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Mellini Mauro - 25 marzo 1984
EFFETTO TORTORA
di Mauro Mellini

SOMMARIO: Attraverso la candidatura Tortora e il voto radicale è passata una domanda di giustizia, rivolta dal paese al Palazzo. I partiti che sono stati responsabili della legislazione d'emergenza ne hanno dovuto tener conto. E' passata definitivamente la legge che riduce, sia pure in misura insufficiente, i termini di carcerazione preventiva. E' stato disseppellito e già approvato dalla Camera il nuovo codice di procedura penale. Ma per riconquistare condizioni di civiltà giuridica e battere la barbarie che si è insediata nel cuore stesso dello Stato, occorre smantellare le leggi speciali e cancellare la vergogna del pentitismo.

(NOTIZIE RADICALI N. 67, 25 marzo 1984)

L'"effetto Tortora" si è già fatto sentire in Parlamento con la riattivazione dell'iter della legge (certamente insufficiente ed addirittura ipocrita) sulla carcerazione preventiva e la sua approvazione. Un provvedimento che, se non latro, dopo anni di leggi speciali e di successivi aggravvamenti di norme restrittive, (tutte più o meno imperniate sul concetto che la carcerazione preventiva dev'essere commisurata alle "esigenze" delle costruzioni processuali e non viceversa) segna il primo passo in direzione opposta. Subito dopo anche la legge di delega al governo per il codice di procedura penale è andata in porto alla Camera, anch'essa non senza gravi deficienze e contraddizioni.

Se si dovesse sintetizzare l'atteggiamento della "grande maggioranza", quella che ha regalato al paese le leggi speciali e che oggi faticosamente cerca di muoversi tra questi provvedimenti, si dovrebbe dire che prevale il desiderio "della botte piena e della moglie ubriaca".

Non se la sentono di fare un bilancio della legislazione speciale e dei guasti che essa ha causato e continua a causare nel paese. Non se la sentono di riconoscere l'assurdità e la barbarie delle leggi speciali, da quelle antiterroristiche a quelle antimafiose. Non se la sentono di dire basta alla vergogna dei maxiprocessi, che riducono la giustizia alla tecnica della retata, non se la sentono dire basta alla vergogna dei pentiti, agli arresti facili, non se la sentono di mettere sotto inchiesta i responsabili dei mandati di cattura per omonimia. Però vorrebbero genericamente prevenire "più accettabili" etc. etc.

La vicenda Tortora, il successo dell'iniziativa radicale riscontrabile nel risultato elettorale, hanno messo a fuoco la complessità del problema ed allo stesso tempo la sua urgenza. Carcerazione preventiva indefinita, maxiprocessi, fabbrica e utilizzazione dei pentiti, regime carcerario, mandati di cattura facili, sono fenomeni - ciascuno di per sé grave e vergognoso - ma che divengono gravissimi e vergognosissimi, oltreché difficilmente eliminabili, in quanto sono istituiti e praticati l'uno in funzione dell'altro. La logica di questo meccanismo sta dando oramai i sui frutti, certamente prevedibili, ma che nessuno, salvo i radicali, aveva voluto prevedere.

Appena qualche mese fa il ministro Martinazzoli proclamava la necessità di un "legislazione premiale" per mafiosi e camorristi pentiti (già ampiamente utilizzati e "premiati"). Oggi tutto il sistema del "pentitismo" entra in crisi. Non solo le denunce di Tortora a far emergere l'ignominia del sistema. Metodi del genere hanno un prezzo che si paga dilazionato sì, ma con interessi usurari. Ed oggi è arrivato il momento di pagare. A Campobasso i pentiti, a dimostrazione della loro "attendibilità", proclamano una specie di sciopero del "non ricordo" per protesta contro la mancata attuazione delle "provvidenze" nei loro confronti. A Napoli un racket di mogli di pentiti taglieggia commercianti e cittadini abbienti con la minaccia che altrimenti i loro mariti "saranno costretti" a fare i loro nomi; Barra e Pandico si azzuffano; Scriva fugge, o fa la mossa di fuggire, dalla caserma dei carabinieri di Tropea dove vive con la famigliola, mentre Martinazzoli era convinto, ma lui solo, che stesse nel carcere di Belluno.

