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Pannella Marco - 1 aprile 1983
(5) ESISTE ANCORA IL REATO DI DIFFAMAZIONE? Le querele

SOMMARIO: Il volume edito dal "Centro Calamandrei" raccoglie gli atti di un processo per diffamazione relativo al "caso D'Urso". Nel corso del rapimento da parte delle Brigate Rosse del magistrato Giovanni D'Urso, due quotidiani accusarono il leader radicale Marco Pannella di aver portato in televisione la figlia del rapito Lorena e di averla costretta a leggere un comunicato delle BR in cui si definiva il giudice "boia".

Le querele che ne seguirono e l'intero processo, al termine del quale i due giornali furono assolti, illuminano come viene considerato oggi il reato di diffamazione ed offrono lo spunto per una riflessione aggiornata sul rapporto fra cittadini e mezzi di comunicazione di massa.

Nel volume, oltre alle querele, agli interrogatori di Marco Pannella e Lorena D'Urso, all'arringa dell'avv. Luca Boneschi e alla sentenza, sono riportati quattro pareri "pro-veritate" che il Centro Calamandrei ha chiesto ad altrettanti insigni studiosi della materia: Giorgio Gregori, Ferrando Mantovani, Enzo Musco e Pietro Nuvolone.

La loro aspra critica della sentenza e dei suoi principi ispiratori fanno sperare che sia ancora possibile, in una società dominata dai mass-media, tutelare l'onore e la reputazione dei singoli e degli enti in cui si esplica la loro personalità.

("ESISTE ANCORA IL REATO DI DIFFAMAZIONE?" - Analisi di un clamoroso caso giudiziario - Centro di iniziativa Giuridica Piero Calamandrei - Edizioni di Informazione e Diritto, Roma)

Indice

Angiolo Bandinelli: Democrazia e persona (testo n. 3941)

Premessa (testo n.3942)

IL PROCESSO

L'articolo di Paese Sera del 13 gennaio 1981 (testo n. 3943)

L'articolo de L'Unità del 13 gennaio 1981 (testo n. 3944)

Le querele (testo n. 3945)

L'interrogatorio di Marco Pannella (testo n. 3946)

La testimonianza di Lorena D'Urso (testo n. 3947)

L'arringa di Luca Boneschi (testo n. 3948)

La sentenza (testo n. 3949)

I PARERI PRO VERITATE

Giorgio Gregori (testo n. 3950)

Ferrando Mantovani (testo n. 3951)

Enzo Musco (testo n. 3952)

Pietro Nuvolone (testo n. 3953)

APPENDICE (testo n. 3954)

Articolo da l'Unità dell'11 gennaio 1981

Articolo da l'Unità del 14 gennaio 1981

Articolo da l'Unità del 16 gennaio 1981

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Le querele

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA

ATTO DI QUERELA

Il sottoscritto Marco Giacinto Pannella, residente in Roma, ed ivi elettivamente domiciliato in Roma, Via Monte delle Gioie 34, presso l'avv. Gioia Vaccari, espone quanto segue:

Il giorno 13 gennaio 1981 il quotidiano »Paese Sera di Roma ha pubblicato una fotografia di Lorena D'Urso figlia del magistrato rapito e sequestrato dalle B.R. il giorno 12 dicembre 1980, che mostra la giovane mentre sta parlando nella trasmissione »Tribuna politica flash mandata in onda sulla seconda rete radiotelevisiva il 12 gennaio 1981.

Sotto la fotografia si legge il seguente titolo: »"Pannella costringe Lorena D'Urso a definire boia suo padre in TV" .

Segue un testo di questo tenore: »"Pannella ha compiuto ieri sera una azione che definire vergognosa è poco: nello spazio autogestito di »Tribuna politica flash ha portato Lorena D'Urso, (nella foto), figlia del magistrato, a leggere un appello per la salvezza del padre. Ma non gli è bastata la scena »a effetto e ha costretto la ragazza a leggere il comunicato dei terroristi di Palmi in cui si dice che »il boia D'Urso è stato giustamente condannato . Sapevamo già che Pannella chiama i b.r. »compagni . Ora sappiamo anche come loro chiamano Pannella: »compagno tirapiedi" .

Occorre premettere, prima di analizzare i fatti costitutivi del reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa, che il Partito Radicale ha assunto sin dall'inizio nella vicenda D'Urso una posizione diversa rispetto a quella degli altri partiti costituzionali. Posizione che si può riassumere nella formula »dialogo , nel tentativo di salvare una vita umana.

