Replica pronunciata il 7 giugno, ultimo giorno del congressoINDICE
- Nota introduttiva, di Angiolo Bandinelli (3799)
- »Pannella il politico , di Michelangelo Notarianni (1057)
- »Una storia per il presente Relazione pronunciata il 5 giugno, primo giorno del 25· congresso straordinario del P.R. (3800)
- »Chi vuole le teste di cuoio? Replica pronunciata il 7 giugno ultimo giorno del congresso (3801)
SOMMARIO: La relazione introduttiva e la replica pronunciate da Marco Pannella al 25· Congresso (straordinario) del Partito radicale, tenutosi a Roma nei giorni 5, 6 e 7 giugno 1981.
"...abolire la miseria: era la grande bandiera radicale di Ernesto Rossi. Allora dobbiamo abolire la miseria che conduce allo sterminio, la politica di miseria alla quale assistono inerti - in termini di iniziativa politica - tutte le altre forze politiche che rendono omaggio ad una 'giusta politica internazionalista' sui problemi della fame nel mondo (...) che significa tacere? Potremmo essere radicali? ...sarebbe possibile essere credibili nella propria volontà di governare la pace, la libertà, il diritto positivo - Stato di diritto - il diritto alla vita, il diritto al cibo?"
("DAI DIRITTI CIVILI ALLA FAME NEL MONDO" - di Marco Pannella - a cura di Angiolo Bandinelli - Prefazione di Michelangelo Notarianni - Edizioni Quaderni Radicali / 6)
Chi vuole le teste di cuoio?
Replica pronunciata il 7 giugno, ultimo giorno del congresso
La replica
Cari compagni, credo che al di là delle prassi, forse anche delle prassi dei congressi straordinari, i relatori, dopo avere ascoltato gli interventi sulle loro relazioni, abbiano il dovere, o quanto meno il diritto-dovere alla replica rispetto a quelli che sono intervenuti; io intendo esercitare questo diritto-dovere, brevemente per quanto possibile, innanzitutto per rispondere alle esplicite richieste che sono state fatte al relatore, per quel che mi riguarda o - oltre che a me - anche al partito.
In modo particolare, vorrei rispondere al compagno D'Ambrosio il quale ha posto degli interrogativi seri, non solo e non tanto da neofita, ma da antico militante della sinistra, da antico militante socialista, e quindi da antico militante radicale ancorché fino adesso organizzato nel PSI e non nel Partito Radicale.
Per il momento, ci dice, sono organizzato nelle due organizzazioni socialiste, quella del Partito Radicale e quella del PSI ma - afferma il compagno D'Ambrosio - questa non può essere che una situazione transitoria; bisognerà pure deciderci ad essere partito a senso pieno e quindi, a un certo punto, porre ai socialisti come noi tutti, ai socialisti come me, D'Ambrosio, e agli altri, il dovere di fare una scelta ed avere il Partito Socialista, non dell'alternativa, ma dei socialisti alternativi, contro e in concorrenza al Partito Socialista dei socialisti non alternativi, o anche dei comunisti non alternativi e via dicendo.
Non so se c'è il compagno D'Ambrosio, ma gli dovevo (e ci tenevo perché mi pare che fosse importante) la risposta agli interrogativi posti al relatore, per capire meglio la situazione. Io dirò che mi sembra che il compagno D'Ambrosio, per degli obiettivi giusti, rischia di proporre strutture e metodi invece, impropri.
Il compagno D'Ambrosio ritiene, senza forse del tutto rendersene conto, che si può avere un Partito Socialista dell'alternativa, un partito socialista nuovo, a condizione che questo partito diventi uguale agli altri e come gli altri; contestando agli altri, con gli stessi mezzi e le stesse strutture, la diversa posizione politica in termini di contenuti.
Le false scelte delle amministrative
La nostra posizione è esattamente l'opposta: se un partito vuole proporre alternativa, l'alternativa deve essere già intanto prefigurata nella sua struttura e nel suo modo di vivere; e innanzitutto esso deve rifiutare di essere un partito a sistema chiuso, un partito a struttura di rappresentanza delegata piena, un partito a pretesa di intervento (ma devo dire di ideologia) di estrazione globale.
Noi riteniamo che partito, se è socialista o libertario, deve sollecitare la crescita, in ciascun cittadino e in ciascun membro alternativo della classe, di contraddizioni e comportamenti socialisti e libertari; e sottolineo contraddizioni: questo compagno deve avere diverse fedeltà; nel tempo, ma non solo nella successione cronologica; anche nella logica.
Questo compagno deve poter dare corpo alle sue contraddizioni avanzate. In una situazione nella quale ritenesse, per esempio, che la presenza ai momenti amministrativi sia oggi una presenza importante, determinante e necessaria, gli deve essere non solo possibile, ma necessario, contemporaneamente partecipare organizzativamente alla vita del Partito Radicale e a quella del Partito Socialista o Comunista o di quale altro sia l'organismo al quale pensa e si rivolge con fiducia per quello che riguarda un punto preciso: i programmi di gestione della Regione o del Municipio. Che sono cose sicuramente molto serie, tanto serie che noi l'anno scorso abbiamo sostenuto il dovere della astensione, per provocare una politica nazionale, una messa in guardia dei partiti nazionali perché realizzino una concezione di se stessi, dello Stato e della amministrazione, non giacobina, non centralizzata, ma di autogoverno e di autogestione.
