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Tessari Alessandro - 20 gennaio 1983
Crociata nucleare: leadership del Pci
Mentre Pandolfi dà ragione al P.R.

di Sandro Tessari

SOMMARIO: Il Ministro Pandolfi rifà i conti del Piano energetico nazionale e frena gli ardori dell'avventura nucleare. I comunisti nuovi crociati nuclearisti, con la tesi che la produzione energetica trascinerà il rilancio produttivo. La tesi radicale è opposta: priorità colpire l'erogazione a pioggia di contributi a tutta l'industria, ivi compresa quella parassitaria.

(NOTIZIE RADICALI n. 3, 20 gennaio 1983)

Dopo diciotto mesi dalla presentazione alle Camere del Piano energetico nazionale, approvato col solo voto contrario dei radicali, il nuovo ministro dell'Industria Pandolfi ha fatto il primo bilancio: bisogna modificare le previsioni dello sviluppo economico al 1990 di conseguenza mutare le stime del fabbisogno relativo, frenare il programma nucleare che scenderebbe a tre nuove centrai (Piemonte, Lombardia e Puglia) e ancorare il programma delle centrali a carbone (Calabria e Lombardia) alla soluzione dei problemi connessi con la "logistica e la tempistica per gli approvvigionamenti". Conferma prudente del PEC (il prototipo italiano di reattore veloce) e del CIRENE (progetto italiano di reattore a uranio naturale moderato ad acqua pesante) e invito retorico a non dimenticare l'importanza del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili. Agli occhi dei commissari comunisti la relazione Pandolfi è parsa una resa del governo alle tesi radicali. Una resa tanto sbarcata da far scattare una sorta di orgoglio naz

ionale ferito: se il governo abbandona le linee di guida del piano energetico nucleare sarà compito dei comunisti farle rivivere.

Noi radicali lungi dal rallegrarci della situazione abbiamo due ordini di motivi per essere preoccupati e per impegnarci ancor più tenacemente nella battaglia in questo settore. Il primo nasce dal fatto che il governo nella sostanza non ha cambiato la sua strategia non solo perché continua a sprecare centinaia di miliardi nei due carrozzoni del PEC e del CIRENE, ma perché continua nei fatti a sottovalutare il ruolo che potrebbe giocare una seria politica del risparmio energetico e di potenziamento delle fonti rinnovabili. In questi settori si è registrata una riduzione degli stanziamenti pubblici e la residuale scelta nucleare (ora che è passato l'art. 17 che mette ai margini il ruolo dei comuni nella determinazione dei siti per le centrali) verrà fatta passare come imposizione del CIPE (comitato interministeriale per la programmazione economica). Per converso non abbiamo nessun motivo di rallegrarci per la scelta del carbone perché questa di fatto è impossibile non essendo fino ad ora stato fatto nulla per

ciò che concerne le attrezzature (ferroviarie e portuali) che sole possono rendere plausibile la realizzazione di nuove centrali a carbone e la conversione a carbone delle vecchie centrali a olio combustibile.

Oggi, gettata la maschera (cfr. l'articolo di Cerrina sull'Unità del 6.1.83), il PCI sembra si candidi a promotore di un rilancio e di un potenziamento della scelta nucleare (si ricordi che il Piano prevedeva una spesa entro il 1990 per 85.000 miliardi per le centrali da realizzare) alzando l'obiettivo di 6.000 megawatt elettrici previsto dal piano del governo a ben diecimila (il che vuol dire dieci centrali nucleari contro le tre attualmente proposte da Pandolfi oltre alle due centrali in fase realizzativa a Montalto di Castro).

La giustificazione del PCI sembra avere una sua logica. Egli afferma: il governo incapace di rilanciare l'economia e quindi la produzione industriale si adagia sulla linea del contenimento energetico. Noi comunisti rifiutando la scelta recessionistica puntiamo al rilancio della produzione energetica colla speranza (non troppo fondata) che questa trascinerà il lancio produttivo.

Noi radicali siamo convinti dell'esatto contrario. Il rilancio dell'economia non può essere fatto concentrando gli investimenti sull'industria militare e su quella nucleare (per un totale di oltre 200.000 miliardi nel decennio in corso), ma riconvertendo l'industria di guerra in industria di pace (riequilibrio del territorio, agricoltura, mezzogiorno) diversificazione produttiva ma selezionata tra i settori ad alta tecnologia (e bassa occupazione) a quelli delle cosiddette tecnologie "mature" ma alto tasso occupazionale oltre al potenziamento dei grandi servizi (casa, ferrovie, trasporti pubblici, ecc.). Noi siamo convinti della necessità di colpire il sistema di erogazione a pioggia a tutta l'industria anche a quella parassitaria (presente nel grande settore pubblico e in quello privato).

 
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