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Sofri Adriano, Pannella Marco - 27 settembre 1981
PANNELLA E' PAZZO? FORSE. E NOI?
di Adriano Sofri

SOMMARIO: Intervista a Marco Pannella negli uffici dei radicali al Parlamento Europeo. [l'intervista appare sul numero del giornale che esce in concomitanza con una importante Marcia Perugia-Assisi ed è parte di un servizio di tre pagine dedicato al tema della fame nel mondo, n.d.r.]. Pannella, che sta effettuando un digiuno, è arrivato da Strasburgo, è in partenza per New York...

Con quali obiettivi? Attualmente, sta raccogliendo le firme dei parlamentari europei sulla "risoluzione" presentata al P.E. I risultati sembrano ottimi, anche superiori alla raccolta delle firme dei Premi Nobel sull'appello. Firmano i deputati della sinistra ma anche quelli di destra. Sola reticenza, quella del PCI.

Il problema, secondo Pannella, è semplice: si tratta di salvare tre milioni di vite umane per dodici mesi. basterebbe che un Capo di Stato lo decidesse, e sarebbe possibile avviare tempestivamente le procedure necessarie: basterebbe del resto "rafforzare e coordinare operazioni già esistenti nelle zone a più alto tasso di mortalità"...

Domanda: "dove scegliere la regione di questo intervento?" Risposta: nelle "oasi" più diseredate, per "aggredire i tassi di mortalità" con interventi mirati e un "aiuto integrato" come si è fatto, ad es., in Cambogia; e tutto questo "attraverso una conversione delle strutture militari". Si tratta di realizzare un intervento di "emergenza" da cui possa partire un "processo strutturale".

Se si avviasse un simile processo "potranno gli altri restare fermi?" O non nascerebbe invece una "nuova emulazione?" Pannella esamina quindi le "obiezioni maggiori" al progetto, dai "pregiudizi ideologici" alle "diffidenze" di paesi che già realizzano una politica di aiuti ma non amano quello che a loro sembra "assitenzialismo", ecc.

Per quanto riguarda i "pericoli di guerra", Pannella

disegna una ipotesi di politica svolta da un "governo" radicale: dalla uscita dal patto militare Nato alla denuncia del totalitarismo sovietico, all'avvio di una politica di difesa nonviolenta a partire dal disarmo unilaterale (che non significa affatto "cedimento"...). Pannella avverte infine di non voler essere "solo" in questa campagna, perché ciò sarebbe un errore e non andrebbe bene.

(LOTTA CONTINUA, 27 settembre 1981)

(A quasi un mese di digiuno, con un obiettivo da capogiro: strappare alla morte per fame tre milioni di persone)

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Bruxelles, 22 settembre

Per incontrare Pannella, e far raccontare a lui le ragioni e le speranze della sua lotta, sono venuto a Bruxelles, negli uffici del parlamento europeo. Uffici strani. Le stanze dei radicali assomigliano, più o meno, alle stanze dei radicali, da ogni parte del mondo. Poi ci sono altre stanze, numerosissime, con tavoli sgombri, sedie vuote, scaffali nudi, porte spalancate, e targhette col nome dei deputati titolari: ci si chiede se sono già andati via per sempre, o se devono ancora arrivare per la prima volta.

Pannella è arrivato oggi da Strasburgo; sta per partire per New York, facendo una rapida sosta a Parigi. Poi di nuovo a Strasburgo, e domenica conta di essere a Perugia. Moltiplicare l'attività durante il digiuno è per lui una norma. Secondo qualcuno esagera. E' dimagrito, finora, di 14 chili. A un giornale francese ha spiegato: "Per i mass media la questione è chiara: al contrario del maiale, che si vende bene quando è ingrassato, lo scioperante della fame si vende tanto meglio quanto più è calato di peso. E' la legge del mercato...". Mi dice della risoluzione presentata al Parlamento europeo, ormai avviata a raccogliere una clamorosa maggioranza di firmatari.

"Firmano, uno per uno, nonostante che nessun capogruppo abbia deciso di aderire. E non solo i deputati di sinistra. Dei conservatori inglesi, che sono una specie di reparto prussiano del parlamento europeo, ha già firmato oltre un terzo. Hanno firmato Tyndemans, Zaccagnini, Gonella. Hanno firmato gli indipendenti di sinistra italiani, Baduel, Glorioso, Carettoni, Ippolito, Squarcialupi. L'unico gruppo che, compatto, non ha firmato è quello del Pci.".

Come mai questo risultato sorprendente?

"Perché la gente, quando sbatte contro il problema, ci sta. Se circola l'informazione lo sterminio è vinto, e questo vale già per gli uomini politici, che molto spesso non hanno idea dei termini del problema, e tantomeno di come sia possibile affrontarlo".