Tutti sanno che l'un per cento in più, due seggi in più al PSI o al PCI non cambiano la realtà del governo di una città, mentre - tutti sanno - la preoccupazione di un'ondata di astensionismo e di astensioni, motivate e puritane, ha costituito e costituisce il titolo dei giornali all'indomani delle elezioni ed è l'unica notizia capace di imporre il dibattito interno ai partiti, quando ci dicono che dobbiamo renderci conto dello scollamento fra noi e l'opinione pubblica.
Questa era la linea del nostro comportamento, in ciò dicendo il vero: se ci fossero stati a Torino, a Milano, due consiglieri comunali in più da una parte o dall'altra, non sarebbe cambiato quasi nulla. E insisto, compagno D'Ambrosio; se anche noi oggi andassimo ad accettare questa stolta e sporca politica della sinistra che si fonda sulla paura (»votate per noi, altrimenti vince la DC, altrimenti vince l'unità nazionale ) finiremmo per accettare che il dibattito politico si svolga tra coloro che hanno la paura del comunismo; coloro che hanno paura dell'omosessualità dilagante proposta dai radicali: la paura, la paura delle varie apocalissi che vengono da una parte e dall'altra.
Oggi si votano non delle liste municipali, create con logica municipale; non c'è a Roma, non c'è in Sicilia, non c'è a Bari, non c'è a Genova - per scelta politica dei compagni comunisti o dei compagni socialisti - non c'è nessuna lista per l'alternativa a Roma, per l'alternativa a Genova, ma ci sono i partiti che ci vengono a chiedere il 21 giugno dei voti per adoperarli non solo per dire »ho avuto un consigliere comunale in più , ma: »Vedete, la linea frontista del PCI è premiata, quindi dovete fare questo governo invece di quest'altro; la linea craxiana è premiata e quindi dovete fare questa cosa o quest'altra . La »politicità e la »partiticità del momento municipale o regionale è iscritta nelle liste che ci presentano. E' la politica dei partiti; è la strategia del compromesso storico...
Lo ha detto qui il compagno Ferrara: la nostra strategia resta quella di una unità nazionale della quale non dobbiamo e non vogliamo essere succubi, ma quella è: i voti del 21 giugno sono voti chiesti lealmente, con i loro emblemi, da partiti che li chiedono non perché hanno avuto il senso di responsabilità di proporre programmi di governo alternativi della città, e in base a questi programmi formare le liste di coloro che sono d'accordo nel programma alternativo; sotto l'alibi »bisogna salvare Roma , in realtà si viene a chiedere il voto per Craxi, per Berlinguer e per la sceneggiata nazionale che si è ricomposta e si ricompone.
Cosa fare per l'alternativa
Volevo, quindi, ricordare al compagno D'Ambrosio che semmai, quando io penso alla rifondazione del Partito Radicale, proprio per tutte quelle cose che ho detto fino alla nausea - si dice »squadra vincente non si tocca eccetera, ma quando 1500-1800-2000 così organizzati riescono a produrre quello che 300 o 500000 non riescono a produrre! - è evidente che io ritengo che essa debba avere come premessa l'accentuazione della sua diversità radicale da qualsiasi altra forma di organizzazione; l'accentuazione delle sue caratteristiche libertarie, federaliste e federali contro coloro che, quando parlano di partito parlano dell'ammucchiata, delle confusioni; quando parlano di autonomie nel partito, parlano di un processo, sempre di più, di centralizzazione del partito che dovrebbe, nella sua efficienza centralizzata, inventare poi l'autonomia del partito di Lombardia, di Sicilia e di Napoli... »Bisogna dare i soldi, ...Bisogna... Questa è la loro vera concezione.
Cari compagni, nel nostro statuto, noi abbiamo il partito federale e federativo centrale: ne fanno parte, secondo il vecchio statuto, gli iscritti a titolo individuale e le organizzazioni federate e federative: ma in quello statuto c'è scritto »i sindacati ; sono scritti in quello statuto! Quello che costituisce il partito dell'alternativa democratica di classe è la rivendicazione della struttura anglosassone, in qualche misura scandinava, della organizzazione democratica di classe; intesa, politicamente, come una struttura che ha due gambe politiche: quella - politica - del sindacato democratico di classe e quella - politica - del partito democratico di classe, federati insieme, contro le concezioni dell'unità sindacale che poi portano a quella dell'unità partitica, e poi portano a quella dell'unità padronale: appunto il vecchio schema ideologico gentiliano, rocchiano, corporativista; non a caso in Italia. Evidentemente, non potevamo pensare a uno statuto che organizzasse il gruppettarismo sindacale, il gru
ppettarismo partitico, in nome dell'unità di classe. E' noto, per la vecchia storia socialista, ogni volta che c'è una scissione comunista settaria, quanto più la propria organizzazione è quantitativamente minima, si chiama partito »veramente comunista , partito dell'»unità comunista , partito dell'»unità socialista , partito dell'»unità proletaria ; in base a questo vecchio concetto, questa vecchia concezione chiesastica, l'eretico contende alla chiesa madre la vera rappresentanza mistica del corpo mistico della verità comunista, delle verità socialiste e delle altre verità. Il nostro problema cari compagni...
