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Teodori Massimo - 10 gennaio 1983
Andreotti e gli insabbiamenti
Appunti dalla commissione P2

di Massimo Teodori

SOMMARIO: La Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia P2 ha eluso una serie di interrogativi che riguardano i rapporti fra Calvi, Banca d'Italia, Vaticano e partiti ed ha evitato di approfondire le modalità di formazione del potere occulto della P2 e dei suoi intrecci con il potere ufficiale.

(NOTIZIE RADICALI N. 1, 10 gennaio 1983)

Il 21 dicembre ho pubblicato un intervento nel "Il Manifesto" (Parole di Andreotti) con cui esplicitavo il significato di quelli che mi parevano dei veri e propri "avvertimenti" inviati da Andreotti sulla P2 con un'intervista all'Europeo del 16 dicembre. Sulle tangenti Eni-Petronim Andreotti fa capire di sapere di più, ma in nessuna delle sedi ufficiali in cui è stato interrogato (giudiziaria, inquirente, commissioni d'indagine) ha mai testimoniato su ciò a cui oggi allude.

Per la morte di Calvi, Andreotti insiste su Carboni, ma anche su ciò non aggiunge nulla di nuovo rispetto a quel che sappiamo. Di più, dalle colonne del settimanale, il leader DC chiama in causa come "amici" di Gelli (pur se con un interrogativo retorico) il defunto senatore PCI Calamandrei e l'ex sindaco di Pistoia, Corsini, un personaggio che porta direttamente alla vicenda (non nominata) del salvataggio di Gelli dalla fucilazione nel 1944 ad opera dei partigiani comunisti e alla sua assai probabile collaborazione con il PCI e con i Paesi dell'Est nel decennio successivo alla Resistenza.

Andreotti replica furiosamente. Ne "Il Manifesto" del 27 dicembre parla di "launi mestatori che fanno speculazioni politiche indegne - spesso per deviare da piste utili -; sull'"Europeo" del 10 gennaio sono definito "fervido come un catecumeno" e la mia attività in P2 dimostrerebbe "a tempo pieno in cosa consistono le strumentalizzazioni". In entrambi gli scritti Andreotti eleva un inno al mio predecessore in commissione P2, Franco De Cataldo, il quale non se l'è sentita "di comportarsi secondo le direttive del suo partito" ed ha perciò inviato una lettera di dimissioni "molto fiera" che, secondo l'ex Presidente del Consiglio "accuserebbe gravemente i radicali".

Francamente, onorevole Andreotti, mi sarei aspettati risposte puntuali e specifiche agli interrogativi sollevati; ed il tentativo di giocare nel conflitto di casa radicale risulta davvero un espediente patetico. La storia radicale è lineare, limpida ed unitaria di fronte al marcio del regime, in particolare a quello della P2. Abbiamo sempre dimostrato che l'unica strada per non dar luogo a speculazioni e strumentalizzazioni è quella di parlare apertamente nelle sedi istituzionali e di fronte all'opinione pubblica senza "alludere" e "lanciare messaggi", un metodo caro al retrobottega della Repubblica.

Questo stiamo cercando di fare in Commissione P2, così come, da radicali, abbiamo fatto per la Lockheed, per il caso Moro e quello D'Urso, per Sindona e per la stessa P2 prima ancora della Commissione d'inchiesta. Di tale natura dovrebbero essere anche le Commissioni parlamentari d'inchiesta, come le "hearings" delle più note commissioni di investigazione del Congresso statunitense, luoghi cioè di aperto e trasparente confronto di fatti, ipotesi e ricostruzioni.

Sta per riprendere l'attività del Parlamento e con essa quella della Commissione P2. La questione delle prossime settimane è la "proroga": far terminare, secondo la scadenza di legge, l'8 marzo prossimo, l'inchiesta, significa in realtà sotterrare un'immensa mole di marcio della Repubblica senza avere la possibilità di una ulteriore opera di scavo.

"Siamo decisamente per un rinnovo della Commissione P2" e lo abbiamo già affermato in più occasioni sottolineando la responsabilità dolorosa di quelle forze politiche che eventualmente tentassero di bloccare i lavori futuri di quella che, al minimo, rappresenta una finestra istituzionale sulla storia segreta dell'ultimo decennio.

Le vicende e i capitoli da indagare sono ancora tanti. Ce ne occuperemo prossimamente. Finora, in tredici mesi, la Commissione è stata orientata troppo (o disorientata) dalla quotidianità degli eventi, primo fra tutti la vicenda Calvi. Ma anche su Calvi (per gran parte si può parlare non di richiesta P2 ma di inchiesta Calvi) la Commissione si è occupata di tanti dettagli ma ha eluso di confrontare alcuni interrogativi di fondo. Ne vogliamo qui ricordare uno, importante.

Per quali ragioni la Banca d'Italia, all'indomani della scarcerazione di Calvi, nel luglio 1981, lo riconfermò alla testa dell'Ambrosiano S.p.A.? Interrogativo inquietante. Un presidente di una grande banca, incriminato per reati valutari e finanziari, incarcerato e condannato pesantemente in primo grado, viene riconfermato dall'Istituto di emissione nelle sue responsabilità all'indomani di un processo conclusosi negativamente.