Già l'appello dei premi Nobel aveva riscosso un'adesione eccezionale, 54 firmatari.

"Non l'avremmo mai sperato. Prima, documenti collettivi di Nobel non avevano mai raggiunto le dieci firme. E ce n'e stato qualcuno, come Pauling, che non ha firmato perché trovava addirittura che non fosse abbastanza sottolineato il nesso col disarmo! Peraltro ce ne sono stati (meno delle dita di una mano) che avrebbero voluto condizionare l'adesione a un pronunciamento per il controllo delle nascite, o, come un vecchio grande scienziato, che hanno detto che è proprio terribile veder morire tanta gente, ma o muore lei, o moriamo tutti..."

Perché una così risoluta avversione del Pci?

"Non è una novità. Basta sfogliare gli atti parlamentari italiani. Il Pci si è opposto all'autoconvocazione, si è opposto alle iniziative simboliche (e gratuite) come la settimana di lutto, ecc. Sarà un caso, ma nel periodo dell'unità nazionale è stato toccato il livello più basso nella quota di aiuto italiano al Terzo Mondo: e sì che era difficile scendere".

Vediamo la sostanza di quello che proponete.

"L'uovo di Colombo. Smettere di lasciare che la gente crepi oggi in nome della necessità di uno sviluppo a venire".

Prova a descrivere quello che può accadere, nei dettagli, come in un sogno.

"E un sogno realistico, a occhi bene aperti. La cosa comincia con un capo di uno stato e di un governo - facciamo conto che sia l'Italia - che va in Tv e annuncia una dichiarazione di guerra alla fame. Ne spiega, semplicemente e precisamente, i termini. Obiettivo: salvare per dodici mesi la vita di tre, quattro milioni di persone; localizzazione, procedure, strumenti, costo. Contemporaneamente vengono convocati i ministri competenti (Difesa, Esteri, Sanità, Lavori Pubblici) e i capi di stato maggiore, e si dà loro mandato di concordare un programma operativo, a una data scadenza. Io propongo, per esempio, che l'operatività prenda avvio il primo gennaio 1982. Intanto l'Italia comunica agli altri governi, attraverso i suoi rappresentanti diplomatici e attraverso una delegazione speciale alle Nazioni Unite, che potrebbe essere guidata dallo stesso capo dello stato, la decisione unilaterale di elevare la propria quota di aiuti allo sviluppo all'1,4 per cento. Come nei casi di guerra, si richiede l'intervento di

urgenza. Si invitano a Roma i responsabili di organismi internazionali, la cui cooperazione è determinante per il successo del piano: i signori Morse, direttore generale del Pnud, l'organismo per la programmazione dello sviluppo delle Nazioni Unite, Saouma, direttore della Fao, Williams, del Consiglio Mondiale dell'Alimentazione, Pisani, responsabile della Commissione Europa, e ancora i direttori dell'Organizzazione mondiale della sanità, dell'Ufficio internazionale del lavoro, dell'Unicef. Non si tratterebbe di una conferenza consultiva, di quelle che nella migliore delle ipotesi rinviano alle calende greche, come con qualche buona intenzione ma con un equivoco totale ha appena proposto il ministro Colombo; bensì di una riunione operativa, di applicazione della decisione di salvare, per la durata di dodici mesi, tre milioni di esseri umani. Molto semplicemente, si tratterebbe di rafforzare e coordinare operazioni già esistenti nelle zone a più alto tasso di mortalità, cominciando con il censire i programmi

deliberati e mai attuati".

Come si sceglierebbe la regione di questo intervento?

"Dati alla mano. Il terzo-mondo non è tanto un certo numero di stati, quanto alcune oasi all'interno di paesi diversi, circondate dal quarto mondo. Nel 1995 ci saranno nel terzo mondo 35 megalopoli con più di 5 milioni di abitanti. Prendiamo i 6 milioni e 500 mila morti in un anno in Africa. Con un tasso di mortalità "normale", cioè sempre superiore a quello europeo, ce ne dovrebbero essere 2 milioni e 600 mila. Inoltre si deve tener conto dei paesi più sviluppati, come il Sudafrica, in cui la mortalità media è certo assai più bassa; e della differenza locale, per cui, se nell'insieme del Corno d'Africa c'è un tasso di mortalità medio del 25 per mille e ad Addis Abeba scende a 14 per mille, questo vuol dire che nell'Ogaden si arriva fino al 40-50 per mille. Aggredire i tassi di mortalità non è difficile. L'esperienza della Cambogia è eloquente: in 14 mesi lì si è passati dal 180 al 19 per mille, e la spiegazione non si riduce certo alla fine delle atrocità di Pol Pot. In molti casi la questione è brutalmente

di disponibilità di soldi. Per esempio, l'Organizzazione mondiale della sanità afferma che per far scomparire il paludismo basterebbe un miliardo di dollari. Oppure, di fronte a carestie, occorrono interventi di urgenza per fornire beni alimentari. Se si elimina il paludismo continua la morte per fame e per miseria. Se si interviene in una carestia, continua a sussistere il paludismo (ed anche di certi alimenti si può morire, come è noto). Un coordinamento, che assicuri l'aiuto integrato, è decisivo. E' ovvio, m è incredibilmente raro".

