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Teodori Massimo - 13 novembre 1982
Dove abita la "speranza radicale"
di Massimo Teodori

SOMMARIO: Respinge la tesi dell'articolo di Flores d'Arcais ["Ma 'la speranza radicale' rimane", "Il Messaggero", 1O/11/82 - testo n. 4214], secondo la quale il p. radicale è ormai un "gregge" sottomesso all'"integralismo" di Pannella. L'argomentare di Flores si iscrive in un disegno teso a distruggere la "speranza radicale" sulla base di "falsificazioni". Lo "sparuto gruppetto" di cosidetti "riformatori" che ha abbandonato il congresso intendeva "in realtà" "perseguire diversi obiettivi": da un lato inserire la logica della "microcorrente organizzata", dall'altro muoversi "in consonanza" con un "disegno" della "dirigenza socialista" teso a creare "compagni di strada"all'interno dei vari partiti. Vi sono stati all'uopo il convegno di "Mondoperaio", "trattative" per il passaggio di deputati al PSI, "incontri" con Craxi. La manovra è stata messa in atto dal gruppo "Jannuzzi-Vecellio-Rippa". D'altra parte, se Flores d'Arcais vorrà esaminare le varie battaglie condotte dai radicali, vedrà come questi non si si

ano ridotti alla "geremiade" della fame nel mondo. In verità la storia del p. radicale è la storia di una minoranza che ha "introdotto a forza" i motivi capaci di "ricostruire una sinistra alternativa": nessuno si illuda che la "speranza radicale" possa "procedere indipendentemente dalle gambe costruite dal PR".

(IL MESSAGGERO, 13 novembre 1982)

(Un intervento di Paolo Flores d'Arcais sulla vittoria di Pannella al congresso del PR (apparso sul Messaggero mercoledì 10) ha suscitato reazioni. Pubblichiamo di seguito la replica a quell'articolo di Massimo Teodori, deputato radicale.)

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Paolo Flores, dalle colonne de "Il Messaggero", scende in campo per proclamare che il Partito Radicale è ormai ridotto ad un "gregge" sottomesso all'intolleranza e all'integralismo di Marco Pannella. Dopo tanto silenzio di fronte alle solitarie battaglie radicali sul fronte laico, socialista e libertario, forse meritevoli dell'esposizione degli intellettuali attenti al diritto, alla giustizia e semplicemente alla democrazia senza aggettivazioni, oggi si ingrossano le fila dei vociferanti dell'area socialista. Come parte del "gregge", con altri colleghi e compagni, potrei far valere soltanto la mia storia politica, personale e collettiva, ma preferisco dimostrare come tutta l'argomentazione di Flores si iscriva in un disegno teso a distruggere la "speranza radicale" sulla base di pure falsificazioni.

Nel congresso radicale, dunque, come ormai nella politica del PR, ci sarebbero due linee, quella "pannelliana" della geremiade sulla fame e quella "riformatrice"; ed i sostenitori di quest'ultima sarebbero oggetto di una serie di soprusi. Guarda caso che i cosiddetti "riformatori" in realtà hanno abbandonato il congresso senza neppure tentare di farvi valere le loro ragioni nonostante che le procedure congressuali nonché il dibattito precongressuale avessero garantito e previsto ampissimi spazi per il confronto di linee e di posizioni.

La verità è un'altra: per lo sparuto gruppetto che ha lasciato il congresso con atto premeditato si trattava di perseguire diversi obiettivi che occorre saper leggere in filigrana. Da un lato esso voleva inserire la logica della microcorrente organizzata che gestisce tessere in un partito che per la sua stessa forma, natura e storia rifiuta un tale metodo partitocratico applicato alla vita interna di partito. Dall'altro intendeva muoversi in consonanza con un disegno della dirigenza socialista teso a creare dei compagni di strada all'interno degli altri partiti per arrivare magari a provocare microscissioni. Ne testimoniano il dialogo intrapreso con il convegno di "Mondoperario" a primavera scorsa senza nessun reale seguito politico e di politiche, le "trattative" per il passaggio di deputati alle future liste del PSI, gli incontri con Craxi, e magari altre operazioni tuttora in corso per creare nuovi gruppi alla Camera sulla base della spartizione del finanziamento pubblico favorito da interpretazioni della

maggioranza.

L'operazione da lungo tempo messa in atto dal gruppo Jannuzzi-Vecellio-Rippa, che trovò il primo coagulo in una pretesa interpretazione "garantista" per la P2, purtroppo, caro Flores, non ha nulla a che fare con la preparazione di una posizione "riformatrice": e il rispetto delle regole democratiche oggi invocato sa tanto di un "democraticismo" invocato strumentalmente in vista di altri interessi poco confessabili.

Del resto non c'è peggior cieco di colui che non vuol vedere. Anche, nell'ultimo anno, sul fronte parlamentare come su quello del paese, i radicali sono stati impegnati in tante battaglie antipartitocratiche, anticorporative, contro la dissipazione delle risorse nazionali a favore dei gruppi meno abbienti, e per lo stato di diritto.

Paolo Flores vada a vedere la funzione assolta dai radicali sulla legge per il finanziamento pubblico, in quella per l'editoria, nella vicenda Sindona e P2, sulla droga, sul nucleare e ambiente, nell'opposizione alla miriade di leggine della bancarotta nazionale, sulla questione militare e sul traffico delle armi, su giustizia e carceri. Si renderà conto che la "fame nel mondo" non rappresenta una geremiade totalizzante ma un impegno di lotta assunto come simbolo e come metodo di un arco di valori "per la vita e la qualità della vita", per la pace e il diritto, di cui forse è proprio l'intera sinistra ad avere bisogno per uscire dalla palude della "gestione" e ricostituirsi in "speranza". Verificherà anche che questa linea della "politica delle istituzioni", "politica del bilancio" e "politica della vita" non è solo un programma iscritto nelle delibere del congresso (sì, quello abbandonato dai "riformatori"!) e negli impegni formali dei gruppi parlamentari ma rappresenta l'itinerario di una serie di scontri

già ampiamente realizzati.

Il fatto è che la nostra storia di minoranza e opposizione radicale in questi anni è la vicenda di chi ha introdotto a forza, assai spesso nell'isolamento iniziale, i motivi capaci di ricostruire una sinistra alternativa non solo negli schieramenti. E puntualmente i riconoscimenti sono arrivati dopo. L'affermazione delle istanze riformatrici e libertarie in Italia non è mai frutto di progetti sui quali tranquillamente raccogliere fronti partitici, ma costituisce un fatto rivoluzionante gli stessi assetti delle forze costituite e del regime e, quindi, è ragione di durissima contestazione. Oggi, per taluno inconsapevolmente, per altri interessatamente, c'è un nuovo cavallo di battaglia: il ritenere che la lotta radicale sempre al limite, la "speranza radicale", possa procedere indipendentemente dalle gambe costruite dal PR. Se così fosse, significherebbe che i radicali hanno vinto la partita e che i Craxi e i Berlinguer si sono messi a fare concretamente i riformatori e i socialisti libertari: cosa che francam

ente neppure il più "organico" degli intellettuali dei partiti tradizionali mi pare che possa avere il coraggio di affermare. Nonostante tutto quel che si dice e si fa per dimostrare il contrario, la "speranza radicale" cammina ancora sulle gambe della politica del Partito Radicale.

 
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