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Cicciomessere Roberto - 1 luglio 1982
L'ITALIA ARMATA: Capitolo 20 - I Grandi temi di fondo:
1) Premessa - 2) La percezione della minaccia - 3) Il modello di difesa - 4) La compatibilità con le risorse del Paese - 5) Conclusioni

SOMMARIO: Esistono »giustificazioni agli inganni al Parlamento e al paese e alle procedure anticostituzionali seguite? - Le ipotesi sono due: o si è ricorso alla menzogna e a pratiche illegali per reagire alle diffuse diffidenze contro gli apparati militari e la loro etica; oppure si è dato soltanto sfogo a »delirio militarista . - Nel primo caso il Parlamento dovrebbe intervenire per democratizzare e razionalizzare; nel secondo, al contrario, non può non mettere in discussione l'entità della spesa, il modello di difesa e gli stessi presupposti della difesa armata. - Il pci è tra le forze che vorrebbero favorire il processo di »democratizzazione ; ma fondando la sua strategia sull'equilibrio delle forze contrapposte della NATO e del patto di Varsavia finisce con l'aggregarsi all'area del potere, ed appoggiare la spesa militare prevista nella legge finanziaria del 1982. - Così, di fatto, si trova a »strizzare l'occhio agli industriali della guerra, e inoltre deve compiere autentici equilibrismi per concilia

re la sua presunta vocazione antimissilistica proclamata sulle piazze con il ruolo che svolge nelle istituzioni, vincolato al principio dell'equilibrio del terrore. - Nella sostanza il pci si configura come il perno del disarmo bilanciato, multilaterale e negoziato sostenuto dalle classi dirigenti, ed è per questo contro la »moratoria condivisa dai radicali, in quanto essa è nell'essenza un'ipotesi di disarmo unilaterale.

("L'ITALIA ARMATA" - Rapporto sul ministero della guerra - di Roberto Cicciomessere - Gammalibri, Milano, luglio 1982)

1) Premessa

Gravi interrogativi sugli inganni al Paese

Ma tutto questo serve perlomeno per difenderci dal le minacce di guerra? Per garantire la pace e la sicurezza del nostro Paese? In estrema sintesi: la strage di leggi e procedure, la manipolazione sistematica degli elementi informativi, l'astuta opera di aggiramento delle prerogative parlamentari, l'imposizione, attraverso l'inganno, di un programma di spese faraonico, attuati dal Ministro socialista Lelio Lagorio, trovano la loro »giustificazione nella ottusa incomprensione da parte dei civili e dei politici delle minacce incombenti sul nostro Paese?

Sono state cioè »solo forzature determinate dallo stato di necessità, per non disarmare pericolosamente davanti al nemico e »garantire un grado accettabile di efficienza del nostro strumento militare commisurato agli obiettivi politici di difesa che l'Italia assegna alle Forze Armate nell'ambito Nato e come Stato geloso della propria indipendenza e del proprio ruolo ? (Lagorio, 26 novembre 1981).

Queste violenze sulla legge dello Stato sono state imposte dalla necessità di rimediare al precedente bilancio della difesa del 1980, »pericoloso e incoerente, frutto di una tendenza che veniva da lontano e che sembrava inarrestabile. Pericoloso, perché metteva il nostro strumento militare in una situazione molto critica per vetustà e per mancanza di mezzi e per noncuranza del fattore umano. Incoerente, perché non rispettava né la volontà del Parlamento espressa attorno agli anni 75 quando fu varato il piano decennale di ristrutturazione e modernizzazione delle nostre Forze Armate, né il vincolo internazionale assunto nell'estate del '78 di un programma pluriennale di aumento della spesa militare del 3% in termini reali ? (Lagorio, 26 novembre 1981).

Bisogna insomma riconoscere al Ministro della Difesa il merito di aver fatto fronte, se pur con alcune irregolarità »procedurali , a »questa situazione insostenibile , stimolando, nel contempo, »la ripresa e la diffusione dei valori che ci derivano storicamente dal Risorgimento e che possono dare una motivazione alla vita, al lavoro e agli obiettivi di 60 milioni di cittadini che popolano questo Paese ? (Lagorio all'inaugurazione della XXXIII sessione del Centro Alti Studi per la Difesa).

Si è trattato solo, con colpevole ritardo, di mettere a disposizione delle Forze Armate le risorse necessarie per farle divenire non solo »elemento di sicurezza, di equilibrio e di difesa verso l'esterno, ma anche una delle componenti primarie della comunità nazionale, riconoscendo quindi loro - come ho già avuto occasione di dire con una frase che inspiegabilmente ha lasciato perplessi alcuni commentatori - un posto ed un giusto peso nella vita del Paese. Un posto ed un peso che consentono loro di non sentirsi - come talvolta in passato - respinte al margine della società, relegate in una sterile funzione subalterna a semplice livello esecutivo ed estromesse da qualsiasi processo decisionale anche di loro diretto interesse ... »un posto e un peso che consentano, tra l'altro, di fugare un allarmante diffuso senso di frustrazione e di sfiducia, nonché la pericolosa impressione che lo Stato non abbia la volontà (o, peggio, non sia più in grado) di tutelare - come sarebbe suo dovere - coloro che ancora lo serv

ono con lealtà e dedizione ? (Gen. Santini, Capo di Stato Maggiore della Difesa, 26 novembre 1981).

Si è trattato di un generoso impeto per rimediare ai »ritardi accumulati in passato con l'avarizia finanziaria di troppi bilanci che hanno mortificato la »parte più negletta dello Stato? (Lagorio, al CASD).

Si è cioè fatto fronte all'»accanimento che in certi ambienti ancora troppo spesso affiora - come anche recenti e recentissimi eventi hanno confermato - contro gli uomini in uniforme, contro coloro che ancora fermamente credono nell'etica delle stellette , accanimento questo che »non è certo costruttivo in questo senso e può avere conseguenze che non dovrebbero essere sottovalutate ... »potrei qui ricordare la campagna contro le servitù militari, contro i poligoni di tiro, contro le aree addestrative, contro lo schieramento avanzato delle truppe, contro i nuovi depositi logistici, insomma contro tutto e tutti ? (Santini al CASD).

O, invece, queste procedure anticostituzionali sono la componente intrinseca, necessaria, di quel »delirio militarista di cui ha parlato, in una specie di transfert, uno che se ne intende: Ponomarev?

Si badi bene che il relatore di minoranza non condivide nessuna delle due ipotesi estreme. Ma ben diverso deve essere l'intervento del Parlamento nel caso in cui si ritenga che ci si trovi di fronte a deviazioni fisiologiche, a forzature, di una struttura essenziale per la nostra difesa, o nel caso in cui tali illegalità siano percepite come la espressione sintomatica di una follia suicida e omicida che si manifesta nel modo più appariscente nella corsa al riarmo e nella predisposizione degli orribili strumenti di guerra.

Nella prima ipotesi si tratta infatti »solo di democratizzare, razionalizzare, riportare nell'alveo costituzionale e legislativo l'attività dell'Amministrazione della Difesa, facendo deperire progressivamente la sua discrezionalità ed aumentando contestualmente i poteri di controllo e di indirizzo del Parlamento.

Nel secondo caso, oltre l'opera di ridefinizione dei poteri e delle responsabilità del Parlamento e del Governo, è necessario mettere in discussione l'entità di spesa, il modello di difesa e gli stessi presupposti della difesa armata.

Il pci strizza l'occhio agli industriali della guerra

Cerchiamo di precisare questo concetto con un esempio reale.

Il partito comunista italiano, attraverso l'opera dei suoi rappresentanti parlamentari, e in particolare del Senatore Pecchioli, responsabile, nella Direzione, della sezione problemi dello Stato, dell'ex deputato D'Alessio, responsabile, nella Direzione, dei problemi militari, del deputato Baracetti, capogruppo comunista alla commissione difesa della Camera, e del deputato Cerquetti, vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle armi, hanno costruito dopo la »svolta del 1975, e cioè dopo la revisione della posizione storica del PCI sulla Nato, una precisa strategia di intervento sulle forze armate finalizzata a quel processo di »democratizzazione di cui abbiamo prima parlato.

Il PCI infatti, dopo aver accettato il noto teorema che fonda sull'equilibrio delle forze militari della Nato e del Patto di Varsavia la stessa possibilità di garantire la sicurezza del Paese, la pace nel mondo e le possibilità di disarmo bilanciato, ha conseguentemente indirizzato la sua azione essenzialmente sul controllo di tre settori: servizi di sicurezza, personale militare, area industriale.

Con la creazione, nel 1977, dell'esclusivo club del Comitato Parlamentare di controllo sui servizi di sicurezza (composto da 8 parlamentari dei soli gruppi DC, PCI e PSI) il Partito comunista ha interamente raggiunto il primo risultato (è marginale, per il momento, esprimere giudizi sui risultati dell'accesso del PCI all'organismo di controllo del Sismi e Sisde, anche alla luce dello scandalo »P2 ) contribuendo a trasferire ad un organismo parlamentare poteri, non solo ispettivi e di indirizzo, ma di »governo dell'organismo di spionaggio e controspionaggio italiano.

Per quanto riguarda il personale, il PCI si è mosso essenzialmente su due livelli, quello dei militari di truppa e quello dei »vertici , attraverso una azione pressante per l'istituzionalizzazione delle rappresentanze militari e con la partecipazione ad un organismo extraparlamentare che fosse sede di »dialogo con le gerarchie militari. La legge sui »principi (L. n. 382 del 1978) ha infatti eliminato l'associazionismo spontaneo, movimentista, dei militari per creare una specie di sindacato dei militari »protetto dalle forze politiche, che avesse come interlocutore privilegiato le commissioni difesa delle due Camere (è, ancora, marginale esprimere giudizi sul fallimento degli istituti di rappresentanza dei militari).

D'altro canto, con la creazione dell'Istituto studi e ricerche sulla difesa - Istrid - presieduto da Paolo Battino Vittorelli, Aldo D'Alessio e Giuseppe Zamberletti, è stato ricucito il dialogo con i generali, rimediando a quella situazione di assoluta incomunicabilità tra il PCI e i militari prodotta dalle residue posizioni di »vieto antimilitarismo presenti in questo partito fino agli anni '50.

Il terzo obiettivo, il controllo dell'area industriale della Difesa, è stato solo parzialmente raggiunto.

Sempre con l'Istrid - Istituto finanziato congiuntamente dal Ministero della Difesa e dalle industrie belliche (allegato n. 20.1) il PCI è riuscito per ora solo ad aprire canali di comunicazione con il mondo industriale militare.

Non sono state invece ancora vinte le resistenze in ordine alla attribuzione alle Commissioni Difesa delle Camere, di poteri sostanzialmente vincolanti sull'attività contrattuale per l'acquisizione di nuovi sistemi d'arma e l'approvvigionamento in generale delle forze armate.

E' questo il punto più delicato, poiché i partiti di governo tentano di difendere con tutti i mezzi la loro esclusiva competenza sugli »affari della Difesa.

Difficilmente però si potrà impedire, alla luce della scandalosa gestione dei capitoli di spesa relativi agli approvvigionamenti delle forze armate, che vengano trasferiti alle Commissioni permanenti diritti di »informazione preventivi e poteri »consultivi che si tradurranno, in relazione alla forza parlamentare del PCI nel Parlamento, in una sua compartecipazione, in collegamento con le organizzazioni sindacali del settore, alle decisioni concernenti il trasferimento di enormi stanziamenti all'industria bellica.

E' significativa a questo proposito la posizione assunta dal PCI nel corso della discussione sulla legge finanziaria per il 1982, presso la Commissione Difesa della Camera. A fronte di una primitiva posizione tendente alla riduzione della spesa per la difesa di circa 1.000 miliardi, il PCI è non solo ripiegato nella semplice accettazione delle variazioni di bilancio apportate dal Senato, in »cambio di garanzie sul controllo dei programmi (allegato n. 20.2 contenente le »osservazioni comuniste e allegato n. 20.3 contenente il sub-emendamento radicale per la riduzione di spesa di 1.000 miliardi), ma ha anche proposto l'autorizzazione, attraverso la legge finanziaria, del programma AM-X, senza attendere l'approvazione dell'apposito disegno di legge (allegato n. 20.4 e allegato n. 20.5).

In Assemblea ha poi proposto un emendamento che recepiva la nota di variazione proposta dal governo, con una sola riduzione di ulteriori 100 miliardi per l'aeronautica (allegato n. 20.9 - nell'allegato n. 20.10 vengono riportati i sub-emendamenti presentati dal gruppo radicale - emendamento e sub-emendamenti non furono discussi in relazione allo »stralcio operato dal Governo di alcuni articoli della legge finanziaria). Ogni dubbio sulle vere intenzioni del Pci sull'aumento del bilancio della difesa è fugato dal »curioso episodio della »scomparsa degli emendamenti comunisti di riduzione delle spese militari dal dibattito sulla legge di bilancio del 1982. Per »errori tecnici questi emendamenti non sono stati dichiarati ammissibili dalla Presidenza della Camera e quindi non sono stati stampati. Il Pci si è del resto ben guardato dal correggere il testo, per cui, neanche formalmente, risulta agli atti la richiesta di questo partito di ridurre le spese di Lagorio.

Anche il Pci ha iniziato a »strizzare l'occhio agli industriali della guerra cercando di conquistare »benemerenze che gli consentano di divenire interlocutore determinante per la definizione dei beneficiari degli stanziamenti per l'acquisizione dei sistemi d'arma.

Questa lunga esemplificazione ci consente di verificare i limiti angusti di un'azione di razionalizzazione dell'attività dell'amministrazione della difesa che si rivela spesso inconcludente o addirittura controproducente. E' infatti fatale che l'assunzione di responsabilità in questo settore, anche se finalizzate alla sua razionalizzazione, portino, in assenza di proposte alternative al modello di difesa, ad una semplice cogestione dello stesso processo di riarmo e di militarizzazione della società. I servizi di sicurezza »riformati si sono rivelati ancora profondamente inquinati e inefficienti (vedi la vicenda P2 e quella relativa al riscatto per la liberazione di Cirillo); gli organismi di rappresentanza dei militari hanno denunciato pubblicamente la loro impotenza perfino nella contrattazione salariale; la spesa militare è praticamente raddoppiata negli ultimi tre anni.

All'interno del »teorema sul bilanciamento delle forze è infatti particolarmente arduo conciliare le varie esigenze connesse alla difesa degli interessi occupazionali e produttivi dell'area industriale, di quelli del personale militare e civile della Difesa, alla »fedeltà , seppur critica, alla NATO e alla »attenzione al movimento per la pace e per il disarmo presente nel nostro Paese.

Giocare insomma contestualmente sulle piazze contro i Cruise e nelle Istituzioni sul tavolo della difesa delle alleanze militari e degli equilibri internazionali, costringe ad equilibrismi particolarmente difficoltosi e pericolosi.

Bisognerebbe infatti lealmente riconoscere che lo schieramento in Europa dei Cruise e dei Pershing è la tragica conseguenza della rigida applicazione del »teorema sull'equilibrio del terrore (altrimenti chiamato deterrente) in relazione all'adozione degli SS 20 da parte dell'Urss. Le modalità di avvio delle trattative e la stessa proposta di moratoria, pur condivisa dal relatore di minoranza, rappresentano purtroppo un dettaglio che non ha la forza di sanare la contraddizione di fondo. La »moratoria è sostanzialmente una proposta di disarmo unilaterale, per questo condivisa alla Camera dal gruppo parlamentare radicale, che mal si concilia però con la concezione del disarmo bilanciato, multilaterale, negoziato e graduale del Pci e della generalità delle classi dirigenti.

Non è un caso che il Ministro Lagorio sia riuscito, anticipando perfino il Presidente Reagan, a parare abilmente l'offensiva del Pci con la nota trovata pubblicitaria dell'»opzione zero che è tanto scontata quanto impraticabile all'interno delle politiche fin qui seguite dalle classi dirigenti al potere, sia in occidente che in oriente.

Definiti quindi i limiti di una azione che prescinda dalla ridiscussione del »teorema prima indicato, tentiamo di ripercorrere criticamente le procedure logiche che lo hanno legittimato per individuare, se esistono, alternative alla difesa armata.

Dobbiamo precisare al proposito che il relatore di minoranza nutre particolare rispetto per il »pensiero militare in relazione alla sua tragica forza ed attualità, e che quindi non intende affatto praticare la strada della critica ingiuriosa e moralistica nei confronti di una dottrina per la sistemazione dei conflitti politici, economici e sociali esistenti nel mondo, di un modello organizzativo della società - il militarismo - a cui è dovuto il riconoscimento per i »successi indiscutibilmente ottenuti nel mondo. Il suo affermarsi come regime politico in un numero crescente di Paesi - ultimi la Turchia e la Polonia - non può consentirci di sottovalutare la sua tremenda forza e di pensare di poterlo sconfiggere senza il possesso di un impianto teorico alternativo altrettanto robusto e convincente.

Questo esercizio dialogico trova però un ostacolo insormontabile nel rifiuto pregiudiziale di alcune delle componenti essenziali del pensiero militare e cioè della violenza, della guerra e dell'organizzazione autoritaria e gerarchica della società che sono elementi costitutivi e ineluttabili della dottrina militarista.

Precisiamo a questo scopo che il termine »militarista non viene usato nel senso dispregiativo, ma come sinonimo rafforzativo di »militare . Sarebbe infatti riduttivo attribuire al pensiero antimilitarista la sola critica dell'esasperazione del pensiero militare, e non la netta contrapposizione allo stesso pensiero militare, così come si è andato consolidando storicamente.

La ridiscussione teorica dei presupposti della politica difensiva militare, che ha trovato in Italia i maggiori sostenitori nella Democrazia Cristiana, ed oggi il suo nuovo cultore nel Ministro della Difesa socialista Lagorio, tenterà di articolarsi all'interno del seguente impianto metodologico:

1) individuazione e riclassificazione della »minaccia alla sicurezza;

2) definizione dei modelli di difesa conseguenti;

3) verifica delle compatibilità del modello di difesa con le risorse economiche.