Perché fai riferimento all'impiego di strutture militari?

"Perché non è pensabile oggi nessun efficiente intervento di urgenza se non attraverso una conversione delle strutture militari. Basta pensare ai trasporti, il cui costo falcidia gli aiuti, e i cui tempi ne distruggono l'efficacia. Un esercito che si comporti col territorio della fame, come una truppa di invasione, è l'unico in grado di costruire le infrastrutture indispensabili. E' la differenza tra aspirare che venga costruita una strada asfaltata o decidere di aprire una pista e andare avanti. Ci sono aspetti di questo aiuto che hanno effetti a distanza di giorni, medicinali, alimentari, interventi di medici. Altri che cominciano ad essere efficaci dopo mesi: sementi, utensili, ecc. Per assicurare la durata diventa conveniente o necessario costruire dei silos, dei magazzini. Ecco un esempio del modo in cui dall'intervento di emergenza può essere messo in modo un processo strutturale. Si tratta di gettare una testa di ponte, nient'altro, e garantire la vita. Poi si vedrà. E tieni conto degli effetti ideolo

gici e psicologici, oltre che tecnici, che un impiego di questo genere avrebbe sugli eserciti dei paesi ricchi".

Sembra fin troppo semplice.

"Ma lo è. Se sapessi quali sono le cose che contano concretamente. Per esempio che le lattine di butteroil siano di dieci chili invece che di venti, cosicché le donne possano andarsele a prendere a piedi, e portare sulla testa invece di dipendere dai trasporti centrali. Oppure un cambiamento nella larghezza delle maglie delle reti da pesca, come quello che si è, dopo secoli, realizzato nel Niger, e che per la prima volta rende economica la pesca al di là dell'autosussistenza".

Non viene naturale l'obiezione salvare 3 milioni di persone va bene, ma gli altri 27?

"Ma è proprio questo il punto. Ci sia chi si impegna, per parte sua, a salvare un decimo dei condannati a morte per fame. Potranno gli altri restare fermi? E non è importante che nasca una nuova emulazione? Che i paesi del Terzo Mondo guardino con riconoscimento al ruolo del paese guida? Ha ragione, inoltre, Servan Schreiber quando dice che tra le ragioni della paralisi di immense ricchezze come quelle dei paesi dell'Opec c'è l'assenza, nel nostro tempo, di "grandi cose", capaci di attrarre e di esaltare, e di legittimare investimenti".

Tu dai molto peso al carattere di legalità della vostra azione.

"A maggior ragione in questo campo. Assai più che a Norimberga, un processo contro il genocidio per fame ha oggi una ineccepibile base di diritto. Nelle risoluzioni dell'Onu la condizione del primo e del secondo mondo è già completamente delegittimata. Anche perché si vota più facilmente sui principi (compreso il Diritto alla alimentazione) per non votare sui soldi. Questa però diventa la base più solida di un'azione che intende costringere gli inadempienti - per interesse, per malafede o per stupidità - alla applicazione degli impegni presi".

Quali sono le obiezioni maggiori alla linea dell'intervento immediato?

"A parte i pregiudizi ideologici e gli interessi costituiti, una linea come questa suscita paradossalmente, diffidenze maggiori in paesi come l'Olanda o la Danimarca, in cui più tradizionale è una politica di aiuti, cosicché si diffida dell'assistenzialismo, si mitizza lo sviluppo, etc.

Tuttavia un uomo come Gunnar Myrdal molti anni fa sosteneva posizioni simili alla nostra, ma fu frettolosamente liquidato come umanitario".

Voi, pur insistendo sul nesso fra lotta alla fame e opposizione agli armamenti, attribuite comunque alla prima una priorità morale.

"E' più giusto dire politica, se non nel senso che il rispetto per la vita viene prima di ogni politica e il rispetto per la vita altrui, per il suo carattere laicamente sacro, è la condizione del rispetto per se stessi. La morte accettata fuori di sé è già accettata dentro. E comunque, anche nel senso più strettamente politico, che cosa ci si può aspettare sulle pensioni o sulla disoccupazione da chi accetta di convivere passivamente con la morte per fame? Quanto al nesso con la lotta antimilitarista esso è strettissimo - viene quasi da dire la parola malfamata "dialettico". Quello che sappiamo è che non bisogna mai puntare sulla paura, sulla paura fa leva il fascismo.

