Storia di un ricatto: Democrazia Cristiana, Vaticano, Bankitalia, P2, Mafia, Servizi Segretidi Massimo Teodori
SOMMARIO: Questo libro sulla vicenda Sindona - il cui autore è stato membro della Commissione d'inchiesta parlamentare - offre una interpretazione complessiva - "tecnica" e politica - dell'intera vicenda basata sugli elementi raccolti dalla Commissione stessa.
1. Come, quando e perché si disvela la trama del sistema di potere sindoniano.
2. Perché Sindona ebbe una grande ascesa e quali furono i padrini e gli alleati; quale sistema di potere si è costituito intorno a Sindona.
8. Perché avviene il crack, e come il sistema di potere mostra le sue contraddizioni.
4. Quale azione il sistema Sindona mette in atto per contrastare la caduta, e quali ne sono i protagonisti.
5. Le connessioni del sistema Sindona con la Loggia massonica P2.
6. Il significato della "fuga" di Sindona in Sicilia, quali i ricatti posti in essere, e il ruolo della mafia, della massoneria e dei Servizi segreti.
Massimo Teodori (1938), militante del Partito radicale fin dalla fondazione, nel 1955, è attualmente deputato al Parlamento. Professore di Storia americana, è autore di numerosi libri tra cui "La nuova sinistra americana" (1969) e "Storia delle Nuove sinistre in Europa 1956-1976" (1977), e coautore di "I nuovi radicali" (1977) e "Radicali o qualunquisti?" (1979).
("La Banda Sindona", GAMMALIBRI, maggio 1982)
2.1. Il Vaticano
2.1.1. L 'incontro di Paolo VI con Sindona.
Una domanda ricorre spesso tra chi ha cercato di far luce nella vicenda sindoniana: da dove il banchiere senza tradizione e senza mezzi alle spalle ha preso il denaro per costruire un grande impero finanziario allargando vorticosamente il giro degli affari.
Il Vaticano con le sue grandi risorse finanziarie ha certamente costituito uno dei retroterra di Sindona, sia come finanziatore che come partner in molte imprese nelle quali l'intreccio fra il sistema del banchiere siciliano e la finanza della Santa Sede si stringe alla fine negli anni Sessanta.
Racconta Malachi Martin, un autorevole ex gesuita che ha esaminato in The Final Conclave (New York, p. 24) le vicende del pontificato di Paolo VI negli anni Settanta:
»E' tarda notte nello studio papale al terzo piano del palazzo apostolico. Non c'è stato un tempo e un luogo più esclusivo, sicuro e privato di quello scelto da molti papi in precedenza per incontri ultrasegreti. L'incontro riguarda le finanze vaticane. Questo tipo di incontri è stato riservato al papa per oltre mille anni. Paolo VI è solo con il finanziere Michele Sindona. I papi molto spesso hanno preferito condurre da soli questo tipo di affari ad alto livello. Non c'è traccia ufficiale di questo incontro nel libro degli appuntamenti, come non c'è mai stata in precedenza. In ogni settimana di ogni anno nella storia dei papi, cosi come nella storia dei capi di governo e di stato, dei re e dei presidenti di grandi società, sappiamo che ci sono stati siffatti non-incontri. Paolo VI arriva a un accordo, mettendo la sua firma come papa a un documento contrattuale bilaterale. Il Vaticano è pieno di tali documenti. In virtù di quella firma, Paolo VI impegna e vincola una buona parte della finanza vaticana e dell
e risorse papali. I papi hanno sempre e giustamente considerato se stessi come gli unici amministratori responsabili di quello che è sempre stato chiamato a Roma "il patrimonio di Pietro". La scena è unica soltanto per un verso. Con la sua firma, papa Paolo autorizza il finanziere a vendere gli interessi di controllo del Vaticano (350 milioni di dollari del tempo) nella grande conglomerata Società Generale Immobiliare. Con quella firma Paolo VI consente anche a Sindona l'accesso agli altri fondi del Vaticano per ulteriori investimenti ... E' ora un fatto esplicitamente ammesso che la firma del contratto fra Paolo VI e Sindona avvenne in quelle circostanze. Inizialmente il Vaticano l'aveva smentito, dichiarando che la firma era avvenuta fra Sindona e il cardinal Guerri, un anziano prelato del Vaticano .
L'accordo siglato direttamente da papa Paolo VI nella primavera 1969 fa di Sindona da allora in poi il maggior fiduciario della finanza vaticana, sopravanzando tutti gli altri legami tradizionali fra gli uomini e le strutture della Santa Sede e i banchieri del mondo finanziario cosiddetto "cattolico" in Italia. In questa veste di rappresentante del Vaticano, e quindi di una potenza finanziaria di respiro internazionale pari a quella di uno stato, Sindona può presentarsi sulla scena internazionale con prestigio e potenza, stringendo alleanze e collegamenti che non sarebbero né concepibili né legittimati se si fosse trattato di un singolo banchiere agente per se stesso.
Il valore patrimoniale dei beni mobili e immobili posseduti dal Vaticano era stimato alla fine degli anni Sessanta in 4,8 miliardi di dollari provenienti dai due organismi operanti nel minuscolo stato del Vaticano: L'istituto Opera di Religione (IOR) e l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA). L'IOR, con tre miliardi di dollari stimati in quel periodo, poteva liberamente muovere capitali in tutto il mondo fuori da ogni controllo e regola nazionale. L'APSA amministrava un miliardo e ottocento milioni di dollari, un capitale che aveva avuto origine dalla somma (2,4 milioni di lire del tempo) che il governo italiano del cavalier Benito Mussolini aveva versato alla Santa Sede in forza del Concordato del 1929 quale risarcimento delle confische che lo Stato italiano aveva effettuato all'indomani di Porta Pia.
Alla fine degli anni Sessanta Paolo VI decide di smobilitare gli investimenti italiani spostandoli sul mercato internazionale e in particolare su quello degli eurodollari. Alla base di quella scelta c'è una valutazione negativa della situazione economico-finanziaria italiana, incentivata dalla decisione del 1968 delle autorità italiane di porre fine all'esenzione fiscale per i dividendi delle azioni possedute dal Vaticano, direttamente o indirettamente. Così l'IOR, alla cui testa è andato monsignor Paul Marcinkus, procede nella operazione smobilitazione degli investimenti italiani e entrata in massa sul mercato internazionale. Sindona diviene al tempo stesso il maggior artefice di questa nuova linea d'azione, il consigliere più ascoltato in Vaticano e il partner di gran parte delle operazioni messe in atto dal 1969 in poi.
2.1.2. Origine e sviluppo dell'intreccio finanziario.
La vendita della Società Generale Immobiliare a Sindona, in cui il Vaticano conserva il 3% delle azioni, è il punto di partenza della smobilitazione finanziaria vaticana e dell'intreccio sempre più stretto IOR-sistema Sindona. Per conto del Vaticano, Sindona trasferisce 40 milioni di dollari alla Paribas Transcontinental (una sussidiaria della Banque de Paris et des Pays Bas), e con 15 milioni di dollari viene acquistata in copartnership la Culf and Western. Smobilitando la partecipazione azionaria nelle Condotte d'Acqua (1969), nella Pantanella (1969) e nella Serono (1970, produttrice anche di antifecondativi), I'IOR acquista azioni di una serie di grandi multinazionali - General Motors, General Electric, Shell, Gulf, IBM - e di alcune compagnie aeree, oltre a divenire coproprietario con Sindona della Banque de Financiament (Finabank) di Ginevra e partecipare alla Wolff Bank di Amburgo. Le due banche italiane di Sindona, la Banca Privata Finanziaria (BPF) e la Banca Unione (BU) possono giovarsi di una parte
cipazione azionaria vaticana, oltre che custodire una forte fetta di depositi accumulati oltretevere.
