto che questi finanziamenti siano doppiamente illeciti, perché avvenuti in violazione delle leggi che regolano i bilanci delle società e in violazione dei divieti posti dalla legge sul finanziamento pubblico. Un ministro, il deputato Evangelisti, è costretto a dimettersi dal suo incarico di governo.

Torna a riproporsi il problema della moralizzazione. Solo a questo punto i partiti che consentivano al progetto del raddoppio degli stanziamenti del finanziamento pubblico sentono il bisogno di associare a questi stanziamenti norme moralizzatrici - riguardanti i divieti e i controlli - che riformino la legge n. 195 del 1974. Ma l'argomento non può più evidentemente essere affrontato e risolto in sede di legge finanziaria, per quanto questa sia divenuta ormai una sorta di legge "omnibus". Di qui lo stralcio e quindi l'apertura di un "iter" legislativo autonomo. La storia si ripete. Anche nel 1974 si giunse alla legge sul finanziamento pubblico con l'accordo unanime dei partiti che si ritroveranno due anni più tardi nella maggioranza cosiddetta di unità nazionale, sull'onda di uno scandalo: quello dei fondi neri dei petrolieri e dei fondi neri della Montedison di Valerio, nella cui ripartizione erano coinvolti tutti i partiti delle maggioranze di centro-sinistra.

Anche allora la giustificazione della legge era nella necessità della moralizzazione.

A sei anni di distanza, e proprio mentre i partiti della ex maggioranza di unità nazionale si accingevano a dare il via al raddoppio degli stanziamenti per il finanziamento pubblico, un altro scandalo di colossali dimensioni (ma non l'unico) dimostra che nessuna moralizzazione è stata conseguita con la legge n. 195 del 1974.

A sei anni di distanza i padri legittimi di questa legge si trovano alle prese con gli stessi problemi teorici e legislativi, risolti non casualmente in maniera lacunosa e contraddittoria.

Nel frattempo, in questi sei anni, la legge è stata operante e con effetti negativi sulla già grave situazione della Repubblica e più in generale sul funzionamento delle istituzioni e della democrazia. Se il problema della moralizzazione non è stato risolto, si è cristallizzata una burocrazia di partito, direttamente finanziata dallo Stato, che si aggiunge alla giungla sconfinata di burocrazie statali e parastatali di carattere parassitario che non hanno nulla a che fare con l'ampliamento del moderno settore terziario, che è caratteristico degli Stati industriali in quest'epoca.

Si è, di conseguenza, enfatizzato il carattere partitocratico della nostra vita politica, rafforzato da una crescente »pubblicizzazione dei partiti. In contrasto con le esigenze di autonomia che provengono in maniera sempre più netta dalla società civile, si è verificato un fenomeno di crescente occupazione da parte dei partiti di ogni sfera di attività e di responsabilità. E poiché non viviamo nel regime di partito unico, ma la pluralità dei partiti non dà luogo a forme corrette di alternanza degli stessi partiti al Governo e all'opposizione, questa occupazione si esercita mediante il compromesso, la spartizione e la lottizzazione, assumendo sempre più carattere di stabilità e di permanenza. Questa situazione non riguarda soltanto gli accordi che di volta in volta si verificano all'interno delle maggioranze formali che si costituiscono in Parlamento, ma riguarda tutte le grandi forze politiche in gioco, e fra di esse in primo luogo la DC e il PCI, indipendentemente dalla loro collocazione parlamentare, e v

ede coinvolti in maniera diversa regioni, municipalità e sindacati.

L'istituzione del finanziamento pubblico ha accentuato altri aspetti della degenerazione partitocratica della vita pubblica. Si è infatti accentuata la dipendenza dei gruppi parlamentari dalle segreterie e dalle direzioni dei partiti e la conseguente deresponsabilizzazione dei singoli parlamentari, con ripercussioni negative su tutto l'istituto parlamentare. Non crediamo sia azzardato sostenere che questa diminuzione di autonomia sia una delle cause di demotivazione del lavoro parlamentare e, di conseguenza, del fenomeno dell'assenteismo, della lentezza e farraginosità del procedimento legislativo, del peggioramento dei testi normativi delle leggi. Di questo fenomeno sottolineiamo soltanto una contraddizione cui certamente ha dato vita la istituzione del finanziamento pubblico: mentre in conseguenza di questa legge i partiti e le loro burocrazie dispongono ormai di consistenti mezzi finanziari, i gruppi e i singoli parlamentari non dispongono di nessuno strumento organizzativo, progettuale e di ricerca che l

i metta in grado di affrontare adeguatamente le delicate funzioni legislative, di controllo e di indirizzo che sono affidate dalla Costituzione al Parlamento.

Il finanziamento pubblico ha anche spinto a conservare e ad accentuare alcune caratteristiche sia nella organizzazione e nelle strutture interne, sia nel modo di far politica e di assicurare i rapporti con la società civile; caratteristiche che, se erano giustificate nell'epoca della formazione dei partiti di massa, appaiono oggi scarsamente giustificate, se non addirittura contraddittorie, in una società estremamente più mobile e critica, largamente laicizzata e fortemente influenzata dalla rapida circolazione delle informazioni resa possibile dai moderni "mass media". Domina ancora una concezione in qualche misura »clericale , per cui la vita politica, invece di affidarsi da una parte all'informazione e dall'altra all'associazionismo di base, si affida alle federazioni e alle sezioni territoriali dei partiti come organi di trasmissione degli impulsi, delle informazioni e delle direttive dal centro alla periferia. E si tratta di una struttura e di un modo di far politica che richiede un gran numero di funzi

onari retribuiti dagli organi dirigenti del partito.

Non a caso i partiti sostenitori del finanziamento pubblico, che perpetua e rafforza questa struttura e questi circuiti ormai superati di comunicazione, sono gli stessi che da una parte lottizzano la RAI-TV e i suoi organi di informazione, limitando al massimo la possibilità di una informazione veramente libera e imparziale, dall'altra tentano di limitare e intralciare l'accesso dei partiti e delle altre organizzazioni politiche all'informazione pubblica e di impedire il dibattito e il confronto diretto fra di essi attraverso i servizi radiofonici e televisivi pubblici. E i più accaniti nel portare avanti questa linea sono naturalmente quei partiti che hanno, almeno nei fatti, se non teoricamente, una visione statolatrica della politica che porta alla concezione dello Stato-partito o del partito statizzato.

Di tutto questo fenomeno la legge sul finanziamento pubblico, così come è stata concepita nel 1974, non solo rappresenta la base normativa, ma costituisce in un certo senso il quadro ideologico; perché ha prodotto una »statalizzazione dei partiti in cui, tuttavia, ai finanziamenti statali e all'accrescimento progressivo del potere e dell'influenza dei partiti in ogni sfera della vita civile e sociale non corrisponde alcuna forma di controllo e di garanzia.

Come già si è detto, la Costituzione attribuisce ai partiti politici un ruolo fondamentale nella determinazione della volontà politica, ma non istituzionalizza, non »pubblicizza i partiti politici. Al contrario, nella Costituzione i partiti hanno la configurazione di associazioni volontarie di cittadini, espressione diretta della libertà associativa e delle tensioni civili che si manifestano nella società. Il momento centrale di manifestazione in cui si esplica (o dovrebbe esplicarsi) il ruolo dei partiti politici è quello delle elezioni. Oltre il momento delle elezioni, per gli eletti all'interno delle istituzioni, la Costituzione ribadisce in maniera solenne il principio classico delle democrazie secondo il quale ogni eletto è rappresentante del popolo. Sappiamo tutti in quale direzione si è mossa invece in questi tre decenni e mezzo la prassi: verso una Costituzione materiale che si allontana in maniera drastica dai princìpi enunciati dalla Costituzione formale e instaura nella vita pubblica del Paese la

categoria della corporazione politica.

Uno dei punti di passaggio di questo lento cambiamento dell'assetto istituzionale si è avuto con l'estensione delle consultazioni presidenziali ai segretari di partito. Un altro momento è stato rappresentato dalla legge sul finanziamento pubblico.

Si potevano seguire due strade nel momento in cui si procedeva alla adozione di forme di finanziamento pubblico dell'attività politica in quanto tale:

una era quella di mantenersi fedeli al dettato costituzionale, conservando la caratteristica di associazioni private e libere ai partiti, non finanziandoli direttamente, ma finanziando o prevedendo agevolazioni per l'attività politica dei cittadini e la loro partecipazione alla vita pubblica (con vantaggi indiretti anche per i partiti che di questa attività e di questa partecipazione sono strumento e veicoli). Si poteva prevedere cioè di finanziare determinati momenti della vita pubblica, come momenti neutrali cui potevano accedere i protagonisti dell'iniziativa politica (partiti e non);

l'altra era quella di finanziare i partiti direttamente, senza tuttavia ignorare ciò che questo necessariamente comportava nell'assetto costituzionale del Paese: cioè una completa pubblicizzazione o statizzazione del partito politico. Se il partito politico diventa un momento della vita istituzionale della democrazia, esso deve essere sottoposto a una serie di controlli e di regole garantiste come qualsiasi altro momento istituzionale della Repubblica per garantirne l'aderenza e la dipendenza ai princìpi riformatori della Costituzione. Come a determinate e rigorose regole sono sottoposte, ad esempio, le elezioni del Parlamento, così devono essere le elezioni interne degli organi dei partiti e più in generale devono esserlo il loro funzionamento, la loro democrazia interna, la scelta dei candidati alle cariche pubbliche; e i finanziamenti pubblici ai partiti politici devono essere sottoposti alle stesse forme di controllo cui sono sottoposti gli altri finanziamenti pubblici.