Come è noto, sin dai primi comunicati delle Brigate Rosse emessi nel corso del sequestro D'Urso si collegò l'attività dei brigatisti a quella dei comitati clandestini di lotta nelle carceri. Nel comunicato n. 6 del 29.12.1980 si affermava che i messaggi da Trani e da Palmi dovessero essere pubblicati immediatamente ed integralmente.

Qualora la richiesta fosse stata disattesa, si sarebbe proceduto di conseguenza. Nel comunicato n. 8 veniva espressamente affidata ai terroristi detenuti la parola definitiva sulla sorte di D'Urso.

Volontà, questa, ribadita nel comunicato n. 9 del 10.1.81, nel quale si affermava che, se entro 48 ore dalla pubblicazione del comunicato non fossero stati pubblicati integralmente sui maggiori quotidiani italiani i messaggi emessi dagli »organismi di massa di Trani e di Palmi, si sarebbe senz'altro dato corso all'esecuzione della sentenza, cui D'Urso era stato condannato. L'ultimatum fissato in seguito dalle B.R., scadeva alle 14 del 13.1.1981.

Nell'evidente inequivocabile intento di ottenere la liberazione del magistrato ed, ovviamente, in base ad una diversa analisi politica dei fatti, i radicali ritenevano più saggio e giusto non ostacolare la pubblicazione dei messaggi.

Proprio in limine rispetto allo scadere dell'ultimatum delle B.R. quando l'angoscia per la sorte del magistrato era ormai giunta a punte altissime, come pure lo sgomento e il dolore della famiglia e di tutti coloro che davano il vero valore al sacrificio di una vita umana, il Partito Radicale, cui per regolamento della Commissione parlamentare di vigilanza spettava ancora l'utilizzo di due »Tribune flash (brevi spazi televisivi di 4 minuti assegnati ai partiti e collocati dopo il telegiornale della seconda rete radiotelevisiva) ritenne opportuno e doveroso offrire alla famiglia D'Urso la possibilità di usare un flash. La famiglia D'Urso accettò l'offerta e designò Lorena D'Urso per utilizzare i 4 minuti nei quali venne lanciato un nuovo appello per la liberazione del magistrato e venne data lettura di una parte del comunicato dei detenuti di Palmi.

La decisione inerente alle modalità d'uso dello spazio televisivo fu assunta totalmente dalla famiglia D'Urso, che designò la giovane Lorena a parlare e che decise cosa dovesse essere detto nella trasmissione.

Nel quotidiano »Paese Sera del 13.1.1981, le circostanze soprarichiamate non sono oggetto di un commento critico ed anche negativo (fatto questo ben legittimo e lecito), ma vengono artatamente distorte e falsificate.

L'intitolazione racchiude già sinteticamente il senso del testo che segue: »"Pannella ha costretto Lorena D'Urso a definire boia suo padre in TV" .

Passando all'esposizione dei supposti fatti, si sostiene che Pannella ha compiuto la sera precedente un'azione che definire vergognosa è poco. Ha »"portato" Lorena D'Urso nella trasmissione autogestita di Tribuna politica flash, affinché leggesse un appello per la salvezza del padre. Ma l'effetto raggiunto non gli è bastato. Ha difatti »costretto la ragazza a leggere il comunicato dei terroristi di Palmi nel quale si afferma che »il boia D'Urso è stato giustamente condannato

E per concludere il discorso, a corollario delle precedenti affermazioni, viene assegnata a Pannella una funzione di tirapiedi delle B.R..

Esaminando ora il contenuto diffamatorio dell'articolo (seppure non ve ne sarebbe alcun bisogno) si ricava che Pannella avrebbe non solo »"portato" la giovane nella trasmissione (è chiaro il senso di una sovrapposizione della volontà di Marco Pannella rispetto a quella della figlia del magistrato).

Ma, fatto davvero grave, l'avrebbe addirittura coartata nella sua volontà (l'effetto denigratorio è qui evidentissimo, visto che si tratta di una giovane e per di più travagliata da un forte dolore) costringendola a leggere il comunicato di Palmi. L'azione svolta è poco definirla vergognosa. Si chiude infine il testo come già esposto, con l'assegnazione di una funzione di tirapiedi delle B.R., il cui significato diffamatorio si commenta da sé.

La denigrazione della reputazione di Marco Pannella risalta dunque non solo nella valutazione della sua azione (più che vergognosa) che costituisce, non una critica legittima, ma un vero e proprio insulto alla personalità del querelante (anche perché basata su una mendace rappresentazione dei fatti accaduti) ma è presente, ovviamente, nel riferimento di circostanze assolutamente false e gravemente offensive.