Massimo Spada, il più tipico esponente della finanza vaticana e cattolica, che si trovava alla testa della Banca Unione anche prima che Sindona ne assumesse il controllo, oltre che in decine di consigli di amministrazioni di banche e finanziarie della stessa area (dal Banco di Roma alla Banca Cattolica del Veneto, dalla Bastogi alla Italmobiliare, dalla RAS all'ltalcementi), rimane con Sindona a capo della BU ed entra nella amministrazione della BPF (per cui nel 1980 viene arrestato per "concorso in bancarotta fraudolenta pluriaggravata").
Anche i legami proprietari con la banca Hambros di Londra e con la Continental Bank of Illinois presieduta da David Kennedy, già segretario al Tesoro con Nixon e poi ambasciatore presso la NATO a Bruxelles, sono stabiliti grazie alle risorse vaticane e alla loro gestione sindoniana. Una importante finanziaria basata nel Liechtenstein, Fiduciary Investment Services, con sede romana nella banca sindoniana, opera per l'IOR sul mercato americano, acquistando la maggioranza del pacchetto azionario della statunitense VETCO, per cui il Vaticano incorrerà in un incidente che gli costerà il pagamento di una multa per irregolarità di 320.000 dollari.
L'intreccio fra il sistema che Sindona costruisce e il Vaticano è perciò strettissimo. C'è un patto di ferro tra il banchiere rampante e le strutture finanziarie vaticane, un patto che si traduce in operazioni effettuate da Sindona per conto del Vaticano o in vere e proprie copartnerships. Si aggiunga a ciò la stretta colleganza con Marcinkus, il nuovo gestore del "tesoro di Pietro", le comuni partecipazioni in holdings e finanziarie nei paradisi fiscali e la moltiplicazione di affari comuni grandi e piccoli. Fra questi ultimi vi è la messa in opera di efficaci canali per la esportazione di valuta dall'Italia in un periodo in cui si era determinata una vera e propria psicosi di sfiducia sulla capacità di tenuta economico-finanziaria italiana. Gran parte del copioso trasferimento di capitali effettuato attraverso le banche sindoniane nel periodo 1970-1974 passa per l'Istituto Opere di Religione, che ha il vantaggio di operare al di fuori di ogni controllo valutario.
2.1.3. Il canale IOR per l'esportazione di capitali dall'Italia.
Nella deposizione alla magistratura, un funzionario sindoniano, Gianluigi Clerici, direttore generale della BPF, membro del comitato esecutivo della Finabank e procuratore della MOFI, descrive analiticamente la tecnica del passaggio del denaro dall'Italia alla Svizzera effettuato tramite un conto dell'IOR sulla BPF collegato con un conto cumulativo MOFI sulla Finabank di Ginevra da cui partivano le somme dirottate tramite depositi verso investimenti internazionali passando per un'altra scatola finanziaria sindoniana, la Liberfinco. E' assai probabilmente questa la strada attraverso cui anche gli "eccellenti" esportatori di valuta, noti con la denominazione di "lista dei 500" per complessivi circa 41 milioni di dollari, compirono il tragitto di uscita dall'Italia per porre a frutto i loro capitali trasformati in dollari, franchi svizzeri e marchi tedeschi al riparo dalle incertezze e instabilità della lira. Nel momento in cui le banche sindoniane sono al collasso, nel luglio 1974, e si verifica la corsa, da u
na parte, al salvataggio delle banche nell'interesse di Sindona, e dall'altra al recupero del denaro dei depositanti transitato attraverso le banche in un vorticoso e oscuro giro internazionale, in prima fila si trova proprio l'IOR, seguito appunto dagli esportatori di capitale, fra i quali i "500".
Il cosiddetto "cordone sanitario", cioè il blocco dei rimborsi, istituito nel luglio 1974 dall'autorità monetaria competente, la Banca d'Italia, è rotto in favore dell'IOR e degli esportatori di capitali, "i 500", che probabilmente avevano usato il canale vaticano come canale tecnico di esportazione. Quello stesso Luigi Mennini, presidente dell'IOR, che personalmente concordava con la sindoniana BPF le modalità del passaggio delle somme all'estero, impone agli uomini del Banco di Roma nel luglio-agosto 1974, e fa direttamente pressione sulla Banca d'Italia, affinché le somme IOR, per milioni di dollari, siano rimborsate puntualmente alla scadenza dei contratti, cosa che avvenne, nonostante le direttive generali che avrebbero dovuto escludere i rimborsi sia dell'IOR che degli esportatori di valuta, camuffati da depositi fiduciari bilaterali fra BPF e Finabank (entrambe con partecipazione azionaria vaticana).
Questi e altri episodi dell'estate 1974, al momento della crisi e del crack, stanno ulteriormente a dimostrare quanto fossero stretti fino alla coincidenza gli interessi vaticani con quelli sindoniani, consolidatisi nel corso di un quinquennio con piccole e grandi operazioni finanziarie internazionali anche illegittime come l'esportazione dei capitali.
L'effetto dell'alleanza talora divenuta simbiosi fra Vaticano e Sindona è duplice: da un lato la legittimazione di Sindona sul piano interno e internazionale, che gli consente di ascendere nell'obiettivo della creazione di un impero finanziario; e dall'altro il potere acquisito da Sindona nei confronti delle autorità italiane, che vedono in lui non più e non solo un banchiere privato, ma l'ombra di San Pietro. Questo retroterra è certamente una delle chiavi di lettura del sistema di potere Sindona.
2.2. Il Banco di Roma
2.2.1. La nomina di Maffo Barone ad amministratore delegato.
Per muoversi agevolmente sulla scena italiana, Sindona ha bisogno di stabilire alleanze nel mondo bancario lavorando nelle contraddizioni di interessi che contrappongono gruppi a gruppi di banchieri, primo fra tutti quello tradizionale tra finanza cosiddetta "laica" e finanza cosiddetta "cattolica". In questo quadro si deve considerare il rapporto privilegiato che Sindona stabilisce con il Banco di Roma, elemento di punta della finanza cattolica con partecipazione vaticana dell'IOR: un rapporto che diviene alleanza negli anni 1973-1974 e che poi si tramuta in connivenza nel periodo del caos e della crisi delle banche sindoniane (estate 1974), e quindi in conflitto dopo il crollo del settembre 1974, analogamente a quanto avviene con altri gruppi (per esempio con quello di Roberto Calvi).
La nomina nel marzo 1974 di Mario Barone a consigliere delegato del Banco di Roma, con una procedura innovativa avallata dall'lRI che porta da due a tre i consiglieri delegati, deve essere inquadrata, secondo alcune dichiarazioni, anche come il frutto delle pressioni di Sindona al fine di mettere un uomo in qualche modo a lui collegato al vertice di una delle tre banche di interesse nazionale. Certo è che Barone è protetto da Giulio Andreotti, che in questo periodo si avvale della "consulenza" di Sindona; e che la nomina di Barone risulta dovuta proprio alla pressione di Andreotti, come esplicitamente dichiara Fanfani di fronte alla Commissione quando afferma che si doveva riconoscenza all'ex presidente del Consiglio per aver accettato di rientrare al governo (Rumor) dopo un periodo di assenza. E' anche certo che Fanfani, allora segretario della DC, e tutto il partito di maggioranza relativa, hanno un "debito di gratitudine" con Sindona per avere egli messo a disposizione della battaglia referendaria contro
il divorzio ben due miliardi di lire, oltre a molte altre donazioni, e intrecciato comuni affari. Bordoni riferisce che il 31 marzo 1974 Sindona brinda alla nomina al Grand Hotel di Roma con Barone presente, dopo aver fatto telefonate di ringraziamento a Fanfani e Andreotti, e gli dice: »E' l'inizio di una collaborazione finanziaria fra il Banco di Roma e il mio gruppo , e »questo [Barone] è l'uomo con cui tu dovrai vedertela in futuro .