Nessuna delle due strade è stata seguita nel 1974. Ne è stata seguita una terza che cumula i vantaggi ed esclude gli svantaggi di ciascuna delle due strade alternative sopra sommariamente, ma chiaramente indicate. Si è ricorsi al finanziamento dei partiti ma, per escludere le conseguenze che questo avrebbe comportato in termine di controlli e di garanzie formali, si è escogitata una finzione giuridica: quella di finanziare per conto dei partiti i rispettivi gruppi parlamentari della Camera e del Senato, stabilendo per i gruppi così finanziati l'obbligo di versare ai propri partiti almeno il 95 per cento del finanziamento pubblico. Il motivo di questa finzione, che consente di aggirare con artificio gesuitico alcuni princìpi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, è facilmente intuibile: i gruppi, in quanto organismi parlamentari, non possono essere soggetti a controlli esterni al Parlamento e non possono essere soggetti ad altre regole che non siano quelle dei regolamenti della vita parlamentare.

Questa soluzione, che riduce i gruppi parlamentari a tramite (e schermo) finanziario fra lo Stato e i partiti, è di dubbia costituzionalità. Pare evidente infatti il contrasto con il dettato dell'articolo 67 della Costituzione.

Lo scandalo dei finanziamenti Caltagirone ha fatto esplodere con tutta evidenza la lacunosità e contraddittorietà della legge: perché ai divieti e ai vincoli imposti dalla legge non corrispondono né controlli né sanzioni.

I rimedi e le correzioni proposti, almeno nel primo dibattito che si è svolto in occasione della legge finanziaria e che si è concluso con lo stralcio del problema, non escono da questa logica e non la superano.

La filosofia del finanziamento pubblico rimane la stessa. Rimane la finzione del finanziamento erogato ai gruppi parlamentari e inoltrato per il tramite dei gruppi parlamentari ai rispettivi partiti. Si consolida, con il raddoppio degli stanziamenti, la burocrazia di partito costituita in apparato, rafforzandola rispetto agli organismi elettivi e rappresentativi che operano nelle istituzioni (ma dopo il finanziamento pubblico sarebbe più giusto dire nelle »altre istituzioni) della Repubblica. Continua a mancare ogni seria normativa garantista nella sfera interna dei partiti. Sicché la riforma rimane limitata, stando almeno a questi primi segni di volontà politica, a qualche modesto miglioramento nella compilazione dei bilanci, ad una estensione della casistica delle illiceità di finanziamento ai partiti, a qualche inasprimento delle sanzioni, che tuttavia colpisce in misura limitata i partiti beneficiari di questi illeciti.

Per contro nella sfera dei controlli, in armonia con la finzione del finanziamento ai gruppi parlamentari, non si prevedono modifiche serie. Non si ha il coraggio di giungere alla logica conseguenza che anche per i partiti va rispettato il principio generale »a finanziamenti pubblici controlli pubblici e che tale controllo va affidato alla Corte dei conti. Se ne deduce che, in mancanza di controlli effettuati da una magistratura realmente indipendente e imparziale, sia l'inasprimento dei divieti sia quello delle sanzioni sono destinati a rimanere inefficaci.

In definitiva non si può sfuggire all'impressione che anche in questo caso, in tema di moralizzazione, di fronte a problemi gravi e a giuste indignazioni dell'opinione pubblica, si offrano soluzioni che sono elusive e illusorie.

A tutto questo si aggiungano nuove e più stridenti contraddizioni che si verificherebbero se alcune di queste modifiche dovessero passare. Con apparente furia giacobina si propone di attuare da parte di alcune forze politiche due tipi di sconfinamento negli statuti interni dei partiti: da una parte si chiede di estendere divieti, sanzioni e controlli (peraltro inefficaci, se non addirittura ridicoli) anche alle correnti dei partiti con il risultato di istituzionalizzare e pubblicizzare non solo i partiti ma anche le loro correnti, con i loro »manuali Cencelli e con i risultati prevedibili di ulteriore parcellizzazione, lottizzazione, corporativizzazione e paralisi del sistema politico; dall'altra si chiede di stabilire un vincolo di terzo grado che obblighi le direzioni centrali dei partiti a trasferire una parte del finanziamento pubblico ricevuto dai gruppi parlamentari alle istanze periferiche (provinciali e regionali).

Per contro, di fronte alla crescente pubblicizzazione dell'istituto-partito, non si istituiscono, e neppure si discutono in via di ipotesi, norme regolatrici delle garanzie a tutela degli iscritti ai partiti e dei loro elettori, almeno nei momenti di più evidente rilevanza pubblica della loro attività, quali i congressi, l'elezione degli organi interni, la scelta dei candidati alle elezioni politiche (basti pensare a meccanismi come quello delle primarie).

Comunque non sono certo queste le strade secondo le quali si può ritenere di dare una risposta adeguata e convincente a quella grande parte di cittadini che con il loro voto contro il finanziamento pubblico ai partiti ha quanto meno espresso un profondo disagio e una precisa richiesta di rispetto della Costituzione e dei diritti da essa garantiti.

2. - Questa premessa vuole chiarire i punti di riferimento, culturali e storici, dai quali più evidente e riconoscibile risulta la connotazione del disegno di legge da noi proposto, che opera una scelta limpida e decisa: esso si ispira al concetto che il finanziamento da parte dello Stato debba intervenire in favore non già delle strutture dei partiti in sé considerate, ma delle attività che i partiti, i gruppi, o le associazioni politiche compiano nell'esercizio della loro funzione di promozione, di utilizzazione e di confronto rispetto alle istituzioni pubbliche.

L'articolo 49 della Costituzione, spesso invocato fuor di luogo per sostenere la tesi secondo cui ai partiti politici sarebbe attribuito il carattere di organi costituzionali o comunque di organi della struttura istituzionale della Repubblica, garantisce il diritto individuale dei cittadini di organizzarsi in partiti allo scopo di concorrere alla determinazione della politica nazionale. La Costituzione cioè legittima l'»organizzarsi in partiti in quanto, prioritario e autonomo, si pone un diritto di libertà. In secondo luogo tale norma comporta che la funzione dei partiti è concepita come mezzo per dar forza ed espressione collettiva alla volontà dei cittadini rispetto ai problemi ed alle scelte di pubblico interesse, come tramite cioè tra i cittadini e le istituzioni. Tale funzione ha nel momento elettorale la sua espressione non unica ma certamente più tipica, con la preparazione, proposizione e sostegno delle candidature e delle liste e con il confronto tra queste. Altro momento di questa funzione è quel

lo relativo alla iniziativa legislativa popolare e alla richiesta del "referendum" nonché quello relativo al sostegno o all'opposizione alla richiesta stessa.

Rispetto a tale funzione delineata dalla costituzione, quella che invece si vorrebbe attribuire ai partiti, di stabile e permanente espressione dell'organizzazione istituzionale della Repubblica, da una parte, come si è già osservato, porta inesorabilmente alla cristallizzazione delle formazioni politiche e della loro topografia nel Paese, dall'altra porta alla deformazione della loro funzione di tramite, che da strumento, rispetto al fine di consentire ai cittadini l'espressione della loro volontà, e di tradirla in effettivo potere, si fa prioritaria ed è piuttosto rivolta a garantirsi e appropriarsi del consenso popolare. Quello che si ottiene di fatto è un dominio sulla partecipazione popolare che, nel migliore dei casi, assume la connotazione di un coinvolgimento corporativo.

La funzione del partito quale strumento atto ad assicurare il consenso popolare è tipica dei regimi totalitari: il carattere sostanzialmente antidemocratico di tale concezione non viene contraddetto né dall'esistenza di fatto di una pluralità di partiti così concepiti e finalizzati né dalla competizione tra gli stessi, che si esaurisce nella conquista e nella ripartizione del consenso.

E' una concezione che, in sostanza, rappresenta una sorta di preludio al sistema del partito unico. E in realtà i segni di un processo in tale direzione si colgono già in talune deformazioni dei meccanismo costituzionali che realizzano un sorta di istituzionalizzazione della formula dell'unità nazionale, non più concepita come una scelta contingente di una maggioranza ma come stabile asseto necessario per il funzionamento degli organismo parlamentari, governativi e costituzionali, con la effettiva realizzazione di un sistema di »monopartitismo imperfetto , che appiattisce nella democrazia consociativa la dialettica delle forze politiche e le pone al riparo dal rischio di misurarsi con il gioco dei liberi convincimenti emergenti nella società civile. Rispetto a questo gioco, che è condizione originaria di ogni democrazia, esse anzi si trovano a svolgere una funzione di remora o addirittura di antagonismo.

Ora è evidente che la sovvenzione pubblica ai partiti in funzione della loro stesa esistenza, sia pure commisurata al risultato ottenuto nella consultazione popolare immediatamente precedente al periodo considerato, risponde alla figura distorta dei partiti come elementi istituzionali dello Stato e non alla configurazione di essi come manifestazione di un diritto di libertà dei cittadini che si concreta in una organizzazione destinata a rimanere nella sfera privatistica, anche se diretta ad operare sulle pubbliche istituzioni ed a condizionarne la composizione e gli atteggiamenti.

L'attuale legislazione privilegia il finanziamento della struttura dei partiti piuttosto che quello delle attività e delle iniziative politiche da essi svolte o assunte nei momenti in cui ai cittadini, ed alle organizzazioni che sono espressione del loro diritto di libertà di agire collettivamente nella vita politica, è dato modo di influire sulla vita delle pubbliche istituzioni.

Il presente disegno di legge è invece ispirato al concetto opposto: quello cioè di assicurare una adeguata provvista di mezzi alle attività ed alle iniziative di partecipazione popolare alla vita ed all'indirizzo delle istituzioni attraverso l'opera dei partiti, escludendo invece il finanziamento di essi in ragione della loro stessa esistenza ed in funzione della loro organizzazione permanente.

