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Cagnoni Renata, Castellano Lucio, Cavallina Arrigo, Dalmaviva Mario, Ferrari Bravo Luciano, Funaro Chicco, Pozzi Paolo, Sbrogio' Gianni, Scroffernecmer Giorgio, Tommei Franco, Vesce Emilio, Virno Paolo. - 25 novembre 1983
Superare l'emergenza
Lettera aperta al Presidente della Repubblica

di Renata Cagnoni, Lucio CastelIano, Arrigo CavalIina, Mario Dalmaviva, Luciano Ferrari Bravo, Chicco Funaro, PaoIo Pozzi, Gianni Sbrogiò, Giorgio Scroffernecher, Franco Tommei, Emilio Vesce, PaoIo Virno.

SOMMARIO: In questa lettera aperta i detenuti del 7 aprile pongono il problema dello stato della giustizia in Italia in un momento in cui si sta superando il periodo dell'emergenza, in un momento cioé di passaggio dagli anni di piombo ad una situazione di così detta normalità. Il processo del 7 aprile è diventato, mano a mano, il museo della legislazione di eccezione, l'esposizione universale di tutte le specialità giudiziarie e carcerarie. Esso ha, però, anche offerto l'opportunità di correggere tutte le storture introdotte nel diritto. Viene constatata la diversa applicazione della norma riguardante la scarcerazione per decorrenza dei termini nonché degli arresti domiciliari.

(NOTIZIE RADICALI n. 44, 25 novembre 1983)

Al Presidente della Repubblica Sandro Pertini

Al Presidente del Senato Francesco Cossiga

Al Presidente della Camera Nilde Jotti

Al Presidente della Commissione Giustizia del Senato Giuliano Vassalli

Al Presidente della Commissione Giustizia della Camera Rolan Riz

Con questa lettera aperta non chiediamo benevolenza, solo attenzione. Ci rivolgiamo a chi, nelle istituzioni, ha mantenuto saldo il senso dell'equità, non per lamentarci o per postulare favori, ma per porre un problema politico di generale interesse. Il problema è il seguente: lo stato della giustizia nel nostro paese fra l'"emergenza" e superamento della stessa, le contraddizioni presenti nel trapasso dagli anni di piombo ad una auspicata, nuova normalità.

Il processo 7 aprile, in cui siamo imputati, esemplifica assai bene la questione, giacché, a causa della sua abnorme durata, racchiude in sé tutt'intera la storia dell'"emergenza", coincide con essa, ne è prodotto cospicuo e simbolo. Iniziato ancor prima dell'allungamento della carcerazione preventiva e dell'approvazione della legge sui "pentiti", il nostro processo è diventato mano a mano il museo della legislazione d'eccezione, l'esposizione universale di tutte le "specialità" giudiziarie e carcerarie. Ma esso, ad un tempo, è stato anche segno di contraddizione, ha offerto l'occasione per prospettare l'uscita dal tunnel, per sollecitare la correzione rapida di certe storture introdottesi nel diritto, per promuovere una soluzione politica alle lacerazioni degli anni '70. In conseguenza di tutto ciò, il decorso concreto e quotidiano del dibattimento in Assise mette in evidenza e pone a confronto tendenze contrastanti in materia di politica giudiziaria, e verosimilmente contribuirà al prevalere dell'una o del

l'altra. "Non dopo, ma durante il processo 7 aprile può venir confermata o superata l'"emergenza"". E' per questo che ci permettiamo di fare alcune osservazioni su quanto avviene nell'aula del Foro Italico.

Con l'ordinanza del 16 novembre, la Corte ha rigettato l'istanza di libertà per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva al nostro coimputato Tino Cortiana. Questi, dopo aver scontato i due anni e otto mesi, previsti dalla legislazione "speciale" per il reato associativo contestatogli ("banda armata"), riteneva d'aver maturato l'inequivoco diritto alla scarcerazione. Per di più, Cortiana aveva scontato in precedenza altri due anni di detenzione per un altro processo da cui poi è risultato assolto, assommando così quasi cinque anni continuativi di carcerazione preventiva. La Corte gli ha rifiutato la libertà in applicazione dell'aggravante prevista dell'art. 112, secondo cui la carcerazione preventiva raddoppia quando la presunta "banda" sia composta da più di quattro membri. A nessuno può sfuggire, men che mai nel caso particolare in questione, il carattere artificioso e persecutorio di questa aggravante, a cui peraltro non si era fatto ricorso nemmeno durante il fascismo. Ma ciò che più conta è che

"mai", nel nostro processo, essa era stata contestata a chicchessia: la stessa Corte in passato aveva rinmesso in libertà altri coimputati, accusati dello stesso reato di Cortiana, allo scadere dei due anni e otto mesi. Si è dunque verificato un caso di palese "disparità di trattamento", il cui solo significato concepibile è la preparazione del terreno per uma sentenza, in cui i pretesi "reati associativi" siano puniti con aggravanti tali da escludere la scarcerazione per raggiunta decorrenza termini (anche nel caso di chi - tutti noi in pratica - abbia già maturato la scadenza).

