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Spadaccia Gianfranco - 7 settembre 1983
CON TONI, PER IL DIRITTO
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Il caso Negri è più aperto che mai. I partiti invocano nuove norme sulla carcerazione preventiva: comunisti e socialisti, governo. Martinazzoli. L'odio e l'insulto per i radicali che hanno liberato Negri e costretto il Parlamento a discutere dell'autorizzazione a procedere. Un partito d'improvvisato garantisti. Il codice di comportamento degli eletti radicali in Parlamento. Perché non potevamo votare sulla sospensiva. La scelta radicale di un'iniziativa complessiva sulla giustiza e sul regime delle leggi speciali. La campagna di linciaggio contro di noi perché Negri si scoraggi o ci ripensi, come persona che rischia l'ergastolo. Per Toni siano sufficientipunti di riferimento i compagni in carcere e la nostra determinazione. Arbasino ha immaginato gli scenari futuri. Il copione è ancora da scrivere.

(NOTIZIE RADICALI n. 37, 7 settembre 1983)

(La camera dei partiti ha votato l'arresto. Pci e Psi, determinanti nella decisione della Camera, attaccano i radicali per coprire le loro responsabilità. Ma il "caso Negri" non è chiuso: inizia adesso la lotta più dura per conquistare un processo di verità e di giustizia al "7 aprile", per ridurre i termini della carcerazione preventiva. Una lotta che attraversa le carceri, le aule giudiziarie, il parlamento, il paese.

Il "miracolo radicale" si ripete. come per il divorzio e l'aborto, la classe dirigente non può sottrarsi al problema di diritto e di diritti civili che abbiamo posto al centro del dibattito politico. Eppure, ancora pochi mesi fa, parlavano di aggravare la legislazione speciale... In poche settimane, contro tutti i partiti - di destra, di centro e di sinistra - abbiamo capovolto la situazione. Si tratta ora di non farsi distrarre dai tentativi di linciaggio di chi sa di aver comunque perso. Rilanciamo dunque, più convinti e più forti, la nostra battaglia.)

Il "Caso Negri" non è chiuso, è più aperto che mai. Chi pensava che il nuovo decreto d'arresto ne costituisse la fine, dovrà convincersi invece che è appena all'inizio. In un certo senso comincia ora.

Il decreto d'arresto aggrava la contraddizione, non la sminuisce. Gli stessi partiti che hanno votato l'arresto e lo hanno lasciato passare, con l'astensione, si affrettano a invocare nuove norme sulla carcerazione preventiva. Lo fanno i comunisti in commissione giustizia, sollecitando la discussione della loro proposta di legge e facendola iscrivere all'ordine del giorno. Lo fanno i socialisti annunciando la presentazione di una loro proposta. Lo stesso governo deve annunciare un proprio disegno di legge.

La conferma che il "caso Negri" è più aperto che mai è nei giornali che riportano queste notizie. Sono gli stessi giornali ancora pieni delle notizie sul voto alla Camera del "partito delle manette" e sull'astensione del Pci e del Psi, determinante nel far passare il decreto d'arresto. Sono gli stessi giornali, ancora pieni delle polemiche contro i radicali, da tutti aggrediti, linciati, indicati per ventiquattr'ore come gli unici responsabili dell'arresto di Negri.

Dunque il tema della carcerazione preventiva è di nuovo all'ordine del giorno. Lo è per il governo, per i partiti, per il Parlamento. Il "caso Negri" ha ottenuto già questo primo risultato. Anche se il ministro Martinazzoli lo nega, sostenendo che il governo aveva già deciso indipendentemente dal "caso Negri", anzi addirittura prima della candidatura di Negri (quando? come?). Ma poi è lo stesso Martinazzoli a riconoscere che è stata la commissione giustizia, è stato il PCI, sono stati i partiti ad affrettare i tempi, a spingere e convincere il governo ad annunciare la presentazione di un disegno di legge.

Per qualche ora questa semplice verità non è stata percepibile. Le pietre che volavano contro i radicali erano tante da oscurare la visibilità. Oggi, già oggi, ancora nel mezzo delle polemiche e delle lacerazioni, ricomincia a farsi luce. Oggi, già oggi, sono i fatti a parlare. Figuriamoci domani, dopodomani, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Saranno i fatti a parlare. E parleranno tanto più chiaramente e clamorosamente quanto più si ostineranno a tapparci la bocca sulla stampa e sulla televisione di Stato e di regime.