E' indubbio che il sistema attuale determina un vantaggio per le forze politiche tradizionali rispetto a quelle emergenti, sulla spinta di nuovi orientamenti della pubblica opinione, e tra le prime per quelle che già anno conquistato estensione e forza rispetto alle formazioni minori che aspirino a crescere ed estendere la loro iniziativa, in quanto il finanziamento delle strutture dei partiti è assicurato in funzione dei risultati precedenti e quindi delle dimensioni acquisite e non in considerazione dell'attività intrapresa e delle iniziative poste in essere. E' commisurato cioè a quanto di consolidato c'è nei partiti in quanto aggregati a strutture e di conseguenza favorisce ulteriormente meccanismi di accentramento e di burocratizzazione all'interno di essi dove il dominio sull'elettorato si traduce con coerenza in dominio sugli iscritti comunque esercitato: o con la priorità concessa al momento strutturale e organizzativo o con la gestione di nessi clientelari di coesione.

Del resto la proposta di ovviare a tale inconveniente, da talune parti avanzata, consistente nella determinazione per legge della quota di finanziamento pubblico da destinare alle organizzazioni centrali dei partiti e di quella invece da destinare alle organizzazioni locali, comporterebbe l'ancor più grave inconveniente di accentuare l'ingerenza dello Stato nella struttura organizzativa interna dei partiti e, di conseguenza, il carattere istituzionale e parastatale dei partiti stessi senza ovviare alla deformazione del rapporto fra libertà del cittadino e partito, che resterebbe inalterata a tutti i livelli.

E' singolare, del resto, che alle spinte così realizzate verso l'istituzionalizzazione dei partiti non faccia riscontro una corrispondente ed adeguata forma di controllo contabile anche solo in ordine al finanziamento pubblico concesso, attraverso l'intervento della Corte dei conti, che resta escluso sia dalla legislazione vigente sia dalle proposte ricordate. Si profila così un passaggio dei partiti politici da una sfera meramente privata a quella pubblica, ma con l'immediata acquisizione di quella caratteristica di »corpo separato e privilegiato sulle cui implicazioni non è necessario soffermarsi.

Né va dimenticato poi che nel nostro Paese sono tuttora in vigore norme di netta marca fascista, che tali restano malgrado la generalizzata tolleranza della loro violazione, le quali vietano sottoscrizioni e collette per fini politici (articolo 156 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e relative norme del regolamento), criminalizzano addirittura la forma più democratica e spontanea di finanziamento delle attività politiche e delle correlative organizzazioni e aggravano gli effetti ed il carattere deteriore della normativa sopra ricordata.

E' ancora singolare che, mentre resta senza seguito l'iniziativa legislativa radicale per l'abolizione di tali norme, la Camera dei deputati abbia votato l'urgenza per una proposta di legge che attribuisce ai partiti politici rappresentati in Parlamento, equiparandoli agli enti locali ed alle istituzioni di assistenza e beneficenza, la facoltà di indire lotterie, tombole e riffe per sopperire alle proprie esigenze di finanziamento.

E' sempre la stessa concezione - quella che prelude al sistema del partito unico, anche se transitoriamente articolato in più formazioni per meglio assicurare il consenso al regime - che privilegia il partito nei confronti degli eletti. Così come alla stessa concezione puntualmente si è ispirata e si ispira l'azione delle forze politiche nel campo dell'informazione, specie per quanto concerne la gestione e l'utilizzazione dei servizi radiotelevisivi di Stato.

Ecco perché con un unico disegno di legge proponiamo una normativa che regolamenta, in termini sostanzialmente diversi da quelli in vigore, non solo il contributo finanziario dello Stato all'attività dei partiti (limitato e circoscritto al solo momento elettorale e a quello della attivazione degli istituti di democrazia diretta) ma anche il finanziamento dell'attività dei gruppi e dei parlamentari e che garantisce altresì il diritto dei partiti e delle organizzazioni politiche alla utilizzazione dei servizi pubblici radiotelevisivi durante l'anno e in occasione dei momenti di rilevanza istituzionale riconosciuti dal disegno di legge stesso; condizione e presupposto, quest'ultimo, senza il quale, in una società in cui i mezzi di comunicazione di massa hanno una rilevanza assolutamente preminente e determinante, anche una organizzazione in partiti politici pienamente rispettosa del diritto di libertà sancito dalla Costituzione risulterebbe mistificante in quanto incapace di assicurare ai cittadini, con una lib

era ed esauriente informazione, l'acquisizione degli elementi di giudizio che sono condizione indispensabile per ogni possibilità di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale .

3. - La realtà, in una società che vive di comunicazione, è realtà solo se comunicata. Non c'è democrazia e gioco democratico senza informazione senza la possibilità da parte dei cittadini di essere informati in modo completo e corretto, di conoscere per giudicare con autonomia e libertà di giudizio. Questi princìpi basilari sono oggi profondamente disattesi. Qualsiasi logica che presupponga l'aderenza pregiudiziale della informazione alle »prioritarie e »sufficienti ragioni delle forze politiche che detengono comunque il potere è certamente fuori non solo dalla Costituzione ma da ogni concezione democratica ed è coerente proiezione di una concezione dei partiti come quella che ispira l'attuale legislazione del finanziamento pubblico. Il servizio pubblico radiotelevisivo, ad oltre 5 anni dalla entrata in vigore della cosiddetta legge di riforma, è ben lungi dall'aver dato attuazione concreta dai princìpi costituzionali in materia di informazione e di libertà di espressione. L'informazione radiotelevisiva d

i Stato serve a produrre consenso, serve da supporto propagandistico di un regime. Nei confronti delle forze di opposizione viene operata una sistematica distruzione della possibilità di comunicazione attraverso la censura oppure, nei momenti più delicati, attraverso la mistificazione, la distorsione e il linciaggio delle posizioni. Siamo ben lontani dal principio secondo cui solo la più ampia diffusione di informazioni provenienti da forze diverse e in contrasto tra loro è un fattore essenziale per il bene di una comunità.

A provare quanto diciamo vi sono precise indagini e statistiche (anche se, non casualmente, le indagini e le statistiche sono molte rare e la stessa Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi si è sempre guardata bene dal dotarsi di precisi e adeguati strumenti di indagine e di controllo). Non sono solo le indagini di parte, sebbene non partigiane, come quelle compiute dal Gruppo parlamentare radicale o da questo commissionate alla Demoskopea. Vi sono anche indagini elaborate per conto dello stesso consiglio di amministrazione della RAI, come quella dell'istituto Gemelli di Milano, che giungono a conclusioni molto chiare. Nella relazione che accompagna la ricerca del Gemelli si parla di »modello vincolato prevalentemente alla dimensione dei partiti politici... che privilegia il Governo e i partiti di maggioranza ; si definisce la preminenza attribuita all'attuale sistema dei partiti »un'operazione autoritaria e prevaricatrice ; si dice che »il giornale radio-

TV sembra tanto un gioco tra i politici, una occasione di riunirsi a parlare soprattutto di se stessi, rimirandosi da ogni lato, tutti indiscriminatamente senza critica per alcuno che sia ``dentro'' , sino a giungere all'affermazione che il »potere della radiotelevisione è certamente anche quello di dare carattere se non di verità almeno di importanza e realtà alle informazioni: è un potere che può, per converso, negare lo stesso carattere di importanza e di realtà a ciò che viene taciuto . Sono parole certamente non astratte e non di genere, messe non a caso a postilla di una indagine commissionata - lo ripetiamo - dal consiglio di amministrazione della RAI. Da queste indagini, tutte illustrate in dettaglio nella relazione di minoranza della Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI presentata al Parlamento il 22 luglio 1980 dal deputato Cicciomessere e alla quale perciò rimandiamo, emerge lo scempio del servizio pubblico radiotelevisivo, l'effettiva privatizzazione della RAI ad opera di alcune forze

politiche, l'applicazione - all'interno delle testate radiotelevisive - del criterio dell'"equal time", cioè del criterio per cui l'informazione è temporalmente proporzionale all'incidenza elettorale del soggetto, criterio modificato soltanto dal tipo di lottizzazione operata all'interno delle singole testate.

Dalla citata relazione di minoranza riportiamo solo alcuni dati. I primi, di fonte »Verifica programmi trasmessi dalla RAI, sono relativi ai telegiornali, il pro

gramma più seguito, e si riferiscono al numero di presenze degli uomini politici intervenuti nel corso dei dodici mesi del 1979 nell'intero specchio delle edizioni (2.238) dei telegiornali. A questi dati già molto eloquenti, occorre aggiungere che nella durata degli interventi viene nuovamente applicato il criterio della proporzionalità secondo il peso elettorale e secondo la lottizzazione specifica della testata.

PRESENZA DEGLI UOMINI POLITICI NEI TELEGIORNALI (TG1 E TG2)

(Gennaio-Dicembre 1979)

Totale presenze

Numero soggetti TG1 e TG2 Tot. Tot. TG1 sera TG2 sera

% TG1 TG2 % %

DC 77 530 42,7 342 188 204 50,6 109 35,2

PCI 39 164 13,1 81 83 42 10,4 45 14,5

PSI 22 156 12,5 68 88 38 9,4 48 15,5

MSI 3 20 1,6 13 7 5 1,3 0 0

PSDI 10 106 8,5 56 50 33 8,2 32 10,3

PRI 14 127 10,2 71 56 42 10,4 37 11,9

PR 8 35 2,8 14 21 9 2,2 11 3,6

PLI 10 57 4,6 34 23 18 4,5 13 4,2

PDUP 5 29 2,3 12 17 6 1,5 9 2,9

Sin. Ind. 5 15 1,2 9 6 4 1,0 5 1,6

SVP-UV 4 6 0,5 5 1 2 0,5 1 0,3

1245 705 540 403 310

Le statistiche sulle rubriche serali della RAI non sono meno eloquenti. Prendiamo il caso di quella più seguita, la trasmissione "Ping-Pong", che ha svolto, suscitando tra l'altro la protesta del direttore delle Tribune, una funzione di concorrenza con le trasmissioni gestite direttamente dalla Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI. Nella serie protrattasi da luglio ad ottobre 1979 "Ping-Pong" ha prodotto i seguenti faccia a faccia:

Bodrato (DC)-Martelli (PSI);

Bocca-Bassanini (PSI);

Ciccardini (DC)-Aniasi (PSI);

Magnani Noya (PSI)-Emma Cavallaro;

Scotti (DC)-Longo (PSDI);

Spriano (PCI)-Colletti;

Bianco (DC)-Napolitano (PCI);

Galloni (DC)-Balzamo (PSI);

Bufalini (PCI)-Martinazzoli (DC).