Ci sono equivoci al nostro interno!
Andrò avanti - scusatemi compagni grazie alle speculazioni, alle quali sono costretti alcuni - non minoranza ma alcuni che vivono qui dentro - ed è lecito - attraverso la opposizione, non importa se da destra, da sinistra, dal centro da sotto o da sopra, non importa se evocando qui dentro lo spettro del PR2, della Loggia dei pochi ma ricchi, dicendo in tono accurato, pulito: »ma bruciamoli, i soldi! giocando tutte le corde del politicantesimo - ed è lecito qui dentro farlo - ma consentendo a tutti i giornali di dire: »Badate nel microcosmo radicale, esistono degli antagonisti! ; che stanno a parlare qui innanzitutto per dare i comunicati alla stampa, mentre altri trenta intervenuti coglioni hanno parlato qui per parlare al partito e non come qualcuno, non iscritto al partito, venuto qui da seicento chilometri perché la lotta contro il partito è l'unica occasione per una sua identità pubblica e politica; infatti sì, parla qui, ma soprattutto...
(interruzioni)
...lo sto dicendo che esistono delle persone che lottano, anche deliberatamente, contro il partito (con la differenza che nel nostro partito ci possono stare tutti); perché ritengo, per esempio che, in ipotesi, se esistesse un compagno che si iscrive al partito solo perché passi la notizia che si è iscritto e poi si dimette ogni anno, perché passi la notizia delle sue dimissioni, e che puntualmente nelle elezioni invita a votare contro il partito perché il partito ha tradito. se mi si consente, non sarebbe questo un tipo di apporto...
(interruzioni)
Ti pare la storia di Giulio Ercolessi? Io sto facendo la storia di un possibile compagno; dopo di che il problema è tuo, o semmai suo, per querelare te, non me.
Verso il nuovo statuto
Dicevo, compagni, il problema, quale è? Sento il dovere nei confronti del partito, dinnanzi alla nostra crisi, di riflettere, di riflettere anche sui problemi dello statuto; sento il dovere di dire, un anno fa: »Compagni, non mi pare giusto; se non vogliamo essere anche noi quelli della costituzione perentoria e ordinatoria, a questo punto diamoci il lavoro ufficiale e comune del congresso di rifondazione statutaria... Fra due anni, per arrivarci... Fino a quel momento nessuno lo aveva proposto, nel momento in cui lo propongo, immediatamente - lo ricordo - viene fuori: »Bene, questa è la dimostrazione che viene violato lo statuto! Dopo di che cerco di lavorare, vengo a un congresso e dico, e c'è la registrazione di quello che ho detto: »Compagni, solo alla fine del nostro lavoro sapremo quali sono le idee di statuto che possiamo avere, quali verranno a me anche ascoltando X o Y; ma una riflessione che io devo "metodologicamente" fare è che, se c'è chi pensa di risolvere la situazione del partito dicendo »d
iecimila iscritti o »centomila iscritti , dobbiamo mettere sul tappeto anche »cinquecento iscritti : è un fatto "metodologico" .
Il problema è che se vogliamo riconcepire, dobbiamo andare con rigore di ricerca, per capire di che si tratta; ed è quello che ho detto, ripetendo però - e lo dico al compagno D'Ambrosio - che la mia certezza, che gli eventi di questi anni giustificano, è che noi cerchiamo di avere uno statuto sempre più libertario, federalista, federatore e federativo, sempre meno democraticistico e uguale a quello degli altri partiti. Questa è la mia convinzione. Se a qualcuno questa mia convinzione fa paura non ho che farci, ma continuo a riflettere.
E a questo punto leggo sui giornali che io sarei stato accusato qui dentro di avere detto che voglio il partito dei cinquecento teste di cuoio, per escludere voialtri, non teste di cuoio. Vorrei che fosse così puntuale il discorso sui nostri avversari politici! Vorrei che fosse così puntuale il nostro discorso, rispetto al nostro nemico di classe e politico e culturale! Vorrei non essere stato solo con le altre teste di cuoio a espormi e a esporci al tiro di tutta la stampa nazionale, alla sua inimicizia, alla sua censura, invece che ammiccare e servirgli qualche argomento in più contro il partito! Vorrei che fossimo unanimi in questo, a pagare il prezzo delle censure annuali e della deformazione, se è giusto fare - non dico il progetto alle intenzioni - ma il processo alle realtà!
Ma, proprio perché il dibattito mi è servito, io vi dico che continuo a riflettere. E vi dico che, continuando a riflettere, mi pare evidente che noi dobbiamo sempre di più evitare una situazione nella quale si rimprovera, fra i tanti partiti che esistono, al solo partito federale "centrale" quello che si dovrebbe rimproverare a noi stessi, incapaci di avere delle grandi lotte regionali costitutive degli altri soggetti politici nazionali, nel senso radicale della parola.
