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Signorino Mario - 30 agosto 1983
I CUGINI DEL PSI
L'"autoriforma" socialista e la politica radicale

di Mario Signorino

SOMMARIO: E' di scena l'autoriforma dei partiti: la Dc di De Mita, il Psi. Martelli a "La Repubblica". Buone intenzioni in un vuoto politico. Lo strumento partito è vecchio. Clientele fiorite in un quindicennio. I modelli organizzativi dei partiti sono condizionati dagli obiettivi che si perseguono. Il modello morandiano: l'alienazione della tradizione socialista a favore del modello egemone comunista, chiusura al rinnovamento tentato da Rosselli, Giustizia e Libertà, e dal Partito d'Azione. Resta la struttura burocratica, superata dall'affermarsi delle correnti sul modello Dc e dallo sviluppo del Psi in partito di potere. La corruzione nel Psi non è come crede Martelli un'invasione di marziani ma effetto della scelta partitocratica e della strategia politica. I partiti corrompono, la partitocrazia corrompe. L'autoriforma: propaganda o aria fritta. Il Psi promette di non fare più tessere false! L'antica sicurezza è finita e l'iniziativa radicale non è estranea a ciò. Nei confronti del Psi, il dualismo conver

genza-scontro condurrà a integrazione e crescita comune o a definitiva separazione. Due ipotesi: sfida formale al Psi per una nuova fase costituente; rilancio dell'iniziativa per imporre punti di confronto e di scelta. Obiettivi delimitati ma necessari per verificare la capacità dei dirigenti socialisti di svincolarsi dalla scelta partitocratica.

(NOTIZIE RADICALI n. 36, 30 agosto 1983)

(I nostri rapporti con il PSI sempre in bilico fra dialogo e rottura. Rilancio della proposta di una "costituente" socialista oppure ricerca di convergenze su grandi obiettivi politici che la rendano possibile in futuro?)

Qualcuno rimaneva secco sulla via di Damasco, altri venivano convertiti da Santa Rita. Ma sempre, in passato, si è fatto ricorso al deus ex machina per spiegare cambiamenti drastici di comportamento da parte di cattivi soggetti.

Oggi non più: i cattivi soggetti assicurano che si cambieranno da soli, senza santi né miracoli. Così, per "autoriforma". Ed ecco al centro del dibattito politico il "rinnovamento" dei partiti ha cominciato la Dc di De Mita, adesso e il turno del Psi. "E' all'ordine del giorno - ha detto Martelli a "Repubblica" - l'autoriforma del partito". Fuori i corrotti!

Politologi e sociologi ci stanno già ricamando sopra. Ma senza santi né miracoli è poco credibile che si cavi un ragno dal buco.

Le buone intenzioni - se esistono - sono già in partenza compromesse dall'assoluto vuoto politico in cui si inscrivono. Prendiamo alcuni esempi.

Martedì preannuncia l'intenzione di rinnovare lo strumento partito, cambiandone il modello organizzativo. Oggi abbiamo un mix deleterio tra il vecchio apparato morandiano del dopoguerra e le clientele fiorite nella corsa al potere dell'ultimo quindicennio. E domani? Si tenterà una razionalizzazione di tipo aziendale, una mera operazione preelettorale o che altro? E a supporto di quale politica? Mistero.

I modelli organizzativi dei partiti sono in genere condizionati dalla politica che perseguono. Così, il modello morandiano era omogeneo alla fase di più duro asservimento alla politica comunista di "fronte popolare"; era cioè l'ancoraggio politico-organizzativo nel processo di alienazione della tradizione socialista a favore del modello egemone comunista, dopo la chiusura della parentesi di rinnovamento tentato da Rosselli e dai compagni giellisti e azionisti.

Di questo apparato non rimane oggi che l'impalcatura burocratica, essendo stato superato dall'articolazione per correnti che si è sviluppata, sul modello dc, con l'affermarsi del Psi come partito di potere. Ancora una volta, dunque, sono la strategia e gli obiettivi politici a dettare la "Costituzione materiale" del partito.

