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Spadaccia Gianfranco - 27 maggio 1982
FAME: LETTERA DI SPADACCIA AI PRESIDENTI DELLE CAMERE

SOMMARIO: Lettera di Gianfranco Spadaccia ai Presidenti della Camera e del Senato al 15· giorno di digiuno che sta conducendo insieme ad Athos De Luca, Valter Vecellio e Giovanni Negri per richiede una azione straordinaria volta alla salvezza delle persone altrimenti sterminate dalla fame. Non avrei mai deciso di ricorrere all'arma del digiuno per sostenere proposte della mia parte politica - afferma Spadaccia - ma oggi è in gioco il rispetto e l'adempimento di impegni assunti dalle più alte autorità della Repubblica.

(Roma, 27 maggio 1982)

On.le

LEONILDE JOTTI

Presidente Camera Deputati

Senatore

AMINTORE FANFANI

Presidente Senato della Repubblica

Signori Presidenti,

scrivo questa lettera al 15· giorno di digiuno, un digiuno che conduco insieme ai miei compagni Athos De Luca, Valter Vecellio e Giovanni Negri.

Le vicende politiche di queste settimane, gravemente complicate da tristi vicende personali, mi hanno impedito di esporre Loro i motivi di questo digiuno, che del resto si possono facilmente desumere da alcune interrogazioni e interpellanze da me presentate al Senato della Repubblica.

Dal 1979, da quando cioè il Parlamento si autoconvocò in seduta straordinaria (precedentemente ciò era avvenuto solo in occasione dell'invasione sovietica in Cecoslovacchia), noi abbiamo avuto da parte di tutte e due le Camere una serie univoca di deliberazioni, successive e reiterate, le quali tutte ponevano l'accento sulla necessità di adempiere alla risoluzione dell'ONU sugli aiuti allo sviluppo e sulla necessità di intraprendere una azione straordinaria rivolta a porre al centro della così detta politica dello sviluppo la salvezza delle vite umane altrimenti condannate a sterminio certo.

Nell'ultimo anno, con il Governo Spadolini, alle numerose deliberazioni parlamentari, si sono aggiunti reiterati impegni del Governo, assunti in sede interna davanti al Parlamento e in sede internazionale come ad esempio al summit di Ottawa personalmente dal Presidente del Consiglio.

E' vero che, nel momento in cui si è trattato di tradurre quelle deliberazioni e quegli impegni, in adempimenti legislativi e di bilancio, il Governo con la giustificazione delle difficoltà economiche è stato costretto a porre la fiducia contro la sua stessa maggioranza per impedire che passasse un'altra mozione, presentata e sottoscritta da circa duecento deputati di tutti i partiti.

Ma la stessa mozione del 2 dicembre 1981, su cui pose la fiducia, se eludeva di onorare quegli impegni non li ritirava e non li smentiva ma anzi solennemente li confermava. E confermati risultarono altresì in ordini del giorno, accettati dal Governo, e approvati successivamente sia alla Camera che al Senato.

Desidero anche ricordare che non solo il Presidente della Repubblica, e i Presidenti delle due Camere, ma anche il Presidente del Consiglio in due occasioni espresse personalmente la adesione del Governo al Manifesto appello dei premi Nobel e alla nota risoluzione n. 375 del Parlamento Europeo ricevendo a Palazzo Chigi delegazioni dei premi Nobel firmatari.

Il Presidente del Consiglio si espresse poi con altrettanta chiarezza in una lettera inviata ai Capi di Governo dei paesi della CEE, mentre il Sottosegretario Palleschi annunciò ufficialmente a Strasburgo, immediatamente dopo il voto della succitata risoluzione del Parlamento Europeo, che l'Italia avrebbe tempestivamente assolto, per la sua parte, le richieste di stanziamenti che venivano avanzate.

Quello della necessità non di un generico e futuro sviluppo, che fino ad oggi si è fondato sull'ampliamento dello sterminio e dell'olocausto di milioni e milioni di affamati, ma di un intervento in difesa della vita, per la salvezza delle vite, è stato inoltre motivo ricorrente degli appelli del Capo dello Stato in Italia e all'estero, in innumerevoli occasioni. Da ultimo a Washington il Presidente della Repubblica, rivolgendosi a Reagan, ebbe a ripetere quanto già in tante occasioni precedenti aveva affermato, a Bonn e a Parigi, a Pechino e a Tokio e anche ai premi Nobel: che lo sterminio di tante vite umane "pesa come una condanna sulla coscienza di ogni uomo di Stato e quindi sulla mia".

Non ho bisogno di ricordare Loro che, secondo la nostra Costituzione. il Presidente della Repubblica non ha responsabilità politica. Egli è il rappresentante della Nazione, il custode della Costituzione. E' il Governo che ha la responsabilità politica delle affermazioni, degli indirizzi e degli appelli del Presidente della Repubblica.

Signori Presidenti,

c'era dunque la legittima convinzione che con questo Governo una adeguata assunzione di responsabilità sarebbe stata presa dall'Italia di fronte alle aspettative che si sono create, non solo in Italia, ma anche all'estero, presso le Organizzazioni internazionali e i paesi del Terzo e del Quarto Mondo, questa assunzione di responsabilità non è venuta: è stata annunciata, ma non si è tradotta in coerente e concretamente urgente azione politica.

Anche il 1982 rischia dunque di passare, inutilmente. Anche il 1982 rischia di essere solo un anno di sterminio e di morte. Il Presidente della FAO ha annunciato che i bambini morti per fame e per denutrizione sono passati lo scorso anno da 17milioni a 20milioni: un altro anno di Erode.

Se nel corso di questo anno si vuole fare qualcosa i tempi utili sono ormai brevi: non molti mesi, ma poche settimane restano, per far sì che si realizzi nel 1982 ciò che è possibile, persino facile: contenere cioè il numero delle vittime della fame.

Come Senatore della Repubblica, io mi rifiuto di credere, e di accettare, che le parole pronunciate in Parlamento dai Governi e dalla convergenza di eletti del popolo di ogni parte politica, quelle pronunciate all'estero e davanti al Parlamento dal Presidente del Consiglio, quelle del Presidente della Repubblica, siano parole al vento, parole destinate ad essere dimenticate, cancellate, tradite.

Da nonviolento, non avrei mai deciso di ricorrere all'arma del digiuno per sostenere proposte mie o della mia parte politica: ritengo addirittura doveroso dovervi ricorrere quando è in gioco il rispetto e l'adempimento di impegni solennemente assunti dalle più alte autorità della Repubblica, e di deliberazioni pressoché unanimi del Parlamento.

Mi rivolgo perciò a Voi come naturali garanti dei rapporti fra Parlamento e Governo, con la consapevolezza che l'iniziativa mia non ha motivi polemici, ma nasce dalla speranza che questo tema possa e debba rappresentare un tema di convergenza e unità fra Governo e Parlamento, fra maggioranza e opposizioni.

Mi rivolgo ad entrambi, poiché è l'intero Parlamento, e non il solo Senato - a cui ho l'onore di appartenere - ad essere investito di questa responsabilità.

Gianfranco Spadaccia

 
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