Una dimensione libertaria, se non vogliamo andare verso i rischi weberiani dei partiti che puntano sui carismi, è un partito, è un soggetto politico che deve avere al proprio interno una quantità di persone a dimensione umana; in cui ci sia la circolazione delle idee; ed è per questo che io dico, probabilmente dobbiamo capire che non dobbiamo avere, con il nuovo statuto un partito di centomila iscritti, diecimila delegati e duecento burocrati che amministrano le idee, i delegati e le altre cose; ma che dobbiamo realizzare dieci, venti, trenta soggetti politici radicali di cinquecento, mille, millecinquecento persone - duecento o duemila - che diano una realtà libertaria, federativa, federata di cento o di dieci milioni, se c'è il disegno dell'alternativa. Di cui ha parlato questa mattina il compagno - mi scuso per il nome - che dice che è una contraddizione, non possiamo dire al Partito Comunista che fa una politica di blocco moderato, e poi essere per l'alternativa di sinistra. Ma sono trent'anni che io rif
iuto il ricatto dei liberali che mi dicono che non posso essere liberale se attacco la politica di »noi liberali ; e sono trenta anni che dico che non è comunista una politica che dal 1948 mantiene e usa i codici fascisti, e poi propone fino a ieri - non solo le cose di Pecchioli, ma a tutti i livelli - propone il blocco moderato, propone il blocco su certi strumenti giuridici, penali! Se io rinuncio a dire questo, rinuncio alla speranza di avere una bandiera di sinistra che possa aggregare l'alternativa di sinistra, e anche la speranza che il comunismo venga letto, magari dagli storici domani, altrimenti come il fenomeno dei compagni assassini e sterminatori come Togliatti e gli altri, o come quello dei compagni assassini alla Curcio, terroristi o nihilisti, o come quello, appunto, delle storie dei Doriot e dei Mussolini che danno - loro - corpo a grandi complessi moderati e unanimistici.
Non c'è, quindi, contraddizione. Questa mattina voi non c'eravate, io ero qui all'inizio e c'era un compagno che diceva: »Ma che contraddizione, dire che il Partito Comunista con la sua politica è divenuto il centro di... Io non escludo...
(interruzione)
...Sei tu che escludi; il compagno adesso dice che la contraddizione era un'altra: è escludere la politica di unità. No! Tutto il mio intervento di quattro ore era di »unità, alternativa, rinnovamento della sinistra , escludendo di farla, caro compagno, per quiescienza, per cinismo e realpolitik, sulla Legge Reale, sulle revisioni del Concordato e altre cose...
...Nell'articolo oggi di Notarianni sul »Manifesto c'è questa indicazione - anche lì - di un Partito Comunista che per affermarsi come partito di potere accetta persino la candidatura ad una politica moderatamente reaganiana oltre che moderatamente fascista e moderatamente pecchioliana o rocchiana, in termini di politica nazionale.
Dicevo, compagni, noi possiamo avere uno statuto nel quale possiamo continuare a disegnare addirittura milioni di aderenti; ma a condizione che non si voglia invece realizzare surrettiziamente, in nome delle autonomie dei singoli partiti, il superpartito paternalista romano che deve farsi carico, persino, di andare in quel paese nel quale c'è un compagno che nessuno conosce e il quale d'un tratto dice »"Noi ammazzeremo la mafia" ...
Ma noi, prima di avere la decenza di proporre delle presentazioni a Roma, per quindici anni abbiamo mandato, dall'esterno del Consiglio comunale, in galera i sindaci; siamo stati presenti costantemente, eravamo l'alternativa, eravamo l'antagonista in questa città, ma non ci presentavamo; quando ci siamo presentati una volta all'interno del PSIUP, era per potere raccontare in campagna elettorale quelle cose. Ma quando vengono adesso coloro che qui dentro fanno, l'opposizione, da destra, da sinistra e dal centro, fanno qualsiasi demagogia pur di impedire che il partito nello slancio dell'intelligenza di una prospettiva, sia unito e abbia slancio - perché lo slancio, l'unità, la certezza li esclude, esclude il loro modo di essere - e vengono a parlare, lerciamente, in difesa del »povero compagno siciliano o veneto che ha il diritto di usare l'emblema del partito!... .
Io dico, cari compagni, che lo statuto deve prevedere l'"obbligo" per ogni associazione radicale di avere il suo emblema; ogni partito regionale deve avere il suo emblema; in ogni paese ci sia il proprio emblema e non pensare di fare i parassiti del lavoro dei compagni di tutta Italia, nella speranza di raccogliere nel loro paese nel quale non hanno fatto, non il cinque, il sette o il dieci per cento dovuto al lavoro, di vent'anni, dei radicali di tutta Italia, ma almeno quel due per cento che li faccia essere, loro che non hanno - come politica di fatto - fatto nulla, almeno l'eletto che dovrebbe andare a cambiare l'assemblea siciliana, o calabrese o veneta, o altra.