Le dichiarazioni di Bordoni non sono certo attendibili al cento per cento: ma non v'è dubbio che la nomina di Barone avviene in un clima di intesa e di collaborazione fra Sindona e Banco di Roma, con alle spalle il padrinaggio della Democrazia cristiana e del Vaticano. Barone, nominato responsabile del settore internazionale della banca, giocherà nei mesi successivi un ruolo importante nelle relazioni con le banche sindoniane, con cui del resto il Banco di Roma aveva già avuto momenti di stretta collaborazione.
2.2.2. I legami privilegiati con Sindona.
Sono del resto inspiegabili due aspetti dell'attività del Banco di Roma che lo vedono operare insieme al gruppo Sindona fin dal 1973, se non in chiave di collusione e di reciproco appoggio per ragioni di politica complessiva. La banca di interesse nazionale durante il 1973 si avvale dei servizi di una finanziaria costituita da Sindona e da Bordoni, la Moneyrex, per operazioni che avrebbe tranquillamente potuto compiere in proprio: nel bilancio di un anno della finanziaria, il Banco di Roma risulta il maggiore cliente come quota di servizi effettuati dalla istituzione sindoniana diretta dal "mago dei cambi" Carlo Bordoni. E ancora più misteriosa, se non si ricorre alla chiave di interpretazione delle direttive politiche, è la ragione per la quale due prestiti internazionali all'Italia, effettuati dal CREDIOP-ICIPU rastrellando denaro sul mercato estero attraverso consorzi di banche e curati dal Banco di Roma in data 27 luglio 1973 e 31 dicembre 1973, sono appoggiati e fatti sottoscrivere come capofila dalla s
indoniana Franklin Bank di New York.
Il prestito del luglio 1973 vede come sottoscrittori il Banco di Roma-nassau e la Franklin Bank; il secondo, del dicembre 1973, per il quale il Banco di Roma è solo agente e responsabile, appoggia gran parte del prestito (132 milioni di dollari) alla banca sindoniana, che peraltro non riesce a far fronte agli impegni presi e con un rapido giro cede le proprie obbligazioni alla Edilcentro International-Nassau di Sindona e poi al Banco di Roma-Nassau. Il tutto non senza aver prima pagato una ingente tangente di 200.000 dollari, sotto ricatto della scadenza contrattuale, alla Franklin Bank sindoniana in procinto di entrare in crisi. Questa complicata operazione non ha altro senso se non quello di dare prestigio internazionale a Sindona, già sotto il tiro delle autorità di controllo statunitensi, offrendogli ancora una volta la possibilità di figurare come un "benefattore" dell'Italia. Di questa triste vicenda fatta di connivenza e di compiacenza portano le responsabilità il Banco di Roma e, probabilmente, se ci
furono autorizzazioni o magari direttive e orientamenti, il vertice della Banca d'Italia che acconsentì che in una operazione ufficiale di un ente pubblico (CREDIOP) giocasse un ruolo di primo piano Sindona, con l'unico obiettivo di offrirgli una copertura internazionale.
2.2.3. Il prestito dei 100 milioni di dollari e la gestione delle banche sindoniane.
Quando nel maggio 1974 Sindona è in difficoltà, si rivolge al Banco di Roma per un prestito. Era ovvio che in Italia l'interlocutore privilegiato e più malleabile fosse la banca controllata da amministratori legati alla DC con la quale aveva già intrattenuto svariati rapporti di affari.
Il 20 giugno, bruciando tutte le tappe e le prescritte procedure, il Banco di Roma concede un prestito di 100 milioni di dollari alle banche del gruppo sindoniano, facendolo transitare per il Banco di Roma-Nassau a firma del responsabile esteri Mario Barone. Il prestito - come è stato ampiamente e dettagliatamente messo in risalto da più di un documento in sede giudiziaria, in sede di liquidazione e nella stessa relazione parziale della Commissione (presentata al Parlamento il 28 luglio 1981 ) - è effettuato con procedure illegittime sia per la mancata e posteriore autorizzazione dell'Ufficio Italiano Cambi, sia sotto l'aspetto delle garanzie offerte da società (Finambro, SGI), che per le loro consistenze patrimoniali non avrebbero potuto farlo, sia per le garanzie di impiego delle risorse messe a disposizione da un ente di diritto pubblico, sia infine per l'altissimo tasso di rischio che l'operazione comportava.
Ma, al di là di questi aspetti tecnici, la sostanza di quest'atto messo in opera dal Banco di Roma con la copertura e l'autorizzazione della Banca d'Italia ha delle gravissime implicazioni di "linea politica".
Di fronte alla crisi del gruppo e delle banche sindoniane, rivelatasi in tutta la gravità non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti, dove erano state scoperte alla Franklin Bank perdite per oltre 40 milioni di dollari in azzardate e oscure operazioni valutarie, la scelta dei dirigenti del Banco di Roma è di inserirsi nella crisi con una deliberata ambiguità di intenti. In un primo momento coesistono nelle intenzioni del Banco di Roma sia la volontà di sostenere Sindona, che quella di assorbire eventualmente il sistema sindoniano; in un secondo momento, la banca di interesse nazionale mira esclusivamente ad assorbire le banche sindoniane scaricando i relativi oneri sulla collettività. E tutto ciò con la benedizione della Banca d'Italia, senza il cui consenso l'operazione prestito non avrebbe potuto essere perfezionata e condotta a termine.
Dopo tre settimane dal prestito dei 100 milioni di dollari, 1'8 luglio, il Banco di Roma si insedia massicciamente nella gestione del sistema bancario e in parte finanziario sindoniano distaccando 40 funzionari alla Banca Unione, alla Banca Privata Finanziaria e alla Edilcentro-SGI che, attraverso le consociate estere a Ginevra, in Lussemburgo, a Nassau e alle 35 Isole Cayman, costituisce il polmone per le operazioni speculative internazionali sui cambi e sulle merci. Attraverso la ricognizione dei funzionari, il Banco di Roma viene a conoscenza dei dettagli del caos sindoniano, delle vastissime irregolarità di ogni tipo, del disastroso stato debitorio e di tutti gli imbrogli messi in atto dalla perversa attività finanziaria e bancaria sindoniana.
Il Banco di Roma va avanti nella finzione della gestione "ordinatrice" del sistema sindoniano ponendosi progressivamente in maniera sempre più esplicita l'obiettivo di assorbire e sostituirsi allo sfacelo sindoniano, mutando così l'originale ruolo di alleato di Sindona in quello di chi vuole partecipare, con l'approvazione superiore e con i costi accollati al contribuente, ai vantaggi della divisione delle spoglie.
11 denaro del prestito, per il quale il Banco di Roma rivendica la reintegrazione della Banca d'Italia, finisce per beneficiare i responsabili del dissesto con l'impiego della somma all'interno del gruppo, senza contribuire in alcun modo al compito del salvataggio. Scrive il commissario liquidatore: »... Sorprende e addolora che 100 milioni di dollari siano stati spesi da un'azienda pubblica quale il Banco di Roma che operava tramite la sua consociata di Nassau, quasi per nulla , (Relazione del commissario liquidatore della BPI, parte II, vol. III).
I responsabili distaccati nelle banche sindoniane di concerto con i dirigenti del Banco di Roma, Ferdinando Ventriglia, Mario Barone e Giovanni Guidi, accettano di farsi invischiare in operazioni se non illecite quanto meno discutibili e, probabilmente, illegittime anche sotto l'aspetto legale, quali l'impiego distorto del prestito dei 100 milioni di dollari, i rimborsi all'IOR, ad altre entità finanziarie sindoniane e a singoli esportatori di valuta ("i 500"), il subentro e poi la collaborazione all'occultamento di operazioni di speculazione internazionale, per conto proprio e per conto terzi, effettuate tramite il sistema Edilcentro-Gemoes in Italia e relative consociate all'estero.