E' falso ed offensivo affermare che Lorena D'Urso sia stata »portata alla Tribuna politica flash, perché l'evento è stato determinato dall'iniziativa della famiglia che l'ha designata a parlare.

E' falso ed offensivo sostenere che sia stata costretta a leggere il comunicato di Palmi.

L'attribuzione di un simile comportamento (costringere significa obbligare qualcuno contro la sua volontà) è lesivo dell'onore e della reputazione di chi se lo vede assegnato ed ancor più lesivo lo è per chi da sempre, ed in particolare in questa vicenda ha fatto della nonviolenza, del convincimento politico, del rispetto dei diritti di tutti e di ciascuno il proprio credo politico ed il proprio canone di comportamento.

Diffamatoria (è inutile commentarlo) è l'assegnazione della funzione di »tirapiedi delle B.R., perché, al di là dell'artificio retorico posto in essere dal giornale, che prospetta la definizione come proveniente dalle B.R., essa configura un legame operativo con il terrorismo, nei confronti di chi lo combatte.

Il dolo è evidentemente in re ipsa.

Non tanto e non solo le precisazioni che la stessa Lorena D'Urso, visto il clamore seguito alla sua iniziativa ha ritenuto di fornire pubblicamente (una dichiarazione che spiegava gli eventi e le ragioni per cui la D'Urso aveva deciso di leggere una parte del comunicato di Palmi era stato diffusa dall'Ansa alle ore 12,18 del 13.1.1981) sono significative per ritenere l'esistenza del dolo, ma è l'evidenza stessa dell'esposizione nella sua falsità e inequivocabile offensività che ne costituisce sicura prova.

Tanto premesso, il sottoscritto chiede che sia esercitata l'azione penale per il delitto di diffamazione aggravata a mezzo stampa e per tutti gli altri reati che si ravvisassero nella specie nei confronti di Piero Pratesi nella qualità di direttore responsabile del quotidiano »Paese Sera di Roma , essendo ignoto l'autore dell'articolo indicato e nei confronti di tutti coloro che possono aver concorso alla commissione dei fatti.

A tal fine si querela con il presente atto contro le suindicate persone per i fatti come esposti.

Con tutte le riserve di legge, compresa quella di costituirsi parte civile, di indicare testimoni, di produrre documenti.

Concede ampia facoltà di prova.

Si allega: 1) Paese Sera di Roma del 13.1.1981

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ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI ROMA

ATTO DI QUERELA

I sottoscritti Giacinto Pannella detto Marco e Francesco Rutelli in proprio e nella sua qualità di Segretario Nazionale del Partito Radicale, elettivamente domiciliati in Roma, corso Rinascimento 65

espongono

L'Unità del 13/1/81 pubblica un articolo dal titolo »"Ignobile: Pannella induce la figlia di D'Urso a chiamare boia il padre" e dal sovratitolo »"Facendole leggere in TV un proclama Br" , da intendersi per qui integralmente trascritto, nel quale si leggono, tra l'altro, le seguenti frasi:

»"Qui vogliamo dire la nostra terribile sofferenza la nostra profonda umiliazione per ciò che ieri sera dagli schermi della televisione è stata costretta a fare la figlia di D'Urso nei quattro minuti messi a sua disposizione con un cinico calcolo dai radicali. Per lei c'è tutto il nostro affetto, tutta la nostra partecipazione. Per Pannella c'è tutto il nostro disprezzo .

»E' stata costretta perfino a leggere le parole dei suoi torturatori, di quegli assassini che, sequestrato suo padre da un mese, decisi ad ucciderlo, lo definiscono »boia ; e questa parola pronunciata da lei, vittima sacrificale di questa mostruosa vicenda, di questa ignobile messa in scena segna il punto di massima abiezione delle B.R. e di coloro che si prestano ad appoggiare o a subire i loro ricatti" .

Occorre premettere, prima di analizzare i fatti costitutivi del reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa, che il Partito Radicale ha assunto sin dall'inizio della vicenda D'Urso una posizione diversa rispetto a quella degli altri partiti costituzionali. Posizione che si può riassumere nella formula »dialogo , nei tentativo di salvare una vita umana. Come è noto, sin dai primi comunicati delle Brigate Rosse emessi nel corso del sequestro D'Urso, si collegò l'attività dei brigatisti a quella dei comitati clandestini di lotta nelle carceri. Nel comunicato n. 6 del 29.12.1980 si affermava che i messaggi emessi da Trani e da Palmi dovessero essere pubblicati immediatamente ed integralmente.