La demagogia, il gioco è costante, di imporre qui dentro il successo stanco del nostro senso comune contro quello del nostro buonsenso battaglie locali della moralità di scelte e di riflessione: »Da Roma si cerca di togliere ai poveri compagni, che sputano sangue e raccolgono tavoli,... . Cari compagni - e anche a questo, dico, lo statuto dovrà rispondere - io so una cosa, che alcuni di noi hanno peccato proprio in questa direzione non nell'altra, quando per esempio ci siamo presentati ad Ancona e a Siena per fare eleggere altri compagni ad Ancona e a Siena: lì, andiamo a vedere gli iscritti al partito, andiamo a vedere le »grandi battaglie che si fanno lì, andiamo a vedere le firme raccolte, andiamo a vedere il comportamento di questi compagni; devo dire che, per quello che ne so - non ne so niente, e non perché Radio Radicale faccia le censure sull'opera in questi consigli comunali, vado in quelle città anche per altri motivi... - non sento che lì c'è l'alternativa; quello cui ci eravamo impegnati, nel '7
6: »Non so cosa faremo, ma quel che so è che se anche uno di noi andasse al Parlamento nazionale saprebbe cambiare per un miliardesimo il Parlamento nazionale e non cambiare se stesso . Questo sapevamo di poterlo fare; perché rappresentavamo il sessanta per cento del Paese "su alcune battaglie", e non la frustrazione; e non il dire che siccome in Sicilia non sono mai riuscito a creare l'alternativa radicale alla mafia, al potere siciliano e via dicendo, a questo punto provo a farla facendomi eleggere consigliere regionale; come se, avendo i galloni di consigliere regionale, uno potesse riuscire a fare quello che, senza i galloni, non è riuscito a fare...
Il partito aveva il dovere, "aveva il dovere" dinnanzi alle migliaia dei compagni del tavolo del referendum, di impedire che la televisione nazionale, il 22 giugno, dicesse che »i radicali sono calati in Sicilia... o non so dove: »I radicali sono in declino, sono sconfitti, sono condannati dalla gente . Perché questo non è vero, perché nelle battaglie "radicali", quelle sui referendum - e voi sapete quale è la mia interpretazione - i tremila compagni dei tavoli sono stati onorati, non più dal consenso di un milione e ottocentomila persone, ma di quattro milioni di persone almeno, e hanno creato una premessa.
Questo significano i radicali che hanno dato forza e corpo al partito e non ai discorsi sulla etica radicale che dovrebbe portare a bene amministrare la fontanella. Certo, c'è anche questo problema. Il partito radicale non ha fatto queste battaglie - parlo del partito radicale regionale, il partito radicale cittadino - o le ha fatto in modo inadeguato; ma sicuramente, per esempio, una riforma statutaria necessaria - e posso cambiare idea da qui ad agosto - è che qualsiasi soggetto radicale abbia il suo simbolo e "vada avanti" con il suo simbolo; questo è servizio alla crescita delle autonomie dei governi e degli autogoverni della nostra organizzazione.
Dopo di che, lasciamo pure alcuni farsi forti nel lancio del sospetto: »Vogliono restare in pochi compagni ma ricchi, avere e distribuirsi - magari in cinquecento, magari a fin di bene, non necessariamente in ville - i miliardi del finanziamento pubblico... La stampa ha raccolto tutto questo, ha fatto bene, giornalisticamente sono argomenti interessanti. Ma voglio anche dire che se si pensa che si è in un partito in cui oggettivamente i dirigenti vanno verso il PR2 o verso certi altri comportamenti, ebbene, qui non è una Chiesa; o si sbattono via i cosiddetti dirigenti, o si va a fondare altrove la vera Chiesa radicale, il vero partito: non si può per anni vivere insieme solo insultandosi e non facendo le teste di cuoio, ma semmai pronti in ogni momento a fare le imboscate; pronti quando capita, se ci sono i due terzi o i tre terzi, o c'è la stampa che può passare qualcosa... vivere in una organizzazione di, non dico attentatori, ma di Passatori di non è tra i ladri montagna che aspettano che la corriera ar
rivi per provare a fare l'agguato.
Quindi, io credo che il problema dello statuto sia problema del quale dobbiamo continuare - e grazie a noi si continua - a discutere; ma coloro i quali credono che l'alternativa sia tra quelli che hanno lo sporco disegno di ridursi in pochi per avere più bottino politico e finanziario, e coloro i quali invece, »democraticamente , dicono che dobbiamo andare verso il grande partito dei venti, trentamila, essere di più, costoro non hanno capito nulla del partito, anche se forse capiscono bene se stessi.
Altra questione - la poneva il compagno D'Ambrosio: nessun problema, nessuna chiusura del nostro partito! Dobbiamo insistere invece sempre di più sulle doppie, triple, quadruple tessere; il che non ci ha mai tolto la capacità di essere efficaci e puntuali: il partito dell'alternativa è quello che è costantemente aperto alla possibilità di organizzare tutti gli altri comunisti, tutti gli altri socialisti; e dico non tutti i comunisti e socialisti, dico tutti gli altri comunisti, socialisti e democratici nella struttura radicale, nel momento in cui in questa struttura si sta per fare una battaglia che li esprime, contro il ricatto della unità della sinistra fatta sotto bandiere moderate.
Fame nel mondo: un alibi?