Grazie all'»autonomia di reti e testate, "Ping-Pong" ha potuto organizzare vere e proprie tribune politiche senza alcun vincolo garantistico.

Di seguito riportiamo anche i dati relativi alla presenza dei partiti nei telegiornali durante la campagna elettorale per le elezioni regionali e amministrative dell'8 e 9 giugno 1980 (fonte Gruppo parlamentare radicale della Camera dei deputati). Le testate televisive, cui la Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI, senza alcun controllo, ha riconfermato carta bianca, hanno abusato con estrema faziosità di tale licenza; i gruppi di minoranza sono stati lasciati così privi di qualsiasi tutela, proprio in un momento tanto delicato nella vita di una democrazia, quale quello elettorale, sia pure per elezioni regionali e amministrative.

TG1 % TG2 %

DC 32,6 22,4

PCI 18,5 19,4

PSI 14,9 20,3

MSI 4,3 2

PSDI 8,7 8,9

PRI 7,9 11,7

PR 3,2 3,9

PLI 5,3 6,9

PDUP 3,1 3,2

DP 1,5 1,3

Questa incredibile sproporzione si è verificata nonostante che il Partito radicale - ad esempio - avesse in corso una iniziativa politica autonoma, quale la raccolta delle firme per la promozione di 10 "referendum" popolari.

Gli ultimi dati che di seguito riportiamo si riferiscono appunto ai "referendum" e testimoniano come per due mesi e mezzo si sia negato con sistematicità a tutti i cittadini il diritto di conoscere il contenuto e gli scopi dei "referendum". Si è impedito loro di sapere, di giudicare e quindi di scegliere di firmare o non firmare per una iniziativa che attiva un istituto di democrazia diretta espressamente previsto dalla Costituzione. Una censura ferrea, concorde in tutte le reti e le testate, che ha finito con il colpire, accanto ai promotori, forze politiche e sindacali quali il PSI e la UIL, che godono solitamente di adeguata attenzione da parte del servizio pubblico. Ecco alcuni esempi della censura attuata senza alcuna eccezione da tutte le reti televisive nei primi 75 giorni della raccolta delle firme:

non è mai stato letto neppure l'elenco integrale dei titoli dei dieci referendum;

non sono mai state realizzate interviste ad esponenti radicali, dei comitati promotori dei "referendum" o ad aderenti di altra origine;

è stata costantemente censurata persino la notizia dell'adesione delle numerose personalità della cultura, del mondo politico e sindacale, esterne al Partito radicale che hanno aderito alla raccolta delle firme su uno o più "referendum";

la notizia della sottoscrizione di tre "referendum" da parte del segretario del PSI - che aveva convocato i giornalisti per dare risalto politico a tale atto - è stata liquidata da tutte le testate con notizie di 15-20 secondi;

l'adesione di una centrale sindacale, della UIL, alla campagna referendaria, decisa con atto formale del massimo organo statutario, è stata completamente omessa. Solo in seguito alla protesta ufficiale della UIL il solo TG1 ne ha riferito per 15 secondi;

la notizia della firma - con convocazione della stampa - del segretario generale della UIL per sette "referendum" è stata anch'essa completamente censurata da tutte le testate. Unica eccezione l'edizione della notte del TG2 che ne ha dato conto alle 23,30, ora in cui l'ascolto è quasi inesistente;

la notizia della mobilitazione straordinaria del Partito radicale, che aveva avuto inizio il 27 maggio, è stata del tutto censurata;

è stata in modo analogo omessa la notizia della mobilitazione della UIL promossa per i giorni 29, 30 e 31 maggio;

si è invece dato ampio risalto successivamente al fatto che la componente socialdemocratica e repubblicana della UIL si erano dissociate da tale iniziativa.

Solo a seguito di iniziative dirette non violente da parte di esponenti radicali e dei comitati promotori dei "referendum" e solo dopo Io svolgimento delle elezioni l'atteggiamento della RAI si è modificato e si è data parziale soddisfazione alle richieste di una informazione adeguata ad una iniziativa complessa e significativa quale la raccolta delle firme per i "referendum".

Da questi dati emerge chiaramente che una disciplina relativa al concorso dello Stato nelle spese per le attività e le iniziative dei partiti e delle organizzazioni politiche non può prescindere dall'affrontare anche il problema dell'informazione televisiva. Non solo perché riteniamo in generale che lo Stato debba finanziare i partiti politici solo »indirettamente , cioè che debba agevolare l'attività politica dei cittadini (e quindi dei partiti) mettendo a loro disposizione servizi e strumenti adeguati e finanziando determinati momenti della vita pubblica, ma anche perché riteniamo, per quanto riguarda specificatamente il servizio pubblico radiotelevisivo, che esso è un'enorme e incommensurabile fonte di pubblicizzazione dell'attività dei partiti e come tale rappresenta anche una enorme fonte di finanziamento, di cui è tra l'altro possibile una precisa quantificazione in termini monetari. Pertanto il disegno di legge stabilisce una disciplina dell'informazione radiotelevisiva non solo per quanto riguarda il

momento delle elezioni, con la regolamentazione delle trasmissioni di »Tribuna elettorale , ma anche in relazione alla promozione degli istituti di democrazia diretta e, in generale, per quanto riguarda la utilizzazione del servizio pubblico da parte dei partiti e delle formazioni politiche, con la regolamentazione, tra l'altro, delle trasmissioni di »Tribuna politica .

Attualmente la disciplina di tali trasmissioni è attribuita, in forza della legge n. 103 del 14 aprile 1975, alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, attribuzione che, tra l'altro, ha snaturato il ruolo di tale organo del Parlamento costringendolo a svolgere funzioni proprie di un organo amministrativo o esecutivo. Venendo perciò incontro anche ad un'esigenza sottolineata dalla stessa relazione di maggioranza della Commissione di vigilanza sulla RAI presentata al Parlamento il 22 luglio 1980, il disegno di legge riconduce nella sua sede naturale la disciplina dell'utilizzazione da parte dei partiti e delle formazioni politiche del servizio pubblico radiotelevisivo. In attesa di una nuova definizione dei compiti della Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI, il disegno di legge rimette a tale organo compiti di natura prevalentemente organizzativa nella produzione delle trasmissioni.

4. - Il titolo I del disegno di legge (articoli da 1 a 13) concerne il »Concorso dello Stato nelle spese sostenute per le elezioni politiche e amministrative e per lo svolgimento dei "referendum" di cui agli articoli 75 e 138 della Costituzione, nonché in quelle sostenute per la presentazione di richieste di "referendum" popolari e di proposte di progetti di legge di iniziativa popolare di cui ai titoli I, II e IV della legge 25 maggio 1970, n. 352 .

Negli articoli da 1 a 5 vengono individuati i casi in cui è previsto il contributo dello Stato, nonché i soggetti che ne hanno diritto.

Sulla base di quanto abbiamo già affermato, cioè che secondo l'articolo 49 della Costituzione lo Stato deve assicurare il proprio contributo solo per le attività relative ai momenti di rilevanza istituzionale, il disegno di legge prevede il concorso dello Stato nelle spese sostenute per tutte le elezioni politiche e amministrative: per il rinnovo delle Camere, per l'elezione dei rappresentanti dell'Italia al Parlamento europeo, per il rinnovo dei consigli regionali (comprese le regioni a statuto speciale), dei consigli provinciali e di quelli comunali (nei comuni con popolazione superiore ai 30.000 abitanti o che, pur avendo popolazione inferiore, siano capoluoghi di provincia); inoltre il disegno di legge prevede il concorso dello Stato per la propaganda e l'organizzazione della raccolta delle firme necessarie per richiedere da parte di almeno 500.000 elettori i "referendum" popolari di cui agli articoli 75 e 138 della Costituzione, per presentare ad una delle due Camere da parte di almeno 50.000 elettori p

roposte di progetti di legge di iniziativa popolare, nonché per la propaganda relativa allo svolgimento dei "referendum" popolari stessi. Nella tabella A è riportata, per ciascun caso, l'entità complessiva dei contributi (accanto a ciascuna voce è riportata l'indicazione dei relativi articoli e commi del disegno di legge).

Le entità dei contributi sono stabilite in relazione alla rilevanza che i proponenti del disegno di legge attribuiscono ai vari casi per i quali è previsto il rimborso dello Stato e prendendo come riferimento l'entità del contributo previsto dalla legge n. 195 del 1974 per le elezioni delle Camere. Nel rispetto di questa scala di valori, le entità dei contributi pos sono quindi essere variate (occorre tener presente, tra l'altro, che la legge 8 agosto 1980, n. 422, ha stabilito un rimborso di 15.000 milioni di lire sia per l'elezione dei rappresentanti dell'Italia al Parlamento europeo dell'11 giugno 1979, sia per il rinnovo dei consigli regionali dell'8 e 9 giugno 1980).