C'è allora un progetto politico nuovo che rende credibile un nuovo modello di partito? Non sembra: la stessa presidenza del consiglio socialista appare finora, più che l'annuncio di una fase nuova, il coronamento dello spietato impegno del Psi per acquisire quote di potere sufficienti a sostenerne la concorrenzialità con le altre componenti della partitocrazia. Nessuna indicazione di nuova politica viene a turbare questo quadro. Sicché è probabile che si tenterà, al massimo, di eliminare lacci e lacciuoli di tipo burocratico che ostacolano la corsa del partito, assieme magari al taglio di talune degenerazioni clientelari troppo vistose.

Ma neanche questo è credibile. La corruzione nel Psi non è dovuta - come sembra credere anche Martelli - a un'invasione di marziani, ma è l'effetto inevitabile della sua scelta partitocratica e della sua strategia politica, misurabile solo in termini di potere. Accreditare l'ipotesi che la "questione morale" nel Psi nasca esclusivamente dai corrotti per fini personali è un falso.

La "questione morale" nel Psi non si risolve senza quella riforma dei partiti che andiamo chiedendo da tempo; senza intaccare quel sistema, sempre più complesso e onnicomprensivo, che schiaccia con taglie, tangenti, peculati, affarismo, la vita pubblica. Verrà allontanato qualche corrotto? Bene, ne verranno altri perché è il Psi che corrompe, come gli altri partiti della partitocrazia.

Questo è il punto. Il resto è propaganda (pensate alla fretta di anticipare il congresso socialista per bruciare sul tempo l'altro grande "autoriformatore", De Mita) o aria fritta. Fa tristezza scorrere i quattro punti base della riforma Martelli, se si rapportano all'entità e alla qualità dei problemi: eliminazione o riforma dei voti di preferenza; affermare nel Psi il principio che "chi sbaglia deve pagare"; stabilire controlli sull'amministrazione interna; eliminare il mercato delle tessere...

Pensate: nell'anno 1983, alle soglie del 2000, il Psi promette che tenterà di rispettare la legge! I suoi amministratori smetteranno di fare il cazzo che vogliono, come oggi; non si faranno più tessere false. E' come quando la stampa dà in prima pagina la notizia che al congresso del Pci, per la prima volta nella storia del comunismo reale, è stato approvato... un emendamento!

Se poi si apprende che tra i moralizzatori ci sono Pillitteri e simili, che si fa? E' il caso di lasciar perdere?

Nient'affatto: non è senza significato che uno dei partiti più compromessi nel sistema di potere senta oggi il bisogno di rifarsi un'immagine. Forse le tradizioni cominciano a pesare troppo; forse l'antica sicurezza è finita (e la nostra iniziativa politica non vi è certo estranea).

Come non è senza significato che, in taluni momenti di stretta politica, scattino nel Psi riflessi positivi che lo riavvicinano, sia pure per un momento, ai valori autenticamente socialisti.

Il caso Negri ne è l'ultimo esempio. L'osservazione non sarebbe completa se non si aggiungesse che i più significativi di questi momenti sono stati quelli in cui il Psi ha abbracciato, supportato o aiutato le battaglie politiche radicali.

Sta qui la chiave d'interpretazione del problema che il Psi pone ai radicali. Non possiamo sbarazzarcene semplicisticamente; né viverlo come un fatto di routine. Non oggi, comunque: qualunque sia la simpatia o antipatia nei confronti di questo partito, non possiamo subirne l'iniziativa o tamponarla con sporadiche iniziative.

La storia dei nostri rapporti con il Psi si è sempre sviluppata su un crinale di convergenza-scontro e comporta in prospettiva la possibilità di integrazione e crescita comune oppure - cosa assai più probabile - la definitiva separazione. Non possiamo abbandonare lo scioglimento di questa scommessa all'iniziativa politicamente cieca dei dirigenti socialisti, incapaci di qualsiasi sforzo - persino teorico - di progetto politico alternativo.