Infine, siccome anche qui sono stati fatti degli accenni, pur avendo io non parlato moltissimo sui problemi della fame, devo dire che sono perfettamente d'accordo con lo spirito e l'intelligenza della compagna Radiconcini che è, mi pare, un altro modo di proporre - lo stesso modo di proporre - l'interrogativo e la spiegazione base che ha posto Giovanni Negri nel suo intervento.
La distanza fra la nozione che abbiamo ciascuno di noi stessi, fra la nozione che sappiamo antropologicamente - che ciascuno di noi mangia, beve, fa i bisogni, fa le altre cose - e il dovere essere tra le cinque, dieci, quindicimila, o centinaia, di persone che dovrebbero salvare milioni e milioni di persone dalla morte e creare un ordine nuovo: questo è il motivo di crisi costante di tutti noi o di molti di noi, perché continuamente, nel momento in cui mangiamo, beviamo, amiamo, viviamo la nostra singolarità, la nostra individualità e la nostra limitatezza, in quel momento siamo insidiati, ci sembrano infinitamente più reali le nostre difficoltà esistenziali - che sono una grande cosa, hanno una grande concretezza (non dobbiamo mai cadere nelle degenerazioni realistiche che in nome dell'essenza negano l'esistenza); ma le difficoltà esistenziali sono quelle di credere davvero che se quella sera viviamo due ore in un modo invece che in un altro forse ci saranno centomila persone in più o in meno che saranno s
alve.
Questo è il mistero non-mistero della politica e della politica democratica; è la moltiplicazione esponenziale, attraverso gli incontri di mille, o cinquecento o dieci milioni di persone, di un'idea che è già presente - materialmente - nei circuiti preordinati dell'esistenza della stragrande maggioranza della gente: si tratta di fare esercitare la libertà, nel senso della scelta fra i diversi condizionamenti genetici, ordinatori - i diversi codici - che abbiamo dentro di noi questa è la libertà.
Allora, quando Giovanni ieri diceva che il problema è quello della distanza, non solo fra la nostra esistenza, ma fra la nostra coscienza, e - non più l'"aspirazione" o l'intuizione - ma la "progettualità" che è "moralità" necessaria della politica, la scelta di un obiettivo, e quindi il dire »"Io" sconfiggo la chiesa in Italia o »"Io" faccio, "io" realizzo quello che era il sogno di Trotzkj o di altri, della rivoluzione permanente o delle sue conseguenze , »"Io", io che non riesco a manifestare una mano o una parola, amministrandola come voglio nella mia esistenza... Qui è il momento nel quale viene la tentazione, non del cinema come cultura e gioco serio, ma del cinema, della televisione o del consumo: magari anche di una vita di consumi reciproci, nella vita personale, individuale, non di amore e di attività comune.
Questo è un fatto politico. E questi fatti politici ovviamente vanno all'aria, o qualcuno pensa che possano andare all'aria... perché è evidente che questa concentrazione della speranza, che si sente da sé, ha poco a che vedere con chi ha l'abilità e la pretesa, per esempio, di sottoporre per quattordici ore di seguito un congresso di partito, il nostro 23º, a votare "apparentemente" contro il Concordato, contro l'antimilitarismo! Alcuni di voi ricorderanno quella scena apparentemente mostruosa del 20º nostro congresso che votava il Preambolo e che per dieci ore, otto ore votava con maggioranze - qualificate o no - contro la proposta Ramadori - del »puro , compagni, dell'alternativa - sul Concordato, sull'antimilitarismo, sugli handicappati, sui pensionati, sui giovani, sugli esclusi, sugli emigrati, sui lanciatori di merda, sul radicale di base, sul raccoglitore di tavoli; e il partito votava contro, in "nome" di tutte queste cose come questi dodici mesi hanno dimostrato.
Questa linearità dobbiamo raggiungere; e allora, sulla fame nel mondo, compagne e compagni, non posso che ricordare quello che Jean Fabre vi ha già detto: noi ci siamo assunti il compito doveroso, per il nostro statuto e per la mozione di novembre, di applicarci a moltiplicare i soggetti radicali, la responsabilità di approfondire, quindi, anche i metodi politici. E lo abbiamo fatto, come? Con un piccolo, un millesimo di passo in avanti: del quale abbiamo paura.
Personalmente - nessuno lo crede e non lo crede neppure Giovanni - ma io da sei mesi ho paura, anche, o spesso; e da marzo devo ringraziare - io e Jean dobbiamo ringraziare - in particolare Giovanni che ci ha costretto, in fondo, a non commettere l'errore che Gandhi commise diverse volte - e lo proclamò autocriticamente a proposito, per esempio, del digiuno sui postini, le poste e altro - di digiunare innanzitutto contro se stesso, per esigere più da se stesso e contro i propri compagni, per richiamarli alla concretezza di un'azione; facendoci saltare questa tappa e costringendoci - Giovanni - a non iniziare il digiuno il 15 aprile, come Jean ed io ritenevamo necessario, per molti versi, Jean che, avendo consumato meglio di noi in termini di moralità alcuni problemi, più accorto mi diceva a dicembre »Guarda, Marco, che questa volta non si può avere un incedere che non sia lineare, non interiormente ma anche esteriormente e che è l'unico che in questi giorni, in queste settimane è riuscito, come io non sono
riuscito, a dare puntualmente, ogni giorno, una pietruzza nella costruzione di questo edificio solido della vita e per la vita.