I soggetti aventi diritto ai contributi, per quanto riguarda le elezioni, sono individuati attraverso l'unico criterio non arbitrario e controllabile che è quello del conseguimento di un risultato minimo. Tale risultato minimo è fissato dal disegno di legge nell'ottenimento di almeno un eletto, salvo che per le elezioni delle Camere, per le quali la soglia, relativa alle elezioni della Camera dei deputati, è la stessa prevista dalla legge n. 195 del 1974, ad esclusione della condizione della presentazione di liste di candidati con il medesimo contrassegno in più di due terzi dei collegi.

Per quanto riguarda le richieste di "referendum" popolari di cui agli articoli 75 e 138 della Costituzione e le proposte di progetti di legge di iniziativa popolare, i soggetti aventi diritto ai contributi sono individuati nei comitati costituiti dai primi dieci elettori che, sottoscrivendo il verbale di cui all'articolo 7 della legge 25 maggio 1970, n. 352, presso la cancelleria della Corte di cassazione, annunciano l'intenzione di promuovere la raccolta delle firme da parte, rispettivamente, di 500.000 e di 50.000 elettori. Essi hanno diritto al contributo solo nel momento in cui, rispettivamente, l'Ufficio centrale per il "referendum" dichiari la conformità alle norme di legge della richiesta di "referendum" (sussistenza di almeno 500.000 sottoscrizioni valide) o quando la Camera al cui Presidente è stata presentata la proposta di progetto di legge di iniziativa popolare dichiari la regolarità della stessa (sussistenza di almeno 50.000 sottoscrizioni valide).

TABELLA A.

Milioni Riferimento

Entità complessiva dei contributi di lire disegno di legge

elezioni per il rinnovo delle Camere 15.000 articolo 1, primo comma

elezione dei rappresentanti dell'Italia

al Parlamento europeo 10.000 articolo 2, primo comma

elezioni per il rinnovo dei consigli regionali

(anche le regioni a statuto speciale) 10.000 articolo 3, primo comma

elezioni per il rinnovo dei consigli

provinciali 5.000 articolo 3, primo comma

elezioni per il rinnovo dei consigli comunali

(nei comuni con più di 30.000 abitanti o che

siano comunque capoluoghi di provincia) 10.000 articolo 3, primo comma

presentazione di una richiesta di "referendum"

popolare ex articoli 75 o 138 della

Costituzione 200 articolo 4, primo comma

presentazione di una proposta progetto di

legge di iniziativa popolare ex articolo 71

della Costituzione 20 articolo 5, primo comma

svolgimento del "referendum" ex articoli 75 o 138

della Costituzione (un "referendum") (*) 5.000 articolo 5, primo comma

(*) In caso di svolgimento di più "referendum": 1000 milioni articolo 5,

di lire in più per ciascun "referendum" fino ad un massimo di secondo comma

10.000 milioni di lire.

Infine per quanto riguarda lo svolgimento dei "referendum" popolari, i soggetti aventi diritto ai contributi sono i promotori del "referendum" stesso e i partiti e le formazioni politiche che hanno beneficiato del concorso dello Stato nelle elezioni per il rinnovo delle Camere ai sensi del secondo comma dell'art. 1 (cioè, che hanno ottenuto almeno un quoziente e 300.000 coti validi o il 2 per cento dei voti validamente espressi). Occorre subito precisare che il contributo dello Stato previsto dal disegno di legge in questo ultimo caso viene ripartito - diversamente dal caso delle elezioni - in misura uguale tra tutti i soggetti che ne hanno diritto; esso si motiva con l'esigenza di assicurare - in modo paritario - adeguati mezzi ai promotori del "referendum" e ai partiti e alle formazioni politiche di una certa rilevanza sul piano nazionale, al fine di consentire l'esplicarsi di quella dialettica politica, che è caratteristica peculiare dell'istituto referendario, tra corpo elettorale, forze e schieramenti p

arlamentari che hanno determinato l'approvazione della legge o delle norme sottoposte a "referendum" e partiti e formazioni politiche che hanno determinato l'elezione dei membri delle Camere.

Per quanto riguarda i criteri di ripartizione dei contributi tra i soggetti che ne hanno diritto e le modalità e i termini di effettuazione dei versamenti (articoli da 6 a 11) va sottolineato quanto segue:

l'elevazione al 20 per cento del contributo complessivo della quota ripartita in misura uguale tra i soggetti che hanno diritto ai contributi, anziché il 15 per cento stabilito dalla legge n. 195 del 1974 e analogamente a quanto è previsto dalla legge 8 agosto 1980, n. 422, relativa al rimborso delle spese sostenute per l'elezione dei rappresentati dell'Italia al Parlamento europeo e dei consigli regionali. (Per l'elezione delle Camere beneficiano di tale quota del contributo solo i partiti le formazioni politiche di cui al secondo comma dell'articolo 1 del disegno di legge, analogamente a quanto stabilito dalla legge n. 195 del 1974);

relativamente alle elezioni per il rinnovo dei consigli regionali, provinciali e comunali, il disegno di legge stabilisce innanzitutto, diversamente da quanto disposto dalla legge 8 agosto 1980, n. 422, che il contributo complessivo sia suddiviso in tanti autonomi contributi quanti sono i consigli per la cui elezione è previsto il concorso dello Stato; ogni assemblea elettiva, cioè, viene considerata come un'entità a sé stante, tanto che il rimborso dello Stato prescinde dalla contemporaneità delle elezioni dei consigli e viene ogni volta ricostituito. solo in tal modo, infatti, viene riconosciuta e garantita piena autonomia alla vita di ciascuna assemblea elettiva. La ripartizione viene effettuata nel modo seguente: il 50 per cento è destinato in parti uguali a tutte le regioni (o province o comuni) e il restante 50 per cento in proporzione al numero di elettori di ciascuna regione (o provincia o comune). Tale criterio viene adottato al fine di assicurare una ripartizione dei contributi più equa rispetto a

quella derivante dall'adozione del criterio meramente proporzionale al numero di elettori; criterio che ridurrebbe ad una cifra insignificante il contributo per l'elezione dei consigli con un numero di elettori minore e che porterebbe altresì ad una variazione eccessiva del rapporto tra la quota del contributo e il numero di eletti di ciascun partito e formazione politica nelle diverse regioni (o province o comuni) viene poi effettuata la ripartizione tra i soggetti che in ciascun caso hanno diritto al contributo, con gli stessi criteri previsti per il rimborso relativo alle elezioni delle Camere;

per quanto riguarda le modalità e i termini dei versamenti, il 20 per cento ripartito in misura uguale e il 20 per cento della somma ripartita in proporzione ai voti sono versati entro 30 giorni dalla proclamazione definitiva dei risultati da parte degli uffici elettorale. La somma residua è versata in rate annuali per la durata della legislatura;

in caso di scioglimento anticipato delle Camere o delle altre assemblee elettive tutte le rate dei contributi ancora spettanti sono versate entro 15 giorni dalla data dello scioglimento stesso ai soggetti che ne hanno diritto. Essendo infatti concepito il concorso dello Stato come rimborso per spese già tutte effettuate e - come vedremo tra poco - documentate ed ammissibili, non è coerente limitare i contributi in relazione alla durata della legislatura, come è previsto dalla legge n. 195 del 1974;

per quanto riguarda le richieste di "referendum" popolari e le proposte di progetti di legge di iniziativa popolare, un terzo del contributo è versato entro 30 giorni dalla data dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il "referendum" o della deliberazione della Camera dei deputati o del Senato della Repubblica che attesta la sussistenza del numero prescritto di fieme valide. La parte residua è versata in un'unica soluzione entro i successivi quattro mesi;

infine per lo svolgimento del "referendum" di cui all'articolo 75 o all'articolo 138 della Costituzione, un terzo della somma complessiva è versato entro 30 giorni dalla proclamazione dei risultati; la parte residua in un'unica soluzione entro i successivi sei mesi. Il contributo - ribadiamo - è ripartito in parti uguali tra i soggetti che ne hanno diritto. In caso di più "referendum", ovviamente, la somma complessiva viene divisa per il numero dei "referendum" e ciascuna quota così determinata è versata ai soggetti che, per ciascun "referendum", ne hanno diritto.

Come abbiamo visto, il contributo dello Stato è concepito come un rimborso delle spese sostenute per lo svolgimento di alcune attività ben determinate e specificate dal disegno di legge, ed esclusivamente per lo svolgimento di esse. Per usufruire del contributo, quindi, i partiti e le formazioni politiche nonché i comitati promotori delle richieste di "referendum" e delle proposte di progetti di legge di iniziativa popolare devono provare - presentando un'apposita documentazione - di avere effettivamente sostenuto le spese delle quali chiedono il rimborso e che tali spese rientrano tra quelle ammissibili.

L'articolo 12, terzo comma, precisa il criterio per l'ammissibilità delle spese: devono essere relative alla produzione, all'acquisto, all'affitto, alla distribuzione e alla diffusione di materiali e mezzi di propaganda di qualsiasi genere o natura purché di uso circoscritto e di durata limitata al conseguimento degli scopi di cui al titolo I del disegno di legge. Per le spese di affitto dei locali, di viaggio e soggiorno, telefoniche e postali e gli oneri passivi, il disegno di legge prevede invece, per ovvie difficoltà di calcolo, che siano computate in maniera forfettaria, in percentuale fissa del 30 per cento dell'ammontare complessivo delle spese ammissibili e documentate.