Il tutto mentre scoppia lo scandalo, troppo a lungo represso, dei fogli da lui rilasciati in bianco ad un giudice che li avrebbe utilizzati riempendoli a casa sua e retrodatandoli.

La legislazione speciale, la sua applicazione "per analogia" in tutti i campi delle varie "emergenze" proclamate con la chiamata della magistratura "a battersi in prima linea" (come se la funzione giudiziaria potesse essere ridotta ad una specie di duello tra il giudice ed il "delinquente"), rispondono ad una logica che è quella dell'"utilità sociale", intesa non come finalità ultima della giustizia, ma come obiettivo delle varie "campagne". E' la logica dell'identificazione del diritto con la sociologia, o meglio con l'"effimero sociologico", che una volta ritrovavamo nelle proclamazioni circa "l'uso alternativo della giustizia" dei magistrati d'assalto ed oggi è presente nel ben più pericoloso, sistematico ed incontrastato metodo dei magistrati di cultura ed ispirazione comunista, che sono "trainanti" rispetto il resto della magistratura e non solo della magistratura. E' la logica dei famosi e non troppo misteriosi "trentasei magistrati" interlocutori di Martinazzoli e di Scalfaro. C'è chi dice che oggi si

a scomodo per un magistrato mostrarsi troppo "garantista", specie in certe regioni ed in certe sedi.

E' di tutta evidenza che se questa mentalità, questa cultura, questi metodi non saranno individuati, compresi, respinti, eliminati, saranno palliativi e pure espressioni di velleità, se non alibi falsi ed ipocriti, le "riforme" comunque congegnate.

L'imarbarimento della giustizia nel nostro paese non sarà eliminato facilmente. Si fa presto a "derogare" a questo o a quel principio, si fa presto a credere a certe "esigenze" pratiche, ad adottare scorciatoie per "andare al sodo" nella lotta a terrorismo, mafia, etc. Assai più difficile è tornare indietro quando i fatti, le logiche perverse di quei provvedimenti presentano il loro conto di inciviltà e di discredito della giustizia. Ci sono responsabilità di legislatori e di giudici e nessuno può cercare alibi nelle colpe degli altri. E se ci sono responsabilità per ciò che si è fatto e si fa, ci sono anche responsabilità per ciò che non si è fatto e non si fa. Ci sarebbe da dire molto, ad esempio, sulle responsabilità della stampa, se non fossimo ormai abituati alla totale acquiescenza servizievole di questa agli interessi ed agli andazzi del potere. Non dev'essere più tollerabile che in un paese civile si spicchino mandati di cattura in cui, fra le centinaia di persone da arrestare, ve ne siano decine e d

ecine che debbono vivere tale esperienza solo per "omonimia", spesso facilissimamente rilevabile, senza che nessuno esiga la punizione del responsabile. Non è possibile che si faccia a gara per esaltare i "pentiti" e per chiamare a raccolta i molto onorevoli appartenenti a questa corporazione per far riscontro l'uno alle "rilevazioni" dell'altro. Non è tollerabile che avvocati che non stanno al gioco di certi metodi di santa inquisizione rischino incriminazioni per favoreggiamento. Non è tollerabile il silenzio.

Porteremo questa incredibile situazione italiana al cospetto dell'Europa. L'autorizzazione a procedere contro Enzo Tortora al Parlamento europeo deve diventare l'occasione per un dibattito sullo stato di giustizia in questa parte di Europa, se così può ancora esser definito il nostro paese. E se soltanto riusciremo a determinare la fine dell'acquiescenza a quella cultura nefasta di cui scrivevamo poc'anzi, sarà già una buona caparra di successo.

 
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