2.2.4. Il balletto fra Carli e Ventriglia.
Non v'è dubbio che tutto il coinvolgimento del Banco di Roma nelle banche sindoniane dal giugno al settembre 1974 sia avvenuto in seguito agli orientamenti e alle direttive impartite dalla Banca d'Italia. A questo proposito il balletto di responsabilità fra Ventriglia e Carli è significativo. Carli parla di "moral suasion", Ventriglia esplicitamente afferma che il Banco di Roma è stato solo "il braccio operativo" dell'Istituto centrale. Tuttavia la sostanza del problema non muta: da una parte il governatore opera costantemente per il salvataggio delle banche sindoniane affidandone la parte operativa al Banco di Roma; dall'altra il Banco di Roma applica le direttive e la scelta di fondo del governatore che vuole il salvataggio per insediarsi fra le spoglie dell'impero sindoniano.
A mano a mano che la situazione si fa più grave (in termini di caos, di debiti, di accertamento di illeciti, di impegni in scadenza), Ventriglia esce allo scoperto rivendicando apertamente il merito del Banco di Roma nell'effettuazione di servizi il più delle volte illegittimi per conto dell'istituto di emissione. Evidentemente la complicità e la connivenza hanno un prezzo. Il consigliere delegato del Banco di Roma mette ripetutamente nero su bianco per cautelarsi di fronte al governatore; il 25 luglio scrive: »11 Banco di Roma ritiene... di poter continuare a dare un contributo alla gestione delle due banche solo attraverso il lavoro dei suoi uomini. Nessuna decisione il Banco di Roma si sente di adottare per quanto attiene al rilievo delle azioni e la conseguente gestione diretta . . . I' onere. . . si aggirerebbe sui 35-40 miliardi... A tanto dovrebbe poi ammontare la compensazione che il Banco di Roma dovrebbe ottenere per il servizio reso alla stabilità del sistema (C.d.A.). Mezzi e forme di tale compen
so saranno da Lei stabiliti e noi saremo pronti ad accettarli .
Successivamente altre lettere (29 agosto e 3 settembre) e interventi di Ventriglia, dopo che l'accertamento stimato delle perdite diviene progressivamente di 74 miliardi e poi di circa 168, rivendicano l'acquisizione della BPI al Banco di Roma e quindi, al momento in cui si profila un progetto di intervento delle 3 BIN consorziate (12 settembre), il primo amministratore del Banco di Roma in maniera scoperta e arrogante chiede "una posizione di comando" e il 51% della partecipazione azionaria nella costituenda banca erede di quelle sindoniane.
Il Banco di Roma da alleato di Sindona si trasforma in esecutore del suo crollo, salvo volerne beneficiare dell'eredità. In nome della "stabilità del sistema" si compiono molti misfatti: si tiene in vita l'organismo sindoniano procrastinandone il crollo con la speranza di evitarlo; si opera non più in difesa dell'interesse generale ma di quello di un istituto di credito pubblico, e nel frattempo si mettono in atto operazioni di malaffare finanziario come il rimborso dei 500 esportatori di capitali. A questo proposito appare ancora oggi incredibile come dopo anni di indagini i dirigenti del Banco di Roma, in particolare Ventriglia e Barone, con il coinvolgimento di Carli, abbiano continuato a tenere comportamenti reticenti quando non ad affermare il falso, in tutto o in parte, su una vicenda in sé minore ma divenuta emblematica dello scandalo Sindona.
Perché tutto ciò accade? E' ragionevole affermare che tutto ciò può avvenire perché prende forma un sistema di omertà e di complicità che partendo da Sindona si allarga a comprendere il Banco di Roma nella sua volontà espansionistica, nonché il retroterra di potenze finanziarie e politiche che sono collegate al Banco di Roma, e cioè il socio Vaticano-IOR e il padrino politico Democrazia cristiana, responsabile della lottizzazione delle nomine in un istituto tradizionalmente demandato alla sua "cura".
2.3. La Banca d'Italia
2.3.1. Le gravi irregolarità riscontrate nelle ispezioni del 197172.
Di fronte alla scoperta della massa di illecità e delle colossali truffe commesse da Sindona con il suo impero finanziario e bancario in Italia e all'estero, sorge ancora naturale un'altra domanda: come è stato possibile che un siffatto sistema potesse prosperare e addirittura essere per un certo periodo indicato come elemento dinamico e rinnovatore del capitalismo finanziario italiano? Le risposte che di volta in volta sono state date in questi anni hanno chiamato in causa l'ignoranza e la segretezza dei meccanismi perversi sindoniani svelati solo a posteriori, oppure l'inadeguatezza di leggi e regolamenti per frenare e imbrigliare la forza di un potere finanziario selvaggio.
Queste risposte non sono soddisfacenti, tantomeno se si passa dal livello della opinione pubblica a quello delle autorità responsabili della direzione monetaria, finanziaria e bancaria. In particolare sono troppi e continuativi gli elementi che provano che la massima autorità in materia, la Banca d'Italia, tenne rispetto alla vicenda Sindona un atteggiamento frutto di una scelta politica di sostanziale protezione o sostegno, in tutto il periodo (fino al crack del settembre 1974) in cui il banchiere sembrava marciare a gonfie vele, anche se non mancano aspetti apparentemente contraddittorii nei comportamenti dell'Istituto di emissione rispetto a un settore o a un altro dell'attività del sistema sindoniano.
La Banca d'Italia con il suo massimo responsabile, il governatore Guido Carli, ebbe molte occasioni negli anni precedenti il crack per impedire legittimamente che il sistema sindoniano continuasse ad agire in maniera perversa e selvaggia, espandendo la propria area di potere e influenza, semplicemente usando gli strumenti che la legge offriva in quel momento. Ma ciò comportava un tipo di decisione che non fu presa.
La prima occasione è offerta dalle ispezioni che l'lstituto, attraverso il settore della vigilanza, compie nell'inverno 1971-1972 alle due banche sindoniane, la Banca Unione e la Banca Privata Finanziaria. I risultati di quelle ispezioni sono chiari: sono accertati gli aspetti di rischio, di speculazione e di irregolarità delle due banche. Per la BPF il giudizio complessivo, relazionato il 17/4/1972, è il seguente: »L'azienda svolgeva in prevalenza attività finanziaria e di intermediazione in cambi e titoli specialmente nell'ambito delle società appartenenti a holdings facenti capo agli azionisti e in particolare a quello di maggioranza.... Nettamente sfavorevole il giudizio complessivo sulla situazione e sull'andamento della Banca, basato sui normali criteri valutativi .
Le irregolarità esaminate agli effetti delle responsabilità indicano: »Violazione dell'art. 38 L.B., conflitto di interessi art. 2301 c.c.; ... irregolare, alterata o omessa registrazione di fatti di gestione; tenuta di una seconda contabilità economica riservata; importi esposti sul mod. 81 vig. notevolmente diversi da quelli effettivi; riserva obbligatoria inferiore al dovuto di lire 1.527 milioni...; presentazione al risconto presso la Banca d'Italia di effetti non scontati e non contabilizzati; consegna di libretti al portatore per L. 2.360 milioni senza ritiro di ricevuta; relazioni fuori zona o eccedenti il limite legale; altre numerose irregolarità nel settore valutario . Perciò la relazione conclude: »Si ritiene che la situazione dell'azienda vada esaminata sotto il profilo dell'applicabilità o meno dell'art. 57 I.b. punti a) e b) . Si propone cioè il commissariamento, la liquidazione coatta e lo scioglimento degli organi amministrativi.
