Sulle orme di MussoliniSOMMARIO: Mediocre operazione di rappezzamento del concordato fascista. Le piccole furbizie per evitare il dibattito parlamentare: alla fine una comunicazione generica viene sottoposta al Parlamento, anziché il testo della bozza conclusiva. L'alternativa proposta da Pannella: riconsiderazione dell'assetto territoriale del Vaticano, superamento del Concordato, cessazione dei privilegi economici e valutari, convenzione finanziaria compensativa.
(NOTIZIE RADICALI n. 1, 31 gennaio 1984)
Tutta questa vicenda del Concordato, che ha assunto sempre più aspetti farseschi, è valsa a mettere in luce, con assoluta evidenza, almeno due cose: da una parte l'affannosa corsa di Bettino Craxi per riuscire ad essere lui, proprio lui, il presidente del Consiglio che, sulle orme di Mussolini, firma il nuovo Concordato fra lo Stato e la Chiesa, e, dall'altra, quale concezione abbia il primo presidente del Consiglio socialista dei rapporti fra governo e parlamento e del ruolo del parlamento su una questione centrale della vita religiosa e civile del paese.
Tentiamo in questo articolo di ricostruire, passo per passo, i diversi atti di questa commedia.
"Primo atto" (novembre). Si annuncia con grande rilievo la visita del presidente Craxi a Giovanni Paolo II. Una stampa servile lo presenta come un "avvenimento storico". Ma storico perché? Abbiamo ormai da cinque anni un presidente della Repubblica socialista che con il papa ha avuto rapporti politici ed ha stabilito rapporti anche umani e personali. E se Craxi è il presidente del Consiglio socialista, non è il primo leader socialista ad incontrarsi con il papa: storico casomai poteva essere considerato l'incontro di Nenni con Giovanni XXIII.
A fornire una risposta a questa domanda è il quotidiano della Fiat "La Stampa". Il quotidiano torinese informa che il nuovo Concordato fra la Santa Sede e l'Italia è quasi pronto per la firma. Esiste ormai una sesta bozza del nuovo concordato, che rappresenterebbe l'approdo definitivo delle lunghe e laboriose trattative fra lo Stato italiano e la Santa Sede. La notizia rimbalza su tutta la stampa nazionale. Ecco dunque spiegato il perché della "storicità" dell'incontro fra Craxi e Wojtyla. I giornali prospettano addirittura una data, quella di Natale, per la firma, e avanzano ipotesi sulle procedure che saranno seguite: la firma sarebbe proceduta soltanto da una sommaria "informativa" del governo al parlamento, senza alcun dibattito preventivo.
In particolare quest'ultima notizia è sconcertante: tutti i governi della Repubblica si erano impegnati ad un dibattito preventivo delle Camere prima della adozione da parte dell'esecutivo di un testo definitivo delle possibili intese concordatarie. Questi impegni sono ora cancellati dal presidente del Consiglio socialista? E' Andreotti ad accorrere in aiuto di Craxi: ai giornalisti che gli ricordano i precedenti impegni, il ministro degli Esteri esprime "qualche dubbio" sulla necessità e opportunità di un dibattito preventivo.
Comincia da questo momento una pressione continua del Partito radicale - con lettere di Cicciomessere e Pannella alla presidente della Camera, interventi alla conferenza dei capigruppo, interpellanze e mozioni - per ottenere un chiarimento. Al Partito radicale si uniscono Pli e Sinistra indipendente, mentre sul fronte governativo si registra qualche imbarazzo da parte di Spadolini (quello del "Tevere più largo") e su quello dell'opposizione un imbarazzato defilamento del Pci.
Intanto ad illuminare e qualificare la trattativa concordataria, si aggiunge la notizia che, parallelamente alla conclusione del Concordato, si concluderebbero anche con un accordo i lavori della commissione mista costituita per accertare le responsabilità dello Ior nella bancarotta dell'Ambrosiano.
"Secondo atto" (dicembre). Pressato dalle richieste della conferenza di capigruppo, il governo è finalmente costretto a chiarire. Lo fa attraverso il ministro Mammì, il quale afferma che non vi sarà nessuna firma del nuovo concordato senza preventivo dibattito delle Camere e senza "mandato" del parlamento.
Le notizie di stampa e le iniziative parlamentari sembrano essere dunque servite almeno ad evitare colpi di mano alle spalle del parlamento. Il Natale del 1983 passa, senza diventare un "Natale concordatario".