2) La percezione della minaccia

"Punto fermo della politica militare italiana, secondo Lagorio deve essere l'alleanza atlantica, in quanto avrebbe già assicurato all'Europa trent'anni di »pace ; non ha alcuna importanza, per lui, che frattanto si siano acuite le tensioni, scatenati centinaia di conflitti, se il riarmo è inarrestabile e se milioni di uomini muoiono ai fame proprio grazie alla »pace . - La ricetta del ministro della Difesa è costituita da quattro D: Deterrenza e Difesa, Disarmo e Distensione. Sarebbero obiettivi da perseguire con »dinamismo e con »prudenza . - Il »dinamismo si concreta nell'accogliere subito la richiesta americana di installare missili in Italia; la »prudenza , invece porta a pretendere ulteriori stanziamenti per le armi. - L'Italia, sempre secondo il ministro socialista della Difesa, avrebbe una prevalente funzione intermediaria sia per il dialogo Est-Ovest sia per quello Nord-Sud; tuttavia la esercita adottando solo misure per le quali Reagan ringrazia e gratifica l'Italia del titolo di »alleato più sicu

ro e leale degli Usa. - Alla base del militarismo di Lagorio vi è una concezione della guerra bloccata al modello dell'ultima realmente combattuta; si prescinde dal dato reale che un conflitto nel teatro europeo durerebbe sì e non una trentina di minuti. - Nessuna considerazione per minacce più tangibili, quali quelle che potrebbero provenire dall'arma economica, dalla possibilità che i paesi solitamente in tensione si dotino di qualche arma nucleare, o dalle necessità di rifornimenti energetici. - Proprio quest'ultima necessità è fronteggiata con due misure: rafforzamento militare nel Mediterraneo e sostegno della forza Usa di pronto intervento. Il generale Santini ammette che i problemi della lotta alla fame nel mondo, o della lotta all'inflazione, interessano la difesa nazionale. - Valutazione dei rischi secondo Cremasco. - Una ricerca nell'ambiente dello Stato Maggiore conferma che i focolai di tensione e conflitto sono nelle aree dove si concentrano le materie prime, soprattutto energia, dimostrando co

sì la marginalità del conflitto Est-Ovest rispetto a quello Nord-Sud. - In pericolo non è l'integrità territoriale dell'ltalia, ma la possibilità di approvvigionarsi del petrolio. - Ai produttori di greggio, attraverso il mercato, imponiamo prezzi stracciati, così il Sud del mondo continua a non svilupparsi, anzi a regredire e morire di fame. - Le tensioni mondiali si scaricano nelle aree del sottosviluppo. - Petrolio e fame, secondo lo Stato Maggiore, sono le nuove spade, e tutte le cosiddette cause endogene di conflittualità sono riconducibili al sottosviluppo. In altri termini, fame è sinonimo di guerra. - L'Occidente, per la sua dipendenza dalla tecnologia, non è in grado di risolvere i problemi ecologici, dell'emarginazione, dell'alienazione e della violenza. - Anche la Commissione istituita da Carter affermò essere illusorio affidare la sicurezza nazionale alla potenza delle forze strategiche. - La maggior forza esplosiva del mondo è attualmente il desiderio frustrato dei poveri di vivere in modo decen

te. - Le strategie politiche occidentali comportano l'uso della violenza e il ricorso alla guerra. - Proteggendo le industrie ad alta intensità di lavoro ed a basso contenuto tecnologico si spingono i capitali pubblici e privati verso la mera difesa dei livelli occupazionali esistenti. - Il rifiuto di collocare le risorse nei settori più concorrenziali e ad alto valore aggiunto, nella ricerca di nuove tecnologie e nuovi mercati, determina crisi produttive e di lavoro. - Le ragioni per cui si minimizzano le conseguenze di uno scontro, e si teorizza la possibilità di confronti militari in aree circoscritte, lasciando indenni i territori Usa e Urss. - Improbabile, però, che le strutture militari possano »dosare l'uso delle armi a fusione, ed evitare la »distruzione reciproca assicurata . - Proprio il perfezionamento dei sistemi d'arma, e la relativa impossibilità di modularne l'uso, rappresenta il secondo elemento di rischio che minaccia la pace mondiale. - Una testimonianza sconvolgente dell'ex stratega nucle

are del Consiglio di sicurezza della Casa Bianca: preoccupanti crepe nel sistema decisionale a tutti i livelli. - Tali crepe in Italia diventano voragini; e infatti la classe politica italiana, mentre da una parte favorisce la totale disinformazione dell'opinione pubblica sui problemi della sicurezza, dall'altra delega per intero ai militari le questioni strategiche. - I difetti dei meccanismi decisionali nei paesi democratici occidentali, dove pur esisterebbero gli strumenti per influenzare le politiche dei governi, diventano abissali nei regimi socialisti e dittatoriali, dove ogni dissenso è violentemente rimosso. - Il pericolo di insufficienti livelli di democraticità. - La concezione stessa della »vittoria militare diventa contraddittoria, in quanto la difesa si fonda sulla distruzione totale di ciò che si difende. - Rincorsa senza limiti ad una impossibile parità distruttiva. - Le calamità connesse a fenomeni naturali e agli insediamenti industriali sono concrete minacce alla vita e ai beni degli itali

ani".

Ridicoli gli obiettivi di difesa che propone Lagorio

Deludenti, in relazione alla definizione della »minaccia , sono gli interventi del Ministro Lagorio.

Nel giugno 1980, presentando il suo »libro bianco sugli »indirizzi di politica militare , il Ministro Lagorio ritenne che la definizione della minaccia non spettasse all'Italia, e comunque che fosse stata già individuata nell'Unione Sovietica. Si limitò infatti ad affermare che »un punto fermo della nostra politica militare è l'Alleanza Atlantica. I 30 anni di pace che l'Alleanza ha contribuito ad assicurare in Europa portano a concludere che, sia pure in modo in continua e dinamica evoluzione, l'equilibrio stabilito nel Vecchio Continente fra il patto Nord-Atlantico e il Patto di Varsavia è stato ed è tuttora un cardine fondamentale della sicurezza mondiale . Poco importa se in questi »30 anni di pace si sono scatenati nel mondo centinaia di conflitti militari, se il processo di riarmo ha raggiunto livelli ormai intollerabili, se il disarmo è oggi più improbabile di 30 anni fa, se milioni di uomini muoiono di fame grazie alla »pace garantita dall'equilibrio fra i due Imperi.

Il Ministro socialista non percepisce le minacce ma solo le »tensioni , per ridurre le quali propone la ricetta delle quattro D: »Deterrenza e Difesa, Disarmo e Distensione sono le direttrici sulle quali intendiamo muoverci, con dinamismo ma con quella necessaria prudenza che discende da una valutazione realistica della situazione di fatto e delle sue implicazioni . Solo un anno dopo il Ministro della Difesa ha precisato cosa intendesse per »dinamismo , schierando per primo in Italia i missili nucleari Cruise, ed aumentando, in soli due anni, il bilancio della difesa del 75%. Ancora oscura è invece la promessa di »prudenza avanzata nel »libro bianco . Ma nel corso della redazione del suo documento il Ministro si deve essere reso conto che non è molto credibile la richiesta di maggiori stanziamenti per la difesa senza la contestuale spiegazione e individuazione della minaccia dalla quale dovremmo difenderci. Ecco quindi che accenna timidamente »alle eventuali minacce provenienti da sud verso il Centro Europa

. Dopo aver affermato che l'Italia »intimamente connessa al continente europeo e nello stesso tempo profondamente immersa nel bacino mediterraneo, costituisce dal punto di vista geostrategico l'anello di raccordo tra l'Europa Centrale, il continente africano e il vicino Oriente , il ministro della Difesa scrive che »non va solo presa in considerazione la visione generale e regionale della minaccia, ma va vista anche la funzione intermediaria e qualificante che l'Italia può e deve assumere nel comporre il dialogo est-ovest con quello nord-sud .

E' difficile scorgere, nell'azione del Ministro, gli elementi di una politica tesa a comporre questi ambiziosi dialoghi.

Infatti, come vedremo successivamente, il Ministro della Difesa si è progressivamente preoccupato di spostare al »fianco sud l'attenzione strategica delle nostre Forze Armate, favorendo in tutti i modi le esigenze della »Rapid deployment force degli USA che, a suo modo, rappresenta uno strumento di »dialogo fra i paesi utilizzatori di idrocarburi e materie prime e i paesi produttori di questa ricchezza così essenziale per le nazioni industrializzate. Questa »forza di dialogo , composta da oltre cento mila uomini armati con i più sofisticati sistemi bellici, ha trovato compiacenti basi sul territorio italiano. A questo proposito bisogna ricordare come il Presidente Reagan ha ringraziato, con estrema franchezza, il Presidente Pertini per queste concrete testimonianze di »amicizia fornite dal nostro Governo: »l'Italia è un alleato dei più sicuri e leali , »l'Italia ha trovato la strada assumendo un dinamico ruolo di guida nell'Alleanza Atlantica . Secondo il corrispondente dagli USA de »Il Messaggero , Luci

o Manisco, questi giudizi »sono stati motivati con la decisione del nostro Governo di sostenere a spada tratta l'intento americano di installare gli euromissili Cruise a Comiso, con quella di partecipare con tre unità di Marina alla forza di pace nel Sinai, con la ferma condanna italiana della repressione in Polonia o dell'intervento sovietico in Afghanistan, con l'aumento del nostro bilancio della Difesa al di là dei traguardi fissati dalla NATO e con altri sviluppi che avrebbero confermato l'allineamento del Governo di Roma sulle

posizioni dell'Amministrazione Reagan ,

Più esplicito è stato il Ministro Lagorio nella comunicazione resa davanti alla Commissione Difesa della Camera il 14 aprile 1981. In quella sede affermò che la difesa si propone di »respingere l'aggressione opponendo ad essa una reazione commisurata alla sua gravità; contendere all'avversario, fin dal suo primo momento, il territorio nazionale, limitando l'estensione dell'area coinvolta nel conflitto .

Fin qui il Ministro ci ripropone obiettivi difensivi che, forse, potevano essere attuali nella seconda guerra mondiale ma che oggi, in presenza delle nuove dottrine di impiego dei moderni sistemi d'arma, appaiono semplicemente ridicoli. I War-game più attendibili assegnano all'ipotesi di conflitto nel teatro europeo una durata non superiore ai trenta minuti.

Ma proseguendo nella sua comunicazione, Lagorio finalmente ci comunica il suo pensiero, dando »nome e cognome alla minaccia che attenderebbe alla sicurezza del nostro Paese: »per quanto attiene la minaccia classica, quella derivante dalla contrapposizione Est-Ovest c'è da osservare che essa, sostanzialmente invariata dal punto di vista quantitativo, è sensibilmente aumentata sotto l'aspetto qualitativo . Scopriamo così che la concezione della »minaccia del Ministro Lagorio è strettamente ancorata ad esclusivi canoni militari. Essa cioè si esplica per il solo fatto che un altro paese possieda strumenti militari e non sia legato dalle stesse alleanze militari.

Qual è l'effettiva tipologia della minaccia

Non è intenzione del relatore di minoranza contestare in toto questa modalità di definizione della minaccia, ma solo obiettare che questo criterio impedisce, da una parte la valutazione di altri tipi di minaccia basati per esempio sull'arma economica, dall'altra di graduare la percezione della stessa, non solo sulla osservazione statica delle »armate nemiche, ma soprattutto in ragione dei meccanismi che possono determinare l'uso delle armi. Una riclassificazione della pericolosità delle minacce non può infatti prescindere dalla valutazione di questi altri elementi di rischio.

Anche Lagorio sembra accorgersi, seppur marginalmente, di queste minacce »atipiche : »La situazione mediterranea continua ad essere caratterizzata da uno stato di precario equilibrio dipendente da motivi conflittuali propri e da influenze destabilizzanti esterne, per cui può, in qualsiasi momento evolvere intorno a potenziali focolai di crisi rappresentati da paesi non allineati di incerta stabilità politica interna ed internazionale o da altri Paesi in attrito fra loro a causa di contenziosi non risolti. Se alla massiccia acquisizione di materiali bellici da parte di alcuni Paesi mediterranei si aggiunge, infine, anche la possibilità che, nel medio-lungo termine, qualcuno di essi possa e riesca ad attribuirsi una sia pur minima capacità di offesa nucleare è facile immaginare quali rischi l'Italia potrebbe trovarsi a fronteggiare dato che la dissuasione nucleare è operante nel contesto atlantico e non ha, per tale motivo, credibilità alcuna al di fuori di esso . (Lagorio, Commissione Difesa della Camera, 14

aprile 1981).

Questa ultima affermazione del Ministro socialista sembra piuttosto grottesca se si pone mente all'attività di esportazione di armi ai Paesi del Terzo Mondo e in particolare alla Libia che, sempre secondo le comunicazioni rese da Lagorio nella seduta del 30 settembre 1981, avrebbe un »parco carri armati superiore a quello italiano , disporrebbe di »400 velivoli, all'incirca come l'Italia . Per quanto riguarda la acquisizione di armamento nucleare, è nota la specifica responsabilità del Governo italiano in ordine alla assistenza tecnica fornita all'Iraq per una centrale di arricchimento dell'uranio al fine di produrre il plutonio necessario per l'armamento nucleare (allegato n. 20.6).

Finalmente, rispondendo ai quesiti posti dal Comitato permanente per i problemi della Nato, Lagorio percepisce l'entità della minaccia energetica: »Un nuovo problema però sta caratterizzando l'attuale momento ed è quello dell'energia che non era mai stato avvertito con tanta gravità e che si inserisce sugli altri già esistenti provocandone dei nuovi. L'alto grado di dipendenza delle nazioni europee dalle fonti energetiche concentrate nell'area meridionale ha posto sul tappeto il problema di come garantire le vie del petrolio. Tale problema è divenuto più acuto con l'aggravarsi delle tensioni nella predetta regione petrolifera .

Bisogna rilevare a questo proposito che le soluzioni proposte dal Ministro della Difesa per far fronte a questa nuova minaccia sono due: rafforzamento della presenza militare italiana nel Mediterraneo e sostegno della forza di pronto intervento USA in Medio Oriente. Sul piano strettamente politico l'Italia ha solamente proseguito nella sua strategia »mercantile tendente a garantirsi gli approvvigionamenti petroliferi attraverso una posizione »tollerante nei confronti del Movimento di Liberazione della Palestina e in generale dei cittadini dei Paesi produttori di idrocarburi, anche quando la loro attività assumeva forme criminose e poteva svolgersi impunemente nel territorio italiano grazie alle complicità dei »Servizi (allegato n. 20.7). Naturalmente lo scambio armi-petrolio è tuttora lo strumento privilegiato per garantire il flusso petrolifero indispensabile alla nostra economia.

Un esplicito riferimento alle altre componenti della politica di sicurezza è stato fatto invece dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Santini, il 26 novembre 1981 in occasione della inaugurazione della 33ª sessione del Centro Alti Studi della Difesa. Santini infatti auspica lo sviluppo »più coerente delle molte »problematiche che interessano la Difesa nazionale, tra cui talune, in apparenza ad essa non direttamente collegate ... »cito ad esempio la politica energetica, la lotta all'inflazione, i piani di sviluppo e di industrializzazione, la disponibilità di materie prime, la ricerca scientifica, i criteri per la cooperazione con i paesi emergenti o in via di sviluppo . Queste affermazioni sono particolarmente importanti perché per la prima volta un responsabile della Difesa italiano afferma, per esempio, che i problemi connessi allo sterminio per fame in atto nel mondo, »interessano la Difesa nazionale .

Ma riferimenti più rigorosi alla »trasformazione della tipologia della minaccia sono stati fatti da un ex-militare, Maurizio Cremasco, nel corso del Seminario organizzato dall'Istituto Affari Internazionali sui problemi della sicurezza europea, nel marzo 1982. Cremasco afferma infatti che la minaccia tende »sempre più a configurarsi come minaccia indiretta non-militare , e la individua, per esempio, nei »tentativi di destabilizzazione o di condizionamento politico attraverso gli strumenti economici e finanziari, di controllo delle fonti di materie prime essenziali , nelle »azioni terroristiche più o meno apertamente collegate o manovrate dall'esterno .

Ma, a prescindere dalle considerazioni di Maurizio Cremasco, è piuttosto arduo trovare, fra gli atti ufficiali della difesa, qualche esempio di riflessione dignitosa sul problema della »trasformazione della tipologia della minaccia e, quindi, su quello conseguente della riclassificazione dei livelli di rischio connessi ai grandi fenomeni politici, sociali, economici e militari.

Quando parliamo di »riclassificazione ci riferiamo alla necessità di ridefinire i livelli di pericolosità delle minacce per adeguare il modello difensivo alla prevenzione di quelle che appaiono più gravi. Se, per assurdo, si pervenisse alla constatazione che il maggior pericolo proviene dagli extraterrestri, apparrebbe a tutti perfettamente ridicolo e inutile concentrare tutte le forze sulla »soglia di Gorizia. Così come, nell'altro estremo, se la minaccia maggiore alla vita e al benessere dei cittadini italiani provenisse da prevedibili quanto catastrofici eventi naturali, parimente inutile sarebbe distogliere le magre risorse italiane nella costruzione di armi sofisticate al posto degli strumenti di soccorso delle popolazioni. Si tratta insomma, in poche parole, di definire, con una approssimazione accettabile, il »nemico potenziale, sgombrando evidentemente il campo dal pregiudizio relativo al fatto che il »nemico debba essere necessariamente armato e costituito da un'altra nazione.

Marginalità dello scontro ideologico Est-Ovest

Emerge invece dal mare di banalità, che in parte abbiamo riportato e sulle quali tragicamente si fonda gran parte della dottrina militare italiana, la ricerca sviluppata dai frequentatori di una »esercitazione applicativa di »Strategia globale , nell'ambito del 102· Corso superiore di Stato Maggiore della Scuola di Guerra nell'Anno Accademico 1980-1981. E' merito del ten. col. Francesco Lovino e del ten. col. Guido Caruso di aver pubblicizzato gli esiti del seminario, che ha avuto per tema »il quadro strategico dei conflitti internazionali ed interni nel periodo 1973-1980 nel mondo , sul primo numero del 1982 della »Rivista Militare (allegato n. 20.8).

Nel corso dell'esercitazione sono state considerate otto aree di conflittualità, indicate nella figura 1 dell'allegato 20.8, prendendo in esame »i 95 conflitti, colpi di stato e situazioni conflittuali interne, che si sono verificati nel mondo nel periodo 1· settembre 197331 dicembre 1980 .

Gli estensori del riepilogo ammettono che »il crescente scontro di interessi di varia natura, le contrapposizioni di ideologie e politiche diverse, una frequente non equa distribuzione delle ricchezze e quindi del potere si sovrappongono in un complesso quadro di condizionamenti reciproci e di incidenze su natura e tendenza dei conflitti, nonché sui metodi adottati per controllarli. Tutto ciò rende spesso non facilmente analizzabile il fenomeno conflittuale e rende necessaria l'adozione di modelli di analisi semplificatori .

Con la prima chiave di lettura della conflittualità si è proceduto al raggruppamento dei conflitti e dei colpi di stato su aree geografiche. Da questo modello di analisi è emerso un quadro distributivo della conflittualità che presenta i valori più accentuati nell'Africa e nel Medio Oriente. Due Regioni che producono la maggiore quantità di materie prime, di fonti energetiche, ma che differiscono enormemente per quanto riguarda il prodotto interno lordo e la mortalità infantile. Questo ultimo indice raggiunge valori massimi nell'Africa, soprattutto in quella sub-sahariana.

L'individuazione delle aree con maggiore rischio di conflittualità si precisa quando vengono individuati nel cosiddetto »arco della crisi , e cioè nelle »regioni prospicienti il mare Arabico ed il Golfo Persico , gli »esplosivi e detonatori, ossia le riserve di idrocarburi e insanabili difficoltà .

Emerge finalmente la marginalità dello scontro ideologico fra est ed ovest, che prescinda dalla centralità della questione energetica e del rapporto sud-nord. La valutazione del »pericolo e cioè del »complesso di circostanze atte a creare grave danno all'Europa e al Giappone, trova una precisa quantificazione nella dipendenza petrolifera che è rispettivamente del 65% e dell'85%.

La minaccia incomincia a configurarsi con precisione, assumendo un preciso volto che riesce ad emergere dalla nebbia dei luoghi comuni e dalle falsificazioni patriottarde.

Non è insomma in gioco l'integrità territoriale dell'Italia, ma la possibilità di approvvigionarsi del petrolio, e delle materie prime, nella quantità necessaria per garantire il nostro benessere, i nostri sprechi, e perdipiù a prezzi compatibili con gli esclusivi interessi del modello di sviluppo occidentale. Poco importa se il flusso di idrocarburi e il loro prezzo di mercato impedisce l'industrializzazione del sud del mondo e la sostanziale rapina economica dei paesi produttori ai quali imponiamo, attraverso il controllo del mercato, prezzi stracciati. Perfino la stagione felice dei paesi dell'Opec che, per alcuni anni, erano riusciti a manovrare con destrezza lo strumento ricattatorio del petrolio, è rovinosamente arenata nelle secche delle leggi del mercato in ordine alla capacità dei paesi industrializzati di incidere sul meccanismo della domanda-offerta riducendo i consumi e diversificando le fonti.

Il prezzo, naturalmente, di queste operazioni di »pura gestione delle regole dell'economia di mercato, è rappresentato dalle decine di milioni di persone sterminate dalla fame e dal nostro egoismo, che subiscono, in modo esponenziale, gli effetti perversi della conflittualità dei due poli politici ed economici del mondo.

L'analisi prosegue rilevando che »l'epicentro della conflittualità, un tempo situato nel Mediterraneo e slittato in seguito nel Medio Oriente, sembra trasferirsi, nel periodo in esame (1973-1980), verso la regione del Golfo Persico e dell'Oceano Indiano . La tremenda realtà della pace, garantita dall'equilibrio del terrore, appare in tutta la sua evidenza nella figura n. 3 allegata (20.8) all'articolo dove, al disotto della linea di demarcazione tra il nord e il sud del mondo, sono concentrati la quasi totalità dei conflitti esterni ed interni, dei colpi di stato: »le regioni nelle quali si verificano in misura accentuata sono quelle a più arretrate condizioni di vita ed a più faticoso sviluppo socioeconomico . Questa concentrazione dei conflitti nelle aree di maggiore sottosviluppo viene spiegato così: »Poiché le superpotenze tendono con ogni mezzo ad evitare uno scontro che coinvolga direttamente le rispettive sfere di influenza, è proprio in queste `aree grigie' di sottosviluppo che si scaricano con maggi

ore frequenza le loro tensioni .