Quel partito di improvvisati garantisti

Nel momento in cui per pochi voti è caduta la proposta di sospensiva, una valanga d'odio, un desiderio di linciaggio politico si è di nuovo rivolta contro di noi. Odiati e insultati per aver "liberato" Negri e aver costretto il Parlamento a discutere della sua autorizzazione a procedere.

Odiati e insultati, ora, come responsabili del suo arresto. Moralisti e politicanti, abituati a giocare con le vite e le libertà degli altri, strumentalizzatori di Toni Negri, disposti per machiavellismo a sbatterlo di nuovo in galera.

Un partito di improvvisati garantisti ci ha indicati per qualche ora come l'avanguardia di un nuovo partito della fermezza. Responsabili dell'arresto di Negri? E perché no, anche del processo 7 aprile, del "teorema Calogero", delle leggi speciali? Del resto non era già accaduto? Coloro che avevano votato la fiducia a Cossiga e al suo decreto non ci avevano indicato come responsabili della carcerazione preventiva, per il nostro ostruzionismo? A ripetere, fra lo stanco e il cinico, questa stupida litanìa è il comunista ("liberal" e garantista, per carità) Nicolini.

Ma anche stavolta sono bastate poche ore perché tutto questo garantismo si dissolvesse. Pci e Psi decidevano di astenersi sulla richiesta di arresto. Se avessero votato contro, l'arresto non sarebbe passato. Nel Pci la proposta di astensione passa con 88 voti, contro 57 favorevoli all'arresto e 3 contrari all'arresto. Quanto al Psi, la conduzione di Formica ne mette in luce tutta la fragilità. Se i comunisti annunciano la sospensiva, arriva la sospensiva socialista; se i comunisti si annunciano l'astensione, arriva l'astensione socialista.

I fatti parleranno per noi, e già cominciano a parlare. Ma facciamo subito uno sforzo per ristabilire la verità sulle scelte che abbiamo compiuto per diradare le mistificazioni e le manipolazioni politiche e di stampa. Facciamo uno sforzo per guardare allo scenario, certo duro e difficile, della lotta che abbiamo ingaggiato.

Il nostro codice di comportamento

Un anno fa abbiamo proposto a Toni Negri la candidatura nelle nostre liste. Lo abbiamo fatto quando nulla lasciava presagire elezioni anticipate.

Il 26 giugno ci siamo trovati di fronte a una campagna elettorale truffa, e di fronte a una degradazione partitocratica delle istituzioni e del Parlamento. Abbiamo risposta con una campagna elettorale tutta imperniata sull'appello all'astensionismo, al voto bianco, al voto nullo. Abbiamo chiesto agli elettori di negare i loro consensi alla partitocrazia, di negarle legittimazione democratica. Ma l'impegno assunto con Negri è stato forse l'argomento determinante che ci ha spinto a presentare ugualmente liste radicali. Abbiamo indicato agli elettori una subordinata: usare il voto per liberare Negri, per emanare un decreto di scarcerazione per decorrenza dei termini e di libertà provvisoria, e per liberare in prospettiva il diritto e la Repubblica dall'infamia della carcerazione preventiva e dall'infamia delle leggi speciali.

Per parte nostra abbiamo da allora avvertito che non avremo onorato con il nostro voto, con la nostra partecipazione al voto, un gioco politico non democratico; non avremmo collaborato allo svuotamento della democrazia e alla degradazione del Parlamento, almeno fino a quando i partiti non avessero dato segni certi di voler rientrare nell'alveo della Costituzione e della democrazia. Noi abbiamo indicato, anche con una mozione di fiducia, quali potevano essere questi segnali, queste manifestazioni di volontà di una svolta democratica e costituzionale.

Toni Negri è stato eletto. Undici parlamentari del Partito Radicale sono stati con lui eletti.

Con il "caso Negri" è tornato in Parlamento il caso 7 aprile, il teorema Calogero, la valutazione politica delle scelte compiute dal partito della fermezza, e cioè le leggi speciali e la carcerazione preventiva. Sono stati costretti a discuterne.

E' in questa discussione che si è delineata la proposta comunista di una sospensiva.

Era un proposta di compromesso: costituiva una via d'uscita e un possibile sbocco al dibattito parlamentare, ma soprattutto era un'abile via d'uscita e un utile sbocco per un partito comunista profondamente diviso e in cui si era finalmente riaperto il dibattito sulle leggi speciali.