"Terzo atto" (gennaio). Dai giornali si apprende che il testo della VI bozza del concordato è stato inviato dalla segreteria di Stato ai membri del Consiglio di presidenza della conferenza episcopale per riceverne le osservazioni prima di procedere agli atti conclusivi della procedura concordataria. Wojtyla e Casaroli dimostrano di avere un senso della dignità e una concezione dei rapporti con le istituzioni ecclesiastiche ben diversi da quello che il governo Craxi riserva al parlamento della Repubblica.
Nuove iniziative e proteste radicali, liberali e della Sinistra indipendente. La questione torna ai capigruppo. Mammì, ministro per i Rapporti con il parlamento, nega che esista una sesta bozza, un testo definitivo del nuovo Concordato. E quello inviato alla conferenza episcopale, allora cos'è? Quanto al dibattito. Mammì disinvoltamente dimentica i solenni impegni di due settimane prima. Si discuterà soltanto su un testo già siglato. E il dibattito preventivo? E il mandato parlamentare, di cui aveva parlato la volta precedente? In buona sostanza quella che viene prospettata è la procedura dei trattati internazionali: dibattito di pura e semplice ratifica, con la clausola "ne varietur" (cioè senza possibilità di modifica da parte del parlamento). A difendere questa impostazione si schierano soltanto il democristiano Rognoni e il repubblicano Battaglia. L'accanimento messo da quest'ultimo è tale da esimere Formica, capogruppo socialista, dalla necessità di spendere molte parole in difesa del presidente del Con
siglio. Ma Battaglia (e Mammì) vengono a loro volta smentiti da Spadolini: una nota della "Voce Repubblicana" chiarisce che il dibattito di ratifica non può essere confuso con il dibattito preventivo, e che quest'ultimo non può essere eluso.
"Quarto atto" (terza settimana di gennaio). Braccio di ferro fra la Camera dei deputati e il presidente del Consiglio. La Camera, attraverso la sua presidenza e attraverso la conferenza dei capigruppo, insiste: vuole il testo della VI bozza, e vuole il dibattito parlamentare. Il governo si impegna a far conoscere ai presidenti dei gruppi una "nota informativa" sulla sesta bozza. Quanto al dibattito, Craxi prende contatti con Cossiga e si impegna per un dibattito al Senato della Repubblica. Secondo il presidente del Consiglio, con il dibattito al Senato la richiesta del dibattito parlamentare preventivo deve intendersi accolta. E' un atteggiamento punitivo nei confronti della Camera che gli ha creato tanti fastidi. In particolare punitivo per il gruppo radicale, rappresentato al Senato da un solo senatore. Ma la Camera questa volta reagisce. A tutti l'atteggiamento del governo appare un sopruso. Si arrabbia la Jotti, ma si arrabbiano anche i capigruppo della maggioranza: dibattito parlamentare non significa,
non può significare dibattito in un "solo" ramo del parlamento. Perfino il capogruppo socialista, Formica, è costretto a fare buon viso a cattivo gioco, e unisce la sua firma e il voto a quello degli altri capigruppo. La Camera rivendica il diritto di discutere la "nota informativa" al pari del Senato. Il dibattito avverrà anche alla Camera dei deputati.
"Atto quinto" (la nota informativa). Le capacità di ripicca di Bettino Craxi sono però infinite. I capigruppo della Camera ricevono la "nota informativa" solo dopo che l'Ansa ha già da oltre un'ora iniziato a trasmetterla. Pannella per sottolineare questa ulteriore offesa al parlamento si recherà a Palazzo Chigi a restituire il testo della nota, tardivamente pervenutagli. Ormai la può leggere, come tutti, direttamente dall'Ansa. Essa è assolutamente generica. L'unica informazione seria che vi è contenuta è sconvolgente: il solo problema degno di nota della trattativa concordataria - il regime e i privilegi dei beni ecclesiastici - non sarebbe definito dal nuovo concordato, ma rinviato ad una commissione mista italo-vaticana. Si prospetta così una nuova figura giuridica del tutto ignota al diritto internazionale: quella di una sorta di Concordato-delega.
Ultimo braccio di ferro fra Camera e Craxi: il presidente del Consiglio pretende di limitare il dibattito alla camera a non più di sette ore.