Un'apposita sezione della Corte dei conti (istituita ai sensi degli ultimi due commi dell'articolo 12) effettua i controlli limitatamente alla verifica della legittimità delle spese sostenute e alla verifica della regolarità della documentazione prodotta a comprova delle spese stesse. Qualora dai controlli della Corte dei conti risultino spese ammissibili e documentate per un ammontare inferiore alla quota massima spettante al soggetto che ha di ritto al contributo, a tale soggetto non può essere cor sposta una quota complessiva superiore all'ammontare delle sole spese ammissibili e documentate.

Infine (articolo 13) durante il periodo della propaganda per la consultazione elettorale o referendaria, i partiti e le formazioni politiche che hanno presentato liste o candidati e i promotori dei "referendum" nonché i loro fornitori sono esentati, per le spese che possono essere ammissibili, dal pagamento dell'IVA e del l'IRPEF sugli anticipi corrisposti a fronte di forniture di beni e servizi. Le operazioni devono comunque essere regolarizzate fiscalmente entro 20 giorni dal termine del periodo di esenzione. Tale disposizione è stata introdotta al fine di sgravare le forze politiche, soprattutto quelle prive di grossi apparati burocrati

ci, da oneri formali, che sarebbero sicuramente troppo gravosi nel periodo della campagna elettorale.

Vogliamo sottolineare e puntualizzare maggiormente che alla Corte dei conti viene assegnato solo il compito di verifica della legittimità delle spese sostenute e della regolarità della relativa documentazione. Conseguentemente alla funzione che i proponenti del disegno di legge attribuiscono ai partiti, in base all'articolo 49 della Costituzione, il disegno di legge esclude che un organo come la Corte dei conti, istituzionalmente abilitato al controllo di legittimità della gestione di enti pubblici o comunque beneficiari di erogazioni a carico dell'erario, possa sindacare sulla gestione economico-finanziaria e sui bilanci dei partiti e delle formazioni politiche.

Il titolo II del disegno di legge (articoli da 14 a 16) concerne il »Diritto alla utilizzazione del servizio pubblico radiotelevisivo per la propaganda relativa alle elezioni politiche e amministrative e allo svolgimento dei "referendum" di cui agli articoli 75, 123, 132 e 138 della Costituzione .

Nel disegno di legge sono stabiliti gli spazi minimi complessivi che la Concessionaria del servizio pubblico deve riservare in occasione di elezioni che impegnino un numero di elettori superiore ad un quarto degli iscritti nelle liste elettorali per l'elezione della Camera dei deputati ed in occasione dello svolgimento dei "referendum" di cui agli articoli 75 e 138 della Costituzione (articolo 15). Gli spazi devono essere utilizzati per conferenze stampa, trasmissioni autogestite e confronti diretti tra i soggetti che ne hanno diritto; per consentire un effettivo confronto tra i partiti e le formazioni politiche partecipanti alle elezioni, il disegno di legge stabilisce che i confronti diretti occupino un tempo non inferiore al 40 per cento del tempo complessivo.

Al fine di cercare di rendere effettivo il principio - senza il quale non c'è gioco democratico - che tutti i partiti e le formazioni politiche partecipanti alle elezioni siano in posizione di parità »ai nastri di partenza , sono stabiliti i seguenti due criteri:

la pariteticità nella ripartizione degli spazi tra i soggetti che ne hanno diritto;

il sorteggio per la definizione dell'ordine di partecipazione.

La definizione delle modalità di utilizzazione degli spazi è affidata, nel rispetto dei criteri sopra esposti, alla Commissione parlamentare di vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

Nella tabella B sono riportati gli spazi previsti, diversificati nella prima e nella seconda metà del periodo di propaganda, con l'indicazione della rete, della durata, dell'orario di inizio e della frequenza delle trasmissioni.

I soggetti aventi diritto agli spazi, sempre in occasione di elezioni che impegnino un numero di elettori superiore ad un quarto degli iscritti nelle liste elettorali per l'elezione della Camera dei deputati, sono i seguenti:

in tutti i casi, i partiti e le formazioni politiche di cui al secondo comma dell'articolo 1 del disegno di legge;

in occasione dello svolgimento dei "referendum" di cui agli articoli 75 e 138 della Costituzione, anche i promotori del "referendum". Nel caso di contemporaneo svolgimento di più "referendum" per ciascuno di essi è riservato un tempo pari alla somma dei tempi complessivamente stabiliti divisa per il numero dei "referendum". I promotori dei "referendum" concorrono all'utilizzazione dei tempi relativi al solo "referendum" da essi richiesto;

in occasione del rinnovo dei rappresentanti dell'Italia al Parlamento europeo, anche i partiti e le formazioni politiche o i loro raggruppamenti che nelle precedenti elezioni dei rappresentanti dell'Italia al Parlamento europeo abbiano ottenuto almeno un eletto;

in tutti i casi di elezione anche i partiti e le formazioni politiche che abbiano presentato liste o candidati in un numero di collegi i cui elettori siano complessivamente almeno la metà degli elettori impegnati nelle elezioni in oggetto.

TABELLA B.

SPAZI MINIMI COMPLESSIVI RISERVATI IN OCCASIONE DI ELEZIONI CHE IMPEGNINO UN NUMERO DI ELETTORI SUPERIORE AD UN QUARTO DEGLI ISCRITTI NELLE LISTE ELETTORALI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E IN OCCASIONE DELLO SVOLGIMENTO DEI "REFERENDUM" DI CUI AGLI ARTICOLI 75 E 78 DELLA COSTITUZIONE

Periodo Frequenza Rete Durata Ora Rif. d.d.l.

Prima metà del A giorni alterni dal 1ª 40' 20,40 Art. 15, 1· c.

periodo di pro- lunedì al venerdì

paganda (*) 2ª 30' 21,30

Seconda metà del Tutti i giorni feriali 1ª 60' 20,40 Art. 15, 1· c.

periodo di pro- dal lunedì al venerdì

paganda (*) 2ª 30' 21,45

Tutto il periodo Tutti i giorni feriali 1ª 30' Al termine Art. 15, 1· c.

di propaganda (**) dal lunedì al venerdì del TG

della notte

Ulteriori spazi soprattutto sulla terza rete televisiva e spazi Art. 15, 1· c.

aggiuntivi anche sulla prima e sulla seconda sono stabiliti dalla

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza

sulla RAI, quando si rendano di volta in volta necessari e opportuni.

(*) In caso di contemporaneo svolgimento di più "referendum" la Art. 15, 1· c.

Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza sulla RAI

deve aumentare adeguatamente i tempi televisivi riservati alla propaganda.

(**) Trattasi di trasmissioni autogestite di 15' ciascuna, soprattutto al fine

di soddisfare esigenze di carattere organizzativo.

Ulteriori spazi sulla terza rete e spazi aggiuntivi sulla prima e seconda rete possono eventualmente essere stabiliti dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza sulla RAI. Ad essi hanno diritto i soggetti che nelle precedenti e corrispondenti elezioni abbiamo usufruito del contributo dello Stato ai sensi del presente disegno di legge, nonché i partiti e le formazioni politiche che abbiano presentato liste o candidati in almeno un collegio con più di 30 mila abitanti o in un comune che sia capoluogo di provincia; ovvero ne hanno diritto i promotori dei "referendum" di cui agli articoli 75 e 138 della Costituzione.

In caso di elezioni che impegnino un numero di elettori inferiore ad un quarto degli iscritti nelle liste elettorali della Camera dei deputati ed in occasione dello svolgimento dei "referendum" previsti dagli articoli 123 e 132 della Costituzione (si tratta, rispettivamente, dei referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e dei "referendum" relativi alla fusione di Regioni esistenti o alla creazione di nuove Regioni o dei "referendum" relativi al distacco di province e comuni da una Regione e alla loro aggregazione ad un'altra), il disegno di legge (articolo 16) affida alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi il compito di stabilire - sempre nel rispetto dei criteri della pariteticità e del sorteggio per la definizione dell'ordine di partecipazione sopra precisati - i tempi, gli orari e le modalità di utilizzo di spazi soprattutto sulla terza rete televisiva e sulle reti radiofoniche, ed anche, quando lo ritenga necessario e opport

uno, sulla prima e sulla seconda rete televisiva.

A tali spazi hanno diritto i soggetti che ai sensi del titolo I del disegno di legge hanno usufruito nelle precedenti e corrispondenti elezioni del concorso dello Stato, i promotori dei "referendum" previsti dagli articoli 123 e 132 della Costituzione e dagli statuti e leggi regionali, nonché i partiti e le formazioni politiche che abbiano presentato liste o candidati in almeno un collegio con più di 30.000 abitanti o in un comune che, pur avendo popolazione inferiore, sia capoluogo di provincia.

Il titolo III del disegno di legge (articoli 17 e 18) riguarda il »Concorso dello Stato alle spese dei gruppo e all'attività dei parlamentari .

Il contributo dello Stato è, in questi casi, non solo legittimo, ma - ad avviso dei proponenti - necessario.

Già si è ricordato quale sia il raggiro attraverso il quale l'attuale normativa ricorre ai gruppi parlamentari per legittimare - certo secondo un'interpretazione quanto meno azzardata - il finanziamento dei partiti senza sottoporlo ad alcun controllo e già si è ricordato come tale soluzione tenda anche a sancire la totale subordinazione dei gruppi parlamentari ai partiti, sia per i suoi aspetti formali che per quelli quantitativi (al massimo i gruppi possono trattenere per le proprie attività il 5 per cento).

Certo il problema di assicurare al singolo parlamentare il diritto di esercitare con piena ed autonoma capacità il proprio mandato, di cui risponda al popolo, alla gente, a coloro che lo hanno eletto e non al partito, non è solo problema di disponibilità finanziarie, ma problema che deve trovare adeguata soluzione anzitutto nella effettiva accettazione del dettato costituzionale per quello che è e non per quello che le forze politiche e i partiti hanno voluto e vogliono che sia e poi in tutto un complesso di provvedimenti e servizi che comportano - tra l'altro - una concezione dell'organizzazione parlamentare diversa da quella di fatto esistente.