Analogamente per la Banca Unione (24 marzo 1972) il giudizio complessivo risulta: »negativo sia per taluni aspetti tecnici e sia, soprattutto, per i criticabili sistemi di comportamento che vanno dall'istituzione di inammissibili contabilità riservate e dalla mimetizzazione di fatti aziendali, alla carenza di ogni forma di controllo e alle deficienze dell'apparato contabile organizzativo. La gestione dell'azienda è apparsa improntata a criteri di condotta che non si addicono a un ente che esercita funzioni di interesse pubblico ai sensi dell'art. I della l.b. .
E quindi, dopo aver messo in luce una serie di irregolarità: »illecita costituzione di due contabilità riservate...; fidi eccedenti il quinto patrimoniale per L. 16 miliardi (fido complessivo L. 64 miliardi - totale impieghi 39 miliardi) posti in essere abusivamente. alcuni dei quali malgrado l'espresso diniego dell'organo di vigilanza...: infrazioni e manchevolezze valutarie...; servizi di cassa a domicilio non autorizzati; riserva d'obbligo deficitaria di 1. 500 milioni (adeguata nel corso degli accertamenti); riporti passivi simulati; fidi fuori zona abusivi...; impieghi scadenti e molto concentrati, sia per classi di importo (n. 70 assorbono il 69% dei crediti erogati) che per rami di attività economica (oltre il 31% destinato ad attività finanziarie e non commerciali) , Ia relazione conclude indicando la necessità di ricorrere a provvedimenti di rigore quali l'applicazione dell'art. 57 della legge bancaria, e cioè il commissariamento della Banca.
A nessuna delle logiche (e dovute) conseguenze giunge la Banca d'Italia. Con ritardo (per la BU il 24 marzo 1972 e per la BPF il 26 febbraio 1973 dopo ben otto mesi) vengono segnalate le irregolarità alla magistratura la quale, tuttavia, non ha il compito di prendere provvedimenti amministrativi, spettando questi solo alla Banca d'Italia, ma solo iniziative di carattere penale. Queste, con il consueto iter lento, portano a un mandato di cattura spiccato nell'ottobre 1974, quando già Sindona era stato dichiarato fallito e aveva preso la via dell'estero.
Anche la successiva sequenza delle ispezioni, con la sezione vigilanza della Banca d'Italia che invia ispettori nelle banche sindoniane (1972-1973) con compiti assai limitati di semplice verifica contabile, sta a indicare che la scelta del governatore vuole favorire al massimo l'assestamento del sistema bancario sindoniano, fidando nella "buona volontà" del banchiere di regolarizzare la sua posizione, soprattutto dopo il trasferimento di Sindona all'estero, quasi che il carattere selvaggio delle attività bancarie di BU e BPF fosse legato alla persona fisica del Sindona e non al suo sistema di iniziative e di intervento.
2.3.2. Carli sceglie il non-intervento nelle banche.
Un'altra serie di occasioni per "fermare Sindona", il governatore Carli le ha nel corso del biennio successivo alle prime ispezioni, attraverso l'esercizio dei poteri di autorizzazione e di orientamento che sono propri della Banca d'Italia. Carli ha più volte rivendicato a sé il merito di avere contribuito in maniera determinante a bloccare il progetto di dominio di Sindona nei suoi molteplici tentativi di costituire la più grande finanziaria italiana con respiro internazionale. Carli ricorda spesso la sua opposizione al rastrellamento della Bastogi attraverso l'OPA lanciata nel 1972, al disegno che mirava alla fusione di questa con la Centrale e l'acquisizione della Banca Nazionale dell'Agricoltura, e quindi la sua parte nel processo che impedì l'aumento di capitale della Finambro protrattosi per tutto il 1973. Tutto ciò risponde al vero, ma questi atti, probabilmente dettati dalla volontà di impedire un cambiamento di rapporto di forza fra i vari gruppi finanziari italiani, non possono lasciare in ombra al
tre scelte effettuate dalla Banca d'Italia, che favorirono il libero dispiegarsi dell'attività espansionistica sindoniana per ciò che riguarda le sue banche e i gruppi finanziari con esse facenti sistema.
La Banca d'Italia autorizza la fusione fra la Società Generale Immobiliare, che rappresenta il maggiore "capitale" reale sindoniano ex-vaticano, in cui l'IOR mantiene una partecipazione con la Edilcentro. Il gruppo che ne deriva (Edilcentro-SGI-Gemoes-collegate estere) è quello attraverso cui fra la fine del 1973 e la primavera 1974 sono compiute le maggiori attività speculative del duo Sindona-Bordoni su merci, argento e platino, giocando per migliaia di miliardi su posizioni di ribasso, e quindi contro la lira, mentre la situazione dell'Italia attraversava un periodo assai critico.
Il fallimento delle due banche nell'estate '74, con la voragine di debiti, non può essere ricondotto - come sostiene Guido Carli - a una attività fisiologica dovuta al passaggio dal regime dei cambi fissi a uno di cambi fluttuanti (come nel corso della Herstatt Bank e, in parte, della stessa sindoniana Franklin Bank), ma proprio in massima parte al collegamento e al trasferimento di capitali fra BU e BPF e la Edilcentro, che si era posta al centro di una intensissima attività speculativa.
Alla fine del 1973 la Banca d'Italia autorizza la fusione per incorporazione fra la Banca Unione e Banca Privata Finanziaria, cui segue il benestare del ministro del Tesoro, in un momento in cui era già chiaro, e soprattutto doveva esserlo alla Banca d'Italia, che le due banche si trovavano in uno stato di insolvenza, come del resto afferma il commissario liquidatore Ambrosoli, che fa risalire all'agosto 1973 la definitiva perdita di consistenza degli istituti bancari sindoniani.
Il processo di fusione fra due larve può quindi procedere fino all'ultimo compimento - che avviene paradossalmente nell'agosto 1974 (quando la nuova banca, BPI, sta per essere messa in liquidazione coatta) - proprio grazie alla prima autorizzazione della Banca d'Italia, che in tal modo si fa garante di un'attività bancaria delle cui profonde irregolarità era pure a perfetta conoscenza, sia attraverso le ispezioni che con gli altri strumenti di controllo di cui dispone una banca centrale. Appare in questo quadro tantomeno comprensibile, se non appunto in chiave di legittimazione sindoniana, la scelta di appoggiare dei prestiti internazionali all'Italia effettuati in tre riprese (primavera e autunno 1973, primavera 1974) dal CREDIOP alla sindoniana Franklin Bank. L'appoggio è sì effettuato dalla "banca agente", il Banco di Roma, ma certamente viene non solo autorizzato, ma probabilmente voluto e "consigliato" dalla Banca d'Italia, in possesso di contatti e di informazioni da parte della americana Security Exch
ange Commission (SEC), che aveva già messo gli occhi sugli imbrogli sindoniani anche negli Stati Uniti.
2.3.3. A ogni costo, non far fallire Sindona.
Un'altra scelta di non-intervento, anzi di intervento con l'obiettivo del salvataggio del sistema bancario sindoniano, è compiuta dalla Banca d'Italia nel periodo caldo della primavera-estate 1974. A maggio negli Stati Uniti la SEC sospende la Franklin Bank in borsa; Sindona è in crisi di liquidità: il caos e l'irregolarità delle molteplici operazioni finanziarie compiute attraverso i cosiddetti "depositi fiduciari" regnano alla Banca Unione e alla Banca Privata Finanziaria.