Comunque le superpotenze e i loro satelliti potrebbero anche, a rigore di cifre, continuare a giocare al rialzo sugli armamenti per un paio d'anni, e trovare lo stesso il modo di far sopravvivere, come enunciava esplicitamente la Commissione Carter, trenta milioni di persone".

Qual è la vostra posizione di oggi sui pericoli di guerra?

"Posso dirti che cosa farebbe un governo radicale. Uscirebbe dal patto militare Nato, restando nell'alleanza atlantica. Non si stancherebbe di ripetere, catonianamente, che il totalitarismo sovietico delendum est - come il nazismo e il fascismo negli anni '30, come i regimi che portano nel grembo, inevitabile, strutturale la vocazione alla guerra. Da anni e anni trattiamo l'Urss con la politica di Monaco, con l'illusione di ammansire il mostro. Torniamo al nostro governo: annuncerebbe il disarmo assoluto entro un termine di dieci anni e ne preciserebbe le scadenze progressive. Si disporrebbe a reagire ad ogni mossa aggressiva dell'avversario con una moltiplicata campagna non violenta, di verità. Impiegherebbe l'efficacia positiva della propaganda, che fa più paura dell'aggressione. Se una quota anche ridotta della spesa militare venisse impiegata per produrre, potenziare, e impiegare la gamma infinita di tecnologie di informazione; se agli atti aggressivi si opponesse il bombardamento della verità, nei mille

modi oggi possibili, tra la gente dei paesi "nemici", si otterrebbe forse un effetto minore?

Chi crede nella corsa agli armamenti come base al negoziato propone un folle gioco al rincaro: i risultati di questa linea stanno sotto i nostri occhi. Chi crede che il disarmo unilaterale sia il cedimento, potrebbe riflettere meglio, anche in termini puramente militari, a esperienze come quella dell'lran, dove è crollato rovinosamente il bastione fortificato dell'occidente: e quello che è successo in Iran non rischia di succedere altrove? E se ci si acconcia a tirare avanti dopo aver subito simili tracolli militari, perché non si potrebbe autonomamente decidere di autorizzare un paese al disarmo, innescando un processo a catena? Perché, quando la Romania dichiarava una disponibilità, si è dilapidata l'occasione?

Noi siamo contro i nuovi missili, contro nuove installazioni militari, contro la bomba N. Ma sappiamo anche che in una società in cui la stragrande maggioranza dell'investimento per la ricerca riguarda l'apparato militare, è una illusione insensata quella di limitare il livello tecnologico degli eserciti".

Qualcuno dice che, dopo l'Irlanda, o non si ricorre più allo sciopero della fame, o si deve morire.

"Con altri due deputati europei, avevo fatto un appello per la elezione a deputato di Bobby Sands. La stampa conservatrice inglese ci accusò addirittura di essere responsabili del suo successo. Altra cosa è la vocazione necrofila degli ufficiali dell'Ira. Quanto all'obbligo di morire, lo aveva già detto, da par suo, Montanelli: "O Pannella morirà, o si sputtanerà".

Non è una forma smisurata di superbia, questa tua, di farti carico di milioni di persone?

"Intanto io non sono solo; e anzi, raramente abbiamo lavorato tanto insieme come nel corso di questa lotta. Non superbia, non credo. Ci penso molto. So, e non da oggi, già da quando nel 1953 mi capitò di assumere la presidenza dell'Ugi - che non era il carrozzone di politicanti che è diventato poi - so che una cosa che dipenda solo da me, è una cosa che non va bene. Quello che un uomo politico come io sono, e rivendico di essere interamente, può fare di buono e di importante dipende da molti fattori, e anche dalle qualità e dalla mediocrità degli altri politici. Io ho dalla mia, questo sì, la lunga durata delle mie speranze e del mio amore".

Se ora ti telefonasse un ragazzo, e ti dicesse che è completamente d'accordo con te, e vuole fare anche lui uno sciopero della fame a oltranza, che cosa gli risponderesti?

"Di lasciar perdere, che non c'è bisogno di un suicidio. Il significato di un digiuno come questo dipende dalla storia, dalla cultura che ha dietro. La nostra lotta è un modo di vivere - non un'attività particolare, né un modo di morire. Direi a quel ragazzo di scrivere ogni giorno una lettera ai giornali, e, se se la sente, di scriverne dieci invece di cercare d'un tratto la forza e la debolezza di un digiuno a oltranza".

 
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