Non siamo esperti: ma riteniamo che questo caso di un presidente di banca condannato e riconfermato è forse unico nella storia italiana ed europea. "Perché la Banca d'Italia, per il resto così prudente, riconfermò Calvi?" Quali furono le forze che si mossero affinché tale riconferma avvenisse? Responsabilità autonoma della Banca d'Italia o dovuta ad altri interventi?

Questo sono interrogativi chiave nella vicenda Calvi. Se non si vuole andare dietro alle marginalità, ma affrontare i rapporti centrali di potere e come essi giocano, si deve rispondere alla questione che poniamo qui.

Uscito dal carcere all'inizio dell'agosto 1981 Calvi andò ad incontrare il presidente del Consiglio Spadolini. Craxi, Piccoli e Longo si erano levati alla Camera dei Deputati per difendere il "banchiere vittima di persecuzione". Andreotti aveva avuto diretti e indiretti puor-parler con i familiari e l'entourage (Ciarrapico) di Calvi. Ancora non si conoscevano le linee di credito aperte dall'Ambrosiano a DC, PSI, PCI, e PSDI. Lamberto Dini della Banca d'Italia aveva avuto rapporti indiretti con l'incarcerato, e forse anche lo stesso Governatore Ciampi aveva accusato Maria Angiolillo come canale di comunicazione. Per il "Corriere della Sera" si erano costantemente agitati molti partiti. Il Vaticano si era mosso (minacciosamente?) con Calvi detenuto affinché non parlasse.

Ecco dunque un interrogativo a cui rispondere per capirne un po' di più sulle forze che hanno avuto una parte determinante (e hanno?) dietro l'Ambrosiano. Questo è solo uno dei tantissimi interrogativi che non si può lasciare inevaso da parte della Commissione P2.

Questo non è che un solo esempio delle ragioni per la proroga, e nei prossimi giorni ne enunceremo altre.

Abbiamo già scritto che le ragioni per la proroga della Commissione P2 oltre la scadenza di legge del 9 marzo sono molteplici. V'è una ragione generale che riguarda la necessità di lasciare aperta una finestra istituzionale sulle trame contro la Repubblica dell'ultimo decennio, molte delle quali fiorite intorno alla Loggia massonica. Ma vi sono anche tante ragioni specifiche di indagine non effettuate o solo iniziate a compiere. E ciò in ragione delle tenta dimensioni dell'"affaire" e degli affeires P2 che non si finisce mai di scoprire, ma anche a causa delle dimissioni forzose o volontarie verificatesi nel corso dei lavori della P2. La Commissione si è dilungata molto sull'aspetto affaristico della P2, mentre ogni volta che sono stati toccati i nodi del potere, l'indagine parlamentare si è arrestata alla superficie. Quel che interessa, in verità, della P2 sono invece soprattutto le modalità di formazione del potere occulto ed i suoi intrecci organici con il potere "ufficiale" se è vero, come è vero, che c'

è un continuum fra metodo compromissorio nel potere istituzionale e mediazioni, cooptazioni e ricatti del governo invisibile.

La corruzione della P2 è l'infradiciamento delle istituzioni. Ma quest'opera si è avvalsa anche della più diretta corruzione finanziaria di cui uno dei maggiori agenti è stato negli ultimi 5 anni il polmone finanziario dell'Ambrosiano di Calvi (così come nel primo quinquennio del settanta al sistema sindoniano era servito come divisione finanziaria della corruzione di regime).

Le linee di credito aperte da Calvi (su suggerimento di Gelli?) nei confronti di quasi tutti i partiti di regime, DC, PSI, PCI, PSDI e PRI - pur se utilizzate in maniera diversa - hanno rappresentato proprio questa opera di corruzione spicciola, fonte quindi di coinvolgimenti e ricatti. Delle linee di credito, come è noto, è stato soprattutto il PSI ad usufruire in maniera massiccia senza restituire i molti miliardi ricevuti. E molti sono gli indizi che, proprio per far fronte alla crescente necessità finanziaria del "rinnovato" e "modernizzato" e "efficiente" corso socialista, i dirigenti del PSI si siano trovati inviluppati nei maggiori scandali di regime tutti o quasi tutti nei dintorni P2.

"Finora la Commissione P2 non si è minimamente occupata dei crediti dell'Ambrosiano verso i partiti o le società con loro collegate". Sembra incredibile! Eppure in una vicenda, forse minore per entità quantitativa ma certamente gravissima per natura e qualità, la Commissione di inchiesta non ha effettuato neppure una richiesta formale di acquisizione della documentazione. E' necessario, è urgente chiedere ai consiglieri del nuovo Ambrosiano la situazione dettagliata delle operazioni effettuate dai Partiti e dei debiti tuttora in atto; e le conseguenze possono essere di natura istituzionale per ciò che riguarda il finanziamento pubblico ai partiti.

E' moralmente e politicamente urgente che la Commissione P2 convochi i segretari dei Partiti per saperne di più sui rapporti con l'Ambrosiano. Ecco, dunque, un'altra buona ragione perché la Commissione sia prorogata.

 
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