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Tortora Enzo - 24 marzo 1984
Quando la Costituzione è un'utopia
Enzo Tortora candidato europeo

di Enzo Tortora

SOMMARIO: Pannella mi offriva un'arma altissima e una bandiera. "Usale - mi diceva - usale per gli altri, per tutti".

Sono il testimone e la vittima di un'Italia medioevale e selvaggia, giunta ormai a livelli di degrado giuridico e civile da ispirare orrore...

Ho capito d'aver creduto in un'Italia che non esiste più, inghiottita dalla retorica di uomini che sanno e non denunciano, che vedono ed è come se fossero ciechi... Fu a questo punto che giunse da Trieste la telefonata di Marco. Ho ripreso a vivere. Ho ripreso a combattere. Anche per quegli uomini che si baloccano con i sommi principi in un paese in cui perfino quelli minimi sono calpestati, in un paese dove, a tradimento, si colpiscono i cittadini alla schiena.)

(NOTIZIE RADICALI n. 62, 24 marzo 1984)

La telefonata di Marco Pannella mi arrivò in una sera, anzi, in una notte di grande, profondissima disperazione. Da un anno vivo un tormento insopportabile. Una pena che è comune a molti. Una tragedia civile che avrei ritenuto impossibile, addirittura impensabile in un Paese che si ostina, chissà perché, a ritenersi ancora fondato sul diritto. L'uomo che presero al laccio, come un animale, il 17 giugno 1983, spezzandogli barbaramente la vita, la salute, il lavoro, l'onore, era un uomo molto diverso da quello che oggi scrive queste parole. Ho attraversato, tutto, il pianeta dell'infamia "legale", ho visto e sentito sulla carne cose che avrei ritenuto assurde e indegne dell'Occidente. Forse è bene che sia accaduto questo. Forse è bene, e non per me, ma per gli altri, che l'osceno sipario si sia alzato su un fondale ancora più ributtante. Perché quella che ho vissuto e che vivo è certo l'Italia "vera" autentica, crudelmente e crudamente "reale". Così lontana dall'oleografia ufficiale, dai paroloni e dai compiac

iuti gargarismi di una classe politica che si nutre e ci nutre di chiacchiere, di retorica, di vuoti propositi mai completati da un'azione concreta. Lo ripeto: sono il testimone, martoriato (e non il solo) di un'Italia medioevale e selvaggia, giunta ormai a livelli di degrado giuridico e civile da ispirare orrore.

Ho sempre scoraggiato chi parlava di "caso Tortora", di una vergognosa piramide tricolore. Ho chiesto a me stesso l'impossibile. Ho atteso, sperato, fatto appello a tutte le mie forze interiori, alla mia coscienza, limpidissima e del tutto estranea (io non sono "innocente", lo ripeto: sono addirittura "estraneo" alla vergognosa, disumana farsa criminale allestita su di me) ma ho notato che il linciaggio, la voluttà nel diffamare, nell'incrudelire, nel non capire, non cessavano. Al massimo si faceva affidamento sul "tempo". Il cosiddetto "tempo della Giustizia" che da noi, chissà perché, diventa solo il tempo dell'oblio e della silenziosa tortura. E allora ho capito. Ho capito tutto e in una volta sola. Ho capito d'aver creduto, come uno stolido imbecille, in un'Italia che non esiste, o non esiste più, inghiottita dalla retorica di uomini che sanno, e non denunciano, di uomini che vedono ed è come se fossero ciechi, di uomini che, di fatto, diventano complici di una situazione che va radicalmente mutata. Ed è

a questo punto che la telefonata di Marco Pannella giunse, inattesa, inaspettata, a un uomo che non aspettava più niente. A un uomo che, a gennaio, aveva già detto di no una volta, perché credeva che qualcosa sarebbe successo, credeva che una forza politica avrebbe una buona volta decentemente detto "no" a questa infamia. No all'arbitrio. No a leggi che vanno gettate. No a un codice, a un sistema processuale che rendono a paragone l'Inquisizione più nera, un modello di pratica illuministica. Mi fidavo ancora, ingenuamente, stolidamente, di ciò che mi avevano insegnato a scuola: l'Italia è democratica, l'Italia è Europa, l'Italia non pratica più la tortura, non ha la pena di morte, rispetta i diritti, "inviolabili" (parola che muove al riso: io sono ormai in grado di leggere la Costituzione come un'amara utopia) dei suoi cittadini. Ora so che l'Italia, invece, è totalmente immersa, per volontà di alcuni uomini, e per l'ignavia di un'intera classe politica, nella cultura dell'indifferenza e del disprezzo. Fu

