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Peccei Aurelio - 24 marzo 1984
PECCEI: l'ecologia, appello alla ragione
di Aurelio Peccei

SOMMARIO: Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma, che nel suo rapporto sui limiti dello sviluppo ha dato il via al pensiero ecologista, è recentemente scomparso. Il Partito radicale lo aveva più volte indicato in passato ai presidenti della Repubblica come il possibile presidente di un governo davvero riformatore. Lo si ricorda pubblicando il suo intervento al convegno "Verdi di tutto il mondo", tenuto a Roma nell'aprile dell'83 in cui si ripercorrono le tappe del pensiero ecologista.

(NOTIZIE RADICALI n. 62, 24 marzo 1984)

Quando nel 1972 il Club di Roma presentò il suo primo rapporto sui limiti dello sviluppo, intendeva compiere un'operazione che potremmo definire di commando. Volevamo aprire una breccia nell'autocompiacenza della società industriale, porre il problema della necessità della salvaguardia dell'ambiente, soprattutto di quello biologico che ci dà le possibilità di vita. Esplicitamente non se ne parlava molto, perché cercavamo di far passare un messaggio di carattere generale, di aprire una breccia, attraverso la quale battaglioni più muniti avrebbero potuto poi conquistare altre posizioni. E in realtà un po' tutti, anche nel campo dell'ecologia, abbiamo conquistato da allora molte posizioni.

Nel 1978, a dieci anni dalla costituzione del Club di Roma e a poco meno da quel primo rapporto - che venne attaccato come un'azione eretica, pessimistica, tendente a sgretolare la società -, ci riunimmo all'Accademia dei Lincei per cercare di capire come fosse mutata la condizione umana in quel brevissimo periodo dell'orologio della storia che è un decennio. Abbiamo dovuto constatare che, nonostante i progressi nel campo delle conoscenze e gli sviluppi tecnologici, scientifici e industriali, la condizione umana nel suo complesso era entrata in una fase di declino.

Abbiamo anche individuato una decina di fattori negativi principali che determinano la spinta attuale della società umana verso crisi sempre più profonde. Alcuni di questi fattori risaltano più di altri nel dibattito attuale.

Taluni individuano la causa del declino principalmente nello stato di disordine dell'economia mondiale, della finanza e del sistema monetario; nella disoccupazione strutturale che pervade anche i paesi più sviluppati, che una volta conoscevano la disoccupazione soltanto come fenomeno transitorio, congiunturale. Questo è vero.

Altri, al sud del pianeta, sostengono che è l'attuale ordine economico e politico internazionale ad essere iniquo, ad impedire all'umanità di utilizzare le sue capacità, ad aumentare le fratture, i divari tra il nord e il sud del mondo. Secondo costoro, alla base dei problemi economici vi è questa situazione di ingiustizia profonda; e hanno ragione anch'essi.

C'è chi vede nell'aumento della popolazione il fenomeno di maggior pericolo. E in effetti, la mancanza di provvedimenti che consentano di accogliere, dare educazione e lavoro a ottocento milioni di nuove persone ogni decennio rende l'aumento demografico uno degli elementi di declino della condizione umana.

Altri richiamano il problema della scienza e della tecnologia. Le conoscenze umane si raddoppiano ormai ogni sette-dieci anni. A questo aumento esponenziale di conoscenze non corrisponde una nostra capacità di applicarle con saggezza. Ne applichiamo solo una parte ed in modo dissennato. Siamo dei barbari potentissimi, che hanno poco cervello e che applicano la loro forza in modo negativo.

Alcuni, infine, individuano la causa della nostra decadenza nella grottesca ed incredibile credenza secondo cui avere sempre più armi, sempre più letali, significa avere più sicurezza. Quando fra qualche decennio si discuterà di ciò, ci si chiederà come hanno potuto quelli che vivevano negli ani '60, '70 e '80 avere un simile travisamento della realtà, come sono potuti giungere a tali limiti di demenza.

Tutti questi fattori sono certamente veri. Eppure, secondo molti di noi, quello fondamentale è individuabile nella devastazione della natura che stiamo compiendo. Stiamo distruggendo le basi biologiche di un pianeta, che adesso ospita quattro miliardi e mezzo di persone e che dovrà dare ricetto e possibilità di vita a cinque, sei e forse più miliardi di uomini.

I deserti avanzano, un decimo dell'America latina, un quarto dell'Australia, un quinto dell'Africa e dell'Asia sono minacciati dalla desertificazione. Le foreste tropicali, ove vive la metà delle specie animali e vegetali della terra, sono distrutte ad un ritmo annuale pari a metà della superficie dell'Italia; ciò significa che tra la fine di questo secolo e l'inizio del prossimo saranno praticamente eliminate e resteranno solo delle chiazze qua e là. I quattro sistemi biologici principali che sostengono la vita umana - le foreste tropicali e non, la fauna oceanica, i grandi pascoli e le terre agricole - dalla metà degli anni '70, sono entrati in una fase di minor produttività pro capite. Sappiamo tutte queste cose ma non facciamo niente.

L'economia, l'ingiustizia sociale, gli armamenti, la tecnologia usata in modo distorto gono tutti elementi fondamentali del nostro degrado. L'elemento principale, tuttavia, è la distruzione strisciante, progressiva, non percepita, della capacità biologica della natura, del nostro ambiente.

L'umanità sta correndo verso il precipizio, eppure questa traiettoria non è immodificabile, questo corso degli eventi non è qualcosa di predestinato. Se vogliamo, si può far deviare l'umanità da questo percorso suicida. Si può creare una società diversa, dei futuri diversi. Ma quali sono questi futuri possibili e desiderabili? E' più facile dire che cosa non si desidera per il futuro dei nostri figli, per il futuro delle genti umane, piuttosto che indicare un futuro desiderabile e insieme realizzabile, non utopico.

II Club di Roma ha costituito dei gruppi di giovani di diversa provenienza geografica e culturale per studiare le opzioni possibili per la fine di questo secolo e l'inizio del prossimo. Speriamo che nel 1985 - anno internazionale della gioventù, lanciato dalle Nazioni Unite - essi possano presentare un "cahier de doléances" e una panoramica degli scenari possibili. Senza attaccare specificatamente nessuno dei problemi dell'ecologia, cerchiamo di far comprendere che l'ecologia è fondamentale, sta al di sotto e a sostegno di ogni altra politica.

 
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