Il governatore Carli consente, favorisce e stimola il prestito del Banco di Roma di 100 milioni di dollari a Sindona, invece di prendere quei provvedimenti drastici di liquidazione coatta che avrebbe legalmente potuto prendere già due anni prima. Si preoccupa dell' "equilibrio del sistema" e continua a volere ignorare la vera situazione di insolvenza e di irregolarità delle banche sindoniane.
Anche quando verso la metà di luglio 1974 gli ispettori (dott. Vincenzo Desario e dott. Calogero Taverna) della Banca d'Italia, entrati nelle banche insieme con l'assunzione della amministrazione da parte del Banco di Roma, comunicano al governatore la voragine di debiti e di imbrogli che sottostà alle banche sindoniane, Carli preferisce non assumere i necessari provvedimenti drastici, fidando sulla possibilità di recupero affidata agli uomini del Banco di Roma. Il governatore ritiene che il salvataggio potrà comunque essere effettuato alla fine, consentendo magari al Banco di Roma di allargare la sua sfera di influenza, con il vantaggio per Sindona di evitare le conseguenze civili e penali di un dissesto.
La liquidazione è evitata in agosto e poi, nella riunione del 12 settembre 1974, Carli fida ancora in un "passaggio morbido", con un progetto di subentro affidato non solo al Banco di Roma, ma anche alle altre banche di interesse nazionale (Credit e Comit) insieme con l'IMI. In questo pervicace disegno Carli deve arrendersi solo di fronte al "no" del presidente dell'lRI, Giuseppe Petrilli, il quale, anch'egli tardivamente e dopo mesi di inerzia quale azionista di maggioranza del Banco di Roma, si decide a non consentire ulteriormente la salvezza di Sindona. La liquidazione coatta viene infine dichiarata con decreto ministeriale il 27 settembre 1974.
Nel periodo che va dal giugno al settembre 1974, mentre gli uomini del Banco di Roma esercitano direttamente la gestione delle banche Unione e Privata Finanziaria, si assiste a un singolare rimpallo fra il vicepresidente e amministratore delegato del Banco di Roma, Ventriglia, e il governatore Carli per le responsabilità sulle effettive scelte di orientamento e di gestione delle due banche sindoniane, che sono in condizioni di fallire ma che nessuno dei due alti dirigenti vuole far fallire. In questo clima si possono produrre ulteriori operazioni al limite della liceità, a partire dagli intricati imbrogli sindoniani che a mano a mano arrivano al pettine: operazioni nelle quali si intrecciano le direttive e i consensi del governatore con gli opportunismi del Banco di Roma che vuole a ogni costo beneficiare dell'eredità sindoniana.
Si effettuano così i rimborsi all'IOR e ai "500", dopo l'inclusione dell'istituto vaticano nel "cordone sanitario" (cioè nel blocco dei pagamenti) e senza che nelle numerose riunioni e nei molteplici passaggi di mano della lista nominativa degli esportatori di valuta si trovasse un banchiere che avesse il coraggio di fare opera di chiarezza e di verità e senza che il governatore sentisse almeno il dovere di segnalare la singolare vicenda all'Ufficio Italiano Cambi. Si impiega il denaro prestato dal Banco di Roma, ma garantito dalla Banca d'Italia, all'interno del gruppo sindoniano, e si compiono molteplici atti tesi a mantenere in piedi due banche che ormai stanno affogando sotto il crescente carico dei debiti. Di tutto ciò è regolarmente e costantemente informato il governatore, il quale partecipa, se pure in posizione non operativa, alla vicenda delle due banche sindoniane con il dichiarato obiettivo di non creare turbative intorno al gruppo sindoniano.
La Banca d'Italia, sia con le ispezioni dirette della sezione vigilanza fin dal 1971-1972, sia con i numerosi altri strumenti di controllo e di informazione della situazione bancaria e finanziaria nazionale e internazionale di cui dispone, era probabilmente l'ente che in Italia aveva la migliore conoscenza approfondita di tutti gli elementi di irregolarità e di spregiudicatezza dell'attività sindoniana. Più dei politici, più del mondo bancario, il vertice della banca centrale poteva valutare a pieno la perversità della spirale sindoniana, la sua corsa al dominio e i rischi di ogni tipo che ne conseguivano per la collettività.
Ci si deve allora chiedere come mai il governatore Carli si sia costantemente attestato per quattro anni su una linea di non intervento per ciò che riguarda le banche e il sistema finanziario ad esse collegato, anche se, come abbiamo detto, partecipò a ostacolare la creazione di una grande finanziaria che sarebbe stata, secondo le sue parole, una "concentrazione esorbitante di potere".
La risposta a questo interrogativo risiede probabilmente nel fatto che Carli vedeva in Sindona il rappresentante di una delle grandi potenze finanziarie agenti in Italia, il Vaticano, di cui conosceva gli stretti intrecci con il banchiere siciliano. Carli si muove secondo un'ottica di rispetto dei vari poteri agenti in Italia: e l'"equilibrio del sistema" che molte volte è richiamato come l'obiettivo da preservare, in questo caso deve essere letto come l'equilibrio dei vari gruppi di potere bancario e finanziario, di cui certamente Sindona con l'alleanza con il Vaticano del 1969 entra a far parte.
La conferma di questo atteggiamento sostanzialmente permissivo nei confronti dell'attività di Sindona, se pure con il distacco che si deve a un parvenu che non fa parte dell'establishment, la si ha nei giudizi che al tempo Carli esprimeva su Sindona, per esempio quando dà buone notizie e risponde in termini lusinghieri al senatore Fanfani che lo interroga, nonostante la Banca d'Italia fosse sicuramente informata della natura dei metodi sindoniani. Del resto anche altre testimonianze segnalano l'atteggiamento di Carli verso Sindona.
Quando Alfred Hayes, presidente della Federal Reserve Bank di New York, prende contatto con il governatore nel febbraio 1974 per conto del ministro del Tesoro americano, per conoscere il suo parere sul banchiere che sta fallendo negli Stati Uniti, la risposta, cauta, fu che: »Sindona era un uomo intelligente e dotato di iniziativa e di immaginazione, che il mondo aveva bisogno di gente come lui, ma compito dei governatori delle banche centrali era quello di controllare e di porre limiti opportuni a persone così ambiziose ed esplosive (J. E. Spero, Il crollo della Franklin Bank, Bologna, 1982).
Del resto, una efficace sintesi di ciò che rappresentava Sindona la si ha proprio nella frase attribuita a Ugo La Malfa, allora ministro del Bilancio: »Mezza Italia si sarebbe mossa in favore di Sindona , che ben evidenzia la rete di alleanze e il sistema di potere in cui Sindona era inserito. E si tratta di un "contesto" che certamente pesò sugli atteggiamenti della Banca d'Italia.
2.4. La Democrazia cristiana
2.4.1. Necessità del rapporto con la classe politica dominante. Intreccio di affari e versamento di contributi alla DC.
La necessità di un solido rapporto con la classe politica dominante, cioè con il potere politico, si rende necessario per Sindona allorché la sua strategia espansiva incontra in Italia i primi seri ostacoli. Nell'ottobre 1971 fallisce il primo tentativo di realizzare una grande finanziaria attraverso l'acquisizione del controllo della Bastogi con il lancio della pubblica offerta, I'OPA. A opporsi al successo della scalata non sono solo i grandi gruppi finanziari italiani gelosi del proprio potere, ma anche alcune strutture controllate o influenzate dal potere politico.
Fino ad allora Sindona aveva intrattenuto rapporti episodici con ambienti politici del mondo cattolico e vicini alla DC: la svolta strategica avviene nel 1972, quando va alla ricerca di un coinvolgimento più stretto con il partito di maggioranza relativa e con alcuni dei suoi uomini in posizioni ufficiali di responsabilità. Dal canto suo la DC, non meno degli altri partiti tradizionali, è alla continua ricerca di denaro per far fronte alle esigenze della macchina partitica.
