SOMMARIO: Il caso Tortora è esemplare per "fare il punto" sul,problema della giustizia in Italia. Vengono al pettine i nodi della carcerazione preventiva, della "affidabilità" conferita ai partiti, del "mandato di cattura facile", ecc. Il "1984" di Orwell può assumere da noi "specie giudiziaria". E' convinto dell'innocenza di Tortora e ne ha scritto sul "Corriere della Sera".
(AGENZIA RADICALE, notiziario del Movimento Federativo Radicale, 11 NOVEMBRE 1983)
Roma, 11 novembre 1983 - A.R.- Orwell si è fermato a Napoli? E' quanto si chiede Leonardo Sciascia, riferendosi alla vicenda in cui è coinvolto Enzo Tortora, una brutta oscura storia, sempre più Kafkiana, sempre più dimenticata.
"A fare il punto sul problema della giustizia in Itala, mi pare che il caso Tortora si configuri come esemplare. E dico il caso Tortora per abbreviazione. Potrei anche dire: il caso di numerosi arrestati, insieme a Tortora perchè omonimi, di persone indicate dai "pentiti" come camorristi - che mi pare caso, qualitativamente e quantitativamente, anche più grave. Voglio dire che non è soltanto quello della carcerazione preventiva il nodo che viene al pettine, ma anche quello dell'affidabilità conferita ai partiti e del mandato di cattura facile, dello strapotere della magistratura inquirente, del suo essere al riparo da responsabilità. Un argine bisogna metterlo, un rimedio bisogna trovarlo: a fronte della giungla giudiziaria. Il 1984 di Orwell può anche, da noi, assumere specie giudiziaria. Ce ne sono i presentimenti, gli avvisi. E allora questo paese sarà veramente finito.
In quanto al caso Tortora vero e proprio, non solo sono convinto della sua innocenza, mi pare che tutti, attraverso la fuga di notizie, vagliando gli elementi d'accusa venuti fuori, possano convincersene. Dopo il mio primo articolo sul "Corriere della Sera", mi pare in agosto, Tortora mi ha scritto che stava leggendo - o rileggendo - la "Storia della colonna infame" che io, direi molto opportunamente e tempestivamente, ho ripubblicato l'anno scorso. E si fermava su quella frase del libro che è, per così dire, il perno: "Un'ingiustizia che poteva essere veduta da quelli stessi che la commettevano". Credo sia proprio così. Ma è da credere che la cosiddetta "professionalità" è di impedimento a una netta visione delle cose - e che ancora una volta spetti agli scrittori (e i magistrati possono fare tutta la corporativa ironia che vogliono) scrutare le evitabili e inevitabili ingiustizie.