Quali debbono essere le soluzioni e i mezzi per affrontare e risolvere il problema nel suo insieme sono aspetti che meritano un dibattito e un approfondimento che non può esaurirsi in questa occasione. Tuttavia, come sempre, la capacità operativa è, anzitutto, conseguenza di una adeguata informazione e, quindi, di una effettiva conoscenza: attualmente il singolo deputato o senatore è sostanzialmente privo di una concreta, autonoma possibilità di colmare o arricchire la propria conoscenza in relazione a compiti che spesso sono di una articolazione, differenziazione, vastità e complessità non indifferenti.

Il disegno di legge, pertanto, si limita a garantire, in modo esplicito e diretto, risorse finanziarie ai gruppi parlamentari, indipendentemente da qualsiasi rapporto o connessione con i partiti e ad assicurare ai parlamentari - indipendentemente dalla loro appartenenza a gruppi o partiti - una prima essenziale possibilità: quella di disporre di risorse finanziarie per poter ricorrere e attingere alle più qualificate - e quindi anche costose - fonti e strumenti di informazione, di studio e di ricerca, sia a livello nazionale che internazionale.

L'articolo 17 attribuisce 4.500 milioni di lire ai gruppi parlamentari, 3.000 milioni per quelli della Camera dei deputati e 1.500 milioni per quelli del Senato della Repubblica (esattamente il doppio delle somme previste dalla legge n. 195 del 1974). Il 25 per cento di tali somme è erogato in parti uguali tra tutti i gruppi parlamentari; il residuo 75 per cento è ripartito tra i gruppi stessi in proporzione alla consistenza numerica di ciascuno. La Presidenza dei gruppi misti è tenuta a ripartire in proporzione tra le componenti politiche dei gruppi stessi una somma non inferiore al 95 per cento del contributo.

L'articolo 18, proprio al fine di assicurare ai parlamentari l'accesso alle più qualificate fonti di informazione, studio e ricerca, prevede la costituzione di un fondo di 9.000 milioni di lire, da reintegrare ogni anno, amministrato da un comitato nel quale sono rappresentati pariteticamente tutti i gruppi parlamentari e le componenti dei gruppi misti.

Il fondo deve consentire in particolare il finanziamento dei progetti di studio e di ricerca attinenti all'attività legislativa dei parlamentari da affidarsi a istituti, enti ed organismi nazionali ed esteri o anche a singoli esperti su richiesta di almeno 10 parlamentari, indipendentemente dalla Camera e dal gruppo parlamentare di appartenenza. Il fondo è amministrato autonomamente, ha sede presso il Senato e può intervenire in toto o in parte a supporto di altre iniziative o servizi dei quali i Presidenti delle due Camere e il comitato riconoscano l'utilità, purché rivolti ad esclusivo favore ed interesse dell'attività dei singoli parlamentari.

Il titolo IV del disegno di legge (articoli da 19 a 24) concerne il »Diritto all'informazione e utilizzazione del servizio pubblico radiotelevisivo da parte dei partiti e delle formazioni politiche, nonché dei promotori di richieste di "referendum" e di proposte di progetti di legge di iniziativa popolare di cui agli articoli 71, 75, 123, 132 e 138 della Costituzione .

Abbiamo già sottolineato, documentando e provando quanto andavamo affermando, quale scempio del servizio pubblico radiotelevisivo venga continuamente perpetrato e come siano profondamente disattesi princìpi costituzionali e garanzie dei cittadini in materia di informazione e libertà di espressione. Essendo la radiotelevisione di Stato una fonte incommensurabile di pubblicizzazione dell'attività (e quindi anche di finanziamento) dei partiti, abbiamo anche sottolineato come una disciplina relativa al concorso dello Stato nelle spese per l'attività dei partiti e delle organizzazioni politiche non possa prescindere dall'affrontare il problema del l'informazione radiotelevisiva. Il titolo IV del disegno di legge risponde a questo scopo, prevedendo le garanzie e disciplinando l'utilizzazione del servizio pubblico, tranne che per i momenti elettorali, già affrontati dal titolo II.

Di seguito riportiamo innanzitutto gli spazi riservati ai partiti e alle formazioni politiche che nelle elezioni della Camera dei deputati abbiano ottenuto almeno un quoziente e 300 mila voti validi o il 2 per cento dei voti validamente espressi (articolo 20):

fino ad un massimo di 10 minuti tutti i giorni feriali, dal lunedì al venerdì, sulla prima e sulla seconda rete al termine della edizione di maggiore ascolto del telegiornale; ciascun partito o formazione politica può intervenire ogni giorno per un tempo di 5 o 10 minuti su ciascuna delle due reti, ma nel complesso per non più di 40 minuti nell'arco di un mese e per non più di 200 minuti nel corso dell'anno, di cui 100 sulla prima rete e 100 sulla seconda. Per l'utilizzazione di tali tempi vale il criterio della priorità della richiesta (da effettuare non prima di sette giorni). Tali spazi hanno lo scopo, come è evidente, di consentire ai partiti e alle formazioni politiche di supplire, almeno con una certa frequenza, alla eventuale distorsione o carenza della informazione fornita quotidianamente dai telegiornali;

due cicli all'anno di »Tribuna politica in ciascuno dei quali, ad ogni soggetto che ne ha diritto, sono attribuiti 100 minuti, di cui 50 minuti per una conferenza stampa alle ore 20,40 sulla prima rete televisiva e almeno 30 minuti per confronti diretti. Per l'utilizzazione di questi tempi vale il criterio del sorteggio nella definizione dell'ordine di partecipazione dei soggetti che ne hanno diritto;

15 minuti tutti i giorni feriali dal lunedì al venerdì sulla prima rete al termine del telegiornale della notte per trasmissioni autogestite. Per l'utilizzo di tali tempi vale il criterio della rotazione dei soggetti che ne hanno diritto.

Le trasmissioni in oggetto vengono sospese in occasione di elezioni che impegnino un numero di elettori superiore ad un quarto degli iscritti nelle liste elettorali della Camera dei deputati e in occasione dello svolgimento dei "referendum" previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, per la durata del periodo di propaganda stabilito per legge. I cicli di »Tribuna politica sono altresì sospesi durante i periodi di crisi di governo. Al loro posto vengono trasmessi:

una tavola rotonda di 60 minuti una volta alla settimana alle ore 20,40, alternativamente sulla prima e sulla seconda rete televisiva;

la registrazione integrale delle dichiarazioni di voto e della replica del Governo in occasione del voto di fiducia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

L'utilizzazione dei tempi e le modalità delle trasmissioni sono regolate dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, ad esclusione della registrazione in occasione del voto di fiducia delle Camere, che è a cura dei servizi parlamentari della Concessionaria del servizio pubblico.

Gli articoli 21, 22 e 23 prevedono la utilizzazione del servizio pubblico radiotelevisivo da parte dei promotori delle richieste di "referendum" di cui agli articoli 75 e 138 della Costituzione, in particolare per le richieste promosse attraverso la raccolta delle firme da parte di almeno 500 mila elettori. E' evidente che l'attivazione degli istituti di democrazia diretta e in particolare dei "referendum" previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione rappresenta un momento particolarmente importante e delicato della vita delle istituzioni e contempera la necessità di una corretta e tempestiva informazione degli elettori. Le disposizioni del disegno di legge in particolare prevedono che i comitati che promuovono le richieste di "referendum" attraverso la sottoscrizione da parte di almeno 500 mila elettori possono usufruire del servizio pubblico durante la raccolta delle firme, purché abbiano già raccolto sottoscrizioni da parte di almeno 100 mila elettori. La verifica della sussistenza di tale requisit

o è affidata allo stesso Ufficio centrale per il "referendum" istituito presso la Corte di cassazione, al quale la legge 25 maggio 1970, n. 352, affida il compito di accertare la legittimità delle richieste di "referendum". L'Ufficio centrale per il "referendum" deve pronunciarsi entro 7 giorni, al fine di consentire ai promotori di utilizzare il servizio pubblico tempestivamente rispetto ai tre mesi a disposizione per la raccolta delle sottoscrizioni. Di seguito nella tabella C riportiamo dettagliatamente gli spazi riservati ai promotori dei "referendum" popolari di cui agli articoli 75 e 138 della Costituzione.

TABELLA C.

SPAZI RISERVATI AI PROMOTORI DEI "REFERENDUM" DI CUI AGLI ARTICOLI 75 E 138 DELLA COSTITUZIONE

Periodo Soggetti aventi Condizioni e Spazi Rif. d.d.l.

diritto modalità

Durante la raccol- Solo i comitati che Dopo che il comi- 60, per 2 trasmis- Art. 21, 1· c.

ta delle firme di promuovono la tato promotore sioni autogestite primo alinea

almeno 500 mila richiesta di "refe- abbia già rac- di 30, alle 20,40

elettori. rendum" attraver- colto firme da una sulla 1ª e

so la raccolta di parte di almeno una sulla 2ª rete

firme da parte di 100 mila elettori, in giorni feriali

almeno 500 mila su attestazione dal lunedì al ve-

elettori. dell'Ufficio cen- nerdì (*).

trale per il "re- 15' da utilizzarsi Art. 21, 1· c.

ferendum". secondo le moda- secondo alinea

lità di cui al-

l'art. 20, 1· c.,

primo alinea (*).

Tra il deposito Tutti i possibili Dopo che il comi- 15' da utilizzarsi Art. 23, 1· c.

della richiesta al- promotori del "re- tato promotore secondo le moda-

la cancelleria del- ferendum". abbia già raccol- lità di cui al-

la Corte di cas- to firme da par- l'art. 20, 1· c.,

sazione e l'ordi- te di almeno 100 primo alinea (*).

nanza dell'Ufficio mila elettori, su

centrale per il attestazione del-

"referendum" sulla l'Ufficio centrale

legittimità della per il "referendum".

richiesta stessa.