Le riflessioni degli autori su questa ultima constatazione sono, a dir poco, strabilianti: »Ciò può essere considerata una conferma della permanente validità, sotto il profilo strategico, del modello bipolare, nonostante la moltiplicazione dei centri di potere, specie economici . Candidamente si confessa che la spartizione parziale del mondo, dopo Yalta, ha garantito una relativa tranquillità ai paesi che hanno accettato la riduzione della loro sovranità e la subalternanza ad uno dei due imperi, mentre quei popoli non ancora allineati e sottomessi devono pagare il prezzo della loro anormalità politica. Solo l'estensione a tutto il globo degli accordi di Yalta e cioè un completo schieramento bipolare potrà garantire per tutti pace e sicurezza. Non viene precisato il costo, in guerre e sottosviluppo, di questo auspicato ordine mondiale. Per fortuna le considerazioni finali degli autori del »riepilogo riscatteranno queste ultime sciocchezze.

Petrolio e grano sono le nuove spade

Lo studio prosegue nella individuazione delle »linee strategiche delle superpotenze , »vale a dire delle congiungenti i punti di appoggio - difensivi e/o offensivi - dei fattori di potenza degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica , nelle varie fasi storiche fino al 1980. Il movente di ogni iniziativa delle superpotenze è ancor più precisato nel »controllo degli stretti e delle materie prime esistenti . In particolare viene individuato il cambiamento della »tipologia della minaccia che sempre più si caratterizza sul piano economico »che si affianca definitivamente a quello puramente politico-strategico nel delineare gli assetti mondiali: petrolio e grano sono le nuove spade . Viene anche rilevato il nuovo cemento ideologico della rivolta dei sottoproletari del sud del mondo, la religione islamica. Così come si delineano i nuovi fronti di aggressività determinati dalla divisione dei paesi del Terzo e Quarto mondo sulla questione delle disponibilità energetiche.

Come dicevamo prima, il piatto allineamento alla strategia bipolare, la totale fiducia nel potere pacificante della »distensione fra i due imperi militari ed economici e l'ingiustificato stupore degli autori per l'incapacità »delle superpotenze di governare gli eventi internazionali, divenuti sempre più complessi e interdipendenti , viene affrancato dalle conclusioni finali. Con una spregiudicatezza difficilmente riscontrabile nei documenti degli Stati Maggiori, i frequentatori della Scuola di guerra procedono ad una riclassificazione della »minaccia rilevando che »le numerose cause endogene di conflittualità sono in rilevante misura riconducibili al sottosviluppo che genera conflitti dal momento che, citando Willy Brandt, la fame è sinonimo di guerra e l'unica alternativa al mutamento pacifico delle relazioni internazionali è costituita dal mutamento violento delle stesse. Il crescente divario tra i paesi ricchi e poveri, oltre che iniquo sotto il profilo etico, risulta anche economicamente svantaggioso.

Il club di Roma, in un'indagine del 1979, ha reso noto che in 37 Paesi, che raggiungono complessivamente il 30% della popolazione mondiale, opera il 91% di scienziati, ingegneri e tecnici; ai restanti Paesi non resta che un esiguo 9% ... »Le società occidentali, in particolare, oltre a manifestare una senescenza non solamente anagrafica, si dimostrano particolarmente vulnerabili anche a causa della sensibile dipendenza dalla tecnologia; non sono in grado di risolvere i problemi ecologici, quelli dell'emarginazione e dell'alienazione, della violenza sociale; in nome di un imperante utilitarismo, perseguono un'opulenza esclusivamente materiale: in genere in esse lo sviluppo non è sinonimo di progresso. Tutto quanto detto rende complessa la realizzazione del pur necessario `Nuovo Ordine Economico' ed esaspera le relazioni internazionali che sono basate, piuttosto che sulla ricerca di una maggiore collaborazione, sullo scontro dei reciproci interessi .

Nell'impossibilità di acquisire gli atti dell'esercitazione applicativa condotta presso la Scuola di Guerra, non è facile comprendere come sia stata composta la contraddizione fra la difesa del bipolarismo e il rilievo dell'impotenza delle superpotenze in ordine alla conflittualità internazionale, così come non è facile determinare le »crisi di identità sicuramente provocate da una ricerca che ha individuato i pericoli, i rischi per la sicurezza, e cioè le »minacce in un complesso di fattori economici, sociali e politici che, normalmente sono preclusi dall'area d'intervento dei militari.

Probabilmente con un eccesso di ottimismo, possiamo ritenere che settori non marginali della struttura militare italiana abbiano avviato una seria riflessione sui nuovi ruoli che una classe militare, non arroccata su posizioni guerrafondaie, può ricoprire nel momento in cui prende consapevolezza della natura atipica delle minacce che, soprattutto nell'era atomica, sfidano la radicata convinzione sull'impossibilità di estinzione della specie umana. Ci riferiamo in particolare alle concrete possibilità d'impiego delle Forze Armate nella guerra contro lo sterminio per fame in atto nel mondo che, anche dai risultati del citato Corso, si caratterizza come un »nemico da vincere con risolutezza prima che devasti l'intera società mondiale.

Questa impressione sulle nuove consapevolezze di significativi settori delle classi a cui è affidata la responsabilità di garantire la sicurezza e la pace nel mondo, sembra essere confermata dagli stessi documenti prodotti dalla famosa Commissione presidenziale istituita dall'ex Presidente americano Carter sul problema della fame nel mondo. Affrontando il problema della sicurezza nazionale, la Commissione affermò che compiti quali la promozione dello sviluppo economico in genere e l'eliminazione della fame in particolare siano molto più cruciali per la sicurezza degli Stati Uniti di quanto vengano normalmente considerati dalla maggior parte degli uomini politici.

La maggior parte degli americani, a partire dall'avvento delle armi nucleari, è stata portata a ritenere che la sicurezza nazionale, il mantenimento della sicurezza, si basa sulla potenza delle forze strategiche. La Commissione ritiene che questa sia null'altro che una illusione semplicistica. La forza armata rappresenta solamente l'aspetto fisico della sicurezza nazionale. E si dimostra assolutamente inutile in mancanza di quella sicurezza mondiale che può essere raggiunta solo attraverso uno sforzo internazionale coordinato di progresso verso la giustizia sociale. Il principale obiettivo della politica estera americana è sempre stato il progresso nella stabilità. In un momento in cui i rapporti fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo si vanno sempre più deteriorando e le sfide all'attuale sistema politico, economico, energetico ed ambientale vanno facendosi sempre più minacciose, la Commissione è profondamente convinta del fatto che un grande sforzo globale per vincere la fame e la povertà no

n sarebbe un atto di carità da concedere o rifiutare in base a temporanee considerazioni di opportunismo politico, ma bensì l'unica soluzione radicale al problema della sicurezza nazionale e mondiale. Il desiderio frustrato della povera gente di vivere in modo decente è, nel momento attuale, la forza potenzialmente più esplosiva che esista. Le reali e persistenti "minacce" all'ordine internazionale sono rappresentate dalla rabbia, disperazione e spesso anche dall'odio che ne risulta. Le nazioni in via di sviluppo attualmente coinvolte attivamente nella scena internazionale sono risolutamente determinate ad entrare nel mondo moderno e ad assicurare per sé i benefici che ne derivano. Ma assieme alla crescita delle aspirazioni e delle attese del mondo in via di sviluppo, la povertà rimane un dato prevalente e cospicuo, e la fame un sintomo inequivocabile. Di conseguenza, la fame è stata `internazionalizzata' e trasformata in un problema politico mondiale ricorrente, non più un imperativo morale, ma un fattore d

irompente e causa di discordia all'interno delle relazioni internazionali.

Ostilità Nord-Sud quale fattore corrosivo

Il sospetto e la reciproca ostilità fra `Nord' e `Sud' hanno costituito evidenti fattori corrosivi e controproducenti nel corso delle conferenze e dei negoziati internazionali svoltisi nel corso degli anni '70, volti alla ricerca di una soluzione dei problemi mondiali. Non si possono valutare o misurare in modo preciso, matematico, né i costi per la sicurezza nazionale che permettono alla denutrizione di diffondersi ulteriormente, né i profitti ricavabili da uno sforzo genuino per risolvere il problema. E non si può in alcun modo valutare economicamente la necessità di evitare il disastro che avverrà qualora gli Stati Uniti ed il resto del mondo non si organizzassero all'interno di un quadro istituzionale comune per far fronte agli altri gravissimi problemi di ordine mondiale, quali ad esempio: la crescente mancanza di combustibili fossili ed altre risorse non rinnovabili, i rischi ambientali, l'inquinamento dei mari ed il terrorismo internazionale. Che sia calcolabile o meno, tuttavia, l'insieme di questi p

roblemi "minaccia" la sicurezza internazionale tanto quanto un esercito in avanzata o gli arsenali militari .

Questa lunga citazione del documento della Commissione Carter ci ha consentito di definire con estrema precisione la prima minaccia alla sicurezza del mondo e del nostro Paese. Essa è costituita essenzialmente da quel processo, apparentemente inarrestabile, che ha portato i paesi del terzo e quarto mondo, e cioè il 70% della popolazione mondiale, che agli inizi del precedente decennio disponevano di circa il 30% del reddito mondiale, a ridurre ulteriormente il loro accesso alle risorse disponibili nel mondo. La disparità crescente fra paesi industrializzati e paesi sottosviluppati, la continua espansione della povertà assoluta, delle malattie, della mortalità nel sud del mondo, il preoccupante aumento del disordine politico ed economico internazionale e la incapacità ormai definitiva dei Paesi sviluppati di far fronte, con procedure ordinarie, alla conflittualità diffusa, rappresenta quella »sfida mondiale a cui è solo illusorio opporre le ordinarie procedure della forza militare ed economica. Dobbiamo prec

isare che il termine »illusorio è adottato non per significare che una politica militarista ed imperialista sia incapace di garantire, nel breve periodo, con l'armamentario tradizionale delle politiche tariffarie e militari, l'accumulazione dei profitti imperialisti, e cioè la rapina pura e semplice delle risorse naturali e del plusvalore delle attività lavorative dei paesi del terzo mondo, da parte dell'occidente e dell'oriente sviluppati. Ma che queste strategie politiche hanno un difetto: comportano necessariamente l'impiego della violenza, della guerra senza poter assicurare né la limitazione geografica del conflitto, né il non superamento della »soglia nucleare con il conseguente ricorso alle armi strategiche.

Questa difesa disperata di un colonialismo camuffato aggrava del resto la stessa situazione economica dei paesi industrializzati che rinunciano a quella profonda revisione delle loro politiche di sviluppo, a conseguire una maggiore efficienza nell'uso delle risorse che, a media scadenza, potrebbe corregge i limiti del modello occidentale attualmente in crisi e accelerare, nel contempo, la giusta redistribuzione del reddito e delle risorse ai paesi più poveri, determinando così una sicura garanzia di pace e di progresso. Basterebbe, a questo proposito, riflettere sugli effetti deleteri delle restrizioni sulle importazioni di manufatti dai paesi in via di sviluppo che danneggiano sia i paesi emergenti che quelli industrializzati.

L'ingiustificata protezione accordata alle industrie ad alta intensità di lavoro e a basso contenuto tecnologico, spinge infatti a trasferire enormi capitali pubblici e privati per la pura e semplice difesa dei livelli occupazionali esistenti, senza preoccuparsi delle moltitudini che si affacciano al mercato del lavoro. Questo oggettivo ostacolo ad una collocazione più redditizia delle risorse in quei settori più concorrenziali e ad alto valore aggiunto, nella ricerca di nuove tecnologie e nella creazione di nuovi mercati, determina necessariamente gravi crisi produttive e tensioni sul mercato del lavoro. Si riproducono, nella dimensione internazionale, gli errori tipici di una economia parassitaria e clientelare. Insomma l'eliminazione delle caratteristiche discriminatorie della politica protezionistica dei paesi industrializzati non solo è un atto di giustizia nei confronti delle popolazioni del sud del mondo, ma anche una strada obbligata per tentare di risolvere le difficoltà industriali del nord.

I fattori ignorati del teorema dell'equilibrio del terrore

Con una certa cautela introduciamo a questo punto la equazione: »stermino per fame = minaccia prioritaria alla sicurezza .

Questa prudenza è determinata dalla paura che si produca, nello schematismo obbligato della formula, una semplificazione o una ideologizzazione della complessità delle cause che determinano la tremenda realtà dei milioni di uomini predestinati a morire e della complessità del collegamento di questo fenomeno, determinato interamente dalla volontà politica degli uomini, che avvolge profondamente i meccanismi strutturali e sovrastrutturali della società, con i problemi della sicurezza.

Ma è altrettanto vero che la mancata percezione, nella sua semplicità ultimativa, di questa minaccia determina conseguenze devastanti. Abbiamo infatti parlato di »percezione della minaccia , proprio per collocare questa problematica sia negli ambiti esclusivi di coloro che reggono le sorti del mondo o che, marginalmente, ne sono osservatori privilegiati, sia nella consapevolezza della gente e cioè di coloro che sono potenzialmente sacrificati o risparmiati nei disegni strategici dei detentori del potere politico e militare.

Sostituire quindi, nella coscienza dei cittadini, le solide e stratificate convinzioni sul rischio di invasione da parte del nemico con il dubbio che la guerra è invece già scoppiata, che ha prodotto già milioni di vittime, che ne siamo tutti investiti, è un'operazione che, con scadenze sicuramente più lunghe, può incidere profondamente sui meccanismi decisionali collettivi e quindi su quegli atteggiamenti della classe dirigente apparentemente immodificabili.

E' infatti una caratteristica storica dei »pacifisti quella di avere, solo a-posteriori, ragione ma di non essere capaci di impedire gli eventi tragici che si pronosticano. In questo caso non ci sarebbe neppure la possibilità di veder riconosciuta successivamente la ragionevolezza delle proprie tesi e preoccupazioni perché la verifica dell'effettiva consistenza del pericolo denunciato corrisponde alla pratica estinzione della specie umana. La guerra atomica non consente appello.

Chi invece, come il relatore di minoranza, preferisce aver torto, piuttosto che assistere impotente agli eventi, deve necessariamente porre tutta la sua attenzione sui meccanismi, sulle contraddizioni, che consentano di modificare le terribili dinamiche distruttive che si annunciano per il prossimo futuro.

Con quale leva, quindi, trasferire dai manuali, che come abbiamo visto sono univoci nella individuazione della minaccia determinata dall'insostenibile rapporto tra nord e sud del mondo, alla politica della difesa la consapevolezza che l'attuale modello politico ed economico, il processo di spasmodico riarmo, sono portatori di un alto rischio di guerra? Come insomma demolire il teorema della pace fondata sull'equilibrio del terrore?

Un tentativo che il relatore di minoranza intende praticare è quello relativo all'inserimento nello stesso interno della politica difensiva e della strategia militare, della lotta contro lo sterminio per fame in atto nel mondo. Vedremo quindi, nell'analisi successiva del modello di difesa, come è possibile, almeno sul piano teorico, procedere in questa direzione.

Abbiamo fin qui ipotizzato che il teorema sull'equilibrio del terrore sia inattendibile proprio perché non tiene conto di alcune variabili che la politica delle super potenze non riesce a controllare. Queste ultime sono essenzialmente costituite dalla spinta inarrestabile dei popoli oppressi alla loro liberazione, all'affrancamento dallo sfruttamento, dalla fame. L'attuale lotta di classe fra la »borghesia industriale del nord del mondo e il proletariato e sottoproletariato dei paesi in via di sviluppo o sottosviluppati nel sud del mondo non può che produrre una conf]ittualità sempre più diffusa e il coinvolgimento sempre più accentuato degli interessi strategici delle super potenze.

L'insistenza con cui si parla, in questi anni, di ipotesi di »guerra limitata testimonia proprio l'accresciuto rischio che le due superpotenze non riescano più ad evitare il conflitto diretto, il contatto militare, non potendo più gestire la guerra in atto per »interposta nazione . Da ciò il tentativo di minimizzare, anche attraverso l'adozione di nuovi munizionamenti (bomba N e armi chimiche), le conseguenze di uno scontro nei paesi industrializzati e di teorizzare la possibilità di »limitare il confronto militare in aree circoscritte senza coinvolgere i territori degli Usa e dell'Urss.

A prescindere dagli effetti devastanti di uno scambio »limitato di munizioni nucleari, seppur di »limitata potenza, appare poco credibile che le strutture decisionali e di comando possano »dosare il ricorso delle armi a fusione senza giungere alla »distruzione reciproca assicurata (MAD - Mutual Assured Destruction).

Queste ultime considerazioni ci consentono d'introdurre un secondo elemento di rischio che minaccia pericolosamente la sicurezza e la pace nel mondo. Il perfezionamento dei sistemi d'arma, la loro maggiore precisione, la velocità dei vettori, la quantità delle armi strategiche, la maggiore capacità di penetrare nelle difese, hanno ridotto i tempi disponibili per valutare l'entità della minaccia attiva e modulare la risposta o la ritorsione, elevando nel contempo il rischio di errore o di reazione sproporzionata.

A fronte di tutto ciò abbiamo procedure di decisione e di comando non dissimili da quelle presenti nell'ultima guerra mondiale. Una testimonianza sconvolgente sulle attuali catene di comando delle superpotenze è portata da Roger Molander, ex stratega nucleare del Consiglio di sicurezza nazionale alla Casa Bianca, nel racconto della sua esperienza pubblicato dal Washington Post: »Ero al Consiglio di sicurezza nazionale della Casa bianca da pochi mesi quando iniziò a Ginevra una sessione Salt. Uno dei capi divisione del segretario di stato Kissinger mi chiese di tracciare uno schema completo di istruzioni per la delegazione degli Stati uniti. Chiesi cosa dovevo mettere nelle istruzioni e mi fu risposto di fare una prima stesura per conto mio, con una copertina `promemoria per Kissinger' e un'altra `da Kissinger per il Presidente'. Tre giorni dopo riebbi indietro la copertina e le istruzioni. Né la persona che mi aveva chiesto gli appunti, né Kissinger, né il Presidente avevano cambiato una parola. Le istruzion

i partirono per Ginevra ... »Quelle persone sopra di me che io ritenevo dovessero pensare alle Grandi Questioni, contavano che fossi io a pensare a quelle cose. Avevo preso decisioni sulla guerra atomica ... »Pensai al caos organizzativo della Casa Bianca, al modo casuale in cui spesso si prendevano decisioni. Pensai a quanto poco tempo il Presidente avesse da dedicare ai problemi della guerra atomica, alla sua decisione finale. E pensai al vecchio consigliere scientifico del Presidente, analogamente colpito dal modo in cui le decisioni venivano prese che chiedeva: `Dove sono gli adulti?'. Alla Casa Bianca ci si comporta spesso in modo infantile, scoppi d'ira compresi. L'ultimo posto in cui mi seri aspettato di trovare adulti che perdevano il controllo di sé erano le stanze della Casa bianca con i pianificatori della guerra atomica ... »avevo scoperto che la maggior parte dei senatori delle Commissioni per i servizi armati e per i rapporti con l'estero - quelle che prendevano le decisioni più importanti s

enza fare interminabili discorsi - mancavano persino delle più rudimentali informazioni sulla questione della guerra atomica. ... »Avevo visto come lavoravano alla Casa bianca e la cosiddetta `catena di comando', e supponevo che i russi fossero anche peggio ... »Tutto ciò era sconvolgente. C'erano troppe occasioni per un errore delle macchine, per un errore degli uomini, per errori di valutazione. Una guerra atomica poteva verificarsi assai più facilmente di quanto la gente alla Casa Bianca, al Congresso, nell'intero paese sembrasse rendersi conto. Se ci sarà una guerra atomica lo storico che sarà riuscito a sopravvivere, si meraviglierà della parte avuta dal caso nella sua nascita, crescita e macabra fine. Alcuni episodi casuali - che ci hanno portato sull'orlo dell'abisso più di quanto ci si rendesse conto - sono naturalmente già accaduti ... »Non è affatto inconcepibile che la prossima volta, piuttosto che in un calmo giorno in cui l'ostilità fra russi e americani è a un livello normale, un falso allar

me possa cadere in un momento di crisi, con qualcuno che all'improvviso si dirige verso la Linea Rossa e cerca di spiegare che era davvero un errore ... »Quanti sanno che è costituita da una lenta telescrivente che ha come problema consueto quello di dare una corretta traduzione? Personalmente sono stato testimone di due incidenti durante i negoziati Salt in cui gli Stati Uniti e l'Urss si erano radicalmente fraintesi .