Anche se non lo volessimo, sarebbero i fatti a imporcelo: l'accelerarsi della crisi di regime, le opzioni autoritarie che crescono, l'incalzare del comunismo reale a sostegno del giogo partitocratico e del compromesso istituzionale.

La possibilità di affermazione di un'alternativa politica nel nostro paese è legata alla crescita di una grande forza radicale e socialista. O almeno sta in essa un elemento centrale di speranza, non certo nel Pci. Ancora oggi si avvertono in questo partito riflessi, cultura, comportamenti di tipo autoritario. Non c'è problema che conti in cui il Pci non si faccia portatore di tesi illiberali e di conservazione: dal problema dello Stato e delle libertà a quelli della produzione e della qualità della vita, all'energia e all'ecologia. Su tutto l'arco dei problemi della politica, il partito di Berlinguer e di Pecchioli si presenta come forza di conservazione dell'attuale regime e dei valori su cui è fondato. Non è un fatto secondario, d'altronde, che l'occupazione partitocratica dello Stato, l'assetto illegale dei poteri che ha sostituito l'ordine costituzionale, la scelta corporativa del regime si reggano sulla rinuncia del Pci ad agire da opposizione reale e quindi come forza di alternativa. E' difficile sper

are in un'evoluzione della democrazia in Italia che non passi attraverso una crisi verticale della politica e del gruppo dirigente comunista.

Certo, i dirigenti del Psi non consentono grandi speranze, tutt'altro. I loro obiettivi e la loro moralità politica sono definiti dalla loro storia. Sappiamo che la cosa più probabile è che le loro scelte politiche ci costringano ancora una volta alla rottura; e che la cosa più difficile, ai limiti del possibile, è riuscire a imporgli impegni e convergenze non episodici né strumentali che rendano credibile uno sforzo comune di "costituente socialista".

Sappiamo anche che, se fosse abbandonata alle loro incapacità e alle loro disattenzioni, la speranza socialista in Italia non avrebbe altro destino che l'estinzione, sia pure con fasi di precario attivismo. Anche adesso sembra che puntino molte delle loro carte sul'ennesimo espediente di "riforma istituzionale" per surrogare un'iniziativa politica che non sono in grado neanche di progettare. Un espediente elettorale, ad esempio, che istituendo magari la soglia del 5 per cento costringa all'unione con il Psi le forze "affini" e in primo luogo il Pr. Il banco di prova dovrebbero essere le elezioni europee.

Lo sono anche per noi, per la nostra politica. E non possiamo affrontare le nuove scadenze ridotti alla difensiva dagli espedienti del Psi e dalle sue operazioni di "promotion". La "questione socialista" non è uno spauracchio per noi, ma un punto centrale di impegno. Se è vero che i dirigenti del Psi sono incapaci di affermare un progetto politico credibile, sappiamo che è invece questo il nostro vero punto di forza.

E anche su questo dovrà discutere, in modo non marginale, il congresso radicale di Rimini. Scegliendo tra due ipotesi: la sfida formale al Psi per l'avvio di una nuova fase costituente; oppure il rilancio dell'iniziativa già sviluppata dal nostro partito per imporre punti di confronto e di scelta: obiettivi magari delimitati, ma necessari per verificare la capacità dei dirigenti socialisti di svincolarsi dalla scelta partitocratica di cui sono insieme responsabili e vittime, di avvicinarsi concretamente agli obiettivi politici che poniamo da tempo come condizioni del rinnovamento della politica nazionale e internazionale: sterminio per fame, politica militare, pensioni.

La scelta non è facile: la prima ipotesi può essere massimalista e quindi velleitaria; la seconda rischia di non avere sufficiente forza per imporsi alla "disattenzione" di un gruppo dirigente tutto preso dall'euforia dell"'avvento di Craxi".

 
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