Pressoché tutte le forze politiche si sono pronunciate contro l'aberrante lunghezza delle attuali carcerazioni preventive. Da ogni parte sono stati avanzati progetti di legge - attualmente in discussione alla Camera - da cui è previsto il ritorno ad un assetto più civile. "Ma la prima Corte d'Assise di Roma, che giudica il 7 aprile, ha deciso addirittura di raddoppiare la carcerazione preventiva speciale".

Inoltre, con la stessa ordinanza, la Corte ha ritenuto di non dover far ricorso, in nessuno dei casi che le abbiamo sottoposto, all'istituto degli arresti domiciliari, vale a dire allo strumento di recente offerto alla discrezionalità dei magistrati per mitigare la durezza della legislazione d'emergenza e dei suoi automatismi. Le motivazioni addotte - "pericolo di fuga" e "pericolosità sociale" - sembrano non tener conto della lunga battaglia condotta dagli imputati del 7 aprile contro il terrorismo, nonché del fatto che alcuni di essi si sono spontaneamente consegnati all'autorità giudiziaria. In più, il rifiuto è stato collettivo, evocando esplicitamente i "vincoli associativi" (ossia ciò che il processo deve ancora accertare, e di cui siamo presuntivamente innocenti) come motivo bastevole a non procedere al vaglio delle singole posizioni.

Da molte parti, nel paese e nelle istituzioni, è stata posta l'esigenza di un più attento giudizio sui movimenti degli anni '70, al di fuori di qualsivoglia teorema accusatorio. In specifico, ha iniziato il suo iter parlamentare un progetto di legge sulla "dissociazione politica", la cui approvazione aprirebbe la strada a una tendenza di depenalizzazione. "Ma la prima Corte d'Assise di Roma, giudicando il 7 aprile, esclude di servirsi anche solo di quegli strumenti discrezionali come l'arresto domiciliare, già ora a sua disposizione".

Da molto tempo, e con una certa insistenza, affermiamo che il processo 7 aprile non risponde a requisiti di giustizia e lealtà. La continua modificazione delle ipotesi accusatorie, fermo restando però il pregiudizio sull'esistenza di un'unica "Organizzazione" eversiva; la duplicazione o triplicazione dei procedimenti sugli stessi "fatti" fino al paradosso che "tutto" ciò che viene ora giudicato a Roma è stato e sarà giudicato anche in altri dibattimenti; l'uso dei "pentiti" molto spesso non su eventi particolari, ma al fine di tracciare grandi affreschi storico-politici: tutto questo rende il nostro processo strutturalmente ed irreversibilmente iniquo. L'ordinanza della Corte non è altro che un acritico accoglimento di questa tendenza all'ingiustzia sostanziale.

Tutte le forze politiche, che si sono espresse per un superamento dell'emergenza, hanno riconosciuto gli effetti d'imbarbarimento del diritto che essa ha comportato. Tuttavia, pur proponendosi future modifiche e correzioni sul piano legislativo, queste stesse forze hanno concesso piena fiducia alla magistratura giudicante per l'accertamento della verità storica e politica degli anni '70. La contraddizione è evidente. Infatti, questa magistratura, volente o nolente, è proprio con le regole e i metodi dell'"emergenza" che opera e giudica a tutt'oggi. Dunque: per un verso, denunciata necessità di superare l'ordinamento eccezionale; per l'altro, delega supina a chi concretamente ancora lo applica, o perfino ne auspica la persistenza.

Se ci siamo decisi a scrivere questa lettera aperta, mentre il nostro processo è in pieno svolgimento, non è per mancanza di rispetto alla Corte che ci giudica, né tantomeno per sollecitare interferenze. Piuttosto, riteniamo che la contraddizione di cui si è detto debba essere portata alla luce e discussa con franchezza, da tutti, nell'interesse di tutti. Per superarla. Nessuna delega alla magistratura per risolvere un problema politico è ancora opportuna; nessuna "sospensiva" è più sufficiente. Gli uomini più sensibili al tema della giustizia e delle libertà devono sapere che il sonno del legislatore, ossia il ritardo nel promulgare nuove norme pacificatrici, genererà mostri nelle sentenze prossime venture. E nell'immediato genera nuovi drammi, come lo sciopero della fame intrapreso da Tino Cortiana per ottenere né più né meno che il rispetto di un suo diritto fondamentale.

Rebibbia, 20-11-1983

 
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