Queste crepe del sistema decisionale americano diventano voragini in quello italiano. Basterebbe ricordare l'impossibilità delle Commissioni difesa delle Camere - quelle che dovrebbero controllare e indirizzare la politica di difesa del nostro paese - ad accedere agli elementi informativi essenziali per comprendere le questioni fondamentali che attengono alla struttura militare italiana, alle menzogne e alle illegalità del Ministro della difesa documentate da questa relazione di minoranza, alla completa delega che la classe politica, che il Governo ha sempre concesso ai militari per quanto riguarda le questioni strategiche, alla totale disinformazione dell'opinione pubblica sui reali problemi della sicurezza.

Il livello di confusione, irresponsabilità e indeterminatezza esistente nel vertice decisione del nostro Paese è stato rilevato perfino da un generale, che ha ricoperto l'incarico di Capo di Stato Maggiore, Andrea Cucino. Nel corso del convegno dell'Istrid del 15 aprile sull'uso delle armi nucleari tattiche nel teatro europeo, il gen. Cucino ha rilevato che nel corso della esercitazione »posto comando WINTEX CIMEX 81, che si è svolta nei sotterranei di Forte Braschi nel 1981, (è una esercitazione periodica - ogni due anni - della Nato tesa a verificare l'efficienza della catena di comando al vertice degli Stati) è stato necessario costituire un fittizio comitato politico-militare per le decisioni sull'uso delle armi nucleari tattiche. La procedura Nato impone infatti la costituzione di questo comitato del quale deve far parte l'autorità politica che può autorizzare l'escalation nucleare. In Italia non è stato però ancora accertato se questa autorità alla quale è attribuita una così grave responsabilità sia

il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Consiglio dei Ministri nella sua collegialità. La favola della »doppia chiave per il lancio, dal territorio nazionale, di armi nucleari viene quindi smentita anche dal punto di vista esclusivamente organizzativo perché, anche se ci fosse, mancherebbe in Italia comunque l'autorità politica che la »girasse . A maggior ragione gli americani sarebbero legittimati a decidere autonomamente.

Ma queste preoccupanti considerazioni sui meccanismi decisionali dei paesi occidentali dove pur esistono margini, seppur limitati, per intervenire, attraverso gli istituti di democrazia, sulle politiche dei governi per modificarle, divengono drammatiche se collocate nei paesi cosiddetti »socialisti e in generale nei regimi dittatoriali. L'incontrollabile potere della »nomenclatura in Unione Sovietica, il suo assoluto dominio sulla società russa, la violenta rimozione di ogni dissenso, così come l'estendersi nel mondo di regimi militari e di nuove classi dirigenti dispotiche e medioevali che sono giunte al potere, nel terzo mondo, sulla spinta di movimenti con una forte componente di fanatismo e grazie agli storici errori sia dei paesi di democrazia liberale che di quelli nei quali si è affermato il socialismo reale, rappresentano un rischio che non può essere sottostimato.

Poca democrazia uguale alto rischio

Nel tentativo di riclassificazione della minaccia bisogna quindi collocare nei primi posti della graduatoria il pericolo rappresentato dagli insufficienti livelli di »democraticità presenti nelle strutture politiche delle nazioni - senza esclusione alcuna - con particolare attenzione alle conseguenze che i diversi assetti di potere determinano sui meccanismi decisionali e di comando militari.

E' evidente che questa problematica assume un rilievo particolare in considerazione del potere distruttivo degli arsenali militari, convenzionali e nucleari, e della proliferazione delle armi atomiche.

Alla luce di queste ulteriori considerazioni sulla nuova tipologia della minaccia appare sempre più inconsistente il noto teorema che fonda la pace sull'equilibrio del terrore poiché i rischi strettamente connessi alle complesse procedure necessarie per il mantenimento della »credibilità del deterrente inficiano completamente i presupposti di questa dottrina.

Con ciò non si vuole affermare solo che il possesso da parte di una classe dirigente irresponsabile o dispotica di strumenti di sterminio così terrificanti rappresenta un pericolo insopportabile. In ogni caso infatti, anche in presenza di livelli di democrazia accettabili, i meccanismi della guerra moderna sfuggono alle stesse possibilità di controllo degli uomini. La guerra nucleare altera infatti profondamente le stesse concezioni tradizionali della strategia militare difensiva, determinando una escalation del processo di riarmo che supera le stesse volontà dei governi. Ciò è conseguente al fatto che gli effetti di una guerra sarebbero così disastrosi da rendere priva di senso la stessa concezione della vittoria. La difesa comporta cioè necessariamente la distruzione totale del difeso.

La strategia militare difensiva si colloca perciò interamente sul piano teorico della difficile valutazione degli equilibri militari poiché, in questa dimensione, la superiorità strategica consente, senza la necessità di praticarla e dimostrarla, di realizzare »vittorie politiche. L'automatico processo di rinnovamento e di potenziamento dei sistemi d'arma determinato essenzialmente dalle esigenze produttive dell'industria bellica, l'uso politico della sopravalutazione delle capacità offensive del »nemico , i molti elementi di natura psicologica che determinano e spesso alterano la percezione della minaccia, la precarietà di ogni tentativo di limitazione e di controllo degli armamenti costringono ad una rincorsa senza limite ad una impossibile parità distruttiva.

Si aggravano così i rischi, prima descritti, connessi alla gestione delle procedure e dei sistemi di comando, controllo e comunicazioni, in gergo definiti dalla sigla »C3 , che diventano sempre più complessi in rapporto alla sofisticazione dei sistemi d'arma e contestualmente divengono progressivamente impraticabili e non affidabili gli accordi per la limitazione e il controllo degli armamenti. Basti pensare al missile da crociera »Cruise che può portare il suo carico nucleare su obiettivi distanti 2.500 chilometri, centrando il bersaglio con un errore di pochi metri, utilizzando come base di lancio un autocarro dotato di quattro tubi di lancio. Con inopportuna soddisfazione Lagorio ha parlato delle caratteristiche mimetiche di questo sistema d'arma, utilizzando l'immagine dell'»ago nel pagliaio , senza probabilmente rendersi conto che in questo caso l'unico modo per distruggere l'ago è bruciare il pagliaio. Ma il Ministro della difesa soprattutto non si è reso conto degli svantaggi connessi allo schieramen

to di missili così piccoli (sono lunghi circa sei metri) e così mobili: il controllo del loro numero è estremamente difficoltoso anche in relazione alla possibilità di imbarcarli su mezzi da trasporto civili; la loro adozione annulla gli accordi esistenti sula limitazione delle armi strategiche e ostacola ogni possibilità di ulteriori sforzi in questa direzione.

Per concludere questa analisi delle minacce, con la quale abbiamo tentato di proporre un diverso sistema logico di valutazione dei rischi alla sicurezza che non fosse condizionato prevalentemente da elementi ideologici ma basato sulla individuazione degli interessi concreti che muovono la guerra, enunciamo solo le altre forme di rischio che possono essere collocate all'interno delle competenze difensive delle forze armate: le calamità connesse a fenomeni naturali o agli insediamenti industriali. Sono queste concrete minacce alla vita e ai beni dei cittadini italiani contro le quali siamo praticamente disarmati.

Ma a prescindere dalle considerazioni sulla estrema importanza del concorso delle FF.AA. nella protezione civile, l'inserimento di queste minacce atipiche nella nuova classificazione dei rischi alla sicurezza ha un rilievo particolare dal punto di vista teorico. S'intende così affermare che la »difesa della patria non comporta necessariamente la predisposizione di uno strumento militare armato, né la predisposizione di mezzi atti ad uccidere.

Ma prima di passare all'analisi dei modelli di difesa, dobbiamo rilevare che il tentativo di riclassificazione della minaccia, di approfondimento della sua trasformazione tipologica, non si è potuto basare su riscontri scientifici obiettivi semplicemente perché ricerche approfondite su questa materia non sono state avviate né dal Parlamento, né da Istituti pubblici. Il dibattito scientifico sulla difesa, su quel settore cioè nel quale »investiamo il 5% delle risorse dello Stato, è affidato esclusivamente alle scuole di guerra delle FF.AA. che, come è noto, sono aperte ai più disparati contributi scientifici e politici della società civile!

Da questa amara constatazione è scaturita la proposta, avanzata da deputati radicali e socialisti, d'istituire per legge un istituto pubblico di ricerche per la pace e per il disarmo (allegato n. 20.11) che consenta di laicizzare la problematica militare e difensiva, fornendo basi scientifiche a coloro che istituzionalmente sono responsabili della sicurezza del nostro Paese.

3) Il modello di difesa

"Mancato approfondimento delle ragioni per cui si creano gli arsenali di morte, e arroccamento a un modello di difesa fondato sul bilanciamento delle forze. - Tendenza a conservare gli equilibri di forza ed economici esistenti attraverso il negoziato sul controllo bipolare del mondo, ossia attraverso deterrenza e distensione. - Il modello di difesa dell'Italia è la cosiddetta »strategia avanzata della NATO, che alla »risposta massiccia sostituisce la »risposta flessibile , quella cioè che avrebbe potere di dissuasione, e per la quale occorre la triade di forze, convenzionali, nucleari di teatro e nucleari strategiche. - Pesanti critiche alla strategia della »risposta flessibile . - La superiorità delle forze convenzionali del patto di Varsavia può essere controbilanciata solo dall'uso immediato delle armi nucleari di teatro. - Gli Usa giustificano tale impiego limitatamente al settore europeo, minimizzando gli effetti distruttivi degli ordigni nucleari di minor potenza. - Impossibilità di un uso selettivo

e limitato delle armi nucleari tattiche. - Nessuno può garantire in tempi utili se la guerra sia limitata o generalizzata, né su quali considerazioni sarebbe decisa l'escalation bellica. - Senza dubbio l'Urss, per la sua collocazione geografica, percepirebbe l'uso di mezzi nucleari come grave minaccia al suo territorio. - La strategia della »risposta flessibile stimola un riarmo generalizzato per ogni scenario di conflitto. - Spaventosi, in ogni caso, i danni di una improbabile guerra »limitata . - La precarietà dell'»ombrello atomico suggerisce il recupero delle armi convenzionali, che vengono così inserite nello schema dissuasivo. - Gli Usa utilizzano il pensiero strategico classico come veicolo della loro politica nel mondo. - Il superamento della »sindrome del Vietnam porta alla pericolosa novità di una ripresa dell'iniziativa militare politica nel Sud del mondo, che ovviamente minaccia di coinvolgere i paesi europei in folli avventure. - I quattro pilastri della concezione strategica integrata degli

Usa. - Baumel prevede una terza guerra mondiale combattuta soprattutto con armi economiche e per interposta persona. - La pretesa Usa di difendere gli interessi europei. - Dalle critiche di Washington all'Europa esclusa l'ltalia, in quanto la »più fedele alleata . - I rappresentati del neomilitarismo italiano, spesso contro la dottrina della »risposta flessibile e contro le armi nucleari, sono i più pericolosi fautori della necessità del potenziamento dell'armamento convenzionale, quindi del suo uso attivo, non semplicemente difensivo, conformemente alla nuova strategia Usa. - Tra questi nuovi militaristi, che confluiscono nell'Istrid, troviamo in solidale compagnia pci, dc, psi, pri e perfino pdup. - Lagorio, interpretando fedelmente queste tendenze crea le condizioni idonee per tentazioni ed avventure autoritarie e militari. - La tesi del »no first use delle armi nucleari di Mc Namara. - Il nuovo significato delle parole »sicurezza , »pace e »disarmo . - L'effetto destabilizzante di una massiccia opera

di informazione delle popolazioni rette da dittature.

Dalla »risposta massiccia alla »risposta flessibile

Abbiamo fin qui percorso una lunga strada dalle mediocri considerazioni del Ministro Lagorio che ci propone di valutare le minacce alla sicurezza sulla base della sola fotografia, peraltro discutibile, delle armi schierate dal »nemico . L'individuazione di almeno due elementi di rischio prioritari - il rapporto nord-sud e le inaffidabili strutture politiche di decisione e di comando - ci consente d'introdurre con migliore approssimazione il problema del modello di difesa. Con ciò non vogliamo affermare che le centinaia di megatoni puntati sul nostro territorio non rappresentino una minaccia, ma che senza l'approfondimento delle ragioni per cui questi arsenali sono stati adottati, l'individuazione degli interessi reali sui quali si fonda la conflittualità e la determinazione delle strutture e dei sistemi politici che ostacolano la costruzione della pace e il disarmo, l'unica strada praticabile rimane quella del bilanciamento delle forze, del riarmo, della risposta militare all'acutizzazione dei conflitti, del

la guerra come componente irrinunciabile del processo storico.

A grandi linee si può affermare che è possibile fronteggiare le minacce prima descritte in due modi. Innanzitutto con una concezione strategica che, attraverso l'uso tradizionale degli strumenti politici e militari, tenda a conservare i rapporti di forza e i condizionamenti economici esistenti, tentando di negoziare il controllo bipolare del mondo. E' la politica della »distensione e della »deterrenza , della non ingerenza nell'ambito delle aree di diretta influenza dei due imperi. Questa stessa politica legittima, in assenza di accordi di spartizione delle nazioni non allineate, l'intervento militare per la difesa dei cosiddetti interessi strategici nelle zone nevralgiche del mondo. E' insomma un modello di difesa rigido per quanto riguarda i paesi industriali, ma estremamente spregiudicato e flessibile in riferimento alle altre aree del globo. In questa concezione strategica le contromisure militari, nei confronti di chi alteri i rapporti economici e politici esistenti, in particolare per quanto riguarda

il controllo delle materie prime essenziali, sono doverose. Con estrema franchezza il segretario di Stato degli Usa Alexander Haigh ha affermato che il »linkage è non solo una teoria, ma una realtà della vita che dimentichiamo a nostro rischio e pericolo.

Per precisare questo concetto bisogna affermare con forza che la teorizzazione del diritto d'intervento, anche militare, nelle situazioni che possano compromettere le esigenze connesse al modello di sviluppo del mondo industriale, al benessere delle popolazioni del nord del mondo, non è frutto di un delirio militarista, ma il portato conseguente dei privilegi e del diritto allo spreco che gran parte dei cittadini dei paesi industrializzati rivendicano. Lo sterminio di decine di milioni di affamati e la stessa accettabilità della guerra sono strettamente connessi all'attuale »ordine economico e politico.

L'altra concezione strategica si muove proprio da queste consapevolezze tentando di rimuovere le cause che rendono ineluttabile il conflitto militare. Si presume perciò che gli interessi dei paesi industrializzati non possano essere garantiti all'infinito se non rendendoli compatibili, a prezzo di enormi sacrifici, a quelli dei paesi del sud del mondo. La sua legittimazione teorica e giuridica risiede tutta nel riconoscimento della inderogabilità della Legge internazionale, così come si è andata consolidando, solo formalmente, nelle Carte e nei Trattati sottoscritti liberamente dai Paesi.

Ma analizziamo adesso il modello reale di difesa adottato dall'Italia.

Il Ministro della difesa Lagorio definì così la concezione difensiva dell'Alleanza Atlantica, nelle sedute del giugno 1980 e nell'aprile del 1981: »L'evoluzione che dalla `risposta massiccia' ha portato alla concezione strategica della `risposta flessibile' e della `difesa avanzata' rientra nel processo di aggiornamento dell'Alleanza che costituisce il presupposto fondamentale per garantire nel tempo l'efficacia della sua struttura difensiva e, perciò stesso, della credibilità della sua deterrenza.

Il binomio dissuasione/difesa, che finalizza la politica di sicurezza dell'Alleanza, trova pertanto nel concetto di `risposta flessibile' la materializzazione di quella strategia che basa la sua efficacia sulla incertezza della possibile risposta che potrebbe conseguire ad una aggressione comunque configurata.

I pilastri fondamentali di tale strategia sono:

- la determinazione degli alleati ad agire congiuntamente nella difesa dell'area della Nato contro ogni forma di aggressione;

- il conseguimento di una reale capacità di risposta ad una aggressione (convenzionale e/o nucleare);

- l'acquisizione di una flessibilità di reazione che impedisca al potenziale aggressore di prevedere quale sarà la risposta ed entro quali limiti essa sarà materializzata.

In particolare la strategia della `risposta flessibile' prevede l'attuazione di tre fasi distinte ma strettamente connesse: difesa diretta nell'area; spiralizzazione deliberata e controllata dell'impiego nucleare; risposta nucleare generale.

La difesa diretta, in cui un ruolo determinante viene attribuito alla difesa avanzata, da realizzarsi nella fascia di territorio più prossima ai confini esposti, si propone di:

- respingere l'aggressione opponendo ad essa una reazione commisurata alla sua gravità;

- contendere all'avversario, fin dal primo momento, il territorio nazionale, limitando l'estensione de]l'area coinvolta nel conflitto.

La strategia dell'Alleanza non può, per la sua connotazione rigidamente difensiva, prendere in esame forme di controffensiva a carattere preventivo, al di là dei confini nazionali.

La spiralizzazione nucleare deliberata si propone invece di dissuadere l'avversario dal continuare l'aggressione facendogli temere il ricorso a forme sempre più gravi di risposta.

Infine quale mezzo ultimativo di dissuasione e di risposta la Nato può far ricorso alla risposta nucleare generale che non deve necessariamente essere ritenuta come l'impiego totale e quindi definitivo di tutto l'arsenale nucleare. La recente strategia statunitense della `countervailing' rende, infatti, possibile il ricorso all'impiego selettivo anche delle forze nucleari strategiche, quale ulteriore elemento di dissuasione da uno scambio nucleare totale (all-out).

Queste diverse risposte sono rese possibili dalla disponibilità di una triade di forze, convenzionali, nucleari di teatro e nucleari strategiche .

Bisogna rilevare innanzitutto che il Ministro socialista della Difesa non ha modificato di una virgola le linee strategiche precedentemente adottate dai Ministri democristiani. Né del resto Lagorio ha influito in alcuna misura sulle determinazioni dottrinarie della NATO che con lucida follia prendono in seria considerazione l'ipotesi dello sterminio nucleare di milioni di persone, naturalmente per difendere l'Occidente.

Sono del resto difficilmente rintracciabili nelle parole del socialista Lagorio anche timidi accenni al pensiero socialista, pacifista e internazionalista. Al suo confronto il pontefice Giovanni Paolo II diventa un radicale antimilitarista quando commissiona all'Accademia Pontificia delle Scienze una ricerca sugli effetti della guerra nucleare (allegato n. 20.12) o quando, davanti a milioni di fedeli, ricorda »tutti i milioni di esseri umani minacciati dal flagello della fame che potrebbe essere allontanato o diminuito se l'umanità sapesse rinunciare anche solo a parte delle risorse che consuma follemente negli armamenti .

Impossibile l'uso limitato delle armi nucleari tattiche

Ma tornando al modello di difesa illustrato dal Ministro Lagorio accenniamo alle critiche che possiamo rivolgere alla strategia della risposta flessibile, dal punto di vista strettamente militare.