Abbiamo fatto un "piccolo" passo avanti. Siccome tutto il partito aveva concordato su cinquemila miliardi da chiedere al governo, abbiamo fatto le crisi... E qui, tra l'altro, è accaduto che siamo stati accusati, anche qui dentro - perché era quello che si aspettava dai giornali di poter ripetere fuori - che noi stavamo passando a Fanfani, a Forlani, a Craxi - ve lo ricordate? - perché avevamo detto (e io lo avrei ripetuto) che qualsiasi governo italiano che votasse cinquemila miliardi da destinare con certezza alla salvezza di migliaia, di milioni di persone, avrebbe da me e dai radicali il riconoscimento di un giorno del nonvoto contro, perché quello in quel momento sarebbe comunista, cristiano e radicale; per - all'indomani - ricominciare le nostre vere opposizioni, non le false, quelle degli altri; rivendicando, quindi, alla politica la sua moralità di governo della morte e della vita, e riconoscendo che è possibile... Ma come credete che Stalin Hitler, Mussolini, De Gaulle, possano governare nella stori
a, se non perché continuamente si dice che il saggio pecca sette volte al giorno, l'insaggio, l'insano, il folle sette volte al giorno ha ragione? Credo per trenta, quaranta anni si può unire - come ii fascismo, il nazismo, lo stalinismo hanno fatto - popoli interi, apparentemente rincuorando generazioni intere, senza proporre cose che hanno fondamento positivo, magari nell'immediato, o senza che siano profondamente corrispondenti al senso comune (non al buonsenso) della gente... E certo, io non sarei mai quello che ai Mussolini di oggi farebbe l'omaggio di chiamarlo l'arcangelo della pace - come tutto l'Occidente fece a Monaco nel 1938 nei confronti di Benito Mussolini che aveva salvato - secondo Chamberlain, Daladier, la stampa americana, la Società delle nazioni - aveva salvato l'Europa, la pace in Europa - ma avrei forse riconosciuto che per motivi tattici o per incertezza tipica di un vile dittatore Mussolini aveva in quel momento, forse, servito ad impedire che la guerra scoppiasse, irrimediabile all'i
ndomani, e che avrei dovuto dire, per questo, grazie.
Allora, compagni, abbiamo fatto un passo avanti: »cinquemila miliardi ; spiegando che volevamo cinquemila miliardi legati, non alla struttura italiana, ma a una Organizzazione Internazionale operativa. A questo punto, mi sono detto: »Ma avevo ragione nel '79, quando dicevo che entro autunno ci vogliono dei milioni di persone salvate; il denaro, i cereali, il cambiamento di politica deve servire per quelle cose, il terminale va assicurato . Poi cifreremo il denaro, il come, sul quale, vi confesso, sono appesantito e siamo appesantiti dal sapere (credo che sappiamo tutto quello che sanno le Organizzazioni internazionali sul dispendio, i rischi dell'aiuto alimentare e via dicendo) quel sapere che paralizza la conoscenza, e ci integra nel disegno perfetto della morte, dell'inerzia. Ebbene, ci siamo dati questo obiettivo, più limitato rispetto ai quaranta milioni di persone. Compagne e compagni, è un fatto di metodo, non quaranta milioni, ma, diciamo, quattro milioni.
Questo lo abbiamo fatto per noi: e lo manteniamo. Forse qualche compagno può pensare più ardimentoso dire che "l'obiettivo" è quattro milioni ; ma vuol dire che non crede alla serietà e alla concretezza del dire che faremo la "grande" battaglia per salvare la gente dalla fame nel mondo; perché è lecito pensare che se chiediamo cinquemila miliardi..., siccome la commissione Carter - e i parlamentari radicali lo sanno tutti, perché tutti sono intervenuti, tutti hanno vissuto e sofferto intensamente questa cosa - la commissione Carter diceva - e lo avrà detto Spadaccia, Stanzani, tutti lo avranno detto, nei piccoli dibattiti che abbiamo fatto alla Camera e al Senato - che bastavano dodici miliardi di dollari, per comperare tutti i cereale per salvare tutta la fame nel mondo... Evidentemente non è la nostra versione, ma ecco perché a questo punto siamo arrivati noi stessi a proporre un dato di raccordo...
Ne parlo adesso, e termino, in sede di replica, proprio contro coloro i quali hanno creduto di poter dire che adesso »facciamo il salto in avanti , o quegli altri che dicono che »dobbiamo parlare di fame nel mondo perché, al contrario di loro non sappiamo se non dire altro che bestialità e stupidaggini nella politica italiana . In effetti, riconosciamolo, ci sono decine di milioni di italiani che non votano per noi, e solo un milione, due o tre milioni che votano per noi, d'accordo con le cose che noi diciamo - quando le sentono - ma questi probabilmente sono gli imbecilli, quelli che votano per le stupidità, visto che lo stalinismo del partito non consente di presentarci alle elezioni con le parole elette e corrette degli Ercolessi e dei Ramadori i quali probabilmente porterebbero a dieci milioni il nostro elettorato.