In cosa consisteva? Invece di pronunciarsi con un sì o un no sulla richiesta di autorizzazione a procedere all'arresto, si chiedeva al Parlamento di sospendere la decisione fino al momento della sentenza di primo grado.

Potevamo sostenerla, accettarla, votarla? Ma sopratutto questa proposta di compromesso era per noi un motivo sufficiente a rimettere in discussione una decisione di comportamento parlamentare pubblicamente annunciata e più volte ribadita? In altre parole questa proposta di compromesso costituiva il segnale, la manifestazione di volontà di un rientro nell'alveo costituzionale da parte se non dell'intera partitocrazia, almeno da parte di settori importanti dello schieramento politico?

La risposta è no. E il perché è semplice.

La "sospensiva": perché non potevamo votarla

Giuridicamente la proposta di compromesso era assai discutibile perché rispondeva a una richiesta di autorizzazione a procedere all'arresto con una clausola o condizione sospensiva che trasformava il voto su una "carcerazione preventiva" in una promessa di " carcerazione successiva" alla sentenza di primo grado.

Proceduralmente essa ribaltava dal Parlamento alla magistratura giudicante il compito di decidere l'arresto.

Politicamente creava un terreno insidioso perché, trasferendo sul processo le pressioni dei "colpevolisti", faceva gravare sul giudizio del Foro Italico un'ulteriore ipoteca: non solo condannare, ma condannare in fretta.

Ogni volta che Negri e i suoi compagni, e i loro avvocati, avessero fatto valere i diritti alla difesa, semplicemente per ristabilire alcuni elementi di verità storica, politica e giudiziaria su una miriade di fatti che investono un intero periodo storico, si sarebbero visti accusare, loro e noi, di trasferire l'ostruzionismo radicale dall'aula parlamentare a quella giudiziaria. E i primi a rivolgere questa accusa sarebbero stati proprio i comunisti (Pecchioli, Violante) che avevano pensato e sostenuto la proposta di sospensiva come espediente tattico e non per consentire una svolta democratica ma per meglio difendere e rilanciare la linea della "fermezza".

Dunque noi non potevamo né sostenerla né accettarla, se non al prezzo di assumerci la grave responsabilità di rafforzare tutti gli elementi di equivoco e di insidia che essa conteneva, se non al prezzo di correre il rischio di rendere ancora più debole la posizione di Toni Negri, quella dei suoi compagni in carcere, e delle altre migliaia in attesa di giudizio e di giustizia.

Non ci eravamo battuti, candidandolo alle elezioni, e consentendone la scarcerazione, per qualche mese in più di "aria", cioè di libertà provvisoria e di immunità parlamentare per Toni Negri. Ci eravamo battuti e ci battiamo, per riconquistare i diritti alla difesa degli imputati 7 aprile e per riportare nell'ambito della Costituzione i termini di carcerazione preventiva, per Negri e per tutti.

Poiché tuttavia non siamo né cinici né settari, né tanto meno fautori del "tanto peggio, tanto meglio", non abbiamo fatto nulla contro la sospensiva, anzi abbiamo fatto di tutto perché passasse, e potesse divenire anch'essa un elemento di ulteriore forza della battaglia di fondo che avevamo ingaggiato.

Abbiamo fatto di tutto per incoraggiare i settori del Pci che ne avevano fatto una bandiera di una possibile svolta democratica, per incoraggiare i socialisti, per incoraggiare sul fronte avverso il voto di dissenso e di coscienza.

Ma dovevamo lasciare a loro tutta intera la responsabilità. La scelta fra la sospensiva e l'arresto non era motivo sufficiente per indurci ad abbandonare il rigore del principio della scelta di non "collaborare" ai voti di questo Parlamento.

Per qualche mese di "aria" in più?

Noi non ci siamo mai illusi né abbiamo mai illuso che gli atti della candidatura e della elezione di Toni Negri fossero risolutivi, né per Toni, né per gli altri imputati, né per la battaglia complessiva sulla carcerazione preventiva. Sapevamo che avrebbero innescato di nuovo questa battaglia, l'avrebbero portata in Parlamento, ma che avrebbero richiesto, e richiedono, grande coraggio e determinazione nel portarla avanti fino a un esito positivo.

Li richiedono a noi, li richiedono a Toni Negri, ai suoi compagni, ai detenuti che hanno intrapreso lotte non-violente nelle carceri, a tutti coloro che sono scesi in campo in modo diverso in questi mesi.

