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Spadaccia Gianfranco - 24 marzo 1984
Un grande voto radicale
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Due grandi ragioni "europee" per votare radicale: perché sia la legislatura della Costituente europea, perché sia la legislatura dell'alternativa verde ed ecologista. E due ragioni tutte italiane: per rilanciare - con l'elezione di Tortora - la lotta contro le leggi speciali e i codici fascisti: per rilanciare la lotta contro la degradazione partitocratica della Repubblica.

(NOTIZIE RADICALI n. 62, 24 marzo 1984)

(Due grandi ragioni "europee" per votare radicale: perché sia la legislatura della Costituente europea, perché sia la legislatura dell'alternativa verde ed ecologista. E due ragioni tutte italiane: per rilanciare - con l'elezione di Tortora - la lotta contro le leggi speciali e i codici fascisti: per rilanciare la lotta contro la degradazione partitocratica della Repubblica)

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Alle elezioni europee il Partito radicale scende in campo con le sue liste e il suo simbolo. Scende in campo per chiedere il voto degli elettori, per strappare non un modesto risultato ma un grande voto radicale.

Sono molte le ragioni che rendono necessario un grande successo, un grande voto popolare intorno alle liste, al simbolo, alle proposte politiche del Partito radicale. E sono le stesse ragioni per cui la partitocrazia - nelle sue diverse componenti - farà di tutto per impedirlo.

La prossima legislatura europea sarà decisiva almeno per due grandi questioni.

Può essere la legislatura della nuova costituente europea, di un nuovo trattato fra tutti o alcuni degli Stati membri europei, secondo quanto prevede e propone il Progetto Spinelli, votato dal Parlamento europeo nella sua prima legislatura. Ma è assai più probabile che sia la legislatura della fine della speranza europea, della vittoria definitiva degli egoismi nazionali, della frammentazione corporativa, dell'Europa dei mercanti, dei cannoni, delle corporazioni. Sarebbe anche la fine del Parlamento europeo, confinato definitivamente nel suo ruolo di assemblea solo consultiva, che vota ma non delibera, rappresenta nominalmente i popoli ma non conta e non li fa contare. Quello che è ora il simbolo di una possibilità e di una speranza, diverrebbe allora un modello negativo, la possibile anticipazione di un analogo destino per i parlamenti nazionali delle democrazie europee e di ciò che rimane della democrazia italiana: parlamenti solo consultivi, che fanno voti ma non decidono, non fanno leggi, in un'Europa ri

dotta a mera espressione geografica, condizionata e ricattata dalle grandi potenze, libero campo per le scorrerie e per gli interessi delle grandi multinazionali. In Italia non è già così?

Sarà una legislatura colorata di verde. Nel 1979, in tre dei quattro maggiori Stati membri della Cee (Germania, Gran Bretagna e Francia) le forze alternative rimasero escluse, con la sola eccezione del Partito radicale in Italia, dalla rappresentanza parlamentare europea. Questa volta in Germania federale, grazie al superamento dello sbarramento del 5% e in Francia, grazie all'alleanza fra i gruppi ecologisti di Brice Lalonde con i radicali di sinistra, i verdi dovrebbero essere rappresentati. Esiste la possibilità di insediare a Bruxelles, a Strasburgo, una consistente minoranza ecologista, radicale, alternativa, dando per scontato il successo delle analoghe liste nei paesi del Benelux e in Danimarca. L'alternativa verde può quindi prendere corpo, come forza di rinnovamento della società e della politica nell'intera Europa. Ma non possiamo nasconderci che accanto a questa possibilità ne esiste un'altra, questa purtroppo più probabile. Nel momento stesso del loro massimo successo, si prepara infatti il massa

cro di questi movimenti. A differenza del Partito radicale, queste forze hanno una base di massa e sono capillarmente presenti in forma organizzata nella società civile e nelle istituzioni locali. Ma a differenza del Partito radicale, sono anche politicamente più deboli, ideologicamente più fragili, più esposte ai condizionamenti esterni e alle stesse infiltrazioni, e proprio per questo meno aperte e capaci di dialogo e di iniziativa politica. E' già accaduto più di una volta, nella storia recente, che imponenti movimenti di massa, che esprimevano esigenze profonde della società e bisogni e valori alternativi, si siano dissolti al sole della prima prova politicamente significativa. E' accaduto all'imponente movimento pacifista degli anni Sessanta, per tanti versi simile all'attuale, vittima di una politica sbagliata, tutta basata sulla paura del nucleare, tutta basata sulla richiesta rassicurante di distensione e di negoziato, disattenta ai problemi dei diritti umani e politici dei popoli dell'est europeo e