a questo punto che giunse, da Trieste, la telefonata di Marco. Non consolava: offriva. Non faceva voti, non emetteva sospiri ipocriti, non inviava inutili telegrammi di solidarietà (da noi di solito si inviano a spese del contribuente), non prometteva tavole rotonde sulle radici quadrate, non "auspicava", non indiceva convegni o prometteva soavi commissioni d'inchiesta. No. Pannella mi offriva un'arma altissima e una bandiera. "Usale", mi diceva. "Usale per gli altri, per tutti". Era ciò che pensavo. Il mio tormento e il mio dolore, la mia rabbia e la mia pena non debbono, non possono non "servire". Servire agli altri, servire al Paese, servire a quest'Italia beffata, illusa, raggirata, irriconoscibile e ferita. Lo so: questa bandiera è stata, una volta, già delusa e tradita. Ma gravissimo sarebbe stato se una forza politica avesse, per il tradimento e la delusione di un singolo, lasciato cadere un tema immenso che riguarda la libertà e la dignità di tutti. Con quell'ostinazione meravigliosa che è solo dei f

orti e degli uomini con la coscienza netta, Pannella "rilancia" e "provoca". Affida ora a me questa bandiera e questo simbolo. A me, alla mia coscienza, al mio cuore. So che significa. L'ho sempre saputo. So che dietro di me, a guardare con speranza, ci sono uomini migliaia di uomini e di donne che soffrono e che penano per una situazione, dico quella della carcerazione preventiva, che occorre cancellare dalla storia come si cancella una insopportabile vergogna. Non disonorerò me stesso, non disonorerò coloro che credono e che soffrono. Preferirei morire. Credo non si possa non cogliere il senso di quest'offerta radicale. E' ispirata non solo dalla fiducia nella mia causa, ma dalla speranza in un'Italia finalmente diversa. Quando i giornali, la radio e la Tv parlavano di "sorpresa", io pensavo che "sorpresa", in un Paese in cui l'altra faccia è invece la pigrizia e la noia, in un Paese in cui il cinismo e il malaffare istituzionalizzato sono pratica quotidiana, allora la parola "sorpresa" è benedetta. Ma c'è

un'altra cosa che la stampa forse non ha colto: il senso dell'urgenza, dell'urgenza disperata che questo tema della riforma dei codici, della responsabilità dei giudici (è solo un cattivo giudice chi "vilipende" la giustizia: non chi ne critica l'operato o ne denuncia gli abusi), questo tema della democrazia veramente attuata non può concedere rinvii, chiacchiere, cabalette romantiche. Del resto, io sono profondamente convinto che tra poco gli stessi uomini, che rispetto, oggi immersi nella loro "sorpresa", si sorprenderanno, e forse si vergogneranno della loro anacronistica "sorpresa". E a coloro che ritengono poco "onorevole" la mia scelta dico semplicemente: provino. Entrino, per mesi (alcuni cittadini ci sono da anni) completamente innocenti in una galera di questa bella Repubblica "nata dalla Resistenza", e poi vivano, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, il martirio cui sono sottoposti i cittadini in attesa di giudizio.

Sentano sulla loro pelle, nel loro cuore e nella loro carne l'ingiustizia suprema, l'onta e l'offesa. Non si cura con gli elzeviri. Non si placa con le esortazioni e la retorica. Perché, sia chiaro, io ho ripreso a vivere. Ho ripreso a combattere. Anche per quegli uomini (quanto lontani dalla realtà) che si baloccano con i sommi principî in un paese in cui perfino i minimi sono calpestati, e invocano il Codice Gelli (quello serio) in un paese dove, a tradimento, si colpiscono i cittadini alla schiena. Lo ripeto: non uso il galateo con chi pratica il cannibalismo. Volete continuare a cibarvi di carne umana? Fatelo. Ma fatelo voi. Soltanto, vi prego, non ostinatevi a tessere l'elogio, con parole altisonanti, di questa vostra ripugnante

dieta mediterranea.

 
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