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Strik Lievers Lorenzo - 20 gennaio 1983
Vent'anni di lotte radicali
Fuori dai "giochi", nella politica, nel paese

di Lorenzo Strik Lievers

SOMMARIO: Un discorso critico sui radicali vecchio di vent'anni. Il realismo politico di Baget-Bozzo. Un terzo livello della politica: quello in cui operano i radicali, in cui pesano i bisogni di libertà, di verità e di giustizia.

(NOTIZIE RADICALI n. 3, 20 gennaio 1983)

I radicali? Ormai sono una realtà marginale, irrilevante, e comunque, con le loro mono-fissazioni, si sono messi irrimediabilmente fuori dal gioco politico. Lo dicono tutti: dai "laici pensosi" ai più prestigiosi dirigenti del PSI, fino a Rippa e ai suoi rippici il cui grado di acume, rigore e originalità nell'analisi logica - analisi politica, e analisi logica - oggi come ieri non cessa di lasciare trasecolati. Vorrà dire che è vero. Peccato solo che chi sta da qualche tempo nel PR questo stesso discorso se lo sia sentito fare per la prima volta nel 1962, e lo abbia sentito via via ripetere, anno dopo anno, con poche eccezioni, per un intero ventennio; un ventennio lungo il quale ai radicali regolarmente si è rimproverato di estraniarsi dalle vere e serie e importanti vicende politiche coll'inseguire quelle loro eccentriche manie, prima il divorzio, poi l'aborto e gli altri diritti civili, le denunce della partitocrazia corporativa, la degenerazione e dell'industria di stato e così via (salvo poi, a battagl

ie imposte nel paese, e perciò spesso vinte, affermare tutti che si trattava di temi centrali e vitali; tutt'altrimenti, peraltro invariabilmente si aggiungeva, da quelle nuove questioni marginali, non-politiche, di cui nel frattempo i radicali sciupando - peccato! - un patrimonio prezioso avevano cominciato ad occuparsi...).

Vent'anni. Non sono pochi. A ripensarli nell'insieme, fa uno strano effetto questo continuo riproporsi della medesima obiezione, o commiserazione, o ironia, o sarcasmo, proprio mentre la vita del paese veniva segnata indelebilmente - chi oggi lo negherebbe? - dalle trasformazioni che le battaglie radicali consentivano o producevano. Eppure... Eppure, ad essere equanimi, bisogna in fondo riconoscere che nella loro miopia, così costosa per la società italiana, avevano non ragione, ma delle ragioni sì, coloro che muovevano quelle critiche; perché in effetti dal gioco politico che essi riconoscevano e riconoscono come il solo vero e serio, dalle ferree regole non scritte della "costituzione materiale" che regola la partitocrazia italiana i radicali si sono sempre mantenuti ben fuori. Ciò che significa una cosa sola: che si può - o almeno, per certo, in passato si è potuto - far politica in Italia radicalmente emarginati dal gioco politico, ossia dalle attualità della classe politica, e insieme incidere politicam

ente come pochi altri. Quel che ne viene messo singolarmente in discussione, allora, è proprio il valore di questo "gioco politico".

Credo sia importante per i radicali fare i conti con l'analisi affascinante e pericolosa che a questo proposito ha fornito pochi giorni fa Gianni Baget-Bozzo, nel tentativo, come sempre, di cogliere i "segni", le implicazioni ultime che le oscillazioni del gioco politico possono comportare ("La Repubblica", 27 gennaio 1983). A proposito dell'accordo Confindustria-sindacati, egli sottolinea la contraddizione e vistosa tra i caratteri di "un governo politicamente alla deriva", dilaniato dagli scontri tra i partiti che lo compongono "tesi nel dissenso circa i temi e i tempi delle elezioni anticipate", e il suo "incredibile" successo nell'ottenere un'intesa di quella portata. "Mentre i partiti erano al massimo della divaricazione e la loro divaricazione politica assumeva sempre più il linguaggio della contrapposizione sociale, si è verificata, inattesa, la convergenza delle forze sociali su un'iniziativa del governo". Così, secondo Baget-Bozzo, quel governo Fanfani che alla vigilia era "il governo di nessuno", o

ra è "il governo delle relazioni industriali"; a dargli "piena legittimità politica" è "il consenso delle parti sociali, non quello del parlamento e dei partiti", e su questa base esso è ben in grado di "sopravvivere alle dispute dei partiti"; per parte loro, i partiti "hanno ricevuto un messaggio dall'elettorato: nessuna delle questioni che così aspramente li dividono interessa il paese".