Innanzitutto questa dottrina si fonda essenzialmente sulla possibilità di uso selettivo, controllato e limitato delle munizioni nucleari »tattiche . In poche parole la NATO, pur passando dalla strategia della rappresaglia massiccia (basata sul predominio strategico statunitense e sulla immediata rappresaglia nucleare generalizzata in caso di aggressione) a quella della risposta flessibile, ha sempre ritenuto di dover far fronte alla »minaccia costituita dalla superiorità insanabile delle forze convenzionali del patto di Varsavia con la previsione dell'uso, quasi immediato e per primi, delle armi nucleati di teatro. Bisogna precisare che questa superiorità convenzionale è insanabile per ragioni obiettive e cioè geografiche: l'URSS è compresa, almeno in parte, nel continente europeo mentre gli Stati Uniti difficilmente potrebbero trasferire in tempi utili tutto il loro potenziale convenzionale sul territorio europeo. Per giustificare l'ipotesi dell'impiego per primi delle armi nucleari nel teatro europeo gli

USA sono impegnati da sempre a minimizzare gli effetti di questo tipo di scontro per renderlo accettabile e a sviluppare la ricerca di armi nucleari di minor potenza, più precise. Il tentativo di adozione della bomba N, e cioè di una arma che dovrebbe uccidere le persone ma salvaguardare le cose, si iscrive in questa strategia. La necessità di teorizzare la guerra nucleare limitata in Europa nasce anche dalla situazione di stallo, di parità strategica sostanziale fra le due superpotenze che sempre meno appaiono disponibili a mettere a repentaglio il proprio territorio per difendere anche i più fedeli alleati.

Ma è possibile un uso selettivo, controllato e limitato delle armi nucleari tattiche? La risposta è negativa innanzitutto in relazione ai danni che queste munizioni possono provocare in regioni con un'alta concentrazione della popolazione e delle città. E' priva di fondamento la dottrina che prefigura l'uso dell'esplosivo nucleare sostanzialmente come un'arma controcarro. Sarebbero necessarie centinaia di bombe nucleari per distruggere i carri »nemici , con effetti devastanti sul territorio. Una guerra nucleare, limitata agli obiettivi militari, »counterforce , non è neppure immaginabile in Europa. Ovvero è immaginata da quei folli strateghi autorizzati a giocare a »risico sulla testa degli ignari cittadini europei.

Chi potrebbe poi garantire, in relazione ai brevissimi tempi di decisione utili, se si tratta di una guerra limitata o generalizzata? Sulla base di quali considerazioni viene decisa l'escalation bellica?

A questo proposito appaiono convincenti le considerazioni di Fred. M. Kaplan, membro dell'Arms Control Project del Centro studi internazionali del Massachussetts Institute of Technology, sugli effetti dello schieramento dell'arma a radiazione intensificata (enhanced-radiation weapon, comunemente definita bomba ai neutroni o N): »la testata a radiazione intensificata è un'arma particolarmente pericolosa in quanto potrebbe far credere che il suo schieramento renda possibile limitare e controllare un conflitto nucleare; in questo senso sarebbe proprio il suo schieramento ad abbassare la soglia che separa una guerra nucleare da una guerra convenzionale. Le armi a radiazione intensificata non sono più (anzi forse lo sono meno) `umanitarie' di quelle chimiche, il cui uso è stato da tempo vietato mediante trattati internazionali. Inoltre la testata a radiazione intensificata ha un'utilità militare di poco superiore a qualsiasi altro tipo di arma nucleare di bassa potenza esclusiva. Infine, nei limiti in cui l'URSS

ritiene che gli USA impiegheranno testate a radiazione intensificata in un conflitto terrestre in Europa, lo spiegamento dell'arma invita i Russi a un attacco nucleare preventivo in qualsiasi situazione di tensione estrema, forse quale prima mossa. In qualsiasi caso non vi è ragione di credere che la cosiddetta »bomba N possa diminuire in qualche modo le probabilità che una guerra nucleare europea si trasformi in »una guerra nucleare totale, o che la sua adozione possa in qualche modo mitigare la risposta dell'URSS .

Ma l'elemento critico decisivo è rappresentato dal fatto che l'URSS, in relazione alla sua collocazione geografica, percepirebbe comunque l'uso di armamenti nucleari in Europa come una gravissima minaccia al suo territorio. In questo senso la differenza fra armi nucleari tattiche e armi nucleari strategiche diventa minima.

La strategia della risposta flessibile ha poi un altro gravissimo difetto: stimola un riarmo generalizzato per ogni scenario di conflitto e in relazione a tutti i sistemi compresi nella cosiddetta triade (forze convenzionali, nucleari di teatro, nucleari strategiche).

L'enorme sforzo bellico deciso dall'amministrazione Reagan, lo schieramento degli euro missili, il riarmo convenzionale dell'Europa e in particolare dell'Italia, sono dimostrazioni eloquenti della precedente affermazione.

In questo ambito bisogna precisare che al riarmo strategico ha fatto seguito una modificazione della dottrina di impiego di questo tipo di armi che allontana pericolosamente ogni possibilità di pace, di controllo delle armi, di disarmo. Ci riferiamo alla concezione della guerra limitata nella sua accezione generale, e non nel senso, prima indicato, di guerra limitata al teatro europeo.

La dottrina della risposta flessibile comportava già di lanciare cioè le proprie armi al minimo allarme ... »La messa a punto di missili capaci di distruggere obiettivi corazzati sarebbe quindi fonte di tensione, in quanto ognuna delle due parti temerebbe che un'evoluzione del genere porti con sé la possibilità di una effettiva minaccia di sferrare il primo colpo contro i propri ICBM sistemati nei silos ... »Tutti i precedenti, compresa in particolare la storia della messa a punto dei MIRV da entrambe le parti, stanno a indicare che, una volta sviluppata e sperimentata la tecnologia per sferrare attacchi contro bersagli `duri' la dinamica della corsa agli armamenti prenderebbe inevitabilmente il sopravvento ... »E' importante riconoscere che, una volta aperto il fuoco delle armi nucleari la decisione di mantenere la guerra entro certi limiti non dipende più da una sola delle due parti, ma è necessario che venga presa da entrambi, o da tutti, i partecipanti al conflitto. Come il segretario di stato america

no Henry A. Kissinger scrisse nel 1965: `Nessuno sa come i governi o la gente reagirebbero a una esplosione nucleare in circostanze in cui entrambe le parti dispongono di vasti arsenali' .

Se proviamo quindi a mettere insieme tutti gli elementi di rischio di conflitto nucleare fin qui indicati ipotizzando che, in presenza di una situazione prima descritta di »grilletto sensibile , si verifichi un errore di valutazione da parte dei sistemi d'allarme o un incidente, che la »catena di comando risulti particolarmente inefficiente o condizionata da pressioni politiche belliciste, che la situazione di conflittualità e di tensione fra le due superpotenze sia giunta a livelli massimi, confezioniamo un cocktail esplosivo che rischia di annullare tutta la nostra fiducia sull'impossibilità di una guerra nucleare. Queste nostre speranze si basano essenzialmente sulla valutazione dei singoli rischi esistenti e cioè dell'accettabilità degli stessi e non sull'ipotesi che l'insieme delle circostanze negative prima descritte si presenti in un unico e preciso momento storico.

???... negli anni passati la possibilità di avere delle alternative alla »Mutual Assured Destruction per rispondere ad un attacco di proporzioni ridotte, anche accidentale.

Ma questa concezione è stata estesa, sin dal 1974, in particolare dall'ex segretario della Difesa James R Schlesinger. Ma vediamo cosa hanno scritto al proposito due fisici americani Sidney D. Frell e Frank von Hippel (Scientific American), rispettivamente della Stanfoord University e della Princeton University: »secondo la sua formulazione (R. Schlesinger) gli Stati Uniti dovrebbero includere, nel proprio repertorio di risposte flessibili, la possibilità di rispondere ad un attacco nucleare limitato con attacchi selezionati e, in particolare con azioni di couterforce, ossia azioni paralizzanti dirette esclusivamente contro installazioni militari nemiche ... »A partire dal 1974 Schlesinger e altri portavoce della Difesa hanno messo in rilievo quelli che ora essi sembrano considerare due nuovi ingredienti necessari di una strategia basata sulla risposta flessibile. Uno è lo sviluppo di missili balistici intercontinentali (ICBM) capaci di distruggere obiettivi militari Russi `duri', come, per esempio, i silos

corazzati che pongono i missili al riparo dei danni causati da un'esplosione nucleare. L'altro è una notevole espansione del programma di difesa civile, che dagli inizi degli anni '60 è rimasto in gran parte lettera morta. Proteggendo la popolazione civile dai danni di attacchi nucleari limitati sferrati dai Russi, il programma di difesa civile avrebbe lo scopo di accrescere la credibilità dell'atteggiamento americano riguardo a una guerra nucleare limitata . Gli autori dimostrano in modo analitico che i danni alla popolazione di una guerra nucleare limitata sarebbero in ogni caso spaventosi.

Per quanto riguarda le conseguenze politiche si afferma che questa estensione della cosiddetta risposta flessibile a suggerirebbe ai leaders russi la possibilità di un attacco preventivo americano contro i loro silos di ICBM. E suggerirebbe loro anche l'opportunità di non farsi sorprendere al momento di uno scontro diretto, con i missili nei silos, ma di colpire invece per primi o di adottare la politica del `grilletto sensibile', ...???

Il recupero del ruolo delle armi »convenzionali

Riprendendo la precedente affermazione sullo stimolo provocato dalla strategia della risposta flessibile al riarmo generalizzato di ogni componente della »triade , vediamo cosa è accaduto per le armi convenzionali. La »precarietà dell'ombrello atomico, la poco convincente dottrina dell'uso selettivo, limitato e controllato delle armi nucleari tattiche ha spinto sempre più ad un recupero teorico del ruolo delle armi convenzionali. Questa revisione strategica è stata del resto stimolata enormemente dalla nascita in Europa di industrie belliche di dimensioni consistenti che producono esclusivamente sistemi d'arma convenzionali.

Uno dei più lucidi interpreti del nuovo pensiero militare che, recuperando le teorie di Clausewitz, chiarisce con esattezza che gli eserciti devono essere usati per far politica è Virgilio Ilari (Rivista Militare, novembre-dicembre 1981).

Negando perfino validità alla teoria della »risposta flessibile , Ilari afferma che »la strategia dissuasiva è volta ad evitare lo scontro non a condurlo. La decisione di battersi (non solo decidendo di attaccare, ma anche ancor più decidendo di difendersi e di non accettare il ``pactum subjectionis'') nel caso in cui la dissuasione non funzioni, segna il passaggio ad un altro tipo di strategia. Si verifica allora questo paradosso: la credibilità della strategia dissuasiva dipende dalla flessibilità di potersi riconvertire ad una strategia politica, cioè di tipo ``clausewitziano'', in caso di fallimento .

Per clausewitziano si intende quel pensiero strategico che attribuisce un carattere strumentale alla guerra rispetto alla politica, e cioè definisce la guerra come continuazione, con altri mezzi, della politica.

Ilari prosegue affermando che: »l'Occidente ha tentato di sciogliere questo paradosso attraverso il concetto della flessibilità della risposta ad un attacco. Ne è nata la triade delle armi nucleari, strategiche e tattiche e delle forze convenzionali: ne è nata, più di recente, una ulteriore articolazione delle armi nucleari strategiche in intercontinentali e di teatro, seguita da nuove e sempre più sofisticate dottrine di impiego selettivo delle stesse armi intercontinentali (»countervailing strategy fra le recentissime), dalla creazione di armi nuove che si collocano ai livelli intermedi fra le armi nucleari di teatro e tattiche da una parte, e fra queste ultime e quelle convenzionali dall'altra, come la bomba neutronica, le FAE e le armi intelligenti ... »La teoria dell'escalation (che con le sue soglie che si moltiplicano di anno in anno a seconda degli aggiornamenti fa pensare al famoso sofisma del piè veloce Achille e della tartaruga) inserisce anche le forze convenzionali nello schema dissuasivo. Il

risultato è che anche queste ultime, e non soltanto le armi che sono dissuasive per loro natura, vengono destinate a svolgere un ruolo dissuasivo. Ciò, tanto per esprimerci nel linguaggio della strategia oggi corrente in occidente, rappresenta però uno snaturamento delle forze convenzionali, che sono ancora - malgrado l'enorme progresso tecnologico - concepite sostanzialmente come strumento tecnico da una strategia `classica' di tipo politico. Gli eserciti occidentali vivono questa drammatica crisi di identità. I soldati (di professione e miliziani non sono più concepiti come corpo o unità destinata al campo di battaglia, ma come appendici costose e socialmente `sofisticate' delle armi stipate negli arsenali, il cui unico scopo sembra essere quello di figurare nelle tabelle dei raffronti Est-Ovest che hanno ormai invaso e svilito il livello della riflessione strategica. Essi si consumano materialmente, vedendo, di bilancio in bilancio, i loro stanziamenti `mangiati' dai costi delle armi dissuasive `per natur

a' in misura qualitativamente, anche se non quantitativamente, decisiva (la Royal Navy »affondata dai Polaris inglesi!): ma soprattutto si dissolvono spiritualmente e storicamente con la progressiva mancanza di motivazione al servizio di leva (unica garanzia di un vero collegamento tra esercito e Nazione), e con l'affievolirsi dello spirito e del ruolo militare del personale di carriera, in ragione del tasso di crescente specializzazione tecnologica, di `managerizzazione' e magari anche femminilizzazione degli eserciti occidentali. Questa tendenza non può essere arrestata e tanto meno invertita con provvedimenti a `valle'. Non si può ufficialmente proclamare una strategia dissuasiva e sperare di potere sottobanco, praticare una strategia politica, magari considerando di fatto `artiglieria di tipo nuovo' quelle armi nucleari che ufficialmente si proclamano dissuasive. In questa materia tanto i vizi che le virtù possono essere esclusivamente pubblici. Di per sé il sistema della `doppia verità' non scandalizza

, purché si sappia servirsene. C'è sempre il rischio, infatti, che la verità dissimulata lo divenga così bene che nessuno sappia più in cosa consista . ... »La dissuasione non è né incoerente né arbitraria. Il suo limite è di non sapere riconoscere la propria natura retorica anziché logica, e conseguentemente di non sapere apprezzare tutta la distanza che la separa dalle strategie politiche né di rendersi conto delle precise ragioni storiche che l'hanno prodotta e che ne impediscono il superamento. Paradossalmente, il più clausewitziano di tutti i presidenti americani è stato Carter, con la sua politica dei diritti umani che era diretta a restituire l'iniziativa agli Stati Uniti in politica estera e che poneva problemi non piccoli all'Unione Sovietica ... »L'Occidente è costretto da quella stessa logica che presiede alle istanze dei pacifisti più radicali, a mostrare periodicamente che i muscoli li ha ancora o almeno che prende le vitamine ... »Con la integrazione nella triade, anche le forze convenzional

i dell'Occidente sono entrate a far parte dell'apparato muscolare del campione. Anch'esse dunque sono concepite più per essere mostrate che per essere usate ... »Eppure le sorti della credibilità residua della dissuasione occidentale non riposano più sul raffronto tra missili e megatoni di cui i due arsenali, sovietico e americano, possono disporre. Esse sono legate alla possibilità di poter compiere - in caso di attacco cioè in caso di fallimento della dissuasione - la riconversione ad una strategia completamente diversa, ad una strategia politica. Questa possibilità dipende da molti fattori, i più decisivi tra i quali (cioè la volontà degli europei di battersi nella trincea avanzata della fortezza americana anziché capitolare) non possono essere calcolati in astratto. Ma fra i fattori decisivi resta in ogni caso la possibilità di disporre di forze convenzionali che possano essere usate secondo la loro `natura', cioè attraverso la concentrazione, anziché attraverso la dispersione. Per fare questo l'occiden

te deve paradossalmente dotarsi di una doppia strategia e di un doppio sistema di forze (quelle nucleari e quelle convenzionali), rinunciando all'idea di poterle integrare in un organismo comune in cui la superiorità nucleare possa bilanciare l'inferiorità convenzionale .

Questa lunga citazione può consentirci di comprendere al di là della generica ripetizione dei luoghi comuni sulla strategia della »risposta flessibile del Ministro Lagorio, quali sono le reali tendenze del modello di difesa Nato e in particolare di quello italiano e di conoscere i nuovi contenuti del pensiero militare.

La caratteristica saliente della politica estera e militare dell'amministrazione Reagan, che naturalmente si riflette in quella degli alleati, è il ritorno al pensiero strategico classico, cioè quello clausewitziano, attraverso la ripresa dell'iniziativa militare come veicolo di politica nel mondo.

I quattro pilastri della strategia integrata Usa

La cosiddetta »sindrome del Vietnam è stata infatti superata, anche sul piano teorico, con l'affermazione che l'errore non stava nell'intervento militare in quella regione ma nella scarsa consapevolezza che l'uso delle armi doveva essere finalizzato non al raggiungimento dell'obiettivo della riapertura del negoziato, ma alla difesa, con tutti i mezzi disponibili e senza incertezza, degli interessi »imperiali e strategici dell'occidente in quell'area e quindi alla conservazione dell'assetto politico esistente in Indocina.

Questa revisione è stata del resto facilitata dagli eventi successivi alla liberazione del Vietnam del Sud, e cioè dalle guerre fraticide, dall'intervento vietnamita in Cambogia e della sua politica espansionistica, che hanno rimosso ogni precedente »senso di colpa degli americani nei confronti dell'avventura vietnamita.

Il processo di imbarbarimento della politica americana, ancorché facilitato dagli eventi militari e politici in Indocina, ha trovato la sua piena legittimazione dopo l'occupazione sovietica dell'Afghanistan che è stata percepita come una palese dimostrazione della rigidità del sistema militare americano e della sua incapacità di far fronte ad azioni militari che si collochino al di fuori degli scenari conflittuali tradizionali.

Influenze si sono avute anche nei confronti della cosiddetta politica della deterrenza strategica, con le note tentazioni di acquisire in questo campo una superiorità sull'URSS. Anche l'installazione in Europa dei Cruise e dei Pershing, che in relazione alla loro gittata e alla loro collocazione in regioni relativamente vicine all'URSS rappresentano veri e propri vettori strategici, rientra nella nuova politica »muscolosa e »attiva dell'amministrazione Reagan. Ma mentre queste ultime decisioni si iscrivono comunque nella dottrina tradizionale della deterrenza, e sono in ogni caso finalizzate a raggiungere un accordo negoziale con l'URSS dalle migliori posizioni di partenza, la ripresa dell'iniziativa militare politica, in particolare nel sud del mondo, rappresenta una pericolosa novità, potenzialmente capace di coinvolgere anche i paesi europei in folli avventure.

Il segretario di Stato degli Stati Uniti, Alexander M. Haigh Jr., ha così precisato il concetto di »ripresa dell'iniziativa : »Sono ormai passati i tempi in cui potevamo perseguire una politica estera, una politica di difesa e una politica economica indipendenti una dall'altra: nel mondo d'oggi il fallimento dell'una comporterebbe il fallimento delle altre e, reciprocamente, ciascuna di queste deve sostenere le altre se si vuole che una di esse abbia successo e il successo dell'una determini il successo di tutte (notizie Nato, dicembre 1981).

In quella sede enunciò la concezione strategica integrata dei »quattro pilastri : »Il primo pilastro risiede ne] ristabilimento della potenza economica e militare americana e occidentale ... »Il secondo pilastro e rappresentato dal rafforzamento delle nostre alleanze e dei nostri vincoli di amicizia ... »abbiamo bisogno di amici per riuscire, e sia noi sia i nostri amici dobbiamo essere forti e reciprocamente fedeli se vogliamo che i nostri interessi comuni siano salvaguardati. Le nostre iniziative in Estremo Oriente, nell'Asia sud-occidentale e nel Medio Oriente hanno dimostrato che l'epoca della passività è finita ... »il terzo pilastro della nostra politica è costituito dal nostro impegno a progredire nei paesi in via di sviluppo a mezzo di cambiamenti pacifici ... »il Presidente Reagan riconosce che l'assenza dello sviluppo consiste nella creazione di nuove ricchezze, piuttosto che nella redistribuzione selettiva delle ricchezze esistenti dall'una e dall'altra parte del mondo ... »gli Stati Uniti e

i loro alleati stanno operando con i soci regionali per arrestare la tendenza alla violenza e alla instabilità ed hanno accresciuto la loro assistenza in materia di sicurezza, in quanto riconoscono gli stretti vincoli esistenti tra l'ammodernamento e la sensibilità politica ... »il quarto pilastro è una relazione con l'Unione Sovietica contraddistinta da una maggiore moderazione e da una maggiore reciprocità da parte dell'URSS ... »non bisogna permettere che le nostre divergenze tuttora aperte a proposito dei diritti dell'uomo e di altre questioni provochino una catastrofe mondiale .

