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Filippini Rosa - 20 gennaio 1983
Liste verdi: né, mito, né moda. Necessarie
La proposta degli amici della terra per le liste verdi

di Rosa Filippini

SOMMARIO: La realtà verde italiana forse libera dal mito dei "grunen". Nel dibattito dell'area verde in Italia, emarginati i radicali, i politilogi puntano i loro cannocchiali sull'ala movimentista "rossa". In realtà la proposta di far scendere i verdi nelle competizioni elettorali lacera il movimento e rivela vecchi e nuovi opportunismi. Liste o partito?

(NOTIZIE RADICALI n. 3, 20 gennaio 1983)

("Questo articolo di Rosa Filippini, che fa il punto sulla "questione verde" in Italia e sulla proposta degli Amici della Terra, è stato richiesto due settimane fa da "Pace e Guerra" e mai pubblicato.)

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Forse è già tempo di liberarsi del mito del Grünen e di guardare con maggior serietà alla "questione verde" in Italia. Si vanno delineando possibilità nuove. Nell'area protezionistica si affaccia una nuova decisione politica, impensabile fino a ieri; mutamenti positivi si avvertono anche nell'ala movimentista "rossa". E mentre le scadenze politiche vengono accelerate dalla crisi incrociata dell'economia e dei partiti tradizionali ci troviamo a decidere, oggi, se rassegnarci a diventare un nuovo soggetto corporativo, oppure se tentare un salto di qualità per portare l'ecologia al centro dello scontro politico. Le "liste verdi" proposte dagli Amici della Terra possono essere lo strumento di una politica di attacco.

Prima, però, liberateci dai miti e dalle mode. I Grünen sono un fatto serio e importante; e come già Les Amis de la Terre francesi possono offrirci validi punti di riferimento. Non c'è bisogno di usarli fuori misura o di ideologizzarli. Soprattutto non possono diventare un pretesto per eludere la realtà e i problemi italiani.

Perché proprio questo è avvenuto: l'emergere dei Grünen, l'incipiente successo del loro attacco al sistema partitico della RFT hanno messo il fuoco addosso ai politologi. Che tuttavia, armatisi di cannocchiali e tavole astrologiche, hanno curiosamente distolto lo sguardo dall'Italia e si son messi a scrutare il cielo: il verde crescerà anche in Italia? Sarà partito o movimento? Verde o rosso? Aggregherà panda o vecchi volpi? In questa disputa bizantina, nessuna attenzione al momento essenziale delle scelte, del far politica; scarso interesse per le specifiche esigenze della situazione italiana e per lo stesso "soggetto verde" già esistente. Come se Die Grünen in Germania equivalessero ai marziani a Roma.

In realtà, rimasto "sommerso" il dibattito in corso nella corrente protezionistica, e tenuta ai margini la corrente radicale, era inevitabile che l'informazione venisse condizionata dall'ala che definiremo genericamente marxista, identificabile con l'esperienza gruppuscolare e con l'associazionismo comunista. L'identikit dei verdi italiani è stato così disegnato con connotati parziali, dando l'impressione che ci s'interrogasse in realtà, più che sul soggetto verde, sulle evoluzioni politiche di quell'area. Di qui un'ulteriore spinta al jeu de massacre delle esclusioni e delle concorrenzialità, che hanno reso il dibattito sempre più angusto e limitato sia nei protagonisti che nell'oggetto dell'analisi (tipico, a questo proposito, il convegno di Trento).

Ciò non vuol dire che siano emerse posizioni uniformi. E' lecito il dubbio, ad esempio, che nella vicenda dei Grünen interessi a taluni, non tanto la scoperta del verde, cioè dell'ecologia e del suo impatto con la politica (cose certo non nuove), ma l'emergere di un nuovo partito antagonista e la sua possibilità di successo. Il che potrebbe incoraggiare tentativi di rilancio delle fortune della "nuova sinistra", irrobustita dal contatto con la problematica verde.