Su un'altro piano, dunque, da altre premesse, ne emerge un dato che solo può offrire la spiegazione dell'altrimenti inspiegabile forza di un partito perennemente "fuori dal gioco politico": ossia "la separazione tra la politica rappresentata e quella reale nel nostro paese". Non può sfuggire il rilievo, la fecondità della chiave interpretativa che così viene offerta, e la sua differenza da tante altre, classiche contrapposizioni, come quella tra mondo della politica e "paese reale" o quella tra una costituzione che resta sulla carta e la vita concreta del sistema politico: qui è questione di diversi piani di "gioco politico", appunto, diversi per qualità e interna verità, e rispetto a ciascuno dei quali mutano profondamente senso e valore dei modi di fare politica.

Problemi gravi, drammatici sorgono però dal modo in cui Baget-Bozzo stesso applica questo suo criterio di lettura. "Per poter creare una norma", egli infatti aggiunge, "il governo ha dovuto produrla al tavolo delle trattative con le parti sociali, non in Parlamento (...). Abbiamo creato in Italia un modello politico che è anomalo, finché non sarà conosciuto come canonico: un modello in cui le strutture della società civile si assumono funzioni e compiti che i criteri canonici affidano allo Stato". E la proposta del politologo cattolico è proprio quella di riconoscerlo come canonico. Se pure, egli ammette, "in tempo di mafia e di camorra non si possono accettare le dimissioni dello Stato, perché la società civile annovera nel suo seno anche forze perverse", è su questo terreno che si delinea e prefigura la "grande riforma" la quale ha bisogno, per poter funzionare, di "piccole riforme": "è aperto ora un problema istituzionale".

Si tratterrebbe dunque di accettare e formalizzare istituzionalmente logica e diritto corporativi, che soli esprimerebbero la "politica reale". La richiesta è insomma quella che si traduca in norma coerente ed esplicita il primato della contrattazione fra i gruppi sociali organizzati; ossia, in ultima analisi, il prevalere della legge del più forte nella gara degli interessi sopra quella logica rivoluzionaria dello stato liberale che, attraverso la legge uguale per tutti, stabilita da un parlamento rappresentativo dei cittadini e non contrattata in una camera delle corporazioni, considera il singolo in primo luogo come cittadino, non come membro di un gruppo sociale, e in questa veste ne riconosce e tutela il diritto.

C'è logica e coerenza in questo: ma è la logica di un'accettazione del peggio della realtà italiana, in cui oltretutto le dinamiche corporative sono connesse inestricabilmente con quelle della corruzione e della violenza lottizzatorio-partitocratica; che è il cordone ombelicale che tiene uniti i "due piani" della politica identificati da Baget-Bozzo.

Vuol dire pur qualcosa il suo articolo sia uscito il giorno stesso in cui all'interno di quel "governo delle relazioni industriali" divampava il nuovo, vergognoso scandalo ENI...

Il fatto è che esiste un terzo livello di vita politica, di "politica vera", in drammatico, permanente conflitto con gli altri due; ed è quello in cui pesano i bisogni - bisogni, ripeto - di libertà, verità, giustizia, fraternità, rispetto della dignità umana propria ed altrui che la gente, che ognuno, ha in sé; anche quando magari non sa di averli, o si sforza di soffocarli. E' questo il piano della "politica vera" in cui il Partito radicale, marginale o assente negli altri due, è invece necessariamente centrale; questo il terreno su cui ha conquistato le sue straordinarie vittorie. Questo il terreno su cui, con la battaglia contro lo sterminio, con le nuove cinque petizioni che meglio chiariscono l'organicità rivoluzionante della sua prospettiva, con le sue rigorose lotte non violente, più che mai il PR è al centro del gioco politico; con buona pace di Craxi e dei suoi Rippa.

 
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