Questo intervento di Haigh ci consente di chiudere il cerchio delle nostre considerazioni sulle minacce e sui modelli di difesa. Il Segretario di Stato americano enuncia infatti con estrema brutalità i tratti di una politica americana »attiva , tendente ad imporre il controllo bipolare del mondo, a negoziare questa spartizione senza farsi deviare dalle »banali questioni relative ai diritti civili, a subordinare l'aiuto ai paesi del Terzo Mondo al loro allestimento politico, ad intervenire anche con la forza per ostacolare la »usurpazione dei nostri interessi strategici nelle regioni nevralgiche del mondo .

Bisogna a questo proposito rilevare che il »protagonismo degli USA, la riuscita operazione di riduzione del dibattito internazionale alle competenze esclusive dei due poli, l'URSS e gli USA, le manovre monetarie dell'amministrazione Reagan hanno creato un notevole malcontento fra gli europei. Una testimonianza significativa di questo stato di tensione sotterraneo è venuta dai colloqui che si sono svolti a Washington, dal 25 al 31 marzo, fra una delegazione della Commissione politica dell'Assemblea dell'Unione Occidentale e i rappresentanti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

»Gli interlocutori del dipartimento di Stato hanno espresso il convincimento che l'opinione pubblica del loro paese non comprende bene perché gli Stati Uniti debbano continuare a sopportare pesi e sacrifici per garantire diritti che non solo soltanto loro, in particolare per quanto riguarda le spese per la difesa comune; il contribuente americano non sembra più disposto a sopportare per intero il carico lasciando che gli altri alleati si impegnino poco e critichino molto. Non bisogna inoltre dimenticare che l'amministrazione Reagan ha cancellato molti programmi pubblici sociali proprio per consentire di utilizzare le somme destinate a quei fini per il rafforzamento del dispositivo militare. E' evidente che se gli alleati intendono continuare a godere di una protezione militare adeguata devono anche sopportarne proporzionalmente le spese. Le cosiddette manifestazioni per la pace, contro gli euromissili e più in generale contro gli Stati Uniti che ci sono state negli ultimi mesi in alcuni paesi europei, hanno

profondamente colpito e preoccupato l'opinione pubblica americana nonché il Congresso creando un vago senso di disaffezione cui potrebbero seguire rinnovate tentazioni di isolazionismo. Per la maggior parte, tuttavia, opinione pubblica e classe politica negli Stati Uniti sono decisamente in favore di una stretta alleanza con l'Europa occidentale e non sopravalutano i discorsi sulla crisi della Nato, anche se si sono levate voci in Congresso per un ritiro delle truppe americane dall'Europa in assenza di un maggiore impegno finanziario degli europei per il mantenimento delle truppe stesse . La dura replica a queste affermazioni è venuta dal francese Baumel il quale »ha espresso la convinzione che ogni tipo di consultazione è inutile se al vertice gli obiettivi dei governi non sono gli stessi. L'Europa vede che gli Stati Uniti criticano l'Unione sovietica, ma continuano ad aiutarla accusando gli europei di farlo, come è avvenuto per esempio per la vendita di grano. L'Europa ha gravi problemi sociali e non può f

ermare ogni suo rapporto economico con l'Unione Sovietica come sembrerebbe suggerire Washington. e ciò senza dimenticare il continuo aumento del prezzo del dollaro che mette in difficoltà le economie europee. Ad avviso di Baumel la fiducia tra Stati Uniti ed Unione Sovietica non riposa sull'equilibrio militare perché non può esserci fiducia tra un paese come l'Unione Sovietica che può scatenare la guerra in segreto senza rispondere alla propria opinione pubblica e gli Stati Uniti che al contrario sono molto condizionati alla loro azione. Il vero è che l'URSS intende vincere una guerra senza farla. Per capire meglio il significato di questa azione bisognerebbe convincersi che una eventuale terza guerra mondiale non sarà simile alla seconda ma si svolgerà in forma profondamente diversa .

Baumel afferma sostanzialmente di prevedere una »terza guerra mondiale combattuta soprattutto con le armi economiche o per interposta persona (vedi il ruolo dei cubani), quasi in un immaginario scacchiere mosso dai due »grandi che si attribuiscono vittorie e sconfitte non solo sul piano militare ma soprattutto su quello strategico. Particolarmente interessante è la replica degli americani che »hanno decisamente respinto l'accusa che gli Stati Uniti aiutino l'Unione Sovietica sostenendo che le vendite di grano si svolgono con pagamento in contanti e non creano alcun condizionamento politico, mentre i paesi europei vendono prodotti industriali e tecnologie a Mosca con crediti a basso tasso di interesse e a lungo termine con ciò sovvenzionando lo sviluppo economico e il commercio dell'Unione Sovietica. Si tratta pertanto di due politiche, quella degli americani e quella degli europei, verso Mosca, profondamente diverse e con effetti diversi senza dimenticare infine che i produttori di grano americani non rice

vono alcuna sovvenzione governativa mentre i governi europei sono direttamente coinvolti anche sul piano finanziario nei rapporti con l'Unione Sovietica . Con ciò i funzionari americani hanno messo il dito su una delle più evidenti contraddizioni della politica europea. Una dimostrazione della consistenza delle critiche americane viene per esempio dai rapporti commerciali instaurati dall'Italia con i Paesi dell'Est: il 50% delle linee di credito concesse dal nostro Governo sono utilizzate a favore dell'esportazione nei cosiddetti paesi socialisti. Gli interlocutori americani hanno poi affrontato la spinosa questione della Task Force: »gli Stati Uniti da tempo difendono e continuano a difendere, insieme con i loro, anche gli interessi degli europei. Anzi ci sono dei casi in cui difendono prevalentemente gli interessi europei come avviene per la forza di pronto intervento allestita per il Medio Oriente il cui costo è altissimo e che serve a proteggere le rotte del petrolio alle quali sono interessati prevalent

emente i paesi dell'Europa Occidentale. Di qui anche la opportunità di rivedere i criteri di ripartizione delle spese necessarie per la difesa comune, chiamando gli alleati ad un più serio impegno e ad un maggiore contributo alle spese e allo sforzo comune .

Queste dure critiche sono state ribadite nel prosieguo dei colloqui al Pentagono dove i funzionari americani hanno precisato il precedente concetto affermando che »di recente si è avuta una eco significativa di questo malcontento nel Congresso americano dove alcuni parlamentari hanno reclamato un maggiore impegno finanziario degli europei e una più più equa ripartizione delle spese di difesa comune. Se a ciò non si arrivasse, l'elettore americano troverebbe sempre più difficile accettare il crescente peso fiscale e i tagli dei programmi sociali decisi dall'amministrazione Reagan proprio per consentire i maggiori investimenti militari. Si prenda il caso della forza americana di pronto intervento in Medio Oriente per garantire la libertà delle rotte del petrolio: il peso di tale forza ricade sugli Stati Uniti ma essa in realtà garantisce più gli interessi europei che quelli americani. Infatti, qualora venisse bloccato il Golfo Persico, gli Stati Uniti potrebbero continuare a sopravvivere, dato che la loro dipe

ndenza dagli approvvigionamenti petroliferi di quell'area non è di rilevante importanza, mentre gli alleati europei si troverebbero in drammatica difficoltà. Considerando tutto ciò, nonché le minacce sovietiche che potrebbero portare ad una invasione dell'Iran e l'instabilità interna di molti paesi arabi, non è comprensibile che gli europei si rifiutino di difendere essi stessi i loro interessi insieme con gli americani, se non altro partecipando in misura maggiore all'impegno finanziario per la difesa comune .... »Gli interlocutori americani si sono mostrati così decisi sul problema del Burdensharing (equa distribuzione delle spese) da non prendere neppure in seria considerazione alcune obiezioni mosse dai parlamentari europei, tra cui una che ha voluto sottolineare i diversi effetti economici degli investimenti militari, in quanto quelli americani si traducono in una espansione dei loro settori produttivi mentre gli investimenti europei non possono fare altrettanto per l'industria del vecchio continente d

ato che si finisce per comprare sempre armamenti americani. Tutto ciò, unito ai problemi sociali e alla crisi economica aggravata dal costante aumento del dollaro, rendono i governi europei e le rispettive opinioni pubbliche meno solleciti ai richiami americani per un maggiore sforzo militare (il riassunto del contenuto dei colloqui è stato redatto dal Dott. Elio Rogati, vicecapo del servizio relazioni comunitarie e internazionali della Camera dei Deputati).

Particolarmente interessanti sono state le riflessioni sulla Task Force americana che opererebbe con un comando centrale americano, su basi poste in vari paesi »amici dell'Africa del Medio Oriente, configurando una specie di protettorato USA su quelle regioni.

Nel corso dei citati colloqui gli americani hanno risparmiato una sola Nazione dalle dure critiche prima riportate: l'Italia. Il nostro Paese non sarebbe più il »ventre molle della NATO ma il suo più fedele alleato.

Queste osservazioni sulla modificazione della dottrina strategica degli USA trova la saldatura con il pensiero militare prima definito da Ilari, pensiero questo che guadagna sempre maggiore successo nella casta militare italiana, nel momento in cui opera definitivamente la separazione tra politica passiva della deterrenza e politica attiva integrata che si muove attraverso l'uso congiunto delle armi politiche, economiche e militari.

Dal Pci, al Psi, alla Dc tutti convertiti al neomilitarismo

Bisogna precisare a questo proposito, per non incorrere in plateali errori, che le critiche avanzate da alcuni esperti italiani, dai rappresentanti del neomilitarismo che trovano il loro cenacolo nell'Istrid, contro la dottrina della risposta flessibile e perfino contro l'ipotesi di uso di armi nucleari tattiche nel teatro europeo sono tese solo a giustificare la necessità di un potenziamento della componente convenzionale delle forze militari e quindi di un loro uso attivo e non semplicemente difensivo nel quadro dei cosiddetti interessi strategici dell'Occidente. Paradossalmente questi nemici dell'arma nucleare sono i più pericolosi fautori del riarmo convenzionale e delle avventure militari del mondo.

Queste posizioni, riprese del resto il 21 maggio 1982 dal capo di stato maggiore dell'esercito generale Cappuzzo nella sua conferenza alla XXXIII sessione del centro alti studi difesa, si rifanno esplicitamente al nuovo pensiero militare delineato nel famoso documento su »le armi nucleari e l'alleanza atlantica di Robert S. Mc Namara, Gerard Smith, George F. Kennan e Mc George Bundy dove si espone la tesi, sicuramente apprezzabile, del »no first use delle armi nucleari. Questi ex responsabili della politica militare negli Usa hanno infatti messo in discussione l'elemento fondamentale delle dottrine belliche degli Usa e cioè »la loro volontà di essere i primi (ed hanno perfino fatto i loro piani per essere, se necessario, i primi) ad usare le armi nucleari per difendersi da una aggressione in Europa .

Questi »pentiti della strategia della risposta flessibile motivano le loro tesi sulla base di una serie di considerazioni che per la prima volta spazzano via con estrema chiarezza una serie di falsità sulla situazione strategica europea. Riferendosi alle controversie esistenti in Europa sulle conseguenze dell'adozione dei nuovi euromissili e della bomba ai neutroni, affermano che queste »hanno una causa più profonda, e dipendono in realtà dal fatto che l'evolversi di sistemi di armi nucleari equivalenti ed assolutamente eccessive, sia in Unione sovietica, sia nell'Alleanza atlantica, ha fatto sorgere nuove preoccupazioni sui pericoli di una guerra nucleare di qualsiasi tipo. La profusione di questi sistemi da ambo le parti ha reso più difficile che mai la costruzione di piani razionali per qualsiasi primo impiego di queste armi da parte di chiunque ... »E' arrivato il momento di riconoscere che nessuno è mai riuscito a dare una ragione convincente per credere che qualsiasi uso delle armi nucleari, anche su

scala minima, potrebbe restare contenuto entro determinati limiti. Ogni analisi seria ed ogni esercitazione militare per oltre 25 anni hanno dimostrato che anche l'uso più limitato sul campo di battaglia provocherebbe distruzioni enormi per la vita ed i beni civili. E nessuno, in nessun modo, potrà mai credere che una tale azione nucleare non porterà ad altri successivi scambi ancora più distruttivi. Qualsiasi uso delle armi nucleari in Europa, da parte della alleanza o contro l'alleanza, comporta un rischio elevato e inevitabile di escalation verso una guerra nucleare generale che sarebbe la rovina per tutti e la vittoria di nessuno .

Se da una parte queste considerazioni sulla necessità di procedere all'abbandono della strategia della risposta flessibile sono perfettamente condivise dal relatore di minoranza, dall'altra appaiono particolarmente preoccupanti le conclusioni sulle politiche sostitutive alla strategia del primo impiego delle armi nucleari. Affermano i citati autori che »è ovvio che una politica siffatta presupporrebbe un aumento della fiducia nella adeguatezza delle forze convenzionali dell'alleanza e cioè su un sostanziale rafforzamento della componente convenzionale, con i costi immaginabili.

Gli estensori di questo documento non portano alle ultime conseguenze la loro proposta di decisione unilaterale di non ricorso per primi all'uso delle armi nucleari e le loro analisi. Se infatti estendessero le stesse considerazioni prima citate al teorema dell'equilibrio degli armamenti e agli effetti distruttivi dei nuovi sistemi d'arma convenzionali, dovrebbero in ogni caso concludere che non basta rinunciare alla teoria del primo colpo, ma è indispensabile anche, per le stesse ragioni, eliminare gli armamenti nucleari e bloccare la corsa al riarmo convenzionale. Sono gli stessi autori del documento che ci forniscono argomenti per sostenere la tesi del disarmo unilaterale quando, prendendo in considerazione il problema dell'assenza di garanzie che »nel caso di un conflitto convenzionale di vaste proporzioni, effettivamente non verrebbe fatto ricorso alle armi nucleari , prendono atto dei limiti »tecnici della loro proposta difendendola però sul piano politico in relazione alle enormi conseguenze che avre

bbe sull'opinione pubblica dei paesi dei due blocchi militari e, quindi, sulle successive possibilità di accordi per la riduzione degli arsenali militari. E' questa una indiretta risposta ai critici del disarmo unilaterale che non valutano con sufficiente serietà e profondità le conseguenze sconvolgenti che una tale inizia iva avrebbe sulle popolazioni e, in particolare, sui cittadini di quei paesi a regime autoritario ai quali vengono imposti sacrifici per la »difesa del socialismo e limitazioni delle libertà fondamentali in ragione del presunto accerchiamento militare da parte dell'occidente.

Riprendendo il filo dell'evoluzione del pensiero militare italiano e della politica di riarmo convenzionale di Lagorio, possiamo affermare che le considerazioni sul »no first use delle armi nucleari sono state strumentalizzate solo per avallare le decisioni di bilancio e l'affermarsi del pensiero neomilitarista. Perfino le manifestazioni pacifiste degli ultimi mesi, anche grazie alla genericità dei loro obiettivi, sono state utilizzate per sostenere la tesi del rafforzamento della componente convenzionale delle nostre FF.AA., trovando in ciò una sempre più aperta complicità del Pci, sempre ancorato alla tesi dell'esercito nazionale e popolare che dovrebbe fare a meno dei missili americani, ma rafforzarsi con le armi prodotte dai lavoratori italiani.

A discolpa di Lagorio bisogna precisare che questi »moderni militari trovano ascolto compiacente presso i più diversi ambienti politici. Nell'Istrid, per esempio, confluiscono i rappresentanti politici del PCI, PSI, DC, PRI e perfino del PDUP. Per quanto riguarda il Ministro della Difesa con estrema prudenza ci riferiamo a sue precise volontà politiche mentre con maggiore certezza riconosciamo nelle sue decisioni di incremento della spesa militare, nell'assenza di una politica originale nei confronti dei paesi del Terzo Mondo, nel rafforzamento del ruolo della casta militare e dell'apparato industriale i prodromi oggettivi di un processo involutorio che, anche senza precisa consapevolezza di sé, incide profondamente nei meccanismi strutturali della società facilitando la creazione delle condizioni necessarie per le tentazioni di avventure militari e autoritarie.

Come abbiamo più volte ripetuto, l'efficacia di questa strategia e di questo modello difensivo trova il suo limite preciso nella necessità di accettare la violenza, la guerra, lo sterminio per fame ed anche la poco probabile ma non improbabile guerra nucleare generalizzata come sue componenti essenziali. In questo quadro strategico le parole »pace , »sicurezza , »disarmo acquistano un significato particolare e convenzionale che non deve essere confuso con quello normalmente attribuito a questi termini dai comuni mortali. Per pace bisogna intendere l'assenza di conflitti nucleari generalizzati o comunque interessanti i paesi industrializzati. In poche parole l'invasione dell'Afghanistan, i colpi di stato in Turchia e Polonia, la guerra per le isole Falkland e perfino l'uso limitato in qualche paese »periferico dell'arma atomica è »pace . La sicurezza poi consiste essenzialmente nella difesa a tutti i costi degli interessi economici e politici del nord del mondo anche se tutto ciò comporta lo sterminio di mi

lioni di affamati. L'unico dubbio concerne la possibilità di rendere compatibili questi identici »interessi delle superpotenze e dei loro alleati. Disarmo vuol dire accordo per la definizione dei tetti degli armamenti delle superpotenze. Ma abbiamo visto come la nuova dottrina strategica degli USA condiziona questa ultima possibilità ad un accordo generalizzato su tutte le questioni »geopolitiche .

Il rifiuto di tutto ciò è il movente per l'individuazione di un modello di difesa alternativo, capace di far fronte alle minacce prima delineate. L'opera di definizione di questo modello deve innanzitutto procedere attraverso il rifiuto di posizioni neutralistiche, passive, isolazioniste, che, senza far fronte alla realtà conflittuale del momento storico, rappresentano una forma altrettanto pericolosa di complicità con il »disordine economico e politico esistente nel mondo.

Per quanto riguarda la prima minaccia, quella costituita dall'insostenibile rapporto tra nord e sud del mondo, non crediamo sia necessario ripetere le linee di un intervento di »guerra allo sterminio per fame in atto nel mondo, contenute nell'azione internazionale dei radicali e nell'appello di nobel, così spesso citato, ma così poco accettato e compreso. Crediamo che sia il documento teorico più compiuto sia nella individuazione delle cause e dei rischi dell'olocausto in atto e di quello che si annuncia, sia nella indicazione dei modi e dei mezzi per porvi rimedio.

Riteniamo invece di dover fare alcune osservazioni sul problema, a cui abbiamo precedentemente accennato, dell'inserimento di questa strategia di attacco contro lo sterminio per fame nell'interno della struttura e del pensiero militare.

Abbiamo già parlato del capitolo di bilancio n. 4071.

I possibili usi alternativi dell'apparato militare

finalizzato alla costituzione di reparti operativi delle forze armate »per il soccorso, in Italia e all'estero, delle popolazioni colpite da calamità . E' una precisa indicazione del possibile uso dell'apparato militare che un intervento d'emergenza e infrastrutturale nei paesi del Terzo e quarto mondo colpite dalla fame. Non è difficile immaginare l'utilità di impiego dei reparti del genio, della sanità, delle telecomunicazioni in un'operazione di soccorso in queste regioni. Così come molti dei mezzi militari da trasporto potrebbero essere facilmente convertiti a questo fine. Non è infatti sufficiente trasportare fino ai porti di questi paesi sottosviluppati le derrate alimentari o le attrezzature. E' necessario prevedere la loro distribuzione all'interno di vaste regioni scarsamente collegate e la realizzazione di quelle infrastrutture indispensabili per garantire il successo delle operazioni di soccorso e le possibilità di decollo di una economia autosufficiente.

Non bisogna sottovalutare del resto che un tale impiego delle forze armate produrrebbe una domanda di beni e servizi con la quale far fronte alle esigenze produttive e occupazionali dell'industria bellica che, nel caso in cui si affermasse questo modello alternativo di difesa, vedrebbe ridursi le commesse per materiale bellico. Del resto identiche riflessioni, sia dal punto di vista della compatibilità della struttura militare che da quello della »ricaduta industriale, possono essere estese all'ipotesi di rafforzamento dell'impiego delle forze armate per la difesa civile e cioè di quella organizzazione tesa a salvaguardare la popolazione civile da eventi calamitosi e da eventi bellici attraverso attività preventive e di soccorso. All'interno di questa concezione della difesa civile si inserisce la cosiddetta protezione civile e tutte le altre ipotesi di autodifesa disarmata, fra cui la difesa popolare non violenta.