La creazione di due società finanziarie in Svizzera la Usiris AG e la Polidor AG, con la procura generale al segretario amministrativo della DC, onorevole Filippo Micheli, e al suo collaboratore avvocato Raffaello Scarpitti, risale al novembre-dicembre 1972, essendo segretario della DC Arnaldo Forlani.
I rapporti con i politici ricercati da Sindona si stabiliscono dunque al livello ufficiale, per cui in un memoriale il banchiere afferma candidamente: »Ho detto (a Micheli e Scarpitti) che se avessero fatto operazioni di intermediazione finanziaria, senza alcun rischio e con l'aiuto di qualche amico, avrebbero potuto realizzare regolarmente dei buoni profitti... .
Nel corso di due anni l'intreccio affaristico fra il gruppo sindoniano e gli uomini ufficialmente preposti all'amministrazione della DC, l'onorevole Filippo Micheli e ancor più il suo collaboratore l'avvocato Raffaello Scarpitti, indicato da Sindona e da Pier Sandro Magnoni come "l'uomo-DC", si fa assai stretto. Si pensi che lo Scarpitti disponeva di 4 conti correnti all'Edilcentro, 1 alla Banca Generale del Credito, 3 alla Banca Unione di Milano, 3 alla BPF di Roma e 1 a quella di Milano, solo per citarne alcuni intestati nominativamente. Le operazioni compiute sono molteplici e di svariata natura, alcune completamente documentate e altre di cui la Commissione può solo disporre di indizi e di testimonianze. Si tratta di compravendite di titoli in borsa con l'applicazione di prezzi indipendenti da quelli del mercato, risultate sempre in utile per la copertura offerta dai conti patrimoniali delle banche sindoniane, di operazioni all'esterno delle banche ma con garanzia della Banca Unione, e di operazioni in m
erci e cambi sul mercato internazionale effettuate attraverso le collegate estere della Cemoes e facenti capo a conti cifrati presso la Finabank, la Amincor e altre banche svizzere e statunitensi.
Ad alimentare le casse della DC non sono tuttavia solo gli affari fatti fare dal gruppo Sindona: ad essi devono aggiungersi le donazioni dirette. Nel corso del 1973 e nei primi mesi del 1974 affluiscono puntualmente in un conto corrente dello Scarpitti 15 milioni mensili rappresentanti, secondo alcuni, un contributo fisso a fondo perduto alla DC e, secondo altri, la tangente a Scarpitti per un più ingente contributo alla DC fatto affluire attraverso altri canali. I due miliardi che incontestabilmente furono versati in contanti nel marzo 1974 rappresentano un'altra sovvenzione (per il referendum contro il divorzio) di cui non esiste nessuna prova di restituzione. Che la somma fosse versata a fondo perduto, o che sia divenuta tale nel tempo, è una circostanza confermata dallo stesso Sindona, convalidata dai successivi timori di Fanfani, e che non può essere smentita dalle isolate affermazioni del Micheli basate su elementi ridicoli e non verosimili, e confermata dall'azione per la restituzione intentata dalla
magistratura in base all'invalidità delle donazioni nei periodi prefallimentari.
Accertati questi fatti, è di secondaria importanza stabilire l'esatta entità delle somme percepite e lucrate dagli organi ufficiali della DC, se cioè essa deve essere complessivamente calcolata in 34 miliardi oppure in 11-12 miliardi: il significato di tale passaggio di denaro è l'instaurarsi di un legame di affari e di una conseguente riconoscenza da parte del partito di governo verso Sindona.
Allo stesso modo è poco rilevante la discussione, che pure si è fatta, sulle contropartite di ogni singola operazione, per esempio la nomina di Barone a consigliere delegato del Banco di Roma contro i due miliardi per il referendum sul divorzio. Né per una corretta interpretazione della vicenda interessa stabilire esattamente il confine tra liceità e illiceità delle operazioni italiane e di quelle all'estero, un terreno che è proprio della giustizia. In ogni caso rimane l'accertamento del fatto, macroscopico e gravissimo, che durante un biennio (1973-1974) in cui Sindona è in costante rapporto con le autorità statali e governative per ottenere autorizzazioni e provvedimenti a favore del proprio gruppo, il legame di cointeressenza con la DC, mantenuto a livello ufficiale e formale anche se al tempo segreto, è intenso, continuo e organico.
2.4.2. Il ruolo del senatore Fanfani.
Il senatore Fanfani, allora segretario della DC, incontra tre volte Sindona, tra la fine del 1973 e la primavera del 1974. Si tratterebbe di incontri ovvii se gli argomenti trattati, il legame finanziario fra partito e gruppo, e l'azione di Sindona sulla scena italiana per ottenere concessioni, non configurassero quel rapporto come espressione di un rapporto di potere denso di conseguenze. E' Fanfani stesso ad affermare che il segretario amministrativo Micheli gli chiese di incontrare Sindona perché la DC doveva ringraziarlo per quanto aveva fatto per il partito: una affermazione che esplicita quel legame di riconoscenza del partito di governo verso il banchiere d'assalto per contributi in denaro che non potevano essere consistiti nei soli 15 milioni mensili versati allo Scarpitti durante il 1973.
Da diverse circostanze, non ultima la coincidenza temporale, emerge che l'argomento principe degli incontri, che servirono a concordare anche l'operazione del versamento alla DC dei due miliardi, è l'aumento di capitale della Finambro, che rappresentava in quel momento il maggiore interesse di Sindona sulla scena italiana al fine di tentare una seconda volta la costituzione di un grande polmone finanziario e, al tempo stesso, di drenare liquidità dalle tasche dei cittadini per alimentare il gruppo già dissestato sia per le banche italiane sia per quella americana.
Fanfani telefona a La Malfa per la questione Finambro e c'è da interrogarsi sulla reale portata dell'ipotesi, avanzata da alcune testimonianze in Commissione, secondo cui un terzo della costituenda Finambro sarebbe stato promesso ai politici e in particolare alla DC (attraverso una finanziaria, la Rosalyn Shipping) qualora l'operazione dell'aumento di capitale (portato da 1 milione a 500 milioni, poi a 20 miliardi e, infine, a 160 miliardi) fosse andata in porto.
In ogni caso, il rapporto di Sindona con Fanfani, che sembra essersi stabilito in seguito al suggerimento di Andreotti, sempre abile nei coinvolgimenti e nelle coperture, insieme con la richiesta effettuata, al massimo livello, e la concessione di una ingente somma di denaro (2 miliardi), suggella ufficialmente il riconoscimento di un legame privilegiato fra il banchiere e la DC, legame che passava anche attraverso una trama di altre relazioni clientelari con uomini del medesimo ambito politico che va anche al di là delle singole erogazioni, come quelle di alcune decine di milioni all'lRADES di Flaminio Piccoli e al Centro Pio Manzù di Luigi Preti o di alcune centinaia alla Fondazione Cardinale Spelmann di Andreotti.
2.4.3. Favoritismi, coinvolgimenti e corruzione con i depositi degli enti pubblici.
Questa opera diffusa di favoritismi, coinvolgimenti e corruzione si esprime anche nella corrente di depositi che enti pubblici e parapubblici effettuarono nelle banche sindoniane con la creazione di connivenze che talora sconfinano nelle illegalità e nell'estorsione.