Ma dobbiamo riconoscere invece che il poco, uno, due e tre milioni (e il prestigio che abbiamo, o lo scandalo che diamo) viene certamente per le nostre stupidaggini quotidiane, e credo che la storia del novantanove per cento delle persone che sono qui, soprattutto a cominciare da coloro che abbiamo nominato un momento fa, è la storia di coloro che si sono riconosciuti nelle parole stupide della politica radicale e non nelle parole intelligenti che non conoscevano, o che forse ancora non pronunciavano...
Ancora, quindi, sulla fame nel mondo, compagne e compagni, l'unica cosa che deve essere chiara è questa: il gioco delle tre carte lì non è lecito, il »centro , la »periferia , le »autonomie ; »hic est Rhodus... saltiamo qui, saltate qui; per fame nel mondo si lavora a Milano, si lavora a Roma, a Bruxelles e altrove; ci sono momenti unificanti a un congresso di partito federativo: c'è il gruppo parlamentare; c'è un gruppo, non è ancora federato come il nostro, si federerà forse, o meno; siamo in ballo. C'eravamo due mesi fa, sei mesi fa.
Ancora una volta vedete che è lungo e faticoso insistere, ma gli eredi del »Mondo di Pannunzio siete voi. Questi compagni cui la eccessiva eleganza, i geroglifici stilistici tolgono a volte moralità... Vi ricordate: »Il Manifesto , »Il Manifesto quasi un dente che duole... e ora l'articolo di oggi di Michelangelo Notarianni di questo compagno, (e intanto lo ringraziamo - non perché dica cose favorevoli, ma per l'intelligenza e quindi l'amore di cui si mostra capace, intelligenza critica - lo ringraziamo) che dice che forse la filosofia radicale... che non c'è, non consente di sperare; lo consente questa cosa sulla fame, ma come fatto politico "per tutti" (e per noi, ormai, è, fatto politico per tutti, da qualche anno); e che - è normale, compagni - non è problema dello scivolo, certo, non è il problema del gallone del FUORI con il quale ci dobbiamo fregiare al tavolo... Questo gruppo radicale che lascia sgominare gli handicappati, gli omosessuali e via dicendo, tutte le altre cose... »l'impoverimento nostr
o... Semplicemente il problema è di ricordarsi che si deve essere »anormali ma che non si deve volere invece costituire delle piccole logge corporative, che servano la normalità di questo gruppetto o di quell'altro gruppetto di normali nella anormalità: questo, semmai, è il nostro problema.
Credo, cari compagni, che sullo statuto, sulla strategia, sulla politica, nell'umiltà necessaria in democrazia - per la quale siamo giustamente in crisi, ed è crisi di abbandono: »Ma è meglio farsi una scopata, una pippa, una bevuta, una drogata, non ce la faccio, basta , non facendo così amore... badate, il delitto non è che non si fa politica, ma in quel momento si consumano, appunto, anche amore, crescita, dati personali e politici, la cultura, il cinema, il fumo...
Vincere innanzitutto al nostro interno
Dobbiamo allora avere uno statuto nel quale dobbiamo prima vincere al nostro interno, innanzitutto all'interno di ciascuno di noi, e poi all'interno della nostra organizzazione, tutto il male, tutto il diverso, tutto l'uguale che ci verrà dopo, nel giorni successivi, da fuori. Di questo sono convinto; che quando, compagni, abbiamo ragione dei nostri scetticismi e delle nostre miserie, quando ci riuniamo assieme, allora la storia del Partito Radicale che vince, e convince, non può non andare avanti; perché il nemico è in noi stessi, non solo in termini intimistici, personali, ma grazie al nostro statuto libertario, è innanzitutto nei nostri comportamenti e fra di noi, e non in questo o in quest'altro di noi: "è in noi, fra di noi".
C'è chi poi può lucidamente scegliere di rivestirsi di un certo ruolo, per comodità ed interesse; e anche costoro sono legittimamente ospitati nel nostro partito; ma, appunto, siamo tutti uguali da questo punto di vista, i demoni sono interiori a ciascuno - sono interiori quelli che ci vengono catapultati dal tempo, dalla società, dal mondo, dalla cultura, dalla storia che viviamo e dalle storie che viviamo - e quindi, se ce la faremo ad andare avanti e con slancio, malgrado, non voglio dire le imboscate, le tentazioni delle imboscate...
Compagni, ecco perché al termine di questa replica - e anche del congresso per quello che mi riguarda e come l'ho vissuto - sento il dovere di non intervenire più. In questo modo faciliterò forse le tentazioni delle imboscate...
(interruzioni)
...Può darsi che annunciando che non intendo intervenire ulteriormente nel congresso, è perché spero che altra parola possa venire che mi esprima e mi esprima nel meglio da parte di altri compagni, da parte di Giovanni Negri o da parte del segretario del partito, da parte di noi, non importa; ma credo di aver dato il mio contributo. E se mi consentite dinanzi alle lotte belle, ma drammatiche che ci aspettano, non vorrei dovere lottare allo spasimo contro qualcuno "nel partito". Mi rifiuto di farlo; aspetto; e domani continuerò a fare il mio mestiere di radicale.