Ma facendo riferimento a quella »progressiva mancanza di motivazioni al servizio di leva (unica garanzia di un vero collegamento tra esercito e Nazione) e all'»affievolirsi dello spirito e del ruolo militare del personale di carriera di cui scriveva Virgilio Ilari, paradossalmente possiamo osservare che una strategia attiva, »clausewitziana , di intervento professionalmente qualificato, politicamente motivato, umanamente soddisfacente e gratificante delle forze armate nella guerra contro lo sterminio per fame restituirebbe una precisa identità ai militari oggi concepiti come »appendici costose e socialmente sofisticate delle armi stipate negli arsenali, il cui unico scopo sembra essere quello di figurare nelle tabelle dei raffronti est-ovest che hanno ormai invaso e svilito il livello di riflessione strategica . Non bisogna infatti sottovalutare i rischi presenti nella situazione obiettiva rilevata da Ilari. La ricerca dei militari di un ruolo attivo nella società, come abbiamo già visto analizzando gli in

terventi del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Santini, può trovare sbocco in tentativi autoritari (la Turchia e la Grecia sono del resto molto vicine) o in pressioni rilevanti sulla classe dirigente per tentare avventure militari. Farsi carico quindi anche di questo aspetto della questione militare sembra decisamente urgente. La convinzione del relatore di minoranza sulla piena disponibilità esistente in settori rilevanti delle forze armate ad un ruolo nella società che trovi un generale apprezzamento da parte della popolazione, è derivata dalla osservazione della orgogliosa soddisfazione di quei militari intervenuti nelle operazioni di soccorso delle popolazioni colpite dagli ultimi eventi sismici che, probabilmente per la prima volta nella loro vita, hanno sentito di essere stati utili alla collettività e di aver trovato, per questa loro opera, il pieno consenso dell'opinione pubblica.

A fronte della seconda minaccia, quella che abbiamo individuato nella inaffidabilità delle strutture politiche e di comando e, in particolare, nei regimi politici di tipo autoritario, possiamo ancora una volta riferirsi alle osservazioni di Ilari sul carattere clausewitziano della politica dei diritti civili di Carter »che poneva problemi non piccoli all'Unione Sovietica .

E' infatti difficilmente contestabile che una politica »aggressiva nei confronti dei regimi autoritari, attuata attraverso l'adozione sia di sanzioni economiche che, soprattutto, di tutti i mezzi disponibili, anche i più sofisticati, per la denuncia delle violazioni dei trattati internazionali, muterebbe profondamente le condizioni che consentono l'affermarsi di questi regimi, riducendo quindi una delle minacce alla sicurezza prima indicate.

Proviamo solo a pensare all'effetto destabilizzante di una massiccia opera di informazione, attuata con tutti i mezzi elettronici disponibili, delle popolazioni rette da dittature.

La legittimazione di questa opera di ingerenza negli affari interni dei paesi autoritari risiede tutta nella concezione di un diritto internazionale dove la libera sottoscrizione di trattati comporta la loro immediata esecutività interna e le conseguenti limitazioni della sovranità per quanto attiene alla verifica e alla denuncia della loro violazione.

A questo proposito alleghiamo un emendamento presentato dal gruppo radicale, sia alla Camera che al Senato, con il quale si è tentato di tradurre in un articolato le precedenti riflessioni su questa problematica (allegato n. 20.13).

Va da sé che la credibilità e l'efficacia di un'azione di questo genere è condizionata dalla adozione di iniziative unilaterali di disarmo. Solo un paese disarmato e all'interno del quale sono garantiti livelli di democraticità accettabili può rimuovere ogni possibilità della propria azione sia percepita come strumentale e cioè mossa dalla volontà di indebolire le difese del paese investito dall'azione prima descritta.

Valgono a questo proposito le precedenti considerazioni sulla tesi del »no first use delle armi nucleari e sul suo impatto sul »complesso dell'accerchiamento dell'Urss.

4) La compatibilità con le risorse del Paese

"I due tipi di approccio metodologico al problema secondo Cremasco: parametri finanziari e strumento militare »economicamente orientato . - Un apparato militare definito solo da limiti di bilancio, non dalla valutazione delle minacce, sarebbe uno sperpero, o un'attività assistenziale. Ma è stata questa la concezione prevalente fino al 1975, alla cui base vi era la convinzione dell'incapacità e inutilità delle forze armate a fronteggiare le minacce, e così erano usate come bacini elettorali, per praticare una politica clientelare, gestire affari connessi alle forniture, nonché per operazioni di ricatto e di destabilizzazione. Per ciò la storia italiana è stracolma di generali inquisiti o processati. - Non meno pericolosa la politica di Lagorio, fondata sull'attribuzione alla casta militare di funzioni e poteri mai avuti in precedenza. - La contraddizione insanabile dei militaristi »in buona fede : spese incompatibili con i bisogni dei cittadini, che possono essere imposte solo da regimi dittatoriali o con att

i autoritari. - I sistemi d'arma, sviluppati al di là dei limiti dell'utilità militare, sono elaborati, smisurati e non funzionali. - Gli impegni di spesa assunti sono in contrasto con le disponibilità. Si passa, in valori correnti, dai 16.000 miliardi che dovevano essere spesi nel 1981 per coprire il fabbisogno, ai 34.000 del 1986. Ipotizzando l'assestamento del tasso d'inflazione sul 15 per cento, l'aumento del 30 per cento annuo del bilancio della difesa si tradurrebbe in incrementi reali del 13 per cento, assolutamente improponibili poiché la crescita del prodotto interno lordo, secondo le migliori previsioni, non supera il 2 per cento annuo. Saremmo perciò, nell'ambito NATO, i primi della classe, in quanto supereremmo di parecchio l'impegno per un 3 per cento annuo richiesto dall'alleanza. - E' chiaramente una politica irresponsabile e folle, sia del punto di vista finanziario che politico. - Necessità e urgenza di ridurre i programmi di riarmo, e procedere a programmi di riconversione. Purtroppo né la

classe politica né gli esponenti sindacali hanno percepita la gravità del fenomeno. - Il riarmo è un buon affare soltanto per gli industriali della guerra e i mercanti di cannoni, non certo per il paese. - La conclusione amara, suggerita anche da uno scritto di Togliatti, è che in Italia, »oggettivamente , senza un »piano prestabilito, fissato in precedenza , e forse senza neppure esserne consapevoli, si prepara il nuovo fascismo, esattamente come fu per il vecchio, che veniva da lontano, non nasceva certo nel 1920. - Gli svuotamenti della Costituzione sono gravi e sistematici, e lo stato di diritto resta soltanto come alibi di comodo. La partitocrazia contrattualista si appropria e privatizza la gestione delle istituzioni con criteri di spartizione, riducendo così il »pluralismo a colpevole connivenza o complicità.

Come lo strumento militare si aggancia alla realtà del Paese

»Il modello di difesa, e quindi lo strumento militare italiano, deve essere concretamente agganciato alla realtà del paese. Cioè, non solo alle dimensioni di media potenza europea dell'Italia e al ruolo internazionale che essa può effettivamente svolgere (senza atteggiamenti velleitari), ma anche alle sue capacità economiche e alle sue condizioni sociali.

Esistono due fondamentali tipi di approccio metodologico ai problemi della sicurezza. Il primo, adotta i parametri finanziari (cioè le risorse che il paese può assegnare alla propria difesa) quali elementi di riferimento fondamentali a cui tutto viene subordinato. Questo approccio conduce alla scelta di uno strumento militare ``economicamente determinato'' (un approccio simile è stato per molti anni alla base del sistema italiano).

Il secondo, che procede razionalmente per successive identificazioni e risoluzioni (definizione degli obiettivi fondamentali di sicurezza e indicanone della linea d'azione militare; analisi realistica della possibile minaccia; esame dei compiti e degli obiettivi che le forze armate sono chiamate ad assolvere e perseguire nel contesto della politica militare del paese; elaborazione di un modello di strumento militare e determinazione del suo costo) conduce alla scelta di uno strumento militare ``economicamente orientato''. I parametri finanziari sono ancora importanti, ma non più degli altri fattori, con cui si pongono in relazione dialettica.

E' evidente come il secondo approccio sia quello corretto. Tuttavia anche questo tipo di metodologia non fornisce una scelta applicabile quando il costo dello strumento militare risultasse troppo elevato, al di fuori della realtà economica del paese, a meno di non assegnare alla difesa una quantità di risorse politicamente inaccettabile e incompatibile con le esigenze sociali del paese.

In questo caso, si decide che ``tipo'' di sicurezza serve e quale è lo strumento militare ``realmente'' e ``strettamente'' necessario: quindi lo si paga, anche se il costo è elevato, difendendolo di fronte all'opposizione politica e spiegando all'opinione pubblica i motivi della scelta.

Naturalmente, è importante la decisione di ciò che si intende per realmente e strettamente necessario .

Così Maurizio Cremasco definiva il problema della compatibilità del modello di difesa con le risorse del paese nel corso del seminario dello IAI del marzo 1982 su: »Negoziato per la limitazione delle armi nucleari di teatro in Europa. Sicurezza. Integrazione europea. Mediterraneo .

L'impianto metodologico è sicuramente condivisibile, così come la valutazione negativa della scelta del solo parametro finanziario per la determinazione conseguente del modello di difesa e delle sue dimensioni e caratteristiche. Dotarsi infatti di uno strumento militare definito solo dai limiti di bilancio e non dalla valutazione delle minacce e dei compiti che deve assolvere, costituisce solo uno sperpero di denaro pubblico, un'attività assistenziale nei confronti di un personale che con certezza presupponiamo non possa garantire alcun livello di sicurezza. Questa scelta che ha, almeno in parte, determinato la politica della difesa dei ministri democristiani che si sono succeduti al dicastero militare fino al 1975, si fondava su un giudizio che ha percorso la classe dirigente di questo paese: l'inutilità delle forze armate a fronteggiare qualsiasi minaccia alla sicurezza. Conseguente a tutto ciò è stata l'utilizzazione prevalente delle forze armate per garantire bacini elettorali, per praticare una politica

clientelare, per gestire gli »affari connessi alle forniture, per praticare operazioni interne di ricatto e di destabilizzazione soprattutto attraverso i servizi di sicurezza. La storia dell'Italia di questi ultimi trenta anni è infatti interamente percorsa e segnata dai nomi di generali inquisiti o processati per atti eversivi dell'ordine costituzionale o per reati comuni: De Lorenzo Aloia, Henke, Miceli, Maletti, Fanali, Giudice, Lo Prete, Allavena, Malizia, Casardi, Santovito, Grassini, Giannini, Picchiotti, Masumeci...

Ma è altrettanto pericolosa la politica seguita soprattutto dal Ministro Lagorio che ha attribuito alle forze armate e alla casta militare funzioni e poteri che non avevano mai avuto negli ultimi 30 anni. Per quanto tempo riuscirà il Ministro Lagorio a cavalcare le crescenti richieste di armamenti e di ruolo politico avanzate dai militari? Cosa succederà quando le risorse del paese non consentiranno di gonfiare ulteriormente le spese militari?

Ritornando allo schema di Cremasco bisogna osservare che ostacoli quasi insormontabili sorgono quando si tenta di percorrere il secondo approccio, quello che »procede razionalmente a definire le esigenze, le necessità e quindi le compatibilità con le risorse.

Il relatore di minoranza ritiene infatti che qualsiasi modello di difesa militare, oltre ai noti »inconveniente relativi alla necessità di prevedere il sacrificio di migliaia o di milioni di uomini (non vi è sostanziale differenza, da questo punto di vista, fra le guerre convenzionali e quelle nucleari) per la verifica periodica della »credibilità dello strumento militare e della deterrenza, comporti, soprattutto oggi, spese non compatibili con i bisogni dei cittadini. Sia quelli elementari degli affamati e sterminati del terzo mondo, sia quelli degli emarginati delle società industriali.

Queste spese possono quindi essere imposte solo da regimi dittatoriali o da atti autoritari. E' questa una contraddizione insanabile dei militaristi »in buona fede . Da una parte sostengono infatti la necessità di armarsi per difendere la »libertà dell'occidente dalle »barbarie sovietica , dall'altra non si rendono conto che lo strumento scelto per difendere la democrazia comporta necessariamente la compressione delle libertà individuali, l'imposizione autoritaria di scelte, la militarizzazione della società che, con modalità diverse, determina la trasformazione totalitaria dei regimi politici.

La scelta si pone quindi fra identici regimi autoritari. Come sempre i mezzi devono essere adeguati ai fini e non si può quindi pensare di difendere la libertà con strumenti per loro natura, illiberali.

E' possibile uno strumento militare equilibrato con le esigenze di sicurezza?

Torniamo al tentativo lodevole di Maurizio Cremasco di definire, nell'ambito del secondo approccio, uno strumento militare equilibrato con le esigenze di sicurezza e con le compatibilità economiche della società, prescindendo naturalmente dalle considerazioni sulla sicurezza che abbiamo già sviluppato e che sono pregiudizialmente incompatibili con l'uso della difesa armata.

Cremasco delinea un modello decisionale che prescinde completamente dalla realtà; è assolutamente utopistico Afferma infatti che »spetta ai militari, nel contesto degli obiettivi loro assegnati dalla direttiva di politica militare del Governo, presentare le loro richieste (in sintesi la struttura dello strumento militare) in termini tecnici ed economici, cioè in termini di programmi di forze. Spetta ai politici esaminare tali richieste nei loro aspetti di aderenza alla politica militare del paese; di congruenza con nuovi elementi politici internazionali e/o interni che si ritiene abbiano o debbano avere influenza sulla struttura dello strumento militare; di fattibilità economica, nel quadro globale delle risorse del paese, valutando quante di queste risorse possano essere dedicate alle spese militari. E spetta ancora ai politici assumersi la responsabilità di decidere a quali fattori di sicurezza sia eventualmente possibile rinunciare, se ritengono che le richieste dei tecnici non possono essere tutte soddis

fatte .

Nei capitoli precedenti abbiamo dimostrato abbondantemente con quali procedure truffaldine e militari ingannano il paese e i politici e, d'altra parte, la disponibilità del politici a farsi ingannare in cambio di vantaggi clientelari, elettorali ed economici. Come e noto il Parlamento non discute di politica militare del paese ma prevalentemente delle questioni che attengono ai problemi corporativi dei dipendenti della Amministrazione o delle commesse militari.

Quando si proporrà la netta distinzione dei poteri prima delineata, quando avremo una classe dirigente non corrotta, questa metodologia sarà applicabile e probabilmente, la conclusione del rapporto dialettico imporrà la priorità della scelta di salvezza della vita sulle fallimentari proposte »difensive fondate sulla minaccia di ritorsioni omicide e suicide.

Varrebbe la pena di analizzare dettagliatamente gli otto punti problematici sul modello di difesa e sulla sua compatibilità con le risorse, proposti da Cremasco ma poiché queste riflessioni occuperebbero molte decine di pagine, preferiamo individuare solo alcuni spunti e allegare il testo della relazione di Cremasco (allegato n. 20.13).

E' realistico proporre una »programmazione razionale di sistemi di »valido significato operativo , resistendo alla »tendenza verso quei sistemi d'arma di prestigio , nell'ambito di una »pianificazione militare a lungo termine che consenta al Parlamento un efficace controllo sui programmi di acquisizione evitando »stime troppo ottimistiche... e l'incapacità di spendere entro i termini , e cioè nascondendo »il problema, in quanto gli ultimi mezzi prodotti costeranno ancor più cari mentre aumenteranno anche le spese di manutenzione per quei mezzi, ormai vecchi, che dovevano essere sostituiti , attraverso un »bilancio pluriennale che non abbia solo valore orientativo ma legale consentendo così una programmazione razionale dotata di un minimo di certezza , »assegnando la giusta importanza al supporto tecnico e logistico, evitando che l'acquisizione si intenda completata con l'assegnazione ai reparti operativi dei sistemi d'arma , e cioè vedendo il sistema d'arma »nella sua interezza , e tutto ciò adottando »una

diversa politica dell'informazione militare, evitando di considerare segreto anche quello che non lo è ?

Si potrebbe malignamente ipotizzare che Maurizio Cremasco abbia in effetti prefigurato una condizione irreale di efficienza dell'Amministrazione e del Parlamento per dimostrare l'impraticabilità del suo modello di formazione delle decisioni di politica militare nell'attuale situazione e quindi sostenere indirettamente le posizioni disarmiste e antimilitariste.

Tutte le sue condizioni per una corretta spesa militare sono infatti platealmente contraddette dalla realtà delle forze armate e delle forze politiche, come abbiamo dimostrato ampiamente nei capitoli precedenti.

E non si tratta solo di particolari situazioni determinate dal livello di corruzione delle strutture decisionali ed esecutive italiane. In tutto il mondo si ripropone con diverse procedure e con dimensioni meno scandalose, lo storico e tragico inganno dell'opinione pubblica sulla necessità di possedere costosi e tremendi strumenti di morte.

E' la conseguenza del cosiddetto »imbarocchimento degli arsenali militari di cui ha scritto Mary Kaldor nel libro »The Baroque Arsenal : »La crescita esponenziale del costo dei moderni armamenti (è stato calcolato che, se la tendenza dei prezzi degli ultimi 50 anni è destinata a continuare, nell'anno 2036 l'intero bilancio della difesa degli Stati Uniti basterà appena ad acquistare un unico esemplare di aereo) è determinata dal fatto che gli attuali sistemi d'arma vengono sviluppati al di là dei limiti dell'utilità militare, diventano elaborati smisurati, progressivamente meno funzionali .

Inoltre l'opinione pubblica è disposta a subire questa forma di inganno e di sperpero delle risorse finché le politiche militari garantiscono il proprio benessere e tranquillità. Generalmente solo quando l'incremento di spesa militare costringe lo Stato a tagliare sulle spese sociali cresce la domanda di maggiore limpidità dei bilanci militari.

Non abbiamo potuto citare il Ministro Lagorio nel corso di questo esame di una problematica che investe i settori più avvertiti dello stesso ambiente militare, semplicemente perché queste preoccupazioni sono completamente assenti negli interventi ottimistici del Ministro. Sembra quasi, seguendo il numero altissimo di discorsi retorici che il Ministro Lagorio va pronunciando in ogni caserma di Italia che la campagna elettorale sia già iniziata da 24 mesi.

Impegno di spesa per il riarmo incompatibile con le risorse del Paese

Per valutare la compatibilità esclusivamente economica del modello di difesa deciso dal Ministro Lagorio con le risorse del paese dobbiamo riprendere i dati contenuti nel capitolo n. 8 di questa relazione. Avevamo determinato il fabbisogno globale dei soli capitoli 4011, 4031, e 4051, quelli cioè relativi all'acquisizione di nuovi sistemi d'arma. Ricordiamo che la voce armamenti è molto più estesa poiché comprende i capitoli relativi alle spese per la manutenzione, riparazione, sostegno logistico, addestramento ai nuovi mezzi, ricambi etc. (nel 1982 i 3 capitoli 4011 4031 e 4051 hanno inciso per 1881 miliardi sul totale dei 3.271 miliardi della spesa globale per gli armamenti e mezzi delle forze armate).

A prezzi 1982 il fabbisogno globale dei 3 citati capitoli raggiungeva la cifra di 21.580 miliardi. La proiezione di questo valore agli anni 1986-87 ci dava il valore del fabbisogno globale del riarmo per quegli anni: 74.000 miliardi.

Non è difficile comprendere come ci si trovi di fronte a un impegno di spesa assolutamente incompatibile con le disponibilità. Lo stesso Senatore Fallucchi riconosceva, seppur criticamente, nel corso della sua relazione davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli approvvigionamenti militari che l'Italia riesce a malapena a pagare gli »interessi del »contratto globale per i nuovi mezzi che ha sottoscritto.