E' doveroso chiedersi perché mai enti di diritto pubblico o con funzione pubblica quali l'INPDAI, I'INA di Mario Dosi, la Finmeccanica di Giorgio Tupini, il CREDIOP e l'ICIPU di Franco Piga e Tom Carini, l'ICCRI e l'Italcasse di Giuseppe Arcaini, la GESCAL di Franco Briatico, l'Ente Minerario Siciliano di Graziano Verzotto, le Federconsorzi, la SOFID dell'ENI, l'IMI, la FATA collegata alla Federconsorzi di Bonomi, le Assicurazioni d'Italia collegate alla INA, la STET, l'INAIL, l'INPS, l'Oto Melara, l'INSUD, il Consorzio Nazionale per il Credito Agrario di Miglioramento di Parasassi, l'EFIM, l'ENASARCO, la FINAM, affidassero i depositi alle banche sindoniane. E si deve trovare una convincente spiegazione del fatto che da alcuni di questi depositi (GESCAL, EMS, ICIPU, ecc.) scaturivano tangenti e provvigioni per trafficanti del sottobosco politico, procuratori, intermediari e brasseurs d 'affaires, oppure direttamente per uomini politici, quali il senatore DC Onorio Cengarle per conto della corrente di Donat C
attin nel caso della GESCAL (insieme con Edoardo e Maria Luisa Ruggero e Lino Jannuzzi), e il senatore DC Graziano Verzotto nel caso dell'Ente Minerario Siciliano.
Non è ragionevole opinare che Sindona, Bordoni e il loro gruppo assolvessero la funzione di dispensatori gratuiti di doni; evidentemente la proliferazione dei depositi su BU e BPF, con gran vantaggio per la liquidità del sistema sindoniano, poteva verificarsi solo in base a una rete di rapporti preferenziali e di alleanze con persone che gravitavano intorno al potere concreto del partito di governo (con il tentativo di allargarlo agli altri elementi del sistema dei partiti tradizionali in primo luogo quelli di governo) il quale, con i rapporti tenuti al centro, legittimava la posizione e l'azione di Sindona.
Non si afferma qui che tutti i depositi di enti pubblici su una banca di così scarso rilievo nazionale facessero parte di un unico disegno varato dalla DC e dai suoi occasionali alleati e trasmesso ai dirigenti degli enti, ma si sottolinea come a rapporti dei vertici DC con Sindona espliciti, pubblici e cordiali corrispondesse un clima favorevole allo stabilirsi di analoghi rapporti di reciproco interesse preferenziale con il sindonismo da parte di dirigenti di enti pubblici che dovevano per lo più le loro carriere alle nomine partitiche e governative.
2.4.4. Il rapporto con Giulio Andreotti.
Il più stretto, duraturo e riconosciuto rapporto di Sindona con esponenti politici è quello intrattenuto con l'on. Giulio Andreotti. Sindona e il leader democristiano si conoscevano da tempo, una conoscenza alimentata attraverso le reciproche relazioni con taluni ambienti vaticani. Dopo il 1972, quando il banchiere si trasferisce negli Stati Uniti essendo fallito il progetto della grande finanziaria in Italia impostato con l'OPA-Bastogi, Sindona afferma di avere incontrato il presidente del Consiglio (dal gennaio 1972) 5 o 6 volte l'anno. La natura del rapporto è significativa in quanto non è legata a specifici eventi ma si configura come una vera e propria collaborazione del tipo di quelle che si instaurano con uomini politici da parte di consulenti e consiglieri che agiscono all'interno di un medesimo orientamento e di una medesima struttura di potere.
»Su specifica richiesta , afferma Sindona, »ho dato ad Andreotti qualche consiglio per il miglioramento della bilancia dei pagamenti e per la stabilizzazione della lira. Egli ha avuto la cortesia (e, trattandosi di me, anche il coraggio) di affermare varie volte che gli ho dato dei consigli preziosi e che sono, opportunamente, validamente e senza interessi personali, intervenuto a difesa della nostra moneta .
Anche prendendo con la dovuta cautela le affermazioni di Sindona, certo è che Sindona tenta di organizzare con il beneplacito di Andreotti un "Prestito Italia" che coinvolga la comunità italo-americana negli Stati Uniti, ed è ricambiato con il pubblico elogio di "benefattore della lira", essendo per ben tre volte accorso con successo in aiuto della moneta italiana in crisi, come risulta dalle dichiarazioni di Andreotti, rese in un pranzo in suo onore organizzato da Sindona a New York, all'Hotel St. Regis, nel dicembre 1973.
E' ancora Andreotti a intervenire negli affari sindoniani facendo pressione per la nomina di Mario Barone a consigliere delegato del Banco di Roma, nomina cui è fortemente interessato anche Sindona, e a suggerire che la nuova banca risultante dalla fusione di BU e BPF sia presieduta da Pietro Macchiarella, già presidente della Banca Nazionale dell'Agricoltura, come risarcimento della mancata nomina a presidente del Banco di Napoli. L'ex presidente del consiglio riceve l'alter ego di Sindona, Pier Sandro Magnoni, cui dà consigli per l'attività del gruppo auspicando che fosse allargato il campo di azione della Società Generale Immobiliare, consigli ricambiati con un caldo ringraziamento per iscritto da parte del genero di Sindona, particolarmente addetto ai contatti politici.
Anche per l'atteggiamento di Andreotti non vi sarebbe nulla da eccepire, se rispondesse a verità quanto egli stesso afferma. che cioè fino al crack del settembre 1974 il banchiere siciliano godeva di indiscusso prestigio internazionale oltre che italiano. Il leader democristiano finge di ignorare che anche negli Stati Uniti, sicuramente dal 1973, Sindona era guardato con sospetto dalla stessa comunità finanziaria di New York come un personaggio di cui diffidare, e che gli stessi alleati di prestigio (gli Hambros di Londra) si ritirarono rapidamente dalle comuni avventure finanziarie. Un presidente del Consiglio non può non sapere che quella comunità italo-americana cui Sindona fa riferimento è intersecata da rapporti con la mafia (come ha ben descritto nei particolari che riguardano Sindona l'ambasciatore Gaja) e che c'era persino stata già negli anni Sessanta una richiesta di informazioni da parte del "Bureau of Narcotics" sui movimenti di Daniel Porco in Italia e sui rapporti fra questi, Sindona, Ernest Ge
ngarella e Ralf Vio, sospettati di traffico di stupefacenti.
Del resto questi sospetti su Sindona erano talmente noti, o almeno lo dovevano essere a chi come Andreotti si trovava al vertice dello Stato, che un giornalista come Jack Begon (protagonista di una singolare storia di rapimento mentre si interessava di mafia, Sindona e traffici internazionali) ne fa oggetto di una trasmissione andata in onda su un'intera rete di stazioni radiofoniche americane il 28 luglio 1972 e nella quale si afferma esplicitamente il legame di Sindona con la mafia, con particolari sugli spostamenti di denaro fra Europa e America, pianificati in una riunione del vertice del crimine tenuta all'Hotel delle Palme di Palermo.
E Andreotti, quando si avvaleva dei consigli di Sindona, o almeno accettava di far credere che se ne avvalesse, legittimando ulteriormente Sindona, non poteva neppure ignorare di avere come interlocutore un banchiere denunciato dalla Banca d'Italia alla magistratura per gravi violazioni della legge derivanti da una situazione di caos programmato delle due banche tutt'altro che "prestigiose", e messo sotto inchiesta anche negli Stati Uniti dalla commissione SEC, che aveva inviato in Italia una missione per dare e ricevere informazioni.
L'uomo della strada può essere tratto in inganno dalle immagini artificiosamente costruite, lo statista no: a meno che egli non agisca nell'ambito di una strategia di rafforzamento di una struttura di potere di cui Sindona era parte e le cui conseguenze si svelano appieno nel periodo del dopo-crack, quando Andreotti continuerà a essere interlocutore privilegiato del bancarottiere che, in nome dei precedenti legami, chiederà per cinque anni di essere salvato e minaccerà di ricattare chi gli aveva dato completa fiducia e si era legato a lui per reciproco interesse.