Qualora la richiesta fosse stata disattesa, si sarebbe proceduto di conseguenza. Nel comunicato n. 8 veniva espressamente affidata ai terroristi detenuti la parola definitiva sulla sorte di D'Urso. Volontà questa ribadita nel comunicato n. 9 del 10.1.81, nel quale si affermava che, se entro 48 ore dalla pubblicazione del comunicato non fossero stati pubblicati integralmente sui maggiori quotidiani italiani i messaggi dagli »organismi di massa di Trani e di Palmi, si sarebbe senz'altro dato corso all'esecuzione della sentenza, cui D'Urso era stato condannato.

L'ultimatum fissato in seguito dalle B.R., scadeva alle 14 del 13.1.1981. Proprio in limine allo scadere dell'ultimatum delle B.R., quando l'angoscia per la sorte del magistrato era ormai giunta a punte altissime, come pure lo sgomento ed il dolore della famiglia e di tutti coloro che davano il vero valore al sacrificio di una vita umana, il Partito Radicale, cui per regolamento della Commissione parlamentare di vigilanza, spettava ancora l'utilizzo di due »Tribune flash (brevi spazi televisivi di 4 minuti assegnati ai partiti e collocati dopo il telegiornale della seconda rete radiotelevisiva) ritenne opportuno e doveroso offrire alla famiglia D'Urso la possibilità di usare di un flash. La famiglia D'Urso accettò e designò Lorena D'Urso per utilizzare i 4 minuti nei quali venne lanciato un nuovo appello per la liberazione del magistrato e venne data lettura di una parte del comunicato di Palmi. La decisione inerente alle modalità d'uso dello spazio televisivo fu assunta totalmente dalla famiglia D'Urso, ch

e designò la giovane Lorena e che decise cosa dovesse essere detto nella trasmissione.

Nel quotidiano »Unità del 13.1.1981, le circostanze soprarichiamate non sono oggetto di un commento critico ed anche negativo (fatto questo ben legittimo e lecito) ma vengono artatamente distorte e falsificate.

L'intitolazione racchiude già sinteticamente il senso del testo dell'articolo: »"Facendole leggere in TV un proclama Br" - »"Ignobile: Pannella induce la figlia di D'Urso a chiamare »boia il padre" .

E' evidente che si attribuisce a Marco Pannella sin dal titolo, di aver coartato la volontà di Lorena D'Urso facendole chiamare »boia il padre. Dall'articolo, poi, si ricava che Pannella ed i radicali avrebbero »con cinico calcolo messo a disposizione della figlia del magistrato i 4 minuti, costringendola, e dunque ancora e di nuovo coartandone la volontà, a dire le cose che ha detto.

La diffamazione nei confronti di Pannella e dei radicali risalta dunque nel riferimento di circostanze assolutamente false e gravemente offensive.

E' falso ed offensivo affermare che Lorena D'Urso è stata costretta a leggere il comunicato di Palmi, perché è stata lei, in accordo con la sua famiglia a decidere di e come utilizzare la Tribuna flash.

E' falso ed offensivo dire che la costrizione è stata effettuata dai radicali. E' falso ed offensivo attribuire agli stessi un »cinico calcolo . L'attribuzione di simili comportamenti (costringere significa obbligare qualcuno contro la sua volontà) è lesivo dell'onore e della reputazione di chi se lo vede assegnato e ancor più lesivo lo è per chi, da sempre, ed in particolare in questa vicenda ha fatto della non violenza, del convincimento politico, del rispetto dei diritti di tutti e di ciascuno il proprio credo politico ed il proprio canone di comportamento. Diffamatoria è altresì l'assegnazione ai radicali ed a Pannella della funzione di appoggio delle Brigate Rosse e di disponibilità a subirne i ricatti, poiché ciò configura un legame operativo con il terrorismo attribuito a chi invece lo combatte.

Tutto ciò premesso, i sottoscritti

denunciano e querelano

il signor Antonio Zollo, direttore responsabile de l'Unità, e l'ignoto autore dell'articolo »Ignobile: »Pannella induce la figlia di D'Urso a chiamare »boia il padre , pubblicato su l'Unità del 13 gennaio 1981, e tutti coloro che possono aver concorso alla commissione dei fatti suddetti, per il delitto di diffamazione aggravata a mezzo stampa e per tutti gli altri reati che nella specie si ravvisassero.

Con tutte le riserve di legge, compresa quella di costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali, morali ed extrapatrimoniali subìti, di indicare testimoni, di produrre documenti.

Si concede facoltà di prova.

Si allega: l'Unità del 13 gennaio 1981

 
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