Per cercare di valutare con esattezza in che modo questo impegno di spesa inciderà sui bilanci dei prossimi anni, elaboriamo una stima basata sull'ipotesi che fino al 1976 la spesa per gli armamenti aumenti annualmente del 30%. Precisiamo che per questa stima abbiamo preso in considerazione solo le spese per i programmi associati alle leggi promozionali per le quali esistono elementi di informazione più precisi e non le spese per i programmi cosiddetti di bilancio ordinario, anche se questi ultimi sono compresi nei prima citati capitoli di bilancio.

Al 1986 si saranno quindi spesi, nel modello teorico, 4 500 miliardi per l'esercito, 6.600 per l'aeronautica. Al 1987 le spese per la marina saranno state di 4.800 miliardi.

(in miliardi di lire)

a) Fabbisogno leggi b) Spesa incrementata b/a

promozionali del 30% annuo in %

EI 16.500 (1986) 4.500 (1977-86) 27

MM 12.500 (1987) 4.800 (1975-87) 40

AM 21.500 (1986) 6.600 (1977-86) 30

Tutto questo significa che, pur incrementando la spesa per i programmi delle leggi promozionali del 30% annuo, negli anni 1986 e 1987 ci saranno spese percentuali modelle dell'intero fabbisogno. Rimarranno insomma da spendere ancora 34.000 miliardi. Si passa quindi dai 16.000 miliardi che dovevano essere ancora spesi nel 1981 per coprire il fabbisogno ai 34.000 miliardi del 1986, naturalmente in valori correnti. La quasi impercettibile progressione della spesa, in termini percentuali sul fabbisogno, è evidenziata dal confronto con la tabella che segue dove viene fotografata la situazione del 1981:

(in miliardi di lire)

a) Fabbisogno leggi b) Spesa b/a

promozionali a in %

prezzi 1981

EI 4.374 915,5 (1977-81) 20,9

MM 3.774 1.300,8 (1975-81) 34,4

AM 5.318 1.399,8 (1977-81) 26,9

Come risulta evidente dal confronto delle due tabelle, mentre nel 1981 si è speso per l'esercito circa il 30% del fabbisogno totale, al 1986 abbiamo guadagnato solo 3 punti con una spesa del 27% del fabbisogno totale (incrementato secondo i parametri prima indicati). Non diverse sono le percentuali di spesa per le altre 3 armi. E' insomma una fatica di Sisifo che, nel modello proposto, consentirebbe di completare il programma verso l'anno 2000.

Vediamo adesso quale sarebbe l'entità del bilancio della difesa nel 1987 se mantenessimo fino a quella data un incremento del 30% annuo:

bilancio della difesa (totale) 35.959 miliardi

spesa armamenti 10.552 miliardi

rubrica 12 7.559 miliardi

Ma abbiamo visto che l'incremento del 30% annuo non è sufficiente per attuare in tempi ragionevoli il programma di riarmo. Solo portando l'incremento a percentuali dell'ordine del 40%, almeno per quanto riguarda la spesa per gli armamenti, si può pensare di realizzare e pagare nei tempi prefissati il programma globale.

Queste considerazioni sono evidentemente solo teoriche perché anche il solo incremento annuo del 30% è incompatibile con la situazione economica del nostro paese.

Ipotizzare infatti incrementi del 30% annui ha un significato diverso a seconda del tasso di inflazione. Mentre per gli anni che vanno fino al 1981 si è registrato un tasso di inflazione elevato, per i prossimi anni è prevedibile che il tasso di inflazione annuo si assesti intorno al 15%. Ciò significa che un aumento del 30% annuo del bilancio della difesa si tradurrebbe in un incremento in termini reali del 13%. E' questo un incremento improponibile poiché nella migliore delle ipotesi la crescita del prodotto interno lordo non supererà il 2% annuo.

Saremmo quindi non solo i primissimi della classe in Europa, rispetto all'impegno dell'incremento annuo del 3% in termini reali stabilito orientativamente dalla Nato, ma ci mangeremmo risorse via via crescenti senza scorgere, come abbiamo prima dimostrato, la fine dei programmi di riarmo in cantiere.

Lo abbiamo ripetuto più volte, quella di Lagorio è una politica folle e irresponsabile non solo dal punto di vista finanziario ma soprattutto da quello politico. Ecco la dimostrazione definitiva. Sulla base delle stime prima riportate, se il nostro paese incrementerà la spesa per la difesa nei termini indicati dalla Nato e cioè del 3% reale annuo, prevedendo un tasso di inflazione del 15%, l'incremento della spesa per gli armamenti potrà raggiungere un massimo del 20%. Con questo incremento il rapporto tra spesa effettuata fino al 1986-87 e fabbisogno per gli stessi anni diviene incolmabile. Nel 1986-87 sarà cioè stata spesa una parte del fabbisogno globale di molto inferiore a quella del 1981.

(in miliardi di lire)

a) Fabbisogno leggi b) Spesa incrementata b/a

promozionali del 3% reale annuo in %

EI 16.500 (1986) 3.800 (1977-86) 23

MM 12.000 (1987) 3.900 (1975-87) 32

AM 21.500 (1986) 5.500 (1977-86) 25

Nel 1986-87, secondo questo modello teorico che però si allinea precisamente agli indirizzi Nato, sarebbero stati spesi 13.200 miliardi sui 50.000 di fabbisogno. Rimarrebbero quindi da spendere 36.800 miliardi. Sempre senza tener conto dei programmi di bilancio ordinario che, come abbiamo visto, incideranno sul fabbisogno per almeno altri 20.000 miliardi.

Rispetto al 1981 la percentuale di spesa sull'intero fabbisogno sarebbe diminuita per la Marina di 2 punti, per l'Aeronautica di 2 punti. Solo l'Esercito avrebbe guadagnato 2 punti.

Mantenendo questo incremento medio del 3% in termini reali la spesa complessiva per la difesa nel 1987 si aggirerebbe intorno ai 22.500 miliardi, mentre quella per gli armamenti supererebbe i 6.500 miliardi.

Tutto ciò significa che l'Amministrazione della difesa non potrà far fronte ai programmi di costruzione, che l'industria bellica dovrà ridurre le ore-lavoro programmate, dovrà ridimensionare notevolmente il numero degli occupati. I conflitti sociali saranno quindi esplosivi, ingovernabili. Solo la guerra o un sostanziale colpo di Stato potrebbero, in quel caso, costringere l'opinione pubblica a distrarre somme enormi per la difesa rinunciando ai servizi sociali e in genere alle spese di investimento.

Per questo diviene non solo moralmente ma anche politicamente urgente ridurre coraggiosamente fin da adesso i programmi di riarmo procedendo contestualmente alla realizzazione di programmi di conversione e diversificazione dell'industria bellica che consentano di affrontare con una certa tranquillità le prevedibili restrizioni del volume degli stanziamenti militari nel futuro, ovvero l'inadeguatezza del flusso monetario annuo dello Stato in questo settore rispetto al fabbisogno reale, senza far pagare esclusivamente agli occupati gli errori della classe dirigente. Sembra invece che né la classe politica né le organizzazioni sindacali abbiano percepito questo imminente pericolo. Non risulta infatti al relatore di minoranza che i responsabili della politica economica del nostro paese abbiano avviato ricerche sul problema della conversione. Bisogna notare al proposito che il »ricatto occupazionale non sarebbe sufficiente a colmare l'enorme distanza tra risorse oggettivamente disponibili e fabbisogno del riarmo

.

Il relatore di minoranza ritiene che le stime proposte possono essere sbagliate per difetto, poiché si basano sugli scarsi elementi di informazione che il Governo concede al Parlamento. Chiarimenti definitivi potrebbero venire dall'Amministrazione nel momento in cui fornisse alle Camere un bilancio pluriennale che avesse un valore »legale , e cioè fosse vincolante. La modulazione della spesa pluriennale dovrebbe essere in questo caso scientificamente determinata sulla base non solo dei tassi di inflazione prevedibili ma anche sugli incrementi di costo propri di questo tipo di »merci . Abbiamo invece motivo di ritenere che non solo l'Amministrazione sottostima in modo doloso e truffaldino le spese per gli armamenti, ma che non è neppure in grado di prospettare una proiezione realistica della spesa sulla base di programmi definiti con certezza. Non risulta per esempio che l'Amministrazione della difesa abbia adottato il famoso Ppbs (Planning programming Budgeting System) e cioè »quel sistema di origine america

na che classificando le spese per programmi anziché per voci d'acquisto (capitoli), avrebbe fornito a Governo e Parlamento una contropartita in termini di controllo economico e politico allo sforzo sostenuto nel settore della difesa (F. Battistelli, Armi: nuovo modello di sviluppo?, ed. Einaudi).

Un esempio della contraddittorietà e precarietà delle decisioni dell'Amministrazione è rappresentato dalle ultime tabelle consegnate dal Ministro alla Commissione Difesa il 15 aprile 1982 in relazione alla articolazione della spesa contenuta nei capitoli 4.011, 4.031 e 4.051 fra i programmi associati alla legge promozionale e quelli di bilancio ordinario. A pochi mesi dalla presentazione del bilancio 1982 il Ministro della Difesa ha infatti completamente sconvolto le previsioni indicate negli allegati di bilancio modificando completamente sia il rapporto tra spese vincolate e spese discrezionali sia la modulazione pluriennale delle stesse spese (vedi cap. 19).

A conclusione di questo capitolo possiamo affermare che il riarmo non è un buon »affare per il paese ma solo per gli industriali della morte e per i mercanti di cannoni. Il disarmo unilaterale rappresenta quindi l'unica strategia compatibile non solo con le esigenze di pace e di sicurezza ma anche con quelle di equilibrato sviluppo economico della società.

5) Conclusioni

»E' un grave errore il credere che il fascismo sia partito dal 1920, oppure dalla marcia su Roma, con un piano prestabilito, fissato in precedenza, di regime di dittatura, quale questo regime si è poi organizzato nel corso di 10 anni e quale noi oggi lo vediamo... A questa concezione errata noi dobbiamo contrapporre la vera, la giusta concezione della dittatura fascista. La dittatura fascista è stata spinta ad assumere le forme attuali da fattori obiettivi, da fattori reali: dalla situazione economica e dai movimenti delle masse che da questa situazione vengono determinati . Così scriveva Palmiro Togliatti nelle "Lezioni sul fascismo" (*).

E' possibile trasferire questi parametri di giudizio sull'attuale situazione politica, sulle scelte del nostro Governo e in particolare del Ministro della Guerra Lagorio, sull'assetto dello Stato determinato dalla più vasta area di direzione politica nel nostro Paese?

Il regime che si va consolidando in Italia prepara cioè »oggettivamente , senza »un piano prestabilito, fissato in precedenza , e senza neppure esserne consapevole, il nuovo fascismo?

Togliatti ci ammoniva ad esaminare se le condizioni nelle quali versa la società permettono il ripetersi di dinamiche autoritarie e totalitarie »prima di annunciare che un paese si incammina verso il fascismo . Non ci sono dubbi sui sintomi allarmanti della malattia che corrompe il nostro Stato e le nostre istituzioni: la Costituzione scritta, giorno dopo giorno, viene e già risulta in buona parte sostituita, nel concreto dell'azione di governo del Paese e delle istituzioni, dalla cosiddetta »Costituzione materiale , si è posto in essere cioè un insieme di comportamenti coerenti e organici che svincola l'esercizio del potere dagli schemi configurati dalla Costituzione e determina, sul terreno dei fati e della prassi, nuove e sostitutive regole costituzionali che sono una proiezione delle »convenienze delle forze politiche; la »partitocrazia pancontrattualistica si appropria e privatizza la gestione delle istituzioni con criteri di spartizione, configurando nuovi rapporti di equilibrio e riducendo il cosidd

etto »pluralismo nei limiti di una competizione all'interno di questo quadro; il regime dei partiti, divenuti in gran parte aziende dove ai »valori sono stati sostituiti i »profitti , invade anche quei settori nei quali lo Stato liberale aveva garantito margini di autonomia e di antagonismo rispetto alla classe politica; lo »Stato di diritto sembra seppellito da una barbarie legislativa che incontra flebili opposizioni e larghe complicità; la stessa sovranità popolare, perfino il diritto all'elettorato attivo, e cioè al giudizio, sono vanificati, espropriati dal sempre più rigido controllo dell'informazione di massa realizzato dalla nuova e spregiudicata aristocrazia di regime.

Anche i fenomeni terroristici possono essere iscritti nel processo di decadimento patologico della nostra società oltre per il malgoverno incancrenito negli anni che li hanno preceduti anche e soprattutto alla luce della devastazione dei principi giuridici che hanno autorizzato.

Sintomatico è il fenomeno della »corruzione diffusa e cioè dell'estensione alla società in una »prerogativa che prima era riservata alla sola classe dirigente. Il »regime diventa tale nel momento in cui non solo impone il consenso ma trova »sintonia con comportamenti di vasti ceti, generalizzati per adattamento o per contagio, quando cioè acquisisce base sociale, fenomeno che si conclude quando i partiti di opposizione rinunciano al »rischio di garantire la libertà della società civile e si fanno complici dell'opera di recinzione, di chiusura della democrazia dalla domanda di partecipazione diretta, di cambiamento, delle classi emarginate.

Ma questo fenomeno di semplificazione autoritaria dei conflitti deve trovare le condizioni strutturali per affermarsi: una struttura economica debole, l'incapacità delle classi dirigenti di rinnovarsi e alternarsi, una situazione internazionale deteriorata e percorsa da grandi fenomeni di massa.

Non è difficile riconoscere queste condizioni nell'attuale momento storico. Con grosse approssimazioni possiamo inoltre scorgere nelle gesticolazioni riarmiste e guerrafondaie dell'Amministrazione Reagan non tanto la volontà di imporre l'egemonia americana sul mondo o la definitiva frattura con il regime sovietico, quanto il tentativo di proporre una specie di nuova Yalta, una spartizione più vasta e solida con l'URSS delle rispettive aree di influenza economica e politica.

La base dell'accordo non può che essere la prosecuzione negoziata dello sterminio degli affamati del sud del mondo e la riduzione delle libertà dove si impongono esigenze di schieramento.

Su questo impianto si inseriscono le scelte di morte del nostro governo e la politica riarmista del Ministro socialista Lagorio. Il suo zelo nel superare perfino paesi ben più ricchi, come la Germania Federale, nell'applicazione della direttiva NATO di incremento delle spese militari, l'essere riuscito a sorpassare i suoi predecessori democristiani aumentando, in soli 24 mesi i bilancio della difesa del 75%, probabilmente trovano giustificazione nel tentativo di acquisire benemerenze davanti ag]i USA.

Sono, quelle di Spadolini e di Lagorio, scelte sintoniche. Ma le seconde rischiano di essere definitive perché si insinuano in alcuni congegni costituzionali della società.

Come esordiamo nella »premessa a questa relazione, la violazione della regola, della legalità annuncia la strage di democrazia e di vite che si prepara. Non crediamo di aver deluso il lettore quando promettevamo di denunciare il concentrato di abusi che caratterizza la gestione degli affari militari. Ma non abbiamo solo fotografato il malanno: abbiamo cercato di valutare il danno che ha provocato sulla società, sui suoi meccanismi economici, e soprattutto le conseguenze dolorose che dalla prosecuzione di questa politica possono scaturire.

Lagorio ha ridestato l'orgoglio di casta dei militari e di conseguenza esaltato le tentazioni naturali al comando di un ceto per lungo tempo smobilitato, certamente frustrato e caricato di colpe eccessive, ma che sopporta malamente la pace semplicemente perché in questa condizione si sente inutile e privo di un ruolo.

E' stato un errore fatale dei socialisti pensare di poter rimuovere, alla fine della »grande guerra , le insoddisfazioni e le crisi di identità dei militari. Ma pur rifiutando analogie impossibili, non bisogna dimenticare che il fascismo ha trovato alleati essenziali nei militari delusi da una società che gli era ostile e per niente grata dei »sacrifici e degli »eroismi dei combattenti: »giovani che, partiti per il fronte prima dei 20 anni, ne tornarono dopo i 23 o 24, e non possono più e non vogliono riprendere regolarmente e fruttuosamente i loro studi o il loro lavoro; i piccolo-borghesi, di condizioni modestissime e subordinate, che in guerra divennero sottufficiali o anche ufficiali, gustarono le gioie del comando e la volontà di essere serviti (G. Zibordi, "critica socialista del fascismo"). Echi preoccupanti di questo revanchismo li possiamo ritrovare negli ultimi interventi del Capo di Stato maggiore della Difesa, Generale Santini, quando chiede più potere per i militari.

Allontanata ogni tentazione polemica di stabilire un nesso fra il socialismo di Mussolini e quello di Lagorio, rimane il quesito: fino a quando saprà e potrà cavalcare le ambizioni dei militari? Fino a quando i generali si accontenteranno di trastullarsi con le esercitazioni e le cerimonie? Sino a quando rinunceranno a far valere la loro preminenza?

Ma Lagorio ha ancora maggiori responsabilità. Non ci riferiamo solo ai 70 mila miliardi di cambiali che ha firmato in nome del popolo italiano, ai conflitti sociali che provocherà l'impossibilità di onorare questi impegni di spesa, alle decine di migliaia di disoccupati dell'industria bellica che giustamente protesteranno per il mancato rispetto delle promesse. Più desolante, più rovinoso sarà assistere alle richieste della classe operaia perché si costruiscano più cannoni, perché si percorra fino in fondo una politica di guerra e di riarmo. Quando settori del proletariato, se pur di una aristocrazia operaia, divengono, per la logica del bisogno, sostenitori di una politica reazionaria, militarista, allora il fascismo rischia veramente di affermarsi.

Solo gli sciocchi possono ancora stupirsi delle folle oceaniche che ascoltavano il duce a Piazza Venezia.

Se queste stesse riflessioni vengono estese agli altri comparti industriali interamente o parzialmente assistiti dallo Stato contro ogni interesse degli occupati e dei disoccupati, meno ardita o eccessiva sembrerà la nostra inquietudine sulle sorti della democrazia in Italia.

La guerra si affaccia prepotente nello scenario delle ipotesi possibili. E' accaduto spesso nella storia che la guerra sia stata il modo più rapido ed efficace per produrre cambiamenti, trasformazioni, sostengono i marxisti. Ma a prescindere dalle profonde riserve sulla qualità di questi cambiamenti e trasformazioni, in molti casi le avventure bellicistiche sono servite a distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dai propri guai, per crearne maggiori. Solo la cecità impedisce a molti di vedere il profondo legame tra sterminio per fame e ripresa generalizzata del militarismo. Allora la guerra, come conclusione necessaria del conflitto di classe che oppone la borghesia industriale del nord del mondo, incapace di rinunciare ai propri privilegi e al proprio benessere, al proletariato del sud del mondo che rivendica una più equa ridistribuzione delle risorse, non può essere impedita?

Dobbiamo credere che sia possibile. Non possiamo dimetterci dalla speranza di poterla impedire. Ma per fare ciò non basta gridare vanamente sulla necessità di svuotare gli arsenali per riempire i granai. Bisogna praticare la pace innanzitutto in casa propria, sui propri bilanci.

E' soprattutto necessario disancorare i nostri bisogni fondamentali dalla guerra, non consentire la legittimazione, la fondazione della politica di complicità con il genocidio in atto e di preparazione dell'olocausto nucleare sulle »necessità oggettive del modello di sviluppo della nostra società.

Scindere innanzitutto le esigenze di più di 500 mila occupati nel complesso militare-industriale, delle loro famiglie, dalle responsabilità di chi detiene il potere e lo usa per difendere il disordine che ha provocato o contribuito a realizzare, deve essere l'obiettivo prioritario di una politica effettiva ed efficace di pace. Disarmo unilaterale quindi, e ancora prima, conversione delle industrie belliche attraverso un uso alternativo delle risorse.

Ci sono molti buoni motivi per respingere il bilancio di guerra e di morte che ci ha proposto il Ministro socialista della Difesa Lelio Lagorio.

Ognuno può scegliere quelli che ritiene più convincenti. Solo l'irresponsabilità può consentirci di tollerare, autorizzare la follia che ci ha chiesto di avallare.

Note

(*) P. Togliatti, "Lezioni sul Fascismo", da "Antologia sul

Fascismo" di R. De Felice.

 
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