solo attenta ai trattati, disattenta ai problemi del terzo mondo se non per esaltarne prima il fragile non allineamento e poi i singoli movimenti di liberazione. E' accaduto all'ormai storico movimento del Sessantotto, nato da esigenze libertarie di massa che poi - alla prova della politica - o è stato riassorbito dai partiti storici della sinistra, o si è contraddetto nei gruppetti paleomarxisti o paleoleninisti, o è approdato alla disperazione del terrorismo. Occorre ora impedire che lo stesso si ripeta per il grande movimento pacifista ed ecologista degli anni '80. Occorre salvarlo dal pacifismo generico, solo anti-nucleare e solo "occidentale", dall'idiozia della falsa alternativa "meglio rossi che morti" che ripercorre le illusioni del neutralismo nazionale, dai rischi di egemonia di gruppi leninisti e filosovietici che saranno tanto più forti quanto più accentuate sono le scelte giacobine di una democrazia diretta intesa non come federalismo o autogestione, ma come assemblearismo e movimentismo. Occorr

e fare in modo che questa grande potenzialità di alternativa non si limiti alla denuncia e alla testimonianza, ma sappia diventare forza politica rinnovatrice.

Dobbiamo dunque essere al Parlamento europeo, forti come non mai, per tentare di contrastare il sincero quanto generico europeismo delle altre forze politiche italiane, quotidianamente contraddetto dalle concrete scelte di politica diplomatica e internazionale, sempre e solo dettate da una miope "ragion di Stato" che sono la ragione e la logica dello Stato nazionale. E dobbiamo esserci per offrire e assicurare a quella che ci auguriamo una forte rappresentanza pacifista ed ecologista, il sicuro punto di riferimento di una politica radicale e radicalmente alternativa, pacifista e disarmista, europeista perché internazionalista, laica, socialista, cristiana, schierata per l'affermazione dei diritti umani e quindi in primo luogo dei diritti politici dei popoli dell'Est, e quindi in primo luogo per il diritto alla vita dei popoli del terzo mondo. Dobbiamo essere forti, nel Parlamento europeo, per salvare in Europa quella cultura politica e quella prospettiva di alternativa radicale che fra mille difficoltà, anda

ndo sempre contro corrente, abbiamo assicurato in Italia in trenta anni quasi compiuti di storia del Partito radicale. In Europa non c'è nulla di simile. Proprio le tradizioni democratiche di quei paesi, le più solide strutture industriali, la possibilità di alternanze politiche, la maggiore apertura dei grandi partiti ai mutamenti della società, hanno impedito ciò che - in forme sappiamo quanto difficili - è stato possibile in Italia a due generazioni di radicali.

Ma sappiamo anche quanto questo obiettivo, drammaticamente necessario, sarà difficile. Delle due ragioni che ci spinsero a chiedere il "non voto", lo "sciopero del voto" prioritariamente all'elettorato alle ultime elezioni politiche, la prima - il travolgimento delle regole del gioco costituzionali e democratiche e lo svuotamento e l'occupazione del Parlamento da parte della partitocrazia - non sussiste per il Parlamento europeo: un Parlamento che è solo una tribuna politica e che lotta, almeno formalmente, almeno nella sua maggioranza, per strappare agli Stati nazionali poteri reali. Ma l'altra - l'assenza di reale correttezza, di sostanziale democraticità nel confronto elettorale - è più che mai viva, operante. Le regole imposte dalla partitocrazia ancora una volta ignobilmente unita faranno in modo che in queste elezioni riusciremo a parlare nella migliore delle ipotesi a un quinto del corpo elettorale.

Accanto alle due grandi questioni europee che rendono necessario un successo delle liste radicali alle prossime elezioni europee, c'è dunque una grande e urgente questione nazionale. Queste possono essere le ultime elezioni in cui avremo la possibilità di presentarci per chiedere il voto degli italiani. I democristiani, i comunisti, i laici e i socialisti che vogliono riconquistare onestà e pulizia alla vita pubblica e democrazia allo Stato repubblicano, devono saperlo. E se vogliono salvare queste loro speranze, se vogliono impedire che la degenerazione partitocratica della repubblica si affermi definitivamente, ci votino. Ci aiutino a realizzare questo obiettivo.

 
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