Per un altro verso, la peculiare gestazione del partito verde tedesco - descritta spesso con superficialità e in forma idilliaca - potrebbe far risorgere un mito infelice e per nulla nuovo: quello dello spontaneismo vincente del movimento, che consentirebbe di aggirare lo scoglio della progettazione di un modello nuovo di partito, contro cui si sono infrante molte speranze della "nuova sinistra" in Italia.

Si è anche espressa, in apparente contraddizione con la fuga in avanti della proposta di partito verde, la preoccupazione di evitare scelte concorrenziali nei confronti della sinistra storica. Senza peraltro neanche approfondire, o almeno aggiornare, l'analisi di che cosa rappresenti oggi questa sinistra in riferimento ai problemi dell'ambiente, dell'energia, delle tecnologie, del rapporto Nord-Sud.

E' anche vero che il dibattito sui verdi è stato, fino a un certo momento, troppo "facile" appunto perché astratto, svincolato dal confronto con la realtà politica e le sue scadenze. E ha consentito ardimenti teorici e libere uscite impensabili in un normale dibattito politico. Tipica la frattura che si nota nelle posizioni del presidente dell'Arci, Menduni: spregiudicate fino a non escludere la possibilità di liste verdi ("Manifesto", fino a ottobre), si riducono improvvisamente, dopo la proposta degli Amici della Terra, a un brusco richiamo alla distinzione di ruoli tra movimenti e partiti ("Pace e Guerra", inizio dicembre). La proposta di liste verdi per le amministrative ha indubbiamente rimesso il dibattito sui piedi, riportandolo sul terreno della politica.

Le liste prefigurano un obiettivo di crescita e, nello stesso tempo, un metodo. Mentre la questione del partito divide l'area ecologista e ne riduce pericolosamente il perimetro, le liste possono essere occasione e strumento di unità, senza tentazioni né rischi di mortificazione delle diversità. Sarebbe assurdo compromettere questa possibilità di comunicazione tra le diverse correnti ecologiche per sudditanza psicologica ai settarismi di piccoli gruppi.

Occorre rispondere a una doppia esigenza: far compiere un salto di qualità alla politica ecologista; attivare e potenziare lo scontro politico per il buon governo del territorio e delle risorse nelle articolazioni base della democrazia, nei municipi, dove i problemi sono direttamente avvertiti dalla gente e dove si fanno quotidianamente scelte decisive. Gli ecologisti non possono essere indifferenti alla decentralizzazione della politica, senza diventare omologhi alla cultura e agli interessi che intendono combattere. Non è un caso se, all'estero, le affermazioni dei verdi sono sempre partite dai comuni.

Questo implica, in Italia, uno scontro diretto con la partitocrazia che sequestra la politica dei comuni e spinge le lottizzazioni fin nelle circoscrizioni e nelle Usl. E' qui che il verde può incontrarsi con il municipalismo e con i movimenti di opposizione alla politica dei partiti "romani". Ancora oggi le amministrative sono subordinate agli interessi dei partiti di governo, utilizzate come semplici test elettorali o addirittura annullate. Gli esempi di Trieste e del Trentino, l'aumento delle schede bianche, indicano che si è aperto un processo nuovo, in reazione al distacco della politica dai problemi della gente. Occorre offrire a questo processo uno sbocco positivo, la possibilità concreta di un rinnovamento della politica nei municipi.

E' una scadenza che non va sottovalutata, né può essere sacrificata all'ipotesi, tuttora astratta, di un'avventura elettorale che punti direttamente alle politiche. D'altra parte, la nostra proposta non pregiudica nulla: è solo una sollecitazione a percorrere insieme un tratto di strada comune, che in ogni caso è bene percorrere.

Si tratta anche di un rischio, certo: come sempre, quando si sceglie e ci si muove, si rischia la vittoria o la sconfitta, si guadagnano alleati e avversari. Ma rimanendo fermi c'è la certezza del danno, e un ritardo forse irrimediabile nel tentativo di portare alla politica una parte rilevante dell'opinione ecologica. Conviene dunque dare un addio all'arcadia.

 
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