Altro che tatticismo radicale! Ma quale tatticismo? Caso mai da parte nostra c'è stato eccesso di chiarezza, nel manifestare la nostra volontà di non lasciarci travolgere dal tatticismo degli altri!

Durante tutto il corso del dibattito parlamentare, e perfino in conferenze stampa, ci siamo sforzati di avvertire sul seguito di questa battaglia, sia nell'ipotesi che passasse la sospensiva, sia che si verificasse il decreto d'arresto.

A chi voleva l'arresto, abbiamo spiegato di non far conto sui precedenti di Moranino e di Saccucci. Abbiamo detto a chiare lettere che avrebbero avuto l'arresto, se lo avessero votato e voluto, e glielo avremmo ritorto contro. Avevamo ricordato i nostri precedenti: quelli di Roberto Cicciomessere, di Adele Faccio, di Gianfranco Spadaccia, di Emma Bonino.

Ne avevamo parlato con Toni, e Toni ha accettato, di mettere nel conto e di preparare, gli atti successivi di questa lotta. Ne avevamo parlato con i suoi compagni in carcere. Quello che gli abbiamo proposto è uno scenario di lotta non-violenta, di dura lotta non-violenta a cui dar corpo con la sua libertà, la sua persona, la sua vita. Lo abbiamo proposto proprio a lui, sbattuto sempre di più in questi giorni in prima pagina, come il "mostro", come il "cattivo maestro" della violenza.

Toni ha accettato. Ed ha accettato di mettersi al sicuro. Si è messo al sicuro. Perché nello scenario di una lotta non-violenta è il non-violento che sceglie il momento e il luogo della propria lotta, non se lo fa imporre, e se possibile lo fa precedere da tutti gli atti che possano renderlo più efficace e significativo.

La campagna di linciaggio a cui è e siamo sottoposti, tende anche a spingere Toni Negri a scoraggiarsi, a costringerlo a legittimi ripensamenti (non è forse uno che rischia l'ergastolo?), ad abbandonare il campo. Ci riusciranno? Noi speriamo, riteniamo di no. Per Toni sono sufficienti punti di riferimento i compagni in carcere e la nostra determinazione nell'essergli a fianco in questa battaglia.

Un copione ancora da scrivere

Il letterato Arbasino, divenuto deputato e fautore dell'arresto, ha cercato di guardare dentro gli scenari di questa lotta non-violenta, ipotizzando una candidatura di Negri alle elezioni europee e un Parlamento europeo chiamato a pronunciarsi fra un anno su una nuova autorizzazione a procedere all'arresto. Certo perché no? Ma non credere, Arbasino, che come nella cattiva letteratura e nel cattivo cinema il copione di questa vicenda sia già tutto scritto e tutto immaginabile. La buona politica richiede creatività, esattamente come la buona letteratura. Non sono tutti già scritti gli atti, i soggetti, i tempi e i luoghi di questa vicenda. Non cercare, Arbasino, in questa vicenda qualche tardiva conferma ai tuoi "Fratelli d'Italia". Questo è dramma autentico, non un cattivo pamphlet. Toni Negri è già stato quattro anni e quasi due mesi in galera, ed è già stato condannato da tanti Arbasino ad altri due anni almeno di carcerazione preventiva, se non muta la legge. I suoi compagni sono in galera da più di quattr

o anni e mezzo. Migliaia di altri si trovano nelle stesse condizioni.

Attendiamo che questo dramma non-violento si sviluppi. Lasciamo che siano i fatti a misurare la moralità e l'efficacia delle scelte. Lasciamo pure gridare vittoria a coloro che parlano di "fuga di Negri" dal processo; fra costoro c'è il povero Scalzone con le sue povere (e solo per questo comprensibili e rispettabili) contraddizioni politiche e intellettuali, oltre che esistenziali; ci sono i "pentiti" che sperano che sia Negri a sottrarsi a quel confronto con i suoi accusatori che finora solo questa giustizia ha impedito.

Intanto si torna a parlare da questo governo dei partiti, in questa camera dei partiti, di carcerazione preventiva.

Intanto nel partito comunista si è riaperto un dibattito che non potranno pensare di soffocare o di eludere con scelte tattiche e con voti di astensione. Intanto la possibilità di avere processi di verità e di giustizia è aumentata e non diminuita.

L'assalto democratico contro l'infamia delle leggi speciali e della carcerazione preventiva è appena iniziato, non è finito.

 
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