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Pannella Marco - 9 gennaio 1984
Restano irriducibili e irridotti. Ma...
DA BADU' E CARROS A REBIBBIA

di Marco Pannella

SOMMARIO: [da Lettera Radicale] Gli avvenimenti di fine dicembre ripropongono con nuove speranze la lotta per riconquistare condizioni di civiltà giuridica. Ricordiamo il convegno dei cappellani delle carceri (i giornali hanno le espressioni di sbalordimento di Giovanni Paolo II dopo le loro relazioni all'udienza papale), la visita del pontefice al carcere di Rebibbia, le iniziative nonviolente (digiuno della fame e della sete) di brigatisti nel carcere di Badu' e Carros contro il regime di isolamento (e di annientamento della personalità) dei cosiddetti "braccetti speciali".

I metodi di lotta nonviolenta, applicati con rigore, hanno prodotto dialogo e speranza, non effetti irlandesi. La situazione è lontana dall'essere risolta. Il regime speciale previsto dall'art. 90 applicato come ordinario ai detenuti dei cosiddetti "braccetti" non è stato revocato, ma confermato per altri tre mesi anche se accompagnato da alcune misure amministrative che ne hanno attenuato alcuni degli aspetti più inumani. Per Natale e Capodanno Pannella ha fatto la spola fra il carcere sardo e Roma. I prossimi tre mesi potrebbero essere quelli in cui si conquista la possibilità del ritorno per tutti alla normalità della legge di riforma carceraria. Contro questo obiettivo operano gli irriducibili di tutte le parti: irriducibili di Stato (a Pannella è stato impedito di visitare il reparto speciale dell'ospedale dove erano stati ricoverati i digiunatori, mentre la visita era stata effettuata il giorno precedente da una delegazione comunista); irriducibili della violenza, in carcere (sembra Moretti), e fuori d

el carcere dove in nome della lotta ai "braccetti" - si è tornato a compiere un attentato contro un agente di custodia.

(LETTERA RADICALE, 9 gennaio 1984)

RESTANO IRRIDUCIBILI E IRRIDOTTI. MA...

Pensavo - nel carcere di Nuoro - che la Chiesa fosse, come anche è, la Chiesa di don Salvatore Bussu, occorrerebbe mobilitarsi di più di quanto stiamo facendo contro la conferma-revisione del Concordato per tentare di impedire che sia appestata da questo Stato, dalle infami leggi partitocratiche, dall'inciviltà giuridica promossa come "Costituzione materiale" della Repubblica.

Pensavo che questi "compagni assassini", "fratelli assassini", oggi, se fossero loro al mio posto ed io al loro, probabilmente riuscirebbero a vincere la battaglia contro lo sterminio per fame nel mondo di almeno tre milioni di persone e contro la violenza delle "pensioni minime", mentre io sarei disperato, probabilmente.

Tre lunghe conversazioni - presenti non solamente noi, ma il direttore del carcere, il maresciallo-maggiore degli agenti, una mezza dozzina di guardie, ammassati nelle celle di ciascuno di loro o all'ingresso, sul ballatoio - dalle quali abbiamo certamente tratto indicazioni valide e preziose per l'immediato (e stiamo operando di conseguenza, come alla vigilia di quel Natale e quell'inizio d'anno che videro la chiusura dell'Asinara, la salvezza di D'Urso, la sconfitta del fronte P2-P38) ma, ancor più, l'emozione di un'incontro con una testimonianza di capace, nuova e ragionevole speranza.

Per anni, e non come sola provocazione, in scritti, congressi, comizi avevamo ripetuto la nostra convinzione che "violenti" e "nonviolenti" fossero fratelli, più vicini gli uni e gli altri di quanto non fossero e non siano gli inerti, gli indifferenti, i consumatori del possibile, i rassegnati. Avevamo, in polemica con loro, denunciato la disperazione che ci sembrava li muovesse, la morte e le sofferenze che prefiguravano per sé e per gli altri in nome di ideali e di idee formalmente non dissimili o qualche volta comuni. Di loro e a loro gridavamo che non esistono perversi ma solo diversi, anche in politica, e che la scelta violenta li rendeva troppo simili, vittime o eredi dei valori e del sistema che volevano "distruggere".

Sono - questi "compagni assassini" - a volte gli stessi che furono processati e condannati a Torino perché Adelaide Aglietta e il PR seppero vincere la paura che incutevano ad una intera città, al paese ed al potere; e che ne ricevettero in cambio pubbliche sentenze di morte. Ancora ieri, a Palmi, rifiutarono di dialogare, di scambiare anche solamente qualche parola. Restano irriducibili e irridotti: ma nella sostanza delle cose sperate, non nel culto delle forme criminali e mortali con cui ritennero di poterle realizzare.

Sono l'opposto dei pentiti d'ufficio e in servizio. Non consentire loro di parlare, di essere giudicati anche per quel che pensano, dicono, sono oggi, sarebbe peggio del solito crimine, sarebbe un errore suicida (...)

Da Notizie Radicali del 28 dicembre 1983

 
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