Nei 30 giorni suc- Tutti i possibili Qualora l'Ufficio 30' per una trasmis- Art. 23, 2· c.

cessivi alla data promotori del "re- centrale per il sione autogestita

dell'ordinanza di ferendum". "referendum" di- alle 20,40 sulla 1ª

legittimità dello chiari la legitti- rete in un giorno

Ufficio centrale mità della richie- feriale dal lunedì

per il "referendum" sta di "referen- al venerdì (*).

per le richieste dum". 15' da utilizzarsi

ex art. 138 Cost., secondo le moda-

tra la data della lità di cui al-

ordinanza stessa l'art. 20, 1· c.,

e il 30· giorno primo alinea (*).

successivo alla

data di pubblica-

zione della sen-

tenza di ammis-

sibilità della Cor-

te cost. per le ri-

chieste ex art. 75

Cost.

(*) Nel caso di più comitati promotori, sono riservati nel complesso, per ciascun mese, non più Art. 21, 3· c.

di 60 minuti e non più di 30 minuti da utilizzarsi rispettivamente per le trasmissioni auto- Art. 23, u. c.

gestite e secondo le modalità di cui all'art. 20, 1· c., primo alinea. La Commissione parlamentare

per l'indirizzo e la vigilanza sulla RAI disciplina l'utilizzo di tali tempi secondo criteri di

pariteticità.

Infine l'articolo 24 prevede che la Concessionaria del servizio pubblico riservi spazi sulle reti televisive e radiofoniche secondo criteri, tempi e modalità stabiliti dalla Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI anche ai seguenti soggetti: i partiti e le formazioni politiche o i loro raggruppamenti, non compresi tra i soggetti di cui all'articolo 1, secondo comma, che abbiano ottenuto almeno un eletto in una delle due Camere o nel Parlamento europeo o nei consigli regionali o in quelli provinciali o comunali (nei comuni con popolazione superiore ai 30 mila abitanti o che, pur avendo popolazione inferiore, siano capoluoghi di provincia), nonché ai promotori di richieste di "referendum" e di proposte di progetti di legge d'iniziativa popolare previsti dagli articoli 71, 123 e 132 della Costituzione e dagli statuti e leggi regionali.

Il titolo V del disegno di legge (articoli da 25 a 29) concerne il »Finanziamento dei partiti e delle formazioni politiche: divieti, obblighi e sanzioni . Abbiamo già sottolineato come la normativa prevista al riguardo dalla legge n. 195 del 1974 sia del tutto inadeguata e carente e come essa lasci aperti - citiamo dalla relazione al disegno di legge n. 946 presentato dai senatori comunisti - »numerosi varchi allo svilupparsi dei fenomeni di corruzione, di confusione tra il pubblico e il privato, tra politica e amministrazione, tra attività di partito e attività di governo .

Al fine dunque di introdurre norme più efficaci di moralizzazione della vita pubblica, il disegno di legge contiene, rispetto alla legge n. 195 del 1974, le seguenti aggiunte e modifiche (oltre ad essere conseguente, ovviamente, alla scelta di sopprimere i finanziamenti diretti e incontrollati dello Stato ai partiti politici):

a) i divieti di finanziamenti già previsti dall'articolo 7 della legge n. 195 del 1974 sono estesi anche ai membri delle Camere, ai rappresentanti dell'Italia al Parlamento europeo, ai membri dei consigli regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle elezioni politiche e amministrative e ai membri degli organi deliberativi ed esecutivi nazionali e locali dei partiti e delle formazioni politiche.

Una formula molto ampia, ancora più ampia di quelle adottate negli emendamenti al disegno di legge n. 292-bis (risultante dallo stralcio dell'articolo 40 della legge finanziaria) presentati a suo tempo dai senatori repubblicani e comunisti; formula che rende oltretutto superflua la pericolosa estensione dei divieti ai »raggruppamenti interni ai partiti , come viene proposto da parte repubblicana e comunista;

b) le sanzioni sono più severe. Nell'individuarle si è fatto riferimento, per quanto possibile, alle sanzioni previste dal codice penale e dal codice civile per reati già esistenti con i quali i divieti previsti nel disegno di legge hanno attinenza e comunanza. Così, ad esempio, per i divieti di finanziamenti da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento, la pena è quella prevista dall'articolo 314 del codice penale (peculato). Per i divieti di finanziamenti da parte di società non comprese tra quelle precedenti o da parte di persone giuridiche soggette per legge agli obblighi di bilancio, la pena è doppia di quella prevista dall'articolo 262 del codice civile con l'applicazione dell'articolo 2641 del codice civile (disposizioni penali in materia di società e consorzi);

c) per affrontare il problema delle »tangenti il disegno di legge fa proprio l'emendamento presentato dai senatori repubblicani, relativo al divieto di finanziamenti o contributi da parte »di singoli imprese ed enti privati che abbiano nel precedente triennio beneficiato di contributi pubblici la cui erogazione non abbia carattere di automaticità, o siano legati con pubbliche amministrazioni da rapporti di appalto, di forniture e di servizi ;

d) per quello che concerne l'obbligo da parte dei segretari politici o dei tesorieri dei partiti e delle formazioni politiche che percepiscono i contributi dello Stato ai sensi del secondo comma dell'articolo 1 del disegno di legge di pubblicare il rendiconto finanziario sul giornale ufficiale del partito o della formazione politica e su un giornale di diffusione nazionale, viene introdotto l'obbligo di specificare, indicandone l'ammontare, le partecipazioni in società di capitali nazionali ed esteri, oltre all'obbligo di specificare le eventuali libere contribuzioni superiori ad un milione di lire, con l'indicazione nominativa delle persone fisiche o giuridiche eroganti, al fine di ottenere una maggiore trasparenza dei bilanci stessi;

e) i responsabili amministrativi o i componenti degli organi di controllo o di revisione previsti negli statuti e ordinamenti dei partiti e delle formazioni politiche che omettono di riportare nel bilancio voci obbligatorie dello stesso, ovvero espongono fraudolentemente fatti non corrispondenti al vero, soggiacciono alla pena prevista dall'articolo 2621 del codice civile con l'interdizione temporanea dai pubblici uffici. La disposizione è simile a quelle proposte da parte repubblicana e comunista;

f) infine vengono aboliti l'articolo 156 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e le relative norme del regolamento di esecuzione, che criminalizzano proprio la forma più democratica e spontanea di finanziamento delle attività politiche, cioè le sottoscrizioni e le collette per fini politici.

Il titolo VI del disegno di legge (articoli da 30 a 36) contiene infine le »Disposizioni transitorie e finali .

L'articolo 30 prevede, in conseguenza dell'approvazione della legge 8 agosto 1980 n. 422, che il titolo I del disegno di legge esplichi i suoi effetti anche in relazione alle elezioni per il rinnovo dei consigli regionali delle Regioni a statuto speciale svoltesi negli ultimi due anni (Friuli-Venezia Giulia, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Sardegna), nonché in relazione alle richieste di "referendum" popolari depositate a partire dal 1· gennaio 1980. Sempre l'articolo 30 (commi secondo e terzo) raccorda le norme del disegno di legge con la legge n. 195 del 1974, che viene abolita con il successivo articolo 33.

L'articolo 31 prevede che le somme esigibili a titolo di contributo non possono essere cedute e che i contributi previsti dal disegno di legge non sono soggetti ad alcuna tassa o imposta, diretta o indiretta.

L'articolo 32 dispone che in caso di contestazione o ritardi nella riscossione dei contributi le somme siano depositate in banca e che le eventuali controversie relative ai contributi per le spese dei gruppi parlamentari siano decise dagli uffici di Presidenza della Camera e del Senato, secondo le rispettive competenze.

L'articolo 34 prevede che l'erogazione dei contributi e la costituzione del fondo di cui al titolo III del disegno di legge decorrono dalla data di entrata in vigore della legge.

L'articolo 35 prevede che l'ammontare dei contributi previsti dalla legge sia aggiornato annualmente, in base alla variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo.

Infine l'articolo 36 prevede la copertura finanziaria della legge per l'esercizio 1980.

Colleghi deputati, il finanziamento pubblico dei partiti o, come intendiamo noi, dell'attività politica può essere o una scadenza nella quale si annodano definitivamente i fili del progressivo deterioramento della nostra vita democratica o una occasione di chiarimento e un recupero di democrazia.

Non è solo la nostra voce a levarsi alta per denunziare il processo di regime che è in corso nel nostro Paese e non siamo solo noi a indicare quali siano, e di quale segno, i fenomeni di questo processo.

Ce n'è fra essi uno, conseguenziale e conclusivo, che si realizza nei termini in cui è praticato il compromesso nella società politica: non graduazione di obiettivi e di mezzi, lealmente posti e proposti, nella chiara indicazione della direzione lungo la quale si vuole procedere, ma inquinamento delle coscienze e delle volontà politiche che interpongono le ragioni e le convenienze del potere alle esigenze del bene comune.

Ebbene, ci siamo fatti un punto d'onore nel tenere una linea di estremo rigore, senza concedere nulla che potesse incriminare la verità e la nostra lealtà di legislatori: questo disegno di legge pone delle scelte limpide e categoriche, intendendo verificare senza margini di equivoco e di ambiguità quali siano le risposte non solo delle forze politiche ma singolarmente dei parlamentari di questa Repubblica. Vi sollecitiamo cioè - e la gravità della materia crediamo ci autorizzi a